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Le categorie giuridiche degli internati dopo la riforma del 1975

La riforma del manicomio e la nascita dell'OPG

5. Gli effetti delle riforme sugli OPG

5.2. Le categorie giuridiche degli internati dopo la riforma del 1975

L'istituzione ospedale psichiatrico giudiziario manifestava chiaramente tutti i limiti di un'istituzione totale, patogena e de-socializzante. Le sue qualità a metà tra il manicomio e la prigione producevano gli effetti di un'istituzione che appariva peggiore delle due "cugine". Il divario tra l'assistenza psichiatrica per i soggetti che avessero commesso un reato e per i malati di mente comuni cresceva con la riforma del 1978, smascherando la funzione meramente custodiale dell'OPG e ponendo dubbi sulla legittimità di un intervento così differenziato tra malati di mente autori di reato e non.

Come abbiamo appena visto, a seguito dell'introduzione dell'ordinamento penitenziario, il trattamento rimaneva troppo simile a quello riservato ai detenuti, e nelle ipotesi in cui si riscontravano delle differenze consistenti, queste erano a sfavore dell'internato.

La difficoltà nell'attuare un trattamento realmente terapeutico era accentuata dalla presenza di

categorie disomogenee di internati, come abbiamo avuto modo di anticipare, in OPG non si trovavano solo i sottoposti a misure di sicurezza, ma anche altre categorie di soggetti. Vediamo quali erano le categorie giuridiche che si venivano a trovare negli OPG.

1.Sottoposti alla misura di sicurezza dell'internamento in manicomio giudiziario (art. 222 c.p.)

(302).

2.Imputati a procedimento sospeso (art. 88 c.p.p. del 1931). L'istituto della sospensione del

procedimento è un istituto che nasce a favore dell'imputato che affetto da una patologia psichiatrica, successiva alla commissione del crimine, non si mostri in grado di prendere parte attivamente al processo (303). Nei confronti di questo soggetto il procedimento era sospeso fino all'avvenuta guarigione, in questa fase poteva essere disposto il suo ricovero in un manicomio giudiziario (/OPG) al fine di assicurare le cure necessarie (304). Come anticipato, si trattava in teoria di un istituto a garanzia dell'imputato, finalizzato ad un effettivo esercizio del diritto di difesa (305).Soltanto teoricamente però, infatti, le istituzioni totali tendono a cronicizzare piuttosto che guarire e così, fino agli anni '70 non erano infrequenti i casi di soggetti che erano rimasti decenni in OPG con procedimento sospeso (306). Certo, l'art. 272 del c.p.p., come modificato nel 1955, prevedeva che i termini per la custodia cautelare fossero sospesi in esecuzione della perizia, non dunque in questa ipotesi (307). In teoria quindi, l'internamento dell'imputato con procedimento sospeso sarebbe potuto durare solo entro i termini previsti per la custodia preventiva (308). In questo senso, avallando l'interpretazione secondo cui il tempo trascorso in OPG in queste ipotesi poteva considerarsi tempo trascorso in custodia preventiva, e dunque allo scadere dei termini per questa previsti, l'imputato sarebbe dovuto essere liberato, si espresse nel 1970 la Corte di Cassazione (309). Nonostante ciò negli anni '70 si

riscontravano ancora casi di internati in OPG da oltre 20 anni con procedimento sospeso (310).

3.Condannati a pena sospesa (art. 148 c.p.). Si tratta di persone condannate, quindi ritenute

capaci di intendere e di volere al momento della commissione del fatto, alle quali sia stata riscontrata la sopravvenienza di una patologia psichiatrica, al cui accertamento abbia fatto seguito la sospensione della pena ed il ricovero in manicomio giudiziario (/OPG). La sospensione della pena produceva gravissimi conseguenze sulla posizione giuridica

dell'internato, infatti il tempo da questi trascorso in OPG non era computato nella pena espiata e poteva verificarsi la situazione di soggetti reclusi per anni in OPG anche qualora la pena

residua al momento della sospensione della pena fosse stata solo di pochi mesi. Questa situazione mutò nel 1975 quando la Corte Costituzionale (311) dichiarò l'illegittimità della norma nella parte in cui prevedeva, come conseguenza del ricovero in manicomio giudiziario del condannato affetto da infermità psichica, la sospensione della pena. La Corte Costituzionale ritenne infatti, che la disciplina prevista dall'art. 148 c.p. violasse il principio di uguaglianza, sottoponendo il condannato cui fosse sopravvenuta un'infermità di mente ad un trattamento

