La riforma del manicomio e la nascita dell'OPG
3. La riforma dell'assistenza psichiatrica: scissione di cura e custodia
Nel corso degli anni '60 e '70, il manicomio, istituzione totale e segregante, è al centro di dibattiti e proposte di riforma. Si fa gradualmente strada una diversa idea, un diverso approccio alla questione della salute mentale. Gli stessi anni vedono fiorire le critiche al manicomio giudiziario, alimentate sia dalle nuove idee del movimento anti-psichiatrico, sia dagli scandali che colpirono alcune delle strutture italiane nel corso degli anni '70. Si apre così un processo di riforma della normativa in materia di assistenza psichiatrica che culminerà con l'approvazione della Legge nº 180 del 1978. In questo paragrafo analizzeremo la normativa previgente e le varie tappe del percorso riformatore.
3.1. L'iter di riforma della legge sull'assistenza psichiatrica: dalla legge Mariotti alla legge Basaglia
La rivoluzione culturale condotta negli anni '60 dal movimento antipsichiatrico e più in genere la diffusione di nuovi approcci nei confronti della malattia mentale, come l'approccio psicanalitico e la pratica della psicoterapia, avevano condotto ad una nuova discussione sulla legge Giolitti che da decenni sembrava necessitare di un'ampia modifica. Se con le prime critiche alla normativa Giolitti, portate avanti dagli psichiatri fino agli anni '30 del XX secolo, si lamentava il ruolo secondario rivestito dal medico nella procedura dell'internamento e un ridotto ricorso alle strutture (177), le nuove critiche si muovevano in un diverso orizzonte culturale. Un orizzonte nient'affatto uniforme, non tutte le
contestazioni alla realtà manicomiale infatti, muovevano nella medesima direzione della demolizione dell'istituzione, segnata da Basaglia, alcuni attaccavano il funzionamento delle strutture e reclamavano una maggiore attenzione alla terapia piuttosto che alla custodia ma sempre all'interno di strutture chiuse (178). Al nuovo interesse verso i manicomi avevano senz'altro contribuito anche gli scandali che da sempre hanno accompagnato la storia dei manicomi italiani, scandali che riguardavano il
sovraffollamento, le pessime condizioni igieniche ma anche le pratiche, ritenute violente, che vi erano perpetrate (179).
Il primo passo per una modifica della disciplina fu la legge nota come legge Mariotti (180), n. 431 del 1968. Questa fu sicuramente influenzata dalle visite che il Ministro aveva condotto nelle strutture dove aveva rilevato una presenza medica assai carente (181). Dunque il tentativo di stabilire un primato terapeutico nell'approccio statuale alla condizione della patologia psichiatrica. Questo progetto di revisione dell'assistenza psichiatrica in senso terapeutico si muoveva sia nella direzione di una modifica di alcuni aspetti inerenti le strutture manicomiali, sia su elementi esterni.
