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Il manicomio giudiziario negli anni '70

La riforma del manicomio e la nascita dell'OPG

4. Il manicomio giudiziario negli anni '70

Negli anni in cui il movimento anti-psichiatrico attaccava alla radice l'istituzione manicomiale civile e gradualmente si giungeva ad una riforma radicale della Legge Giolitti, anche l'omologo giudiziario iniziava ad essere oggetto di critiche e ripensamenti. Gli anni '70 erano anche gli anni in cui si introduceva, con la legge n. 354 del 1975, l'ordinamento penitenziario e con questo l'idea di un trattamento finalizzato alla rieducazione del detenuto e consistente in atti che siano conformi ad umanità e rispettosi della dignità della persona (208). Gli anni in cui l'ordinamento penitenziario era in discussione nelle due Camere (209) coincidono con quelli di un rinnovato interesse dell'opinione pubblica per l'istituzione del manicomio criminale, gli anni dei grandi scandali che la colpirono (210). Negli stessi anni del resto, una sentenza della Corte Costituzionale, la n. 110 del 1974, interveniva introducendo il potere di revoca anticipata.

4.1. I grandi scandali: Antonietta Bernardini ed il caso Trivini

I manicomi giudiziari fino ai primi anni '70 erano stati avvolti da un lungo silenzio, sia del legislatore che della collettività; solo alcuni specialisti, giuristi e magistrati, si erano occupati della realtà del manicomio giudiziario che la gran parte dell'opinione pubblica continuava ad ignorare (211). Nei primissimi giorni del 1975 la situazione mutò a seguito dello scandalo relativo alla morte della Signora Antonietta Bernardini (212). Sui giornali apparve la notizia della morte, di una quarantenne, Antonietta Bernardini, deceduta dopo quattro giorni di agonia il 31 Dicembre del 1974 (213). La donna era stata arrestata alla Stazione di Roma Termini, dove a seguito di un diverbio per questioni relative al posto tenuto nella fila di uno sportello, aveva risposto con uno schiaffo all'intervento di un agente in borghese (214). Da Rebibbia, dove era stata inizialmente reclusa in attesa di giudizio, era stata spostata all'OPG di Pozzuoli. Proprio a Pozzuoli, nei giorni a cavallo del Natale del 1974 la donna era stata legata ad un letto di contenzione per giorni, finché il letto aveva preso fuoco, non lasciandole alcuna speranza (215). La questione aveva sconvolto l'Italia, numerosi giornali avevano riportato l'evento, ma il dibattito non si era fermato all'indignazione per un fatto di cronaca, molti quotidiani e riviste avevano dedicato articoli alla necessità di profonda riforma dell'istituzione. I toni erano diversi, alcuni auspicavano fossero adottate maggiori cautele, altri mettevano in discussione la stessa esistenza di queste istituzioni (216). Lo scandalo Bernardini non fu il solo che in quegli anni coinvolse l'istituzione oggetto della nostra analisi, anche se fu sicuramente il caso che riscosse la maggiore risonanza mediatica. Nell'anno 1974,

prima del decesso di Antonietta Bernardini, Trivini, ex-internato, aveva denunciato le pessime

condizioni in cui aveva vissuto nel corso del suo internamento ad Aversa (217): le condizioni igieniche precarie, l'invalso utilizzo della contenzione come pratica quotidiana con funzione punitiva, le

umiliazioni subite da lui e dagli altri pazienti da parte del personale, dal rivolgersi agli internati

chiamandoli con il numero di matricola, agli spostamenti da un luogo ad un altro effettuati ricorrendo ad un bastone come per un branco di animali. Alla denuncia di Trivini, si aggiunsero, con effetto domino, quelle provenienti da altri ex-internati ed ebbe inizio la vicenda giudiziaria che si concluse con la condanna di alcune persone, tra cui il direttore dell'OPG che, a seguito di questo avvenimento, si tolse la vita. Sempre nell'anno 1974 gli scandali iniziarono a toccare anche il manicomio giudiziario di Sant'Efremo (Napoli). La questione del manicomio di Napoli assumeva delle caratteristiche assai diverse dalle precedenti, infatti la vicenda era scaturita da una serie di lettere anonime giunte alla Procura per denunciare episodi di favoritismo del personale dell'OPG nei confronti di alcuni internati che provenivano da famiglie che facevano parte della criminalità organizzata campana (218).

