• Non ci sono risultati.

Le proposte riformatrici

Le proposte di riforma e il "definitivo superamento" degli OPG

1. Proposte di riforma: le tipologia

1.2. Le proposte riformatrici

Si possono classificare come riformatrici tutte quelle proposte, compresi i vari progetti di riforma del Codice penale, che optano per il mantenimento dell'istituzione OPG, intervenendo su alcuni aspetti della disciplina di queste misure di sicurezza (55). Questi progetti si articolano tra quelli a legislazione penale invariata, che si occupano principalmente di disciplinare gli aspetti gestionali, e quelli che intervengono a modificare alcuni elementi delle misure di sicurezza, ridefinendo soprattutto quegli aspetti che sono stati oggetto di una maggiore critica. Non faremo un elencazione di tutti i progetti analizzandoli sistematicamente, bensì vedremo quali soluzioni offrano in merito ad alcuni aspetti specifici. Ci soffermeremo poi sull'analisi del Progetto delle Regioni Emilia Romagna e Toscana, in quanto presenta delle caratteristiche peculiari sia sul piano delle modalità di elaborazione della proposta che su quello delle soluzioni prospettate, inoltre, questo progetto anticipa la linea che sarà tenuta dalla recente riforma che dispone il superamento degli OPG, quella della sanitarizzazione del trattamento riservato all'infermo di mente autore di reato.

1.2.1. La questione dell'imputabilità

Il concetto di imputabilità rappresenta uno degli aspetti della materia entrati in crisi negli ultimi '30 anni. La crisi dell'imputabilità è stata il riflesso di un'altra crisi, quella delle certezze scientifiche, in particolare di quelle psichiatriche. Se nella prima metà del XX secolo permaneva la convinzione che la scienza potesse offrire risposte certe ai quesiti posti dal diritto, di talché il giudice si sarebbe limitato a

confermare quanto gli esperti gli suggerivano, ad oggi la scienza appare un terreno instabile, non più in grado di offrire risposte che non possano essere messe in discussione (56). In materia di non

imputabilità per vizio di mente occorre notare come non esista una definizione di malattia mentale genericamente valida (57). Di fronte alla crisi dell'imputabilità la scelta che il legislatore si trovava ad affrontare al momento della redazione dei progetti di codice penale era quella tra il riconoscimento della responsabilità penale anche in capo ai malati di mente oppure il mantenimento della distinzione tra imputabili e non, eventualmente rivedendone la definizione e le tipologie di cause escludenti (58). Tra gli aspetti problematici in materia, vi è proprio quello della genericità e aleatorietà della definizione di imputabilità come capacità di intendere e di volere, nonché dell'inquadramento sistematico della stessa e dei rapporti con la capacità penale e la colpevolezza. Non solo, per quanto riguarda la causa di esclusione dell'imputabilità rappresentata dal vizio di mente, non pochi dubbi ha posto il riferimento all'infermità. Infatti, com'è noto, nell'ideologia del legislatore del '30 questo serviva a circoscrivere l'inimputabilità a quelle ipotesi in cui il vizio di mente fosse stato riconducibile a precisi riferimenti nosografici. Ma il concetto di malattia mentale è stato ampiamente modificato dagli indirizzi successivi della scienza psichiatrica, prima, sotto l'influsso della psicanalisi freudiana, che ha esteso la valutazione non più ai soli elementi fisici, bensì a quelli della psiche e successivamente negli anni '60-'70, quando gli psichiatri hanno iniziato a prendere in considerazione tutti gli elementi relativi alle relazioni dei soggetti con il mondo esterno, con un approccio sociologico. Queste novità scientifiche sono state

accolte dal mondo del diritto, dalla giurisprudenza, gradualmente e in modo altalenante, stante che, parte della giurisprudenza è rimasta ancorata al modello organico di infermità, mentre un'altra parte si è mostrata aperta a considerare quei disturbi che riguardano la psiche e nessuno si è spinto ad adottare il modello sociologico di malattia mentale, che rischia di ampliare a dismisura le ipotesi di patologia (59).