Dal primo punto di vista si cercava di rendere più dignitose le condizioni di vita interne fissando un numero massimo di posti letto in ciascuna struttura per tentare di sopperire al sovraffollamento che rappresentava ormai una costante dei manicomi. Si stabiliva a riguardo che le strutture potessero essere costituite da un numero di divisioni compreso tra due e cinque, ciascuna con un massimo di centoventicinque posti letto (art. 1). Sempre dal punto di vista della modifica delle condizioni interne al manicomio, si determinavano le professionalità mediche e più in generale sanitarie che sarebbero dovute essere presenti in ciascuna struttura, delineando anche un rapporto tra numero di degenti e numero di personale, così da assicurare una certa assistenza (art.2). Infine in risposta al progressivo affermarsi di una serie di figure professionali che si occupavano della salute mentale, si disponeva che entrassero nell'organico degli "ospedali psichiatrici" (182) una serie di figure nuove tra tutti: psicologi, assistenti sociali, assistenti sanitari (183). Una grande innovazione fu data dalla possibilità del ricovero volontario (art.4). La legge n. 36 del 1904, improntata ad una tutela della società dal folle piuttosto che a quella della salute mentale del malato, non prevedeva alcuna forma di ricovero volontario. Il
regolamento attuativo, di cinque anni successivo, disciplinava una possibilità residuale di ricovero su richiesta dell'ammalato. Questa era prevista dall'art. 53 che disponeva che fosse possibile per i maggiorenni, coscienti della propria alienazione parziale di mente, chiedere di essere ricoverati al direttore del manicomio, il quale poteva, solo in caso di assoluta urgenza, provvedere a ricevere queste persone e sotto la propria responsabilità. L'ipotesi era residuale, dovendosi trattare di casi di parziale infermità ed inoltre potendo essere disposta solo per situazioni di assoluta urgenza e sotto la
responsabilità del direttore del manicomio e comunque, data la procedura, non poteva definirsi una vera e propria ipotesi di ricovero volontario. Il direttore infatti aveva la facoltà solo di ammettere in via provvisoria il paziente, comunicandolo entro il termine di ventiquattro ore al procuratore del Re (o della Repubblica), pena una multa. Alla ricezione provvisoria del malato faceva seguito l'ordinaria procedura di ammissione, dunque nella fase dell'ammissione provvisoria si sarebbe espletata l'osservazione, all'esito della quale sarebbe stata prodotta una relazione, comunicata al Procuratore del Re (della Repubblica) che avrebbe dato impulso al procedimento davanti all'autorità giudiziaria competente, il Tribunale civile. Si sarebbe potuta definire dunque la possibilità disciplinata dall'articolo 53 del decreto attuativo, più una procedura di ricovero su impulso del diretto interessato che una vera e propria forma di ricovero volontario.
L'art. 4 della legge n. 431 del 1968 introduceva una vera e propria facoltà di ricovero volontario, su richiesta del malato stesso, con autorizzazione del medico di guardia. Questa ipotesi di ricovero era vista con favore e vi erano connessi alcuni vantaggi per il paziente. Infatti, colui che si fosse ricoverato volontariamente, non sarebbe stato sottoposto alla disciplina relativa alle ammissioni, degenza e dimissioni dei ricoverati coattivamente. Lo stesso articolo disponeva che per i ricoverati coattivamente, al momento del licenziamento, fosse disposta la comunicazione all'autorità di pubblica sicurezza. I
degenti volontari dunque potevano sottrarsi a questa disposizione. Era prevista anche la possibilità di trasformare il ricovero da coatto a volontario. Attraverso questo meccanismo sarebbe stato possibile evitare al momento del licenziamento la comunicazione all'autorità di pubblica sicurezza.
Ma aspetto più importante della nuova direzione che, con la legge Mariotti, l'assistenza sanitaria andava gradualmente ad assumere era dato da un intervento esterno alla realtà degli ospedali
psichiatrici. Come abbiamo visto prima di questa riforma non era prevista alcuna modalità di assistenza sanitaria per i malati di mente che non fosse, ammesso e non concesso che si potesse parlare in questi casi di assistenza sanitaria, il ricovero in manicomio. La legge Mariotti provvide invece a individuare tre perni dell'assistenza psichiatrica: 1) I centri di igiene mentale (CIM) (184), 2) gli ospedali psichiatrici, 3) i servizi psichiatrici ospedalieri congiunti a servizi geriatrici (185). Al di là dunque dei singoli interventi di modifica dell'organizzazione degli ospedali psichiatrici, ciò che, ad avviso di chi scrive, appare più rilevante nella riforma, è la predisposizione, per la prima volta, di una vera strategia di assistenza che si articola, oltre l'ospedale psichiatrico, in centri di igiene mentale, servizi territoriali, diretti da un direttore psichiatra, con personale medico, infermieristico ed ausiliario (186). La "cura" del malato mentale poteva avvalersi di un nuovo strumento, non più il ricovero in manicomio, ma servizi territoriali destinati a svolgere una funzione di terapia e prevenzione della malattia con un tessuto capillare di servizi esterni all'asilo.
