• Non ci sono risultati.

Verso il cambiamento

La riforma del manicomio e la nascita dell'OPG

2. Verso il cambiamento

Prima di iniziare a ricostruire la storia del movimento antipsichiatrico (36) italiano e delle riforme

legislative in tema di salute mentale, in particolare della legge n. 180 del 1978, ci sembra opportuno fare il punto su alcune teorie sociologiche che si svilupparono nel corso degli anni'60 e che ebbero una notevole influenza sul pensiero di Basaglia (37) e del movimento cosiddetto antipsichiatrico. In

particolare ci soffermeremo sulla celebre opera del sociologo canadese Erving Goffman, Asylums

(38) e sulle teorie foucaultiane.

2.1. La critica alle istituzioni totali: la teoria di Goffman

Per constestualizzare il lavoro di Goffman, inventore del termine istituzioni totali (39), partiamo con una

breve analisi delle teorie dell'etichettamento, sviluppate da un gruppo di studiosi statunitensi a partire dalla metà degli anni '50 del XX secolo, in opposizione agli studi sulla devianza di stampo

deterministico (40). I labelling theorists svilupparono la loro teoria a partire dalla messa in discussione dell'idea, dominante negli studi sulla devianza, che il comportamento deviante - sia questo criminale o folle - fosse ontologicamente diverso da quello "normale" (41). Per questi studiosi piuttosto, un

comportamento è deviante quando è definito tale, per dirla con le parole di Becker: «i gruppi sociali creano la devianza istituendo norme la cui infrazione costituisce la devianza stessa, applicando quelle norme a determinate persone e attribuendo loro l'etichetta di outsiders» (42). A partire da questa considerazione, studiosi come Becker, si ripropongono la tradizionale domanda sulle cause eziologiche della devianza, ma partendo da un diverso presupposto. A rendere un soggetto deviante contribuiscono una pluralità di fattori, i quali non possono essere esaminati in una visione sincronica, bensì devono essere presi in considerazione ciascuno in relazione alla specifica fase che il soggetto sta

intraprendendo nella sua carriera deviante (43). Tra questi fattori molti sono contingenze, fattori casuali (44). L'analisi si muove da un lato sugli elementi che influenzano la carriera del soggetto deviante, dall'altro sull'analisi dei meccanismi di controllo, fondamentali nel processo di etichettamento (45). Nella prospettiva dell'interazionismo simbolico, entro cui si muovono i Neo-chicagoans (46), la storia

dell'individuo assume una posizione di centralità. Il soggetto è studiato nelle interazioni con gli altri che consentono di attribuire un determinato significato ad azioni e comportamenti, sia propri che altrui (47). In questa chiave si concepisce l'etichettamento, come processo di attribuzione di un determinato significato alle azioni di una persona che si riflette sull'estensione della medesima qualità al soggetto che l'ha compiuta (48). Il processo di etichettamento della persona finisce per costituire una «profezia che si autodetermina» (49) in quanto il deviante, a seguito dell'etichettamento, perderà lo status che aveva in precedenza nel suo gruppo sociale, per acquisirne uno nuovo che non gli consentirà facilmente di intraprendere una vita diversa. Si tratta appunto di quella definita da Lemert come devianza secondaria (50). Lemert, infatti, distingue tra la devianza primaria, violazione delle norme cui fa seguito una prima risposta di carattere sanzionatorio, da quella secondaria, ovvero il comportamento non conforme che consegue all'etichettamento primario (51). Nella prospettiva interazionista, Lemert si dedica allo studio di come le reazioni sociali al comportamento deviante contribuiscano a stabilizzare un fenomeno che sarebbe potuto essere occasionale (52). A partire da queste teorie si sviluppa un ampio filone di studi etnografici su carcere e manicomi che analizzano gli effetti

diistituzionalizzazione provocati dalle istituzioni sociali deputate al controllo. Sono analizzati i fenomeni di stigmatizzazione e gli effetti delle prigioni e dei manicomi sulla vita dei soggetti internati ed è svelato il fallimento della funzione che queste istituzioni formalmente sono chiamate a svolgere (53).

