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Capitolo 1. Il corpo dissociato

2.5 Carlo e il vello d'oro

Con un appunto vuoto ed una frase, non riportata, tratta da Corpo

d'amore di Norman Brown78, largamente citato in tutto Petrolio, si conclude il ricevimento nel salotto della signora F.

Carlo di Polis è stato assoldato dal potere ed ora può intraprendere il suo viaggio "mitico" in Oriente79. L'idea dell'autore era quella di scrivere l'intero viaggio in una lingua inventata e illeggibile, o, più realisticamente, nel greco moderno del poeta Kafavis80. Di questo progetto ci restano solo le didascalie che avrebbero riassunto, all'inizio di ogni appunto, il testo greco che avrebbe cantato le imprese dei moderni Argonauti. Sarebbe stato, a quanto si deduce dalla prima didascalia, Orfeo stesso a cantare la prima parte del viagggio81 volendo così enfatizzare gli aspetti epici e la valenza fortemente iniziatico-misterica di tale impresa:

[il viaggio] inteso come iniziazione, fondamento del viaggio secondo – ma anche come passaggio di tempo per la maturazione di un 'tempo politico': l'arrestarsi della situazione per la sostituzione di Troya al presidente dell'Eni, e quindi l'assassino di quest'ultimo.

L'iniziazione di cui si parla sembra una tappa necessaria che permetterà a Carlo di fare il suo ingresso tra i potenti dell'Eni (dopo

78 Ivi, p.147 79 Ivi p. 148 80 Ivi, p. 167 81 Ivi, p.149

questo viaggio il suo potere all'interno dell'azienda sarà considerevolmente aumentato); è quindi iniziazione al potere, ma perché questa si compia è necessario che avvenga anche un passaggio

di tempo affinché maturino determinate condizioni politiche che

sembrano avere una corrispondenza diretta con la carriera di Carlo (e l'ultima riga della citazione si riferisce esplicitamente all'omicidio Mattei e alla scalate all'interno dell'Eni di Cefis).

Dalle didascalie pervenuteci è possibile ricostruire l'itinerario del viaggio: arrivati a Teheran, gli eroi vengono accolti all'hotel Hilton e poi nel palazzo dello Scià. Ad una serie di visioni della città (con particolare attenzione per gli aspetti più poveri e marginali: "un ubriaco accoltellato alla schiena mentre dorme a pancia in già su una vecchia coperta lurida, tra le merde", "molta polizia, poco benessere82") si sarebbero succeduti racconti "episodici" alle tappe successive del viaggio: il Kuwait, dove "il Vello d'oro splende a brandelli -di luce oleosa e appena palpitante"83, Damasco, dove Carlo avrebbe incontrato il Ministro degli Affari Esteri italiano, poi le autorità etiopiche, ad Asmara, infine il Cairo, Nicosia, Tel Aviv... Sullo sfondo, appenna accennata, la storia mitica di Giasone e Medea avrebbe ulteriormente scandito l'evoluzione del viaggio: dopo aver donato il leggendario Vello a Giasone, la maga sarebbe stata abbandonata, ubriaca di whiskey, nel deserto.

Giunti al termine dell'argonautica, l'autore si sente in dovere di fornire "alcune spiegazioni al lettore": sia che si tratti di un inserto grafico

82 Ivi, p.152 83 Ivi, p.154

(come nel caso di uno specchiettto pensato per riassumere le ramificazioni delle azienede legate a Troya, Appunto 21i) o di pagine "stampate ma illeggibili", perché scritte in greco, l'autore non vuole "scrivere una storia, ma costruire una forma".

L'idea è mediata da un autore che Pasolini cita in maniera esplicita nell'appunto 37:

Del resto lo ha fatto recentemente xxx Michaux (?), disegnandosi l''intero libro, riga per riga, in una paziente e infinita invenzione di segni non alfapetici.84

Lo scrittore e pittore belga che componeva versi inventando un

alphabet autre, fatto di geroglifici e segni inventati, vedevano in

questa scrittura illeggibile la creazione di nuove forme espressive intese come evocazione di una condizione arcaica e mitica del racconto85. Una lingua incomprensibile ma fortemente espressiva: Pasolini dice di non voler adottare "simili metodi, estremistici, ma anche estremamente noiosi", per le argonautiche, infatti, avrebbe fatto qualcosa di simile all'operazione di Michaux, ma di profondamente diverso negli intenti. Sicuramente la suggestione di una lingua primordiale, capace di esprime qualcosa di arcaico e ancestrale come il mito, affascinava Pasolini, ma il compromesso tra l'illeggibile e il quasi leggibile aveva convinto l'autore ad utilizzare una lingua innanzi tutto esistente (il greco moderno) e poi una serie di didascalie avrebbe riassunto in italiano le tappe principali del viaggio mitico di Carlo. Certo è che questa modalità di scrittura collaborava a quell'idea di

nuovo gioco che Pasolini voleva fondare con Petrolio: l'opera come 84 Ivi, p.167

oggetto di mediazione tra autore (che parla direttamente, in carne e ossa, rifiutando il ruolo di figura convenzionale86) e lettore, un romanzo che è pura forma costantemente in progress che si evolve magmaticamente, capace di assorbire al suo interno, potenzialmente, ogni aspetto della vita umana.

Petrolio, dunque, altro non è che una "forma consistente in qualcosa di scritto"87: crescendo per libera aggiunta di materiale, per inserti, per stratificazioni, l'opera vuole mostrarsi come un continuo in fieri. Non è qui in discussione solo l'idea di "finitezza" dell'opera, la poetica del non finito, ma l'idea stessa di opera d'arte come oggetto estetico, di romanzo come "macchina narrativa che funziona da sola nella mente del lettore"88. La mente del lettore viene invece continuamente stimolata dal testo non in modo tradizionale, attraverso la sola percezione estetica dell'opera, ma per mezzo di una continua problematizzazione concettuale dell'opera stessa, che vuole essere poema pur giocando al pastiche, che è "solo" qualcosa di scritto, ma anche summa di tutte le esperienze dell'autore89.

86 Ivi, p.579 87 Ivi, p.167

88 La frase è tratta dalla lettera a Moravia in Petrolio, p.580 89 Ibidem