Altra modifica importante intervenuta con la riforma Mariotti fu l'abrogazione dell'art. 604 del Codice di Procedura Penale relativa all'iscrizione al casellario giudiziario dei provvedimenti di ricovero in
manicomio, che provvedeva ad eliminare una grave modalità di etichettamento del malato di mente. La Sanità italiana era in quegli anni oggetto di una riforma complessiva, di modernizzazione del sistema. La Costituzione aveva stabilito che la Repubblica dovesse tutelare il diritto fondamentale alla salute, sia in una prospettiva soggettiva di diritto del singolo, sia come interesse della collettività, provvedendo altresì ad assicurare cure agli indigenti. La sanità fino alla fine degli anni '60 era stata organizzata sul modello di enti mutualistici con forme assicurative sostenute da contributi statali (187). Nel 1968, con la legge n.132 - anch'essa conosciuta con il nome del Ministro Mariotti - il sistema fu modificato, introducendo il modello ospedaliero (188). Per prima cosa con questa riforma si dette attuazione al principio costituzionale della tutela della salute, svincolando l'assistenza sanitaria dalla volontarietà (189). Vennero istituiti gli enti ospedalieri che assumevano un carattere di autonomia e venne loro attribuita la funzione di tutela pubblica della salute di cittadini e stranieri (art.1) (190). Con la legge n. 132, gli ospedali psichiatrici venivano inseriti tra gli enti che svolgevano assistenza
ospedaliera. Questo rappresentava un altro segno di una svolta in senso sanitario dell'approccio alla questione psichiatrica.
In questo assetto, intervenne 10 anni più tardi, la legge 13 maggio 1978, n. 180 nota ai più come legge Basaglia. Questa legge è figlia di una peculiare situazione politica: il partito radicale aveva promosso un referendum abrogativo della legge n. 36 del 1904, la Corte Costituzionale lo aveva dichiarato
ammissibile e nel mentre era in discussione il progetto di legge istitutivo del Servizio Sanitario Nazionale che prevedeva l'abrogazione della legge n. 36 del 1904 e l'inserimento della tutela della salute mentale nel più ampio settore della tutela della salute in genere. La celebrazione del referendum appariva pericolosa sia per i detrattori della de-istituzionalizzazione in quanto in caso di esito positivo rischiava di lasciare un vuoto normativo, sia per i fautori, in quanto il suo esito era tutt'altro che certo e una conferma dell'assetto vigente da parte della popolazione (attraverso il mancato raggiungimento del quorum o, ancora peggio, con un'espressione negativa circa l'abrogazione) avrebbe reso assai ardua politicamente l'approvazione della nuova legge (191). Gli articoli del progetto della legge istitutiva del servizio sanitario nazionale relativi all'assistenza psichiatrica furono stralciati e divennero oggetto di una legge autonoma (192). Questa fu discussa e approvata in tempi molto rapidi (193).
3.2. La legge n. 180 del 1978
Il 13 Maggio 1978 veniva approvata la legge n. 180, in materia di trattamenti sanitari e obbligatori, nota ai più come la legge che ha provveduto alla chiusura dei manicomi. La procedura legislativa fu
rapidissima, al fine di evitare il referendum relativo alla Legge Giolitti promosso dal partito radicale. Il 23 Dicembre dello stesso anno veniva emanata la legge che istituiva il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) e l'articolato della legge n. 180 del 1978 era incorporato in questa legge, la n. 833 del 1978.
Analizziamo nel merito i contenuti della Legge 180 del 1978. All'art.1, primo comma, è sancito il principio generale della volontarietà degli accertamenti e dei trattamenti sanitari. I trattamenti sanitari obbligatori sono disciplinati dalle restanti disposizioni. Questi, in ottemperanza a quanto stabilito dall'art.