ingiustificatamente deteriore rispetto a quello riservato all'imputato il cui processo veniva sospeso per sopravvenuta infermità. In quest'ultima ipotesi infatti, i termini della custodia preventiva decorrevano anche nel periodo di permanenza in OPG e a seguito dell'eventuale condanna, il tempo ivi trascorso poteva essere computato a pena espiata. Diversamente, per il condannato a pena sospesa, il tempo trascorso nell'istituzione psichiatrico giudiziaria non era computato a pena espiata, con un trattamento perciò irragionevolmente deteriore per

quest'ultimo.

4.Sottoposto a misura di sicurezza provvisoria (art. 206 c.p.). Detenuti in attesa di giudizio nei confronti dei quali il giudice ritenga non improbabile la futura dichiarazione di incapacità. Si tratta di una sorta di anticipazione del giudizio di pericolosità sociale. L'art. 301 del c.p.p. del 1931 prevedeva che non fosse ammesso reclamo contro questo provvedimento, con grave nocumento del diritto di difesa dell'internato, che anche in questo caso appariva un soggetto che era dotato di una minore soggettività giuridica.

5.Detenuti periziandi. La perizia dell'imputato detenuto poteva avvenire in carcere o in

manicomio giudiziario (312). Spesso il manicomio giudiziario era prescelto per una serie di ragioni di carattere pratico. Quando la perizia infatti non era svolta direttamente da staff manicomiale, il manicomio giudiziario appariva attrezzato in modo migliore per consentire allo specialista di svolgere il suo compito (313). Non solo la normativa che prevedeva conseguenze differenziate a seconda che la perizia fosse svolta in carcere o in manicomio, con una

differenziazione inconcepibile e ingiustificabile dal momento che non era oggetto di scelta da parte del periziando il luogo in cui svolgerla. Si prevedeva infatti, che in caso di proscioglimento per infermità psichica il tempo trascorso in manicomio giudiziario per espletare la perizia fosse computato nella durata minima della misura di sicurezza, mentre se la perizia fosse stata eseguita in carcere un tale effetto non si sarebbe prodotto (314). Questa normativa è incomprensibile e produce effetti gravi sulla condizione del prosciolto che abbia espletato in carcere la perizia, è ingiustificata a maggior ragione dato che il luogo ove svolgere la perizia non dipende da una scelta dell'imputato. Inoltre questa assurda previsione poteva comportare una tendenza del giudice a preferire il ricovero in manicomio giudiziario per non penalizzare troppo l'internato. Questa normativa, contribuiva a favorire la scelta della destinazione dei periziandi in manicomio/ospedale psichiatrico giudiziario.

Con il regolamento penitenziario del 1976, si confermava l'assetto previgente, inserendo la categoria dei sottoposti a perizia tra coloro che potevano essere inviati in OPG (315).

6.Detenuti in custodia preventiva e i condannati inviati in stato di osservazione. Questa

categoria era regolata dall'art. 106 del regolamento carcerario del 1931, ove si stabiliva che il medico potesse disporre, per il detenuto che dava segni di alienazione, i provvedimenti opportuni per accertare se l'alienazione sussistesse. Questa norma aveva consentito che la categoria fosse altamente rappresentata nei manicomi giudiziari (316). Spesso si inviavano in osservazione non solo detenuti propriamente malati mentali ma semplicemente i detenuti difficili o come forma di punizione, quelli ribelli o indisciplinati (317). A volte potevano essere gli stessi detenuti ad attivare questo procedimento, non tanto perché in manicomio giudiziario ci fossero condizioni di vita migliori che in carcere, quanto perché a seguito dell'osservazione con la quale era stata attestata l'insussistenza della patologia psichiatrica era invalsa la prassi di inviare il detenuto in un carcere con un regime più umano (318).