Se il vizio totale di mente è stato ed è una categoria problematica che pone una certa quantità di incertezze, nondimeno il vizio parziale, del quale si è persino chiesto il superamento, non ritenendola una categoria scientificamente valida.

Per quanto riguarda la definizione di imputabilità come capacità di intendere e di volere, occorre notare che alcuni progetti hanno scelto di mantenere questa definizione e di ricorrere ad un modello, quale quello del codice vigente scientifico-normativo, altri hanno pensato di ridefinire a sua volta la capacità di intendere e volere, spesso limitandosi ad introdurre nell'impianto normativo le acquisizioni più condivise (60), altri ancora hanno optato per un abbandono di una definizione positiva, consci della superfluità del ricorso a tali definizioni generiche, nonché dei dubbi sulla possibilità di separare le due sfere

dell'intelletto e della volontà (61).

Per quanto riguarda il vizio di mente, alcuni dei progetti di riforma del Codice Penale e delle bozze delle commissioni, investite dell'incarico, ridefinivano le cause di esclusione dell'imputabilità, affiancando al concetto di infermità quello, proveniente dalla tradizione tedesca di anomalia psichica (62). In questo senso lo schema di legge delega per l'emanazione del nuovo codice penale del 1991 (Bozza Pagliaro (63)), all'art.32 elencava le cause di esclusione e di diminuzione dell'imputabilità, aggiungendo al concetto di infermità, la grave anomalia psichica, nonché la clausola aperta "ogni altra causa.

Analogamente anche il DDL Riz, S.2038 del 2 Agosto 1995, estendeva la non imputabilità alle ipotesi dell'anomalia. Sempre nella direzione di un'espansione del vizio di mente, si poneva, come vedremo, anche il Progetto della Fondazione Michelucci con le Regioni Toscana ed Emilia Romagna (64). Quest'ultimo aggiungeva non solo la grave anomalia, alle cause escludenti, ma anche la grave menomazione sensoriale (65). Il primo progetto della Commissione Grosso (66) aveva anch'esso compreso l'anomalia tra le cause di esclusione dell'imputabilità, evitando, rispetto alla bozza Pagliaro di aggiungere la clausola aperta. Sul concetto di anomalia, non vi è particolare concordanza tra i medici legali, alcuni sono molto critici verso il ricorso a questo. Infatti si ritiene che, rispetto al modello tedesco, che prevede il concetto di anomalia come clausola di chiusura che seguiva ad un elencazione

dettagliata delle altre cause di esclusione, nel progetto italiano questa si affianca ad un'altra clausola generica, quale l'infermità di mente. Il secondo progetto della Commissione Grosso (67) aveva

sostituito la grave anomalia con il grave disturbo psichico (68), anche questo criticato per la sua portata da un lato espansiva, in quanto consentirebbe di ricomprendere una serie di disturbi non classificati, dall'altro riduttiva, in quanto lascerebbe fuori le nevrosi (69).

Alcuni di questi progetti che andavano ad ampliare il vizio di mente al contempo provvedevano a cancellare la categoria intermedia del vizio parziale. In questo senso sia il progetto della Fondazione Michelucci, che il DDL Milio (70). Del resto il disegno Riz, benché non rimuovesse la semi-imputabilità per vizio parziale incideva sulle conseguenze della stessa, eliminando per i semi-infermi la misura di sicurezza.

Alcuni dei progetti optavano per il mantenimento del concetto di infermità come dirimente tra imputabili e non, al fine di evitare un ampliamento eccessivo della causa di esclusione. In questo senso, ad esempio, il progetto di riforma del Codice penale Nordio (2005) (71), manteneva l'infermità psichica, aggiungendo però una nuova categoria, oltre al vizio totale di mente, il "vizio quasi totale", equiparando le conseguenze delle due situazioni. Nella medesima ottica, anche il progetto Pisapia del 2006 (72) manteneva il riferimento alla capacità di intendere e di volere e all'infermità, però otteneva

un'estensione delle cause attraverso la richiesta esplicita che la perizia medica prendesse in considerazione, debitamente anche i disturbi della personalità.