Il primo effetto diretto di questa serie di scandali fu la chiusura dell'OPG di Pozzuoli, dove era deceduta Antonietta Bernardini (219). Ma in quell'anno era in fase di discussione l'ordinamento penitenziario (220) ed in quello stesso anno della questione dei manicomi giudiziari era stato attenzionato anche il Governo attraverso una serie di interrogazioni parlamentari che, prendendo spunto dalla tragica morte della donna, chiedevano che si aprisse una nuova riflessione su questa istituzione (221).

A partire dagli scandali che colpirono l'istituzione del manicomio giudiziario a cavallo tra il 1974 e il 1975, i riflettori si accesero sulla questione del manicomio giudiziario. La tragedia di Pozzuoli colpì, non solo per gli aspetti umani del grave evento, ma anche perché mise a nudo alcuni aspetti inquietanti dell'istituzione, mostrò ad esempio, che era possibile finire in manicomio giudiziario ben prima di una condanna definitiva, che era possibile rimanervi per un anno pur avendo commesso un fatto di una lievissima entità (222), che era possibile essere sottoposti a contenzione per ben quattro giorni. Ma l'attenzione non fu solo quella dell'opinione pubblica, ebbe inizio una presa di posizione da parte di esponenti delle istituzioni. Nella seduta della Camera dei Deputati del 29 Ottobre 1975 un gruppo di onorevoli (223) sottoposero una serie di interrogazioni al Ministro della Giustizia sul caso in questione. Le interrogazioni erano volte non solo ad ottenere chiarimenti circa le responsabilità per la morte della donna (responsabilità del Direttore, del personale che doveva svolgere la vigilanza nel corso della contenzione, del medico che aveva autorizzato la procedura) e sulla legittimità di un internamento che si era protratto ben oltre i termini per la custodia preventiva (224), ma anche se non fosse necessario rivedere la misura di sicurezza del ricovero in manicomio giudiziario (225). Il Sottosegretario di Stato di Grazia e Giustizia Dell'Andro rispondeva che occorreva proseguire ad una politica di abolizione dei manicomi giudiziari, destinando gli infermi di mente autori di reato agli ospedali psichiatrici civili (226). Di simile avviso anche il sottosegretario alla salute Franco Foschi il quale, all'indomani della vicenda della Bernardini si esprimeva per la necessità di abolire i manicomi giudiziari (227). Nonostante l'espressione dell'intenzione da parte di vari esponenti del Governo di procedere al superamento degli OPG, non vi fu alcuna sostanziale modifica dell'assetto previgente.

4.2. La revoca anticipata: la sentenza n. 110 del 1974 della Corte Costituzionale

Prima di analizzare la riforma del manicomio giudiziario introdotta con l'ordinamento penitenziario è necessario dar conto di un'importante sentenza della Corte Costituzionale che andava a modificare la disciplina relativa alla facoltà di revocare anticipatamente la misura di sicurezza.

