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Questa iniziativa di raccontare Sergio Zoppi con la presenza di tanti colleghi e nel suo paese d’origine mi appare opportuna e simpatica. Da Mongardino Sergio ha preso le mosse per costruire via via il suo percorso scientifico e accademico, anche con il sostegno e l’aiuto di quell’altra figura carismatica locale, l’illuminato parroco Don Bianco, quanto mai attivo nel prendersi cura in modo intelligente e mirato del paese a lui affidato, ma anche storico di notevole peso, che abbiamo qui pubblicamente celebrato e ricordato nel 2015.

Sergio Zoppi per me – e, mi permetto di affermare, per i miei cari diretti collaboratori del tempo, Piercarlo e Renato Grimaldi, qui presenti – non è stato solo un collega, ma un amico ed un compagno di iniziative scientifiche. È proprio di questo aspetto particolare, di questa comunanza non astratta, che vorrei qui molto concisamente parlare. Per tutto il periodo il cui fu direttore del CLAU (Centro Linguistico e Audiovisivi dell’Università di Torino, costituito intorno alla metà degli anni ’80 del secolo scorso), l’ampia sede, con numerosi locali, di quell’ente, fu una sorta di base e risorsa per i nostri incontri di lavoro e di progettazione, o semplicemente per le nostre conversazioni amicali. In una struttura universitaria ancora una volta (o perennemente?) in riassestamento o ennesimo disegno, il CLAU mi apparve, ci apparve, sempre come una collocazione attiva e ordinata, come una base insostituibile per iniziative scientifiche ma anche didattiche, tanto che almeno per un anno accademico tenni il mio corso in una delle sue aule, come pure più volte gli esami della mia materia (inizialmente Sociologia urbana e rurale). Probabilmente, oltre alle comuni origini non torinesi, contribuiva a favorire un rapporto di sentire condiviso anche una certa insofferenza per qualche non troppo rara leziosità accademica e artificiose relazioni personali.

Anche quando, a partire soprattutto dagli ultimi due decenni del secolo scorso, stabilimmo e intensificammo i rapporti con colleghi non di rado illustri di altri paesi, principalmente francesi (Università di Nizza e Parigi) come Jean Poirier e Claude Gaignebet, e belgi, comparando e sviluppando in primo luogo le nostre ricerche, anche sul campo, sulla ritualità locale, il CLAU ci apparve una delle sedi più adatte in cui incontrarci e lavorare con loro. Uno dei settori in cui si realizzò una ricca e importante interazione scientifica con Sergio Zoppi, che si sviluppò anche nel quadro delle attività sostenute dal CNR, ente nel quale egli stava acquisendo via via più peso e funzione innovativa, venne a costituirsi, nello stesso periodo, soprattutto a motivo dei caratteri specifici dell’opera mia e del gruppo da me diretto (che poi si istituì formalmente nella struttura universitaria sotto la denominazione di L.E.I.N.O). Una nostra caratteristica fu in effetti l’importanza data a quello che

nel settore viene chiamato “lavoro sul campo”; a ciò si aggiungeva la nostra lettura e analisi della produzione, nella stessa prospettiva, dei colleghi operanti nello stesso settore, anche degli amici stranieri, e talora quella di gruppi seminariali di studenti e di laureandi cui proponevamo impostazione analoga di lavoro di indagine.

Il risultato di tutto ciò fu la crescita dei dati di documentazione e analisi che avrebbe rischiato di rimanere di più arduo ritrovamento e di più complesso utilizzo. Mi proposi dunque alcune linee di lavoro che furono realizzate anche in sinergia con Sergio Zoppi e nel quadro dei progetti finanziati dal CNR. In particolare voglio qui ricordare la decisione di procedere all’archiviazione mediante il ricorso a tecniche informatiche per l’epoca relativamente innovative: ciò implicava tra l’altro, per ogni fenomeno da documentare, l’utilizzo di una scheda, ovviamente uniforme per tutti, con gli stessi articoli o voci accuratamente discussi e impostati. Elaborai inoltre un sistema di parole chiave etno-antropologiche che, attribuite in numero limitato per ogni scheda, consentissero l’estrazione dagli archivi di sottoinsiemi relativi alle tematiche cui fosse interessato l’utente. Il lavoro si protrasse vari anni e a tutt’oggi abbiamo a disposizione utili e ampi archivi informatizzati in campo demoantropologico. Intanto l’ambito si estendeva in modo più sistematico, e innovativo, alle rilevazioni di carattere etnomusicologico e visivo, in un quadro di rapporti e lavoro in cui Sergio e il CLAU, e i suoi più vicini collaboratori, continuavano a fungere da base e interlocutori importanti.

Questa condivisa attività scientifica fece sì che si creasse un clima estremamente creativo ed effervescente dal punto di vista dello scambio tra studiosi di varie età e esperienze, mentre permanevano e si intensificavano anche i rapporti stabiliti con gli studiosi stranieri e le loro attività di ricerca, rapporti che traevano vantaggio pure dai comuni viaggi di studio e per convegni.

In conclusione mi pare non poco significativo mettere in evidenza come la figura di Sergio Zoppi, rimanga emblematica anche sotto un altro e specifico, apparentemente meno evidente ma tutt’altro che secondario, punto di vista: ci riferiamo a una concezione della comunità locale che, benché non recente, si manifesta ancora in modo chiaramente leggibile nei principi e nelle convinzioni di molti e preziosi operatori e promotori locali e non si può considerare del tutto scomparsa neppure in ambito scientifico. Di solito, questa concezione viene fatta correttamente risalire all’elaborazione molto accurata di Ferdinand Tönnies (1887). Secondo questo padre della sociologia, la “comunità” corrisponderebbe sostanzialmente alle antiche collettività territoriali preindustriali, caratterizzate da un modo di convivenza intima, esclusiva e confidenziale, da uniformità, con rapporti condivisi, genuini, durevoli e quasi naturali.

La storia di Sergio, originario proprio di una famiglia locale di Mongardino, ci parla invece di un terreno socio-culturale fertile e differenziato, che, lungi da un’armonica monotonia, può dar luogo a figure di rilievo e di dinamico interesse. In questo ruolo così rappresentativo Sergio Zoppi può essere accostato a compaesani quali il già ricordato Don Alfredo Bianco e il decano dei giornalisti astigiani, Luigi Garrone; voglio aggiungere che non siamo di fronte ad un fenomeno circoscritto ed

eccezionale nelle nostre comunità locali, limitandomi a citare soltanto a titolo di rapidi esempi Augusto Monti di Monastero Bormida o gli stessi qui presenti e attivi Pier Carlo e Renato Grimaldi di Cossano Belbo.

Anche per questa sua capacità di contribuire a illustrarci attraverso la sua storia e attraverso le sue realizzazioni personali la reale dinamica comunitaria, esprimiamo la nostra gratitudine a Sergio e ancora una volta ci congratuliamo per il suo successo accademico, ottenuto con il lavoro ma anche con la correttezza e la sobria determinazione, senza recidere il filo con la comunità e il territorio di origine.

Per gli ottant’anni di Sergio Zoppi