1.2.2. La questione della pericolosità sociale

In crisi è entrato da tempo anche il concetto di pericolosità sociale, da molti considerato strettamente connesso alla stessa esistenza delle misure di sicurezza. Soprattutto, la normativa in materia di assistenza psichiatrica ha eliminato il nesso di matrice positivista tra malattia mentale e pericolosità sociale. A livello di dibattito tra medici legali si osserva come alla scuola positiva che riconosce una maggiore pericolosità dei soggetti affetti da disturbo psichiatrico, se ne sia aggiunta un'altra, che sulla base del medesimo pregiudizio, giunge all'opposto risultato, ovvero quello della minore pericolosità

degli infermi di mente (73). La teoria prevalente, ad oggi, vuole che non esista un nesso eziologico diretto tra la commissione di reati e la patologia mentale. Si sostiene la necessità di prendere in considerazione una molteplicità di fattori: sociali, economici, familiari. La malattia in sé e per sé non sarebbe indice né di una maggiore, né di una minore pericolosità sociale, dovendosi piuttosto guardare alle condizioni di vita complessive del soggetto (74).

Da un lato dunque è entrato in crisi il fondamento teorico-filosofico della pericolosità sociale del malato di mente, dall'altro ci sono altri aspetti che sono sembrati necessitare di una riforma. Per esempio la durata minima della misura di sicurezza, come espressione di una presunzione del perdurare della pericolosità (sebbene relativa, in quanto, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n.110 del 1974, è ammessa la revoca anticipata), ancora la rigidità del binomio pericoloso-non pericoloso che non consente una graduazione degli interventi, oppure il ricorso obbligatorio alla misura di sicurezza detentiva per tutti gli imputabili pericolosi, o i requisiti oggettivi dai quali scaturisce la valutazione della pericolosità e la conseguente applicazione della misura di sicurezza.

Dalla crisi della pericolosità è derivata la richiesta di una sostituzione del concetto, con altri che, pur rispondendo alla funzionalità di garantire la difesa sociale, risultino più compatibili con le recenti istanze di superamento del nesso tra malattia mentale e pericolo sociale. Del resto anche la pericolosità ha subito sorte analoga a quella dell'imputabilità per quanto concerne la certezza scientifica. Dunque, anche coloro che optavano per una posizione di conservazione della categoria ne richiedevano una ridefinizione.

Anche la pericolosità sociale è stata revisionata in molti dei progetti di riforma del Codice penale presentati a partire dal II Dopoguerra. Alcuni provvedevano ad un ablazione del concetto, sostituito da altri che sembravano dotati di maggior scientificità. In questo senso, la bozza Pagliaro richiedeva solamente la valutazione del nesso eziologico tra il fatto commesso ed il disturbo psichico. Analogamente, ma in una chiave meno deterministica e nell'ambito di una complessiva volontà di attribuire alla misura un diverso significato, alcuni progetti - il Progetto Pisapia in particolare - sostituivano la pericolosità sociale con la necessità di terapie.

Altri disegni, pur lasciando integra la pericolosità sociale e attribuendo comunque ad essa il valore di cardine del sistema delle misure di sicurezza, intervenivano a limitare il ricorso a queste ultime. Ad esempio il DDL Nordio, prevedeva che scattasse una presunzione di pericolosità relativa soltanto nelle ipotesi di commissione di fatti contro la vita o l'incolumità - sia individuale che pubblica - oppure

caratterizzati dalla violenza contro le persone. Analogamente nei Progetti Pagliaro e Riz, soltanto la commissione di fatti per i quali il massimo edittale fosse stato superiore a dieci anni consentivano di ricorrere alla misura di sicurezza.

Alcuni progetti intervenivano sulla durata della misura di sicurezza, il DDL Milio, cancellava il termine minimo, mentre il Progetto Pisapia stabiliva un tetto massimo di durata, così da evitare le situazioni di cosiddetto ergastolo bianco, che andava a coincidere con il massimo di pena edittale previsto per quello specifico fatto.

Particolarmente interessante risulta il disegno Riz che disponeva una graduazione della pericolosità sociale, con misure di sicurezza diverse a seconda del grado.