In questo contesto possiamo introdurre i saggi di Erving Goffman sui manicomi, contenuti nella celebre opera Asylums. Goffman innanzitutto definisce cosa intenda con istituzione totale. Primariamente le istituzioni, in generale, sono luoghi ove si svolge una certa attività in modo regolare (54). Esistono un ampio spettro di istituzioni, ve ne sono alcune dove possono accedere tutti, altre che sono più

esclusive; in alcune si svolgono attività ricreative, in altre attività di lavoro; alcune incidono sullo status delle persone che vi fanno parte, altre no (55). Un'istituzione totale è essenzialmente un luogo dove risiedono e vivono dei gruppi di persone che vi trascorrono un certo lasso di tempo, in comune, in un «regime chiuso e formalmente amministrato» (56). Carattere essenziale di queste istituzioni è che le varie attività che nella società moderna si svolgono in luoghi diversi - lavorare, divertirsi e dormire - in queste sono svolte negli stessi luoghi, sotto il controllo della medesima autorità (57). In queste istituzioni una serie di bisogni di una massa di persone si trovano ad essere filtrati dalla stessa

organizzazione burocratica (58). L'organizzazione interna del manicomio mostra una netta frattura tra il personale dello staff e gli internati (59). Attraverso la rigida organizzazione gerarchica, la separazione tra staff e internati, la gestione di ogni fase della vita e di ogni bisogno da parte dell'apparato

istituzionale, l'incompatibilità e dunque l'assenza delle strutture sociali del lavoro e della famiglia, il manicomio - e ogni altra istituzione totale - è chiamato a svolgere una specifica funzione: la modifica forzata della persona reclusa (60). Chiarito il significato ed i tratti essenziali dell'istituzione totale, lo studio di Goffman procede mostrandoci come tutte le istituzioni totali presentino un fine dichiarato che sistematicamente disattendono (61). Per quanto riguarda i manicomi questo fine sarebbe rappresentato dalla cura della malattia mentale (62). Goffman ci descrive la vita all'interno del manicomio, prima

analizzando ciò che concerne il mondo del malato, successivamente quello dello staff. Partendo dal primo, osserva come l'organizzazione istituzionale metta in opera nei confronti dell'internato una serie di tecniche volte a produrre una modificazione del sé. In una prima fase l'internato è separato dal proprio mondo familiare e spogliato dei ruoli che ricopriva all'esterno (63). Affianco alla spoliazione e all'allontanamento da ciò che era la sua vita all'esterno, l'internato subisce una serie di mortificazioni e perdite: dall'utilizzo da parte dello staff di un gergo dispregiativo, alla contaminazione di oggetti e corpi, alla perdita di quei beni che nella società esterna sono considerati simboli della stessa identità

personale, come i vestiti, il trucco o altri oggetti personali (64). Le pratiche di mortificazione del sé si sostanziano anche nella repressione di qualsiasi forma di ribellione, anche di quella quantità che nel mondo esterno è normalmente concessa come reazione ai soprusi (65). I processi di degradazione si caratterizzano in quanto vanno a colpire quelle azioni che normalmente testimoniano la capacità di un individuo di agire come una persona sana ed adulta (66). L'internato inoltre riceve istruzioni sul «sistema di privilegi» e di punizioni che vige all'interno della struttura (67). Di fronte alle pressioni istituzionali alcuni internati mettono in campo tecniche di adattamento secondario, tecniche che consentono di preservare a sé stessi la convinzione di mantenere una certa soglia di autonomia (68). Questi processi spesso conducono ad una "disculturazione", ovvero alla perdita dei riferimenti su quelle abitudini ritenute essenziali nella vita libera (69). Fin dall'inizio l'internato è oggetto di una

stigmatizzazione, lo staff lo percepisce nella misura di alcuni schemi interpretativi (70). Egli è qualificato attraverso il modello del malato, anche perché se non fosse malato la sua presenza sarebbe

completamente ingiustificata (71). In un'ottica interazionista le visioni che gli altri hanno di una persona incidono sul suo stesso sé e le spoliazioni e le mortificazioni possono condurre l'alienato ad uno stato di totale "assuefazione" al mondo istituzionale. Per quanto concerne lo staff questo è chiamato a svolgere un lavoro che riguarda persone ma che sono gestite come se si trattasse di materiali (72). Da ciò deriva che trattandosi di materiale umano, l'istituzione debba sopperire ad alcuni bisogni dei suoi ospiti (73). L'istituzione dovrà, nel far ciò, garantire un livello di vita umano, anche limitando, nel presunto interesse del paziente, altre sue necessità. In questa ottica sono concepiti interventi come l'alimentazione forzata di un paziente che rifiuti il cibo o la sorveglianza continua di uno a rischio suicidiario (74).

