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La quadratura del cerchio è stata per secoli un problema che la matematica e la geometria hanno tentato invano di ri- solvere, sino alla dimostrata impossibilità di realizzarla a causa della trascendenza del numero π, numero irrazionale non ri- ducibile a nessuna equazione algebrica, lasciando all’alchimia il compito di perseguirne la soluzione.

Le due forme geometriche diventano, nel loro inspiegabile rapporto, simboli trascendentali cui l’uomo affida il potere di racchiudere un segreto. “La figura originale del quadrato è in- tesa come generatrice della terra con i suoi quattro elementi, terra, aria, acqua, fuoco, le quattro stagioni e i quattro punti cardinali”. 15

Il numero quattro assume una straordinaria importanza nelle culture di tutte le latitudini: pitagorici, neoplatonici, cri- stiani, ebrei, persino le civiltà dell’oriente ripongono in que- sto numero il potere di racchiudere le dinamiche della madre terra. Il quadrato è quindi il primo elemento di un mandala che nel suo diagramma esprime, mediante la sequenza qua- drato-ottagono-cerchio, il percorso di salvezza che conduce dal caduco mondo terreno a quello eterno del cielo. 16

Il cerchio, come già visto, è nella sua perfezione il simbo- lo della dimensione infinita, rimando alla dimora della divini- tà, metafora del mondo ultraterreno. La figura geometrica di transizione ideale, che nella sua genesi trova la connessione con le altre due, è l’ottagono: due quadrati, ruotati di quaran- tacinque gradi, permettono di disegnare il poligono con otto lati, mentre la rotazione di infiniti quadrati genera il cerchio.

Così si spiega l’utilizzo dell’impianto ottagonale nella co- struzione dei battisteri cristiani, nella costruzione del tambu- ro che media l’intersezione quadrata di navata e transetto alla cupola della copertura, nel porre questa figura alla base degli edifici a pianta centrale del mondo orientale di cui la cupola della roccia a Gerusalemme sembra essere assieme alla cap- pella palatina ad Aquisgrana il principio della vicenda di Ca- stel del Monte.17 Un sapiente utilizzo della forma geometrica depositaria di un significato che trascende il mero solido ste- reometrico il quale, seppur sperimentato nella costruzione dei precedenti castelli di Siracusa, Catania, Lucera, solo ad Enna compie un passo decisivo verso una logica compositiva che non identifica con il modulo-cellula l’unità della costruzione, divenendo ad Andria teorema di una nuova sensibilità proget- tuale. Federico, quindi, non inventa né introduce alcunché di eccezionale. Tipologia centrale, forma ottagonale, stereome- tria assoluta sono elementi plausibili, ricorrenti nelle pratiche del costruire del suo tempo. Certamente non possiamo igno- rare i rimandi sottesi alla simbologia numerica e geometrica, ma dal punto di vista compositivo l’utilizzo di una ferrea lo- gica, anche considerata alla luce del suo programma edilizio quale disegno unitario nella rete dei castelli edificati lungo gli itinerari della sua corte, ci spinge a considerare una dimensio- ne concettuale del procedimento.

Il castello non è comprensibile da un unico punto di vista, lo spazio che definisce non può essere esperito univocamente nello stesso istante, eppure l’architettura sveva non nega la comprensione delle operazioni formali che lo definiscono, ne

è al contrario manifesta testimonianza. Partendo da una griglia di riferimento che permette anche di ipotizzare fasi disgiunte della costruzione,18 abbiamo cercato di ridisegnare il progetto a partire da quel piano zero di cui Federico si preoccupa in maniera maniacale. L’imperatore non solo sovrintende i la- vori del castello, ma nel chiedere di preparare il piano delle fondamenta su cui impostare le tracce delle mura che saran- no erette a partire dalla geometria disegnata sulla superficie del suolo, denuncia la sua conoscenza del progetto, forse la sua ideazione. La griglia, il quadrato, la sua diagonale sono gli elementi geometrici costitutivi che servono a definire il piano e le regole con le quali bisogna muoversi su di esso. Disposi- zione, quindi, ma anche rotazione delle tracce, moltiplicazione del processo, traslazione e intersezione delle torri rispetto alle mura perimetrali, sottrazione dei vuoti nelle masse sono le operazioni che guidano la composizione e allo stesso modo la costruzione.

Sono questi gli aspetti che ci interessano perché superano l’impianto classico fatto di elementi cellulari che vanno aggre- gandosi, oltrepassano la logica scultorea del levare per proiet- tare la disciplina nella dimensione concettuale.

Definisce una prassi in cui gli elementi costitutivi del tipo, muro, soglia, corte, stanza, apertura, sono posti in relazioni reciproche costruite attraverso le operazioni sopra enunciate.

Pur partendo da una evidente volontà simbolica, pur affi- dandosi alla geometria euclidea quale garanzia di controllo del risultato finale e, verrebbe da dire, quale presupposto culturale da cui necessariamente Federico muove i suoi passi, il risultato

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diagramma #1_soglia, diagramma #2_percorsi orari, diagramma #3_percorsi antiorari

è una sovrapposizione di operazioni che oggi fanno parte del nostro vocabolario contemporaneo. A differenza della prati- ca odierna che nella sfrenata corsa al minimalismo tout court

ha dimenticato la dimensione onirica del racconto, ha lasciato ad altri e ad altro il compito di strutturare una narrazione at- traverso la forma e all’interno della forma, Castel del Monte parla dell’uomo e non solo del concetto, del rapporto tra il vuoto e il corpo, tra la stanza e il rito, tra la forma e il simbolo.

L’intento è proprio quello di costruire un edificio in grado di essere letto dal punto di vista della sua genesi compositiva e al contempo assolvere al compito di essere punto di riferi- mento nel territorio. Obiettivo che è perseguito generando un luogo che contiene, in virtù dei suoi percorsi obbligati, uno spazio dinamico dove si celano simboli impliciti ed espliciti che continuano ancora oggi a suscitare fascino ed emozione.

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diagramma #4_percorsi; 1 uscita dalle torri, 2 orari, 3 antiorari