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È la copertina verde di un libro diffuso in poche copie, più di trentacinque anni fa, il filo lungo il quale si dipana la strana amicizia tra un giornalista con tendenza al mugugno e un accademico brontolone scandita nel tempo da chiacchierate saltuarie, rigorosamente in piemontese, giustificate dalle lontane radici in collina di entrambi.

Il libro si intitola Il mio tempo erano le stagioni e fu pubblicato dalla Casa editrice Eda di Torino per conto dell’Amministrazione provinciale di Asti nel 1981. Sottotitolo: Letteratura e mondo contadino. Uno scrittore della terra astigiana, antologia degli scritti editi e inediti di Gigi Monticone, a cura di Giancarlo Cocito e Sergio Zoppi.

Era il risultato di un convegno organizzato nella primavera del 1980. Me lo ritrovo ancora spesso tra le mani. La mia biblioteca non è un modello di ordine da portare ad esempio. Ma quel volume con il bozzetto di Giuseppe Colli raffigurante una coppia di buoi al giogo e due contadini (uno in primo piano con la zappa in spalla, l’altro sullo sfondo), non l’ho mai perso di vista nonostante i molti traslochi, professionali e non.

C’è un qualcosa di impercettibilmente profondo in quel libro, come nel mio rapporto di amicizia con il Professor Sergio Zoppi, se posso definire così una conoscenza scandita da incontri sempre casuali, conclusi inevitabilmente da amabili discussioni su un unico tema: il nostro legame con un mondo che non esiste più, il paese delle radici, vivo soltanto nel nostro vissuto.

Ai tempi del convegno e del libro, Sergio Zoppi per me era una specie di mito. Non gli avevo mai parlato. Lo avevo intravisto appena nel Salone della redazione della “Gazzetta del Popolo”, in corso Valdocco, a Torino. Lavoravo come praticante giornalista nella redazione delle pagine provinciali con il mitico caposervizio Cesare Pecchioli; poi, ero passato dall’altra parte, vicino alla scrivania dei capiredattori, servizio politica ed economia. Dalla scrivania, cui si appoggiavano a scrivere spesso anche inviati milanesi di punta tra cui un certo Walter Tobagi, vedevo transitare spesso la sera i collaboratori della terza pagina che passavano oltre e si fermavano a chiacchierare soltanto con il Direttore Michele Torre, oppure con Piero Bianucci o il Conte Carlo Gigli. Tra i più assidui, il critico d’arte Luigi Carluccio, che si fermava a scrivere nel piccolo spazio un tempo riservato agli inviati accanto alla porta della tipografia, e lui, Sergio Zoppi.

Chi l’avrebbe immaginato che quel signore alto, distinto e un po’ burbero veniva da Mongardino, dalle stesse colline dove era nata anche la mia mamma, Fernanda, che non aveva fatto in tempo a raccontarmi nulla della sua infanzia.

L’idea del convegno su letteratura e mondo contadino prese corpo, nella mia testa, proprio in quelle sere in redazione alla “Gazzetta”, passando pezzi, scrivendo titoli e selezionando agenzie. Ricordo che scrissi una lettera su carta intestata del giornale a Gino Nebiolo, che della “Gazzetta” era stato inviato speciale e che all’epoca era Direttore del “RadiocorriereTv”. Nel 1965 aveva scritto una prefazione al romanzo La Vigna di Gigi Monticone, pubblicato dall’editrice Torre Rossa fondata apposta con Luigi Garrone. Volevo chiedergli l’autorizzazione per ripubblicare quel testo. Mi rispose che ne sarebbe stato felice. L’idea del convegno piacque a Bianca Dessimone che era assessore alla cultura della Provincia di Asti.

Quando si realizzò, a maggio del 1980, Bianca Dessimone non era più assessore ed io non ero più alla “Gazzetta del Popolo”, ma lavoravo ormai nella redazione Rai a Torino, da qualche mese. Fu una giornata ricca di contributi autorevoli coordinati proprio dal Professor Sergio Zoppi: c’erano Corrado Grassi e Davide Lajolo, Giacinto Grassi e Franco Piccinelli, Giuseppe Rosso e Giovanni Rainero, Luigi Garrone e tanti altri amici. C’erano anche i famigliari di Gigi Monticone, autore rimasto relegato “nel girone dilettanti”, come amaramente ebbe modo di constatare egli stesso.

Successivamente ebbi poche occasioni di incontro. Sergio Zoppi veleggiava nelle alte sfere della ricerca e della critica, con base in via Sant’Ottavio, io facevo cronaca per radio e tv, qualche palazzo più in là, in via Verdi, prima di andarmene per quindici anni a dirigere altre redazioni.