Ma come arriva il soggetto ad essere internato? Qual è la ragione del suo internamento,

semplicemente la malattia? Goffman riprende, per illustrare le tappe della vita di questo soggetto, il concetto utilizzato da Becker per la delinquenza o la violazione di alcune norme socialmente condivise, della carriera morale (75). Una serie di contingenze e le attività di alcuni agenti influiscono sulla carriera "predegente" del soggetto fino a condurre all'esito dell'internamento (76). Nel corso dell'internamento il modello di carriera continua a poter essere applicato, esistono un sistema di sanzioni e una gerarchia di reparti, da quelli più liberi a quelli per i cronici (77). L'internato potrà adattarsi alla nuova visione del sé, potrà confidare nella funzione dell'istituzione, potrà mettere in campo una serie di adattamenti secondari che gli consentiranno di utilizzare per i propri interessi le strutture pensate per un'altra finalità.

L'Autore infine si sofferma sul modello medico e il rapporto tra modello medico e psichiatria. La psichiatria non sembra infatti rispondere a questo modello. Il medico è un soggetto che svolge una prestazione di riparazione, la quale presuppone un rapporto di fiducia tra il tecnico che provvede ad effettuarla ed il cliente. Il modello medico presenta delle peculiarità rispetto al modello di servizi di riparazione standard (78). Ad esempio a differenza dei servizi di riparazione di cose, non tutte le parti del corpo possono essere riparate (79). Inoltre nella prestazione medica si potranno verificare delle situazioni in cui il medico agisce contro il consenso del cliente (80). Alla psichiatria istituzionale può applicarsi il modello medico? L'applicazione di questo modello comporta, nel caso della psichiatria istituzionale, alcune problematiche (81). Primo problema consiste nel fatto che una parte del mandato psichiatrico è di carattere di difesa sociale dal pericolo e da comportamenti fastidiosi che può esprimere il malato di mente (82). Inoltre la malattia mentale non è una malattia che viene curata e poi

dimenticata, l'ex internato è stigmatizzato (83). La vita di reparto poi, appare rispondere ad un modello diverso dalla tutela della salute del paziente, infatti se la diagnosi può apparire medica molto spesso non può dirsi altrettanto del trattamento che - come visto - risponde a quel conflitto tra gli interessi del paziente e quell'interesse a mantenere uno stile di vita umano perseguito dall'istituzione. In definitiva «lo staff psichiatrico divide con i poliziotti lo strano compito professionale di educare e moralizzare gli adulti» (84). Dunque il medico psichiatra all'interno dell'asilo tende a sottoporre il paziente a pratiche disciplinari travestite da interventi medici ad interventi presentati come individuali ma che assumono piuttosto una funzione per l'istituzione (85).

Le istituzioni totali, dunque, il manicomio in particolare, si presentano come istituzioni chiuse, ove vige una disciplina ed è presente un'organizzazione burocratica, ove il soggetto che vi entra è sottoposto ad

una serie di trattamenti atti a modificarne il sé. Istituzioni che si presentano come giustificate da una certa finalità, la cura per l'ospedale psichiatrico, che è posta a giustificazione di tutti i trattamenti perpetrati. Istituzioni dove lo staff etichetta il soggetto in funzione della ragione per cui vi è recluso, in pratica dove: «Si deve scovare un crimine che si adatti alla punizione e ricostruire la natura

dell'internato per adattarla al crimine» (86).