La misura di sicurezza, come sappiamo, ha una durata minima (228). Originariamente il codice prevedeva il potere di revoca anticipata soltanto in capo al Ministro di Grazia e Giustizia. Dunque la revoca era da ritenersi un istituto di natura assolutamente eccezionale. Su questa disciplina intervenne la Corte Costituzionale con la sentenza n. 110 del 1974 (229). Il giudizio era stato provocato da

un'ordinanza del gennaio del 1972 del giudice di sorveglianza di Pisa (230) che aveva sollevato questione di legittimità costituzionale sulle seguenti disposizioni:

a.quelle relative alla disciplina del procedimento con il quale il magistrato di sorveglianza applica la misura di sicurezza (artt. 635, primo comma; 636, primo, secondo e quinto comma; 637; 638, primo, secondo e quarto comma; 639; 642; 643; 645; 646; 647 c.p.p.), in quanto avrebbero violato gli artt. 24 e 3 della Costituzione per aver previsto garanzie processali minori rispetto a quelle del procedimento penale ordinario. Ciò avrebbe prodotto una disparità tra coloro ai quali la misura di sicurezza fosse stata applicata contestualmente al procedimento

penale e coloro ai quali fosse stata applicata in fase successiva.

b.quelle che disciplinano la misura di sicurezza dell'assegnazione ad una colonia agricola oppure ad una casa lavoro (artt. 215, secondo comma, n. 1, ed ultimo comma, 216; 217; 218; 223, secondo comma; 226, primo comma, secondo periodo; 231 del codice penale)

contrastanti, secondo i remittenti, con gli artt. 2, 3, 13, 24, secondo comma, 111, 27, terzo comma, e 25 della Costituzione, in quanto la colonia agricola e la casa lavoro sarebbero eseguite con le stesse modalità della pena.

c.quella relativa alla decorrenza del periodo minimo di durata della misura di sicurezza detentiva, diversa dal ricovero in manicomio giudiziario, dal giorno in cui, a seguito della sottrazione volontaria dall'esecuzione, questa riprende (art. 214 c.p.), in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 24, secondo comma, 25, terzo comma, e 111 della Costituzione. Il contrasto sarebbe derivato dal fatto che l'automatismo con cui era allungata la durata della misura non sarebbe coerente con il fine rieducativo.

d.quella che attribuisce il potere di revocare anticipatamente la misura di sicurezza al solo Ministro di Grazia e Giustizia (art. 207) contrastante sia con gli articoli 2, 3, 24, secondo comma, 25, terzo comma e 111 della Costituzione sia con gli artt. 102 e 110. Difatti da un lato il potere attribuito al Ministro andrebbe oltre a quelli che la Costituzione gli riconosce (art. 110). Inoltre tale potere si potrebbe configurare come funzione giudiziaria, in contrasto con l'art. 102 che vieta l'istruzione di giudici straordinari e speciali.

La Corte dichiarava infondate tutte le questioni con eccezione di quella relativa alla facoltà di revoca prevista in capo al solo Ministro.

La prima questione infatti era stata già oggetto di precedenti pronunce della Corte (sentenza n. 53 del 1968) ove erano stati dichiarati parzialmente illegittimi gli articoli 636 e 637 c.p.p. ed era stato altresì stabilito che, in attesa di modifiche legislative in materia, si estendessero a questo tipo di procedimento le norme previste per la difesa dell'istruttoria sommaria (231). Quindi gli articoli citati sarebbero stati da interpretare alla luce delle precedenti pronunce non manifestando contrasto con gli articoli 3 e 24 della Costituzione (232).

La Corte riteneva altresì infondate le questioni relative alle misure di sicurezza dell'assegnazione ad una casa di lavoro e ad una colonia agricola, difatti affermava di non potersi esprimere sulla condizione in cui di fatto erano eseguite le suddette misure, sostenendo che niente in via normativa facesse propendere per un'equivalenza tra le misure e le pene (233).

Per la questione relativa alla decorrenza, in modo automatico, dei termini di durata minima della misura di sicurezza, dal momento in cui riprende l'esecuzione a seguito di una sottrazione volontaria, la Corte ritenne infondata la questione in quanto la norma sarebbe stata da intendersi nel senso di una

presunzione di persistente pericolosità sociale, connessa al comportamento del soggetto che si era sottratto all'esecuzione della misura che appariva alla Corte pienamente ragionevole e rispondente al principio dell'id quod plerumque accidit(234).