Per molti anni gli internati in stato di osservazione hanno rappresentato una quota significativa degli ospiti dei manicomi/ospedali psichiatrici giudiziari. Nel 1976 è entrato in vigore il

regolamento penitenziario, ove all'art. 99 è stabilito che di norma l'osservazione psichiatrica debba essere espletata nel luogo dove il soggetto è detenuto o in altro istituto della medesima categoria. Soltanto per particolari motivi l'osservazione può essere svolta negli ospedali psichiatrici giudiziari o in quelli civili.

7.Misura di sicurezza trasformata (art. 212 c.p.). Soggetti sottoposti ad una misura di sicurezza

detentiva diversa dal ricovero in manicomio giudiziario affetti da una turba psichica. In questi casi la misura di sicurezza originariamente ordinata viene sospesa con una modalità di

sospensione sui generis, questo in quanto, nel momento in cui non vi saranno più le condizioni di infermità che hanno dato luogo al provvedimento di sospensione, vi sarà una nuova

valutazione di pericolosità sociale alla quale potranno seguire: l'applicazione di una misura detentiva, la revoca o l'applicazione della libertà vigilata (319).

8.Sottoposti alla misura di sicurezza dell'affidamento a casa di cura e custodia (art. 219 c.p.). Il regolamento penitenziario del 1931 prevedeva che i sottoposti a questa misura di sicurezza fossero inviati negli appositi istituti ma sappiamo che nella pratica le case di cura e custodia non sono mai esistite come autonome strutture, essendo sempre state sezioni di manicomi

giudiziari. Se il regolamento penitenziario del 1976 conferma l'impostazione precedente, stabilendo separatamente le categorie legali da destinare alle due tipologie di strutture, la condizione nella pratica non è affatto mutata.

9.Condannati divenuti minorati psichici (art. 148, 5º co c.p.). Si tratta di condannati che sono

stati ritenuti, nel corso della detenzione o in un periodo precedente all'inizio dell'espiazione della pena, ma successivo alla commissione del fatto, infermi di mente ma non ad un grado tale da sospendere l'esecuzione della pena, quindi sono inviati in manicomio giudiziario (/OPG) in espiazione della stessa (320).

10.Categoria residuale prevista dall'art. 258 c.p.p. del 1931. E' un'ipotesi peculiare in quanto si va ad aggiungere alle altre modalità di applicazione della misura di sicurezza per l'imputato ritenuto incapace di intendere al momento in cui commise il fatto, tanto da non rendere chiaro in che ipotesi dovesse essere applicata. Riporto per questo integralmente il testo dell'articolo, senza parafrasarne il contenuto così da rendere evidente quanto appena esplicitato.

Se l'imputato è persona che, nel momento in cui ha commesso il fatto si trovava in tale stato di infermità di mente da escludere la capacità di intendere e di volere, il giudice quando occorre ne dispone con decreto motivato il ricovero provvisorio in un manicomio, salvo quanto stabilito dall'art. 301.

Lo stesso soggetto sarebbe potuto essere ricoverato in manicomio giudiziario per espletare la perizia o in misura di sicurezza provvisoria, coprendo - ad avviso di chi scrive - le ipotesi di possibile ricorso al manicomio giudiziario prima della sentenza per il soggetto che si fosse ritenuto incapace al momento in cui commise il fatto. Occorre sottolineare che l'art. 258 non indicava come struttura in cui effettuare il ricovero provvisorio il manicomio giudiziario, ma più in generale un manicomio. Nonostante questo, dato il riferimento all'art. 301 che disciplina

l'applicazione provvisoria di una misura di sicurezza, poteva essere interpretato come riferito al manicomio giudiziario.

La presenza di alcune delle tipologie di soggetti appena illustrate, rendeva impossibile in concreto il perseguimento di finalità terapeutiche. Infatti, il manicomio giudiziario è un'istituzione che per la sua stessa natura e storia tende a vedere ampliato il suo aspetto custodiale fino a soverchiare e rendere impossibile ogni pretesa terapeutica, inoltre finisce per essere sovraccaricato di una serie di funzioni ulteriori ed avulse dalla sua principale aspirazione (321). Come ci mostrano infatti Margara ed Ornato nel loro saggio del 1976, le categorie giuridiche presenti comportano una serie di deformazioni della natura dell'istituzione (322). In particolare sono due gli aspetti critici. Il primo è rappresentato dall'alta percentuale di soggetti in situazioni «sospese»: i giudicabili a procedimento sospeso, i condannati a pena sospesa, i sottoposti ad una diversa misura di sicurezza trasferiti in manicomio giudiziario (323). Questi ricoverati tendono a "sostare" nell'OPG per lassi di tempo notevoli, tanto da rendere il