2.2. La critica foucaultiana alle istituzioni manicomiali

Oltre agli studi dei sociologi americani sulla devianza secondaria e le istituzioni totali sembra imprescindibile riferirsi all'opera del filosofo francese Michel Foucault. Foucault si dedica allo studio della follia, della psichiatria e dell'internamento psichiatrico in una pluralità di opere (87). In una chiave di lettura «etnologica» (88) della cultura e della storia delle idee, il suo interesse si muove nei confronti dei settori dell'esclusione: la follia, la delinquenza, la malattia e la perversione. Foucault nella sua opera Storia della follia nell'età classica si pone l'obiettivo di ricostruire l'esperienza della follia nel periodo classico - nella storia francese quello che va dalla fine della Renaissance alla Rivoluzione francese - evitando un'interpretazione della storia in chiave di una progressione verso una crescente razionalità (89). Ricostruire la storia della follia significa non applicare un concetto costituito ad un fenomeno storicamente avvenuto, bensì cercare di cogliere come "la follia" sia stata una specifica esperienza in un determinato periodo storico (90) e attraverso l'indagine sulla follia come assenza di ragione capire come la ragione stessa si sia costituita in rapporto con il suo negativo.

La ricostruzione foucaultiana dispiega il percorso attraverso il quale nell'età classica la follia entra in rapporto con la ragione e diviene la sua forma negativa, la sragione (91). La follia, nel Medioevo era un concetto multiforme dominato dall'elemento tragico che incarnava il viaggio dell'uomo verso l'ignoto e la morte. In quella fase i folli vagabondavano, estromessi dai villaggi, nel pellegrinaggio costante

rappresentato dall'immagine della stultifera navis (92). Nel corso del Rinascimento si verifica una crescita della critica della follia (93). Nel momento in cui la follia cessa di essere il simbolo della morte, ai confini del mondo, cessa anche la navigazione dei folli e la follia non esiliata ai margini della società in un costante vagabondaggio, viene accolta nell'Ospedale dei folli (94). Nel XVII secolo la possibilità di una follia ragionante e di una ragione folle sono negate (95). Il XVII secolo è anche il secolo del

"Grande internamento", con il passaggio dei compiti di assistenza dalla competenza della Chiesa a quella dello Stato (96), la perdita di quello statuto mistico delle figure del povero, dell'infelice, del misero (97), si realizza un mutamento che è una forma di «laicizzazione della carità, indubbiamente; ma, oscuramente, anche punizione morale della miseria» (98). Il Grande internamento, analizzato da Foucault nella prospettiva dell'istituzione di ospedali in Francia, Workhouses in Inghilterra

e Zuchthäusern in Germania ed istituzioni simili in Spagna, Italia e Olanda, è connesso alle condizioni economiche, è uno strumento di ordine pubblico che svolge la duplice funzione di riassorbire la disoccupazione e controllare le tariffe (99). In questa fase la follia conosce uno stretto legame con la morale ed è «sentita attraverso una condanna morale dell'ozio» (100). Le istituzioni ove il Grande internamento è praticato sono istituzioni amministrative, dove è condannata la morale del soggetto recluso e proprio in questo momento si sviluppa l'idea della moralità come questione di Stato (101). Ma nella fase del Grande internamento del XVII secolo i folli condividono questa condizione con una serie di altre figure: il povero, il libertino, l'ateo, l'empio (102). Nelle istituzioni dell'età classica, popolate dalle figure più variegate, la cura e la punizione morale si fondono, si intersecano, così come convivono la follia ed il peccato (103). Con gli strumenti coercitivi e repressivi si instaura un intreccio tra medicina e morale (104). Nel corso del XVII secolo inoltre la sragione, attraverso una separazione dal mondo della ragione, una cesura, inizia ad essere suscettibile di percezione, percezione come fenomeno sociale, dunque possibilità di essere oggetto di conoscenza (105).

Nel contesto appena analizzato, ancora il medico non ha un ruolo fondamentale: le case di

internamento somigliano molto a prigioni, la perizia medica non è ancora un requisito per entrarvi, gli internati sono mescolati senza alcuna divisione e sottoposti ad un trattamento di carattere correzionario (106). Del resto l'internamento svolge ancora funzioni preminenti di garanzia dell'ordine pubblico. Ma questo non deve condurre alla facile conclusione che la follia come patologia sia qualcosa che è sempre esistito ma fino ad un certo momento non è stato scoperto (107). Gli ospedali per insensati o sezioni speciali ad essi riservate, esistevano già dal XV secolo. Questo dato non deve essere interpretato come il segno di alcuni precoci scoperte della patologia psichiatrica (108). In realtà, Foucault ritiene, che coesistano nel corso dell'età classica due diversi statuti, due diversi modi di trattare la follia, quello dell'ospedale e quello della casa di correzione, ma diversamente da quanto si potrebbe ad una prima lettura pensare, quello dell'ospedale rappresenta soltanto il residuato di uno