La Corte accoglieva invece le censure mosse circa il potere attribuito al Ministro di Grazia e Giustizia di revocare anticipatamente la misura di sicurezza. Infatti ritenne che la norma contrastasse con una serie di articoli della Carta costituzionale:

L'art. 13 in quanto il potere di far cessare una misura limitativa della libertà personale è attribuito dall'art. 207 esclusivamente ad un organo non giurisdizionale.

L'art. 102 in quanto con il potere di revoca il Ministro va ad interferire con lo svolgimento di funzioni giurisdizionali senza poter far rientrare questa interferenza tra i poteri affidati al Ministro di Grazia e Giustizia dall'art. 110 (235).

La Corte dunque si espresse a favore dell'illegittimità del potere di revoca anticipato attribuito in via esclusiva al Ministro di Grazia e Giustizia. Ma l'illegittimità dell'art. 207 si estese anche alla mancata previsione di un potere di revoca anticipato in capo al Magistrato di Sorveglianza. Dunque si riconobbe il potere di revoca al Giudice di Sorveglianza (236), revoca che può intervenire anche prima della decorrenza del termine minimo di durata della misura.

4.2.1. L'interpretazione del nuovo potere di revoca: il potere di modifica

A partire dal 1974, il giudice di sorveglianza si vide riconosciuto il potere di revocare anticipatamente la misura di sicurezza nelle ipotesi in cui fosse venuta meno la pericolosità sociale. Da questo potere alcuni magistrati fecero derivare quello di sostituire, prima del termine minimo di durata la misura di

sicurezza del ricovero in OPG con quella non detentiva della libertà vigilata. Infatti l'art. 635 del c.p.p. del 1931 stabiliva che competessero al Magistrato di Sorveglianza l'applicazione, la modifica, la

sostituzione e la revoca delle misure di sicurezza. Da questa disposizione, attraverso un interpretazione analogica in bonam partem fu fatto derivare il potere, in sede di riesame della pericolosità sociale ai sensi dell'art. 208 del c.p., di sostituire la misura di sicurezza detentiva del ricovero in OPG con altra non detentiva, la libertà vigilata (237).

Questo potere "sostitutivo" si ritenne potesse operare non solo in fase di riesame della pericolosità sociale allo scadere della durata minima della misura di sicurezza, ma anche nell'ipotesi di revoca anticipata della stessa (238).

4.3. L'introduzione dell'ordinamento penitenziario: dal manicomio giudiziario all'OPG

Nel 1975, sotto l'influsso del dibattito scaturito a seguito degli scandali, fu approvato l'ordinamento penitenziario. Cosa mutava nell'ordinamento penitenziario per quanto riguarda i manicomi giudiziari? Innanzitutto il nome, è con la legge n. 354 del 1975 che queste istituzioni abbandonano il nome di "manicomi" per acquisire quello di "ospedali psichiatrici" (239). Questo mutamento nominale ha senz'altro assunto dal punto di vista simbolico il senso di indirizzare l'istituzione in una dimensione più spiccatamente terapeutica. Sono infatti gli anni degli scandali, ma anche gli anni della protesta

antipsichiatrica e l'opinione pubblica sembra aver acquistato un certo interesse verso la tematica dei malati di mente e delle istituzioni che se ne occupano ed eliminare il nome di quell'istituto che per oltre un secolo aveva rappresentato un'istituzione tutta protesa alla custodia e all'esclusione, apparve simbolicamente il segno di una svolta. Occorre capire se a parte il cambiamento di denominazione, l'ordinamento penitenziario abbia rappresentato un'apertura sanitaria dell'istituzione, oppure come sostiene Margara, si sia trattato della «violazione di una regola morale» (240), quella che imporrebbe che i nomi di una qualunque cosa venissero mutati solo quando è cambiata anche la realtà alla quale quei nomi si riferiscono.