1.2.3. La misura di sicurezza

Al di là dei presupposti per l'applicazione, alcuni progetti affrontavano anche le tipologie di intervento nei confronti degli infermi di mente autori di reato, affiancando alla misura al ricovero in OPG altre misure, nell'ambito di un sistema di intervento graduale, oppure modificavano la misura del ricovero in OPG. Peraltro abbiamo già affrontato il tema delle criticità riscontrate riguardo ad alcune categorie di soggetti non imputabili, tra tutti i tossico-alcool dipendenti e i semi-infermi. Al di là della necessità sollevata di rivedere le cause di esclusione/diminuzione dell'imputabilità, anche coloro che optavano per la conservazione delle categorie, proponevano una revisione della tipologia di trattamento (75). In particolare per quanto riguardava i semi-imputabili, tra coloro che ritenevano sia necessario mantenere la categoria, alcuni sostenevano che fosse comunque da abolire il sistema del doppio binario,

considerato troppo repressivo (76). Altra categoria che, dal punto di vista del trattamento aveva posto non pochi dubbi e problemi era quella dei tossicodipendenti. Si riteneva che il ricovero in OPG non rappresentasse un trattamento idoneo, data la peculiarità delle problematiche che concernono questa categoria, rispetto agli infermi di mente. Alcuni avanzavano la proposta di introdurre specifiche misure di sicurezza, magari riconducendo allo schema di tali misure, gli interventi sperimentati nel trattamento penale extra-murario, come ad esempio il ricorso alle comunità, con specifici programmi di

disintossicazione concordati con i Servizi per le Tossicodipendenze (Ser.T.) (77).

Riguardo ai profili di applicazione ed esecuzione della misura il Progetto Pagliaro rimaneva molto generico circa le possibili misure di sicurezza che il legislatore delegato avrebbe potuto disporre, limitandosi a parlare di misure terapeutiche giudiziarie o civili, non escludendo dunque il ricorso agli stessi OPG. Il disegno di Legge Riz proponeva una soluzione intermedia, gli OPG non risultavano abrogati ma vi erano destinati solo i prosciolti per vizio di mente che avessero commesso reati con pena edittale superiore nel massimo a dieci anni, sempre se pericolosi. Le strutture destinate ad accogliere gli internati sarebbero dovute essere presenti in ogni Regione ed accogliere solo gli internati provenienti da quel territorio, sì da evitare un completo allontanamento dal territorio di riferimento e da favorire, dunque, la risocializzazione. In queste strutture si attuava l'intervento dei Servizi sanitari del territorio di residenza. Nel disegno di legge Milio si sostituisce l'ospedale psichiatrico giudiziario con un ospedale psichiatrico obbligatorio di cui non si rendono note le caratteristiche peculiari. Il progetto Grosso prevedeva che il trattamento del non imputabile dovesse essere di competenza della giustizia penale solo ove "assolutamente necessario il ricorso a forme di coercizione personale" mentre ordinariamente il compito sarebbe spettato ad istituzioni diverse. Nel Progetto Milio non si faceva più riferimento alle "misure di sicurezza" sostituite da "misure di controllo, cura e sostegno rieducativo". Queste misure erano suddivise in tre tipologie:

‡Ricovero in struttura giudiziaria di custodia con finalità terapeutiche o di disintossicazione;

‡Obbligo di sottoporsi ad un trattamento di cura presso strutture sanitarie civili sotto il controllo del servizio sociale;

‡Altre misure denominate dalla legge.

Queste potevano avere una durata massima di dieci anni, mentre il minimo era fissato in un anno di durata. Anche il progetto Pisapia si muoveva sulla linea tracciata dal precedente progetto Milio della previsione di un trattamento differenziato, questo spaziava dal ricovero in strutture protette alla libertà vigilata, tra le quali il giudice avrebbe potuto scegliere la più confacente al caso specifico.

1.2.4. Il progetto Regione Toscana - Emilia Romagna

Tra i progetti di legge riformatori appare degno di una particolare attenzione il Progetto delle Regioni Toscana ed Emilia Romagna in collaborazione con la Fondazione Michelucci (78). Questo progetto nel metodo si presenta innovativo in quanto elaborato da un gruppo di esperti che lavoravano con i

folli-rei costituito da psichiatri, psicologi, psicoterapeuti, operatori di comunità e giuristi. Attraverso la

collaborazione nella fase dell'elaborazione delle professionalità che cooperano nella pratica del trattamento di questi soggetti, questo progetto si presenta come frutto della mediazione tra contrapposte visioni (79).