manicomio giudiziario piuttosto che un'istituzione funzionale al reinserimento sociale, alla rieducazione e alla terapia, una sorta di «cronicario» (324). Infatti, i soggetti che sono trasferiti dal carcere, avendo manifestato una patologia psichiatrica successiva all'inizio della detenzione, si saranno probabilmente ammalati all'interno dell'istituzione totale carcere, un'istituzione patogenetica (325). Difficilmente gli stessi soggetti sarebbero riusciti a trovare cure all'interno di un'altra istituzione chiusa quale l'OPG, con la conseguenza di rimanervi per lunghi anni (326). Una tale situazione causava una grave lesione della libertà individuale e dei diritti fondamentali di soggetti privati della libertà personale ben al di là della durata delle loro condanne o persino senza essere mai stati condannati (327). Alla situazione già drammatica di questi ospiti sospesi, si aggiungeva la negligenza, testimoniata da Margara ed Ornato, degli uffici dell'esecuzione penale nel controllo delle posizioni giuridiche dei soggetti internati ai sensi dell'art. 148 del c.p. Infatti, perché potesse esservi una sospensione, doveva esistere una pena eseguibile e di conseguenza alla stessa si sarebbero dovuti applicare gli eventuali istituti indulgenziali quali amnistie ed indulti (328). Nella pratica, come riporta Margara, questa applicazione si verificava di rado (329). La presenza per molti anni di tali ospiti nell'OPG, non produceva soltanto gravi lesioni ai diritti dei singoli, ma riverberava i suoi effetti sulla stessa istituzione. Infatti, la presenza di un gruppo numeroso di cronici in un'istituzione rigida come il manicomio giudiziario tende ad uniformare il metodo, il trattamento verso i livelli più bassi (330).

psichiatrica: questi infatti, come abbiamo avuto modo di anticipare erano spesso quei detenuti difficili, ribelli, indisciplinati, problematici di cui l'istituzione carceraria tendeva a liberarsi (331), lo strumento era utilizzato per finalità disciplinari e sovrautilizzato, così da sovraccaricare l'istituzione di una quota parte di soggetti non affetti da patologie psichiatriche (332). Le conseguenze sono quelle di un'istituzione dalla pretesa vocazione terapeutica dove sono presenti un discreto numero di soggetti sani che sono inviati dalle carceri e che quindi tende a torcersi verso modalità più simili a quelle carcerarie (333). Abbiamo a riguardo accennato alla disciplina prevista dal Regolamento degli istituti di prevenzione e pena del 1931 che si trovava applicata in modo illegale, in quanto l'art. 106 stabiliva che il medico sottoponesse ad osservazione il detenuto che dava segni di alienazione, che ne informasse la Direzione, la quale doveva provvedere a informarne l'autorità giudiziaria competente per i

provvedimenti del caso (sospensione della pena, sospensione del procedimento). Non si prevedeva la possibilità dell'amministrazione di inviare il detenuto in osservazione in manicomio giudiziario (334). Su questa disciplina, che nonostante la mancata previsione del trasferimento per osservazione aveva consentito che si sviluppasse una prassi di ricorso massiccio, intervenne il Regolamento penitenziario del 1976 (335). Ivi, all'art. 99 si stabiliva che di norma l'osservazione fosse fatta nell'istituto penitenziario dove si trovava il detenuto e con lo stesso spirito, la medesima legge imponeva la presenza in ogni istituto di pena di almeno un esperto in psichiatria (336).

Come abbiamo visto la presenza di una molteplicità di categorie giuridiche ha caratterizzato il manicomio giudiziario fin dalla sua istituzione, i suoi teorizzatori avevano pensato che vi dovessero trovare ospitalità i prosciolti folli, i condannati con infermità sopravvenuta ed i giudicabili infermi di mente. La qualificazione delle categorie, come immaginata dal Codice Rocco produce degli effetti sulla struttura, sul funzionamento e sulla funzione stessa dei manicomi/ospedali psichiatrici giudiziari.