stato di cose ormai superato (109). Dal punto di vista delle condizioni che giustificavano l'internamento, per molto tempo non era stato richiesto a riguardo l'intervento di un sapere medico (110). Mentre nel diritto canonico di matrice romana, la capacità soggettiva era rimessa ad una valutazione di carattere medico (111) ed i giudizi sullo stato di alienazione del soggetto erano prodotti dal medico che doveva valutare non solo lo stato di alienazione ma anche la capacità che era stata colpita (112), l'internamento era conseguenza di un processo amministrativo che talvolta, qualora si trattasse di un soggetto che aveva commesso un delitto, poteva essere rimesso a decisione giudiziale, ma assai di rado seguiva ad un accertamento medico (113). Ciò che rilevava ai fini dell'internamento «non era tanto una

conoscenza medica quanto una coscienza suscettibile di scandalo» (114). Nel corso del XVII secolo non vi era stata una tendenza a medicalizzare il procedimento, quanto piuttosto a socializzarlo (115). Il mondo dell'alienazione, dell'elaborazione della forma di alienazione relativa al concetto di soggetto di diritto e quello della sragione dell'uomo sociale che si manifestava nelle forme dell'internamento rappresentarono per tutta l'età classica forme separate ed eccentriche, l'una collegata all'idea di capacità ed incapacità, l'altra connessa ad una colpa morale (116). Se l'alienazione nella visione giuridica escludeva la colpevolezza perché colpiva la ragione, l'insensato che veniva internato era colpevole e non esisteva alcuna esclusione tra follia e colpa morale, anzi un vincolo così stretto che «la più grave delle colpe sarà alla fine follia» (117). Benché la psichiatria del XIX secolo sia convinta di aver afferrato la follia nella sua dimensione oggettiva e patologica, ha continuato ad avere a che fare con una «follia ancora tutta abitata dall'etica» (118).

Se questa era la costruzione di quella conoscenza della follia connessa all'internamento, Foucault passa ad illustrare quella «coscienza che enuncia il folle e dispiega la follia» (119), la conoscenza di carattere medico. Nel corso del XVIII secolo si verifica, nella medicina generale, quel passaggio dalla malattia definita in termini negativi ad una naturalizzazione che tende a delineare la malattia in termini positivi ed a classificarla in specie (120). In questo secolo la follia entra a far parte di questo terreno di conoscenza discorsivo, di una classificazione naturalistica, di una conoscenza positiva (121). Ma questa esperienza della follia non è la sola che si riscontra nel XVIII secolo, esiste anche una

conoscenza negativa, di percezione, data dal confronto e dall'alterità con la ragione (122). E la follia, come trascendenza è sragione, assenza, un vuoto (123). E proprio la negatività della follia, la sua essenza di sragione, il suo modo di essere al crocevia tra l'onirico (124) e l'erroneo (125), la sua qualità di non essere, ci illustrano l'esperienza classica della follia e ci mostrano una particolare coerenza con le modalità dell'internamento (126). La follia nell'età classica è al contempo questa trascendenza onirico-erronea del delirio, della sragione e una dimensione organica, in un'unità di corpo e spirito che si ritrovava nelle concezioni mediche della follia e nelle stesse terapie ad essa riservate (127).

Ma come si arriva dal Grande Internamento di una popolazione variegata ed unificata dalla condanna morale dell'ozio, ad una nuova separazione dove la follia si trova unico ospite residuo

dell'internamento? Da un lato nel XVIII secolo una nuova grande paura, come quella medioevale per la peste, reclamava l'intervento medico sull'internamento, ma non un intervento che era motivato dal progresso della scienza medica ma da quella concezione di «inestricabile miscuglio dei contagi morali e fisici» (128) che attraverso il ritorno di antiche immagini fantastiche alimentava la paura del contagio, dell'impurità, richiedendo un intervento sanante (129). E in questa nuova paura, in questo riaffiorare