Posso dire di aver incontrato davvero Sergio Zoppi solo al ritorno in via Verdi, nel 2007. E lo ritrovai proprio in via Verdi, ma dal lato opposto di via Rossini: alla Pizzeria “Alla Mole”, titolare sardo, cameriere Ibra da Marrakesh.

Erano incontri piacevoli, con molti altri docenti suoi colleghi, sempre con le gambe sotto il tavolo, come dicevano i contadini di una volta. Si discuteva dei massimi sistemi, naturalmente, partendo dalla politica (punti di vista distanti, molto spesso) per approdare sul pianeta ricerca/Università o viceversa, e planare immancabilmente su qualche collina di Langa o Monferrato.

E i libri? Un tema ricorrente ovviamente. I progetti, in pizzeria o nel “dehors” di fronte al Commissariato, crescono come i funghi e qualcuno diventa perfino realtà. Uno in particolare mi avvicina ad una piccolissima casa editrice di provincia che si ostina a pensare in grande. Si chiama Scritturapura e pubblicherà nel 2011, proprio nel periodo in cui sta cambiando pelle, un volumetto di studi dedicati ad un giornalista francese di due secoli fa che interpreta a modo suo il Grand Tour, mettendo al centro del suo girovagare Torino e il Piemonte.

Si chiama Aubin Louis Millin (1759-1818) e il libro diventa Un viaggiatore in Piemonte nell’età napoleonica, a cura di Cristina Trinchero e Sergio Zoppi. Duecentoventiquattro pagine fitte fitte, per me l’inizio di una nuova avventura editoriale che, pur tra mille difficoltà, va avanti e a poco a poco cresce, restando con le radici ben piantate in periferia, ma guardando lontano per scoprire nuove voci da far conoscere in Italia. Il furore di avere libri e di farne di nuovi mi accompagna da sempre, ma il tarlo ha preso vigore nuovo anche grazie alle conversazioni con Sergio Zoppi in pizzeria e ai discorsi sui viaggi di Millin, su

Gualino e il Teatro di Torino, sui progetti curati in passato con il CNR e su quelli in corso nell’ambito dell’allora Dipartimento di Scienze del Linguaggio e Letterature Moderne e Comparate.

Amabili parentesi di chiacchiere tutt’altro che vane, all’ora di pranzo, dopo il primo Tg.

Filo conduttore era tuttavia spesso la nostalgia. Inevitabile toccare, con il ricordo di questo e quello saltando di paese in borgata, il tema della lotta partigiana e degli studi successivi, della storia ricostruita e approfondita solo in parte.

Di quella chiacchiere mi resta un ricordo insieme piacevole e malinconico, di altro tempo passato a tentare di recuperare sensazioni di un mondo e di un tempo ormai impossibile da comunicare.

Come l’amarezza che emana da alcuni versi di Gigi Monticone, relegato a fare il segretario comunale a Sanremo negli Anni Sessanta, che proprio Sergio Zoppi ha scelto per quel libro, citato all’inizio, che resta tra i miei più cari.

La poesia di Gigi Monticone si intitola Ho incontrato un Partigiano. C’è tutto il disincanto che ho ascoltato più volte riaffiorare nei discorsi fatti con Sergio Zoppi. Gigi Monticone ha lasciato il cuore in collina e ritrova in Riviera Enzo Bramardi di Boves, il Comandante Fede, classe 1914:

Prigioniero di torri infuocate, sordida sorte ti attende tra le mura felpate della Sala Giò Ponti, versa sulla mia nostalgia il fiume inesausto

delle nostre speranze perdute, capitano Fede Bramardi, non si può vivere due volte né costruire due volte il tempo che ci distrugge. Alziamoci, soli, perduti, in questa città, prigioniera di splendide notti, alziamoci un’ultima volta a salutare i nostri morti che dormono da vent’anni sull’ignavia dei vivi! (1966)

Ho scelto per chiudere proprio queste parole di Gigi Monticone che ho inserito anche nel mio lavoro teatrale Nella vigna dell’Anima, di un paio di anni fa. Con qualche artificio e l’aiuto di bravi attori e musicisti, incrocio voci di autori famosi e meno noti che raccontano di uomini e colline, dolori e passioni: proprio come nel nostro divagare, apparentemente senza senso, in pausa pranzo in pizzeria.

Auguri, Prufesur!!!

E grazie per quelle amichevoli chiacchierate.