Tεληστήριον del tempio di Demetrio, Eleusi, Grecia, V sec. a.C. Palazzo del Califfo, Usais, Siria, 715 d.C. circa
Nella vita quotidiana l’uomo attua una molteplicità di pra- tiche che definiscono le molteplici possibilità di interazione sia in con gli altri che con i luoghi della comunità, costruendo e modificando le regole sociali e gli spazi in cui vive. La con- tinua interazione con il mondo circostante determina le pra- tiche quotidiane e viceversa l’azione umana ha come risultato la costruzione dell’habitat. Il movimento all’interno dei luoghi fa sì che questi siano praticati, siano utilizzati e in definitiva siano posseduti da chi se ne serve.
Le pratiche della vita quotidiana concorrono a tessere quel- la trama di significati che, disposti lungo un tempo e all’inter- no di precisi luoghi, definiscono il livello narrativo dell’esi- stenza.1 Il racconto potrà lasciare traccia di sé nella memoria collettiva o nella costruzione che sarà custode della storia, di come abbiamo vissuto, di come abbiamo preso possesso del nostro spazio. Così la dimora è progettata secondo precise regole in cui è riposta la prefigurazione del risultato finale; la costruzione predilige tecniche e materiali specifici in rela- zione all’economia, alla qualità cromatica, della durevolezza; i movimenti sono guidati dal muro e dalle sue aperture, così come lo sguardo è condotto all’orizzonte o al percorso inter- no; si stabilisce una velocità, si impongono pause e accelera- zioni, si definisce un ritmo con lo spazio che diventa custode di un tempo, quello dell’architettura, definendo i contorni di un’esperienza spaziale.
Queste considerazioni implicano il superamento dell’evi- dente applicazione di una rigorosa logica pitagorica, pur con- statando che la sua equazione a2+b2=c2 determina la legge
interna delle costruzioni Federiciane,2 lo sparito logico-ma- tematico sotteso all’organizzazione delle masse e dei vuoti spaziali con cui l’imperatore stabilisce una sorta di genetica dell’architettura Sveva. L’esigenza di soddisfare il bisogno intellettuale di controllare ogni punto di scarico delle forze, ogni relazione dimensionale tra le parti, unita alla necessità pratica di condurre scientificamente il cantiere, alla possibilità di formare maestranze in grado di lavorare mille chilometri dalla Trinacria per ripetere le leggi del modello anche nella tecnica del taglio della pietra – verosimilmente mutuata dalla collaborazione con il mondo cistercense 3 – apre addirittura le porte alla prefabbricazione degli elementi costruttivi laddove non solo i conci, ma persino le scale a chiocciola scavate nella torre si ripetono a Catania, Siracusa, Lucera, Andria, Enna utilizzando sedici gradini per compiere un giro.
Il Castrum, il Tεληστήριον e il Qaṣr concorrono nella riela-
borazione Sveva alla realizzazione di manieri che sono proto- tipo del palazzo del signore. Tutto è sperimentato e ripetuto, tutto destinato a condensare nella Corona delle Puglie.
La produzione che precede la fortezza ottagonale delinea una poetica architettonica definita da elementi stereometrici di assoluta purezza, dal sapore quasi suprematista, dove gli aspetti plastici degli elementi primari del muro, della soglia, dell’apertura, del pavimento e del tetto assumono un valore emblematico al punto da non considerare la decorazione se non a servizio dell’immagine di questa operazione composi- tiva: interno ed esterno, muro e apertura, terra e cielo sono fuse senza soluzione di continuità. La modanatura è come una
sorta di deformazione di un unico elemento che non subisce l’operazione della rottura, quanto quella della modellazione. L’imposizione della presenza imperiale non passa attraver- so un semplice programma di edificazione fortilizio, ma è demandata alla costruzione di palazzi che sovrastano il pae- saggio e parlano ai sudditi mediante la loro poetica. Nel senso greco del termine, cioè nel mostrare come sono costruiti, nel rivelare la struttura del proprio ordine interno irradiandolo verso l’esterno.
Sono costruiti con una sintassi compositiva che con estre- ma chiarezza utilizza la luce mediterranea fino a impossessar- sene nei forti chiaroscuri generati dalla stereometria di cubi, piramidi, cilindri, e dalle operazioni spaziali di somma, sot- trazione, divisione, moltiplicazione, intersezione. Operazioni logiche che ribaltano anche le pratiche del castello dove l’im- peratore amministra la giustizia, l’economia, ma soprattutto accoglie la propria corte itinerante, dove la cultura e lo scam- bio sono il primo diletto.
Vanno quindi sorgendo in tutto il regno delle due Sicilie, luogo prediletto, luogo praticato, in cui Federico si muove di continuo tra questi punti che definiscono una mappa, la per- sonale mappa dell’imperatore, stanze attraverso le quali fini- sce per strutturarsi la narrazione del suo andare.
La grande casa dell’impero utilizza gli elementi primari dell’architettura. La soglia del regno delle due Sicilie diventa un grande castello ponte a Capua. Due maschi di straordi- naria possanza, con basamento ottagonale “aperto” verso il centro dove il passaggio rompe la geometria disegnando un
Castello Ponte di Capua, Assonometria e pianta, 1234 d.C., Fiume Volturno, Capua
gola artificiale. Se il Qaṣr al-Ḥair al Gharabī utilizza la stessa tipologia per costruire il portale di ingresso, Federico deloca- lizza l’elemento costruttivo attribuendogli un altro significato: fortifica il ponte sul Volturno, costruisce una soglia fisica per un territorio, utilizza l’elemento architettonico decontestua- lizzandolo dalla costruzione per cui è nato, effettua un’opera- zione di assoluta modernità che, di fatto, genera un elemento di evoluzione.
Il messaggio si completa attraverso l’apparato decorativo della struttura, carica di statue che sono simboli e allegorie, ma anche di espliciti messaggi rivolti a colui che intende varcare la soglia. “Chi provenendo da nord, cioè da Roma, attraversava il ponte, giungeva nella prima città importante del regno.
Al centro della facciata si trovava una statua dell’impera- tore assiso, a destra e a sinistra due figure femminili in foggia antica rappresentanti probabilmente le virtù. Al di sotto del gruppo, tre nicchie rotonde accoglievano busti di grandi di- mensioni: al centro quello di una donna raffigurante la giusti- zia, come suggerisce l’iscrizione nella cornice «Per ordine di Cesare costituisco la concordia del regno e rendo assai miseri quelli che sono inaffidabili», a destra e a sinistra due busti di uomini barbuti, probabilmente giudici di corte, con le iscri- zioni: «Entrino sicuri coloro che vogliono vivere puri», e «l’in- fedele tema di essere cacciato o di essere gettato in carcere!».
Il programma iconografico raffigurava per i sudditi la con- cezione del potere di Federico: l’imperatore, troneggiante al di sopra della Giustizia, è l’origine e il garante di essa. Chi gli si ribella non può sperare nel perdono”.4
Castel Maniace, Pianta, 1232 d.C., Sicilia, Siracusa
Castel Ursino, Pianta, 1239 d.C., Sicilia, Catania