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Capitolo 4. Dal pratone al Quadraro: Karl non c'è più

4.1 Il Pratone e il Rito

L'autore sembra voler così preparare il lettore a qualcosa di straordinario che sta per accadere ("questo poema decolla"), invitandolo a "non sorridere dell'accenno al cosmo": un atteggiamento ironico comporterebbe un distaccamento fuori luogo vista "l'enormità" della materia che si vuole rappresentare. E' il sacro, che sta per irrompere, con la sua portata devastante, nella vita di Carlo di Tetis. Dopo esserci soffermati sul paesaggio, veniamo agli attori che calcano la scena: da un lato abbiamo Carlo di Tetis, da poco trasformato in donna, che può ora esperire la condizione opposta a quella del "Poema del ritorno": il mutamento di genere comporta un mutamento di paradigma, da carnefice a vittima, dal possedere all'essere posseduti. Dall'alto di un montarozzo abbiamo invece un "branco" di venti ragazzi di borgata: nei loro corpi è ancora possibile leggere le differenze di classe, tanto che l'unico non sottoproletario, Gianfranco, viene immediatamente riconosciuto quale "borghese" e proprio per questo sarà l'unico che "non piaceva molto a Carlo"105. Tra i giovani del pratone, dunque, non è ancora percepibile quella mutazione antropologica altrove centrale nella descrizione dei corpi operata da Pasolini (rimanendo su Petrolio, si pensi alla descrizione dei giovani omologati agli idoli invisibili nella Visione del Merda). Anche la lingua dei ragazzi sembra uscita incolume dall'appiattimento linguistico operato dai mass media e nella sua purezza arcaica e

selvaggia, collabora al mito erotico di Carlo:

-Mo' vado a fà er soldato- aggiunse Gianni semplicemente. -Quando?- chiese Carlo tanto per essere cortese, mentre ciò che gli interessava era ormai il cazzo di Gianni, valorizzato fin quasi a tramortire Carlo, dalla voce del suo possessore. -Nun so, devono da fà du' scajoni...-106

I giovani venti, con i loro corpi sottoproletari e la loro parlata romana rappresentano un'alterità assoluta rispetto a Carlo: sono ierofanie, al punto da confondersi con un gruppo di divinità sotterranee e romane come i Penati e i Lari, "come Spiriti o Geni protettori, divini, ma nel tempo stesso umili..."107.

Il sesso diviene allora lo strumento di comunicazione privilegiato tra corpi appartenenti ad universi altrimenti inconciliabili: il borghese, da un lato e i proletari dall'altro. Il membro dei ragazzi si carica così di significati altri: oltre a rappresentare l'organo sessuale maschile in particolare e divenire significante per il sesso e il corpo in generale, il fallo rappresenta qui una sorta di feticcio che evoca un'energia primordiale, come scrive Rino Genovese:

Il fallo è qui l'organo di un fascino pieno di risonanze arcaiche, le cui apparizioni successive sono il ripetersi di un rito magico e violento.108

L'ossessiva rappresentazione del fallo -chiamato sempre con il suo sinonimo osceno "cazzo", e per avere un'idea della ricorrenza ossessiva del lemma basti segnalare che il termine ricorre ottantaquattro volte in, circa, trenta pagine- invita il lettore a scartare

106 Ivi, p.236 107 Ivi, p.244

un'interpretazione letterale del brano; la ciclicità delle azioni e dei movimenti descritti (l'alternanza dei giovani dal montarozzo alla distesa dove si trova Carlo, le descrizioni minuziose dei membri e degli amplessi) sembrano avvicinare al rito l'incontro di Carlo con i venti: un rito euristico che pone il borghese in relazione, da vittima, con i sottoproletari. Ad ogni fallo Carlo attribuisce particolarità uniche, insiste su alcuni odori e colori, sulle forme e sulla pelle di ognuno di essi; è atterrito ed esaltato, al tempo stesso, ad ogni apparizione:

Carlo dunque ricorse a tutti gli accorgimenti dell'arte amatoria che durante quei mesi aveva appreso, riconoscendo a ogni cazzo le sue particolarità109.

[...]Il cuore di Carlo era in tumulto per la visione di quel cazzo, grande, chiaro, quasi luminoso nel suo pimento110 Ed è attraverso gli organi sessuali dei giovani che Carlo riconosce le classi dei sottoproletari, ne indovina i mestieri:

Carlo fece appena in tempo a sentire in bocca, con la lingua quelle forme così cariche di xxx, e ad annusare, insieme all'odore dello sperma, che era quasi profumato, l'odore di ferro e di unto dell'officina di cui il cazzo era impregnato, che Pietro gli si sciolse in bocca, come poco prima Gianni.