32 della Costituzione, che sancisce il principio di volontarietà dei trattamenti sanitari e impone la riserva di legge per quelli obbligatori, possono essere disposti solo nei casi previsti dalla legge (194). L'art. 1 enuncia una serie di principi, innanzitutto i trattamenti sanitari obbligatori (TSO) devono essere eseguiti nel rispetto della dignità della persona e dei suoi diritti civili e politici. Per quanto possibile, inoltre, deve garantirsi la scelta del medico e del luogo di cura (195) e questi trattamenti si devono accompagnare con iniziative volte ad assicurare il consenso e la partecipazione del soggetto sottoposto (196). Si garantisce altresì il diritto di chi è sottoposto a TSO (197) di comunicare con chi ritenga opportuno (198).
Per quanto concerne la procedura, gli accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori sono disposti, su proposta motivata di un medico, dal sindaco, quale rappresentante dell'autorità locale in materia sanitaria (199).
L'art. 2 si dedica alla materia di quella tipologia particolare di TSO, rappresentata dai TSO di carattere psichiatrico. Il primo comma sancisce che possano disporsi nei confronti dei soggetti affetti da patologie psichiatriche i TSO previsti dall'articolo 1 (200). Il terzo comma definisce una particolare tipologia di trattamenti sanitari obbligatori, i trattamenti sanitari obbligatori ospedalieri (TSOO). Questa tipologia di TSO è sottoposta ad un regime più restrittivo. Dal punto di vista dei requisiti necessari per potere disporre le misure, è richiesto che: il soggetto sia in uno stato di alterazione psichica tale da richiedere interventi urgenti di carattere terapeutico, il paziente rifiuti questi interventi, non sia possibile svolgere gli stessi, o diversi interventi purché idonei, in condizioni extra-ospedaliere. Dal punto di vista della procedura, inoltre, la proposta effettuata dal medico, come previsto dall'articolo precedente per i TSO in genere, deve essere convalidata da un medico della struttura sanitaria pubblica. La procedura per disporre il TSOO è completata da ulteriori garanzie: entro 48 ore il provvedimento deve essere notificato al giudice tutelare, il quale provvede alla convalida entro le successive 48 ore, oppure non convalida il procedimento, comportando così una immediata cessazione del trattamento. Al TSOO è fissata una durata massima, questo non può protrarsi, di norma, oltre i sette giorni. Nell'ipotesi in cui al termine dei sette giorni si mostrasse ancora necessario un intervento coattivo in degenza, il medico dovrebbe fare relazione al sindaco indicando la durata prevista per il trattamento, questa relazione dovrebbe essere consegnata al giudice cautelare entro 48 ore per la convalida entro le 48 successive. L'art. 6 contiene una disposizione di particolare rilievo, vi si stabilisce infatti che gli interventi di cura, prevenzione e trattamento delle infermità psichiche siano di norma espletati dai servizi territoriali extra-ospedalieri, dunque il ricovero ospedaliero al fine della cura della patologia psichiatrica rappresenta a tutti gli effetti una soluzione residuale, volta ad intervenire nelle sole condizioni di emergenza. L'art. 7 prosegue ponendo il divieto di costruire nuovi ospedali psichiatrici, inoltre l'art.11 provvede ad abrogare la previgente legge in tema di alienati e manicomi, n. 36 del 1904. A completamento delle disposizioni appena esaminate, l'art.11 dispone l'abrogazione delle fattispecie previste dagli articoli 714,715 e 716 del codice penale, quei delitti connessi alla sussistenza di un obbligo di custodia del malato di mente, ovvero: l'omessa o non autorizzata custodia, la custodia non autorizzata in casa privata, l'omessa denuncia di persone pericolose (201).
La riforma, come avrà modo di dichiarare Basaglia, è una riforma che nasce per essere transitoria, in attesa della legge che istituisca il Servizio sanitario Nazionale (SSN) (202). Il 23 Dicembre del 1978 è emanata la legge n. 833 che istituisce il SSN. Questa legge incorpora nel tessuto della normativa sanitaria nazionale le disposizioni sui trattamenti sanitari obbligatori.
Le leggi del 1978 sono note soprattutto per aver provveduto alla chiusura dei manicomi ma gli aspetti da sottolineare appaiono molteplici. Il dato fondamentale è quello dell'inclusione dell'assistenza psichiatrica nella materia della tutela della salute e dunque la previsione di interventi nei confronti del malato di mente, non più caratterizzati da una preminenza dell'interesse pubblico ma guidati dal generale principio della terapeuticità e ispirati alla tutela del diritto costituzionalmente garantito alla salute. In questo senso devono leggersi una serie di norme che intervengono sull'assetto previgente. Innanzitutto è testimonianza di questo spirito l'introduzione delle disposizioni sugli accertamenti e i trattamenti sanitari volontari e obbligatori nel tessuto complessivo della riforma che istituisce il Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Difatti con questo passaggio il legislatore abbandona la strada del
trattamento del disturbo psichico come un'istanza che attiene in primo luogo alla pubblica sicurezza, affrontandolo innanzitutto come una condizione di malattia e dunque disciplinandolo assieme alle altre norme che si occupano di regolare la tutela pubblica della salute. Anche ai trattamenti psichiatrici è esteso il principio della volontarietà, così, come è da leggersi nella medesima chiave, l'inserimento delle norme sul TSO nei confronti di malati di mente, tra quelle che in generale si rivolgono a disciplinare i TSO (203). Non solo, il diverso modo di affrontare la tematica della malattia mentale si rinviene
nell'estensione del principio di volontarietà dei trattamenti e nell'abbandono, per quelli obbligatori, del requisito della pericolosità, sul quale erano incardinati gli interventi (o meglio l'intervento) sugli alienati ai sensi della legge n. 36 del 1904. La differenza rispetto al modello precedente è marcata attraverso la previsione di una procedura nel corso della quale non intervengono autorità di pubblica sicurezza (204). La cooperazione tra sindaco e medico deve intendersi come una procedura che si articola con la partecipazione di due autorità entrambe sanitarie (205). Il sindaco, infatti, partecipa alla procedura come soggetto chiamato a vigilare che l'intervento medico non sia un abuso dell'autorità e
nell'effettuare questa operazione è coadiuvato, per i TSOO psichiatrici, da un altro medico che si inserisce nella procedura - il medico dell'USL - convalidando il parere del collega che ha disposto il trattamento (206). Altra innovazione fondamentale è quella relativa alla creazione di un sistema di assistenza psichiatrica che è prevalentemente incentrato sulla predisposizione di servizi di assistenza territoriale e all'interno del quale l'intervento ospedaliero rappresenta solo un'eccezione, peraltro temporanea. Infine con la legge n. 180/1978 si provvede a garantire al malato di mente i suoi diritti in una dimensione complessiva che comprende quelli sociali, civili e politici, evitando di qualificarlo come un "non uomo" (207). Altro aspetto importante è l'abrogazione di quelle norme che causavano una vera e propria stigmatizzazione del malato di mente, quali: l'iscrizione al casellario giudiziale dei
provvedimenti di ricovero in ospedale psichiatrico, la cancellazione dalle liste elettorali, il meccanismo quasi automatico di interdizione.
Attraverso questa nuova disciplina, si provvedeva a gettare le basi per la costruzione di un nuovo modello di assistenza psichiatrica, un modello territoriale, in cui l'intervento coattivo sul paziente assumesse soltanto una funzione residuale, in cui il malato di mente non dovesse essere preso in considerazione per la sua pericolosità o per lo scandalo delle sue condotte, bensì per il suo bisogno di assistenza. Allo stesso tempo, mentre i manicomi civili si avviavano verso la chiusura, i manicomi giudiziari, cambiavano nome, mantenendo le strutture, la loro duplice funzione di cura e custodia, il fondamento nella pericolosità sociale.