Il progetto prevedeva il mantenimento della distinzione tra imputabili e non imputabili. Erano ampliate le cause di esclusione dell'imputabilità che arrivavano a comprendere, come visto in precedenza oltre all'infermità, la grave anomalia psichica e la grave menomazione sensoriale. La capacità di intendere e di volere era definita dal co. 4 dell'art.1, ove si statuiva che fosse incapace colui che avesse commesso l'atto in uno «stato di alterazione della realtà», o compiuto un atto non «coscientemente determinato». Le misure di sicurezza continuavano ad essere applicate ai non imputabili ritenuti socialmente

pericolosi ma si offrivano al giudice una serie di requisiti oggettivi per effettuare questa valutazione: la gravità del fatto commesso, l'attualità delle condizioni che avevano dato luogo all'infermità e il loro rilievo, la situazione ambientale e relazionale del soggetto (80). La misura di sicurezza era esclusa per coloro che avessero commesso un delitto punito con la reclusione inferiore a due anni, oppure per un delitto colposo o per il quale fosse prevista solo la pena pecuniaria.

Il progetto prevedeva inoltre un trattamento differenziato su due livelli (art.4):

‡Assegnamento in regime di custodia, applicato ove la pena edittale massima fosse non inferiore a dieci anni.

‡Affidamento al servizio sociale, destinato solo a coloro che avessero commesso un reato con pena edittale inferiore nel massimo a dieci anni, con possibilità di applicare l'assegnamento in custodia ove la misura risultasse inadeguata e con possibilità di conversione successiva. L'art. 5 della proposta designava gli istituti in cui avrebbe dovuto svolgersi l'assegnamento in custodia. Le strutture sarebbero dovute essere una per ogni regione, così da garantire il principio di territorialità. Le dimensioni di questi nuovi istituti sarebbero dovute essere ridotte, massimo trenta ospiti per ogni

struttura, caratterizzate dalla funzione preminente di terapia ma attrezzate per garantire altresì la custodia. L'assegnazione a questi istituti sarebbe avvenuta per decisione del giudice, avuto riguardo al territorio di provenienza del soggetto o a quello dove egli mantiene una rete di rapporti familiari e sociali. Ove il processo di diminuzione della pericolosità sociale si fosse presentato ad uno stadio avanzato, il progetto prevedeva la possibilità di sottoporre il soggetto a misure con vigilanza attenuata. Era prevista la possibilità, per il sottoposto a misura, nei confronti del quale si fossero configurate eccezionali esigenze di sicurezza, di affidamento a sezioni carcerarie, dotate di un adeguato reparto. Per ogni sottoposto era prevista l'elaborazione di un programma di trattamento in collaborazione con il Servizio sanitario pubblico di competenza. La gestione del programma terapeutico era affidata al SSN, la gestione della custodia interna all'amministrazione penitenziaria. I membri di questa sarebbero potuti accedere all'interno solo su richiesta del responsabile sanitario. Dunque il modello di struttura

immaginato era quello a completa gestione sanitaria con controllo perimetrale esterno da parte del personale dell'amministrazione penitenziaria.

Per quanto concerne la seconda tipologia di misure, l'art. 6 del progetto le inseriva nella disciplina dell'affidamento in prova al servizio sociale ai sensi dell'art. 47 della legge n. 345 del 1975, si disponeva che il sottoposto fosse affidato al Centro Servizio Sociale per adulti (81). Tra le prescrizioni che il giudice poteva disporre nell'ordinare la misura si prevedeva quella della sottoposizione ad un programma terapeutico-riabilitativo.

Il Servizio sanitario pubblico avrebbe dovuto seguire l'andamento del programma e riferirne al Centro Sociale, anche al fine della modifica delle prescrizioni.

Ogni anno per l'affidamento ad un istituto ed