Alla luce di quanto esposto, se l'orgia diviene rito, accogliere il fallo dell'altro vuol dire accogliere l'alterità, porsi in relazione con il sacro che attraverso il mistero del corpo e del sesso è ancora capace di manifestare la propria carica sovversiva.

Le cose, però, non stanno esattamente così; il limite di una simile analisi risiede nel fatto che Carlo non è realmente "vittima", ma gioca

109 Ivi, p.222 110 Ivi, p.217

un ruolo: tra gli accordi presi tra lui e i ragazzi, rientra il pagamento di duemila lire per giovane. Il sesso è mercificato e non si sottrae alle regole del mercato, eppure in quell'ora in cui Carlo ama per denaro, il tempo si scompone annullandosi, si dissolve nell'assoluto; il protagonista arriva a pensare questo confutando i versi di Villon:

S'il n'ayment fors que pour l'argent, on ne les ayme que pour l'heure

Questo pressappoco pensava Carlo mentre era chino ad "accontentare" il ragazzo: se non amano che per denaro, non li si ama che per quell'ora. Ma forse, pensava con voluttà che non eliminava l'altra voluttà, ch eprovava intensamente in quell'atto cercando di non distrarsene- non era vero. Forse li si ama per sempre. Un'ora è un buco. Dove si ammassa un tempo che non ha successività111 Carlo sembra raggiungere una forma di estasi che però non passa dalla via dell'ascesi, ma dal suo opposto: un'immersione completa nel piacere, sino a spingere il godimento di sé oltre la sua negazione, in godimento dell'altro.

Come per gli iniziati ai misteri che venivano bendati e al termine del rito, restituita la vista potevano godere del mondo attraverso uno sguardo nuovo, Carlo può ora godere di una nuova vista: giustapponendo alla realtà (i giovani sul montarozzo) una sorta di persistenza segnica del sacro, incarnato da una fantasmagoria di divinità minori che invadono, dopo la partenza dell'ultimo ragazzo (Pietro), il pratone della Casilina in una notte, ora esplicitamente, "demoniaca":

Pietro aveva evocato a Carlo i suoi Penati, i suoi piccoli Lari fatti di polvere, legnosecco, poche masserizie, un lettino o una brandina preparati magari in cucina o nell'ingresso. Ma insieme a questi Dei, quasi in sacra

combutta per quella nottata, si sentiva anche la presenza di dei sotterranei, di Demoni...

Abbiamo, quindi, una doppia rappresentazione del divino: da un lato i benevoli spiriti del focolare, i primitivi spiriti romani prottettori della famiglia e dall'altro i Demoni degli inferi, i quali però, precisa l'autore, non sono quelli "dell'Inferno dove si scontano le condanne, ma degli inferi, là dove si finisce tutti". Anche i demoni degli inferi sono divinità "umili", paragonati a cani randagi vagano sul pratone e si vanno a "mescolare" ai venti giovani.

Se l'epifania di Lari e Penati rimanda ad una visione sacrale del popolo, con l'apparizione delle divinità del sottosuolo l'autore sembra voler concludere il lungo appunto calando un velo funebre sui giovani borgatari, eppure non c'è "né lutto né dolore: poiché nell'essere funebre, consisteva l'odorosa, silente, bianca, e perdutamente quieta e felice, forma della città notturna, dei prati, del cielo".

Riassumendo quanto esposto possiamo concludere che sul pratone della Casilina Carlo "scopre" per la prima volta il popolo, ma questo incontro è istituito da accordi di natura economica: il "rito euristico" risulta "disciplinato" dal denaro, e il sesso, pur rimanendo linguaggio privilegiato per l'incontro dell'altro, sembra rimanere invischiato in una tensione irrisolta tra vitalismo e morte, tra passione autentica, istintiva, "enorme", e una realtà sociale che mostra, agli occhi visionari di Carlo di Tetis, il lato funebre del potere. Questi elementi si ripeteranno nel tentativo di Carlo di Polis di rivivere le esperienze di Carlo di Tetis con un ragazzo, Carmelo, ma deflagheranno

esplicitamente solo nella visione del Merda, prima della terza metamorfosi, dove ritroveremo i venti ragazzi del pratone. Ma torniamo alla storia di Carlo: mentre Carlo di Tetis consumava il tour

de force erotico in borgata, Carlo di Polis si trovava in Oriente per

conto dell'Eni, ma ora, ritornato in Italia, ricerca il suo doppio, ormai trasferitosi nella periferia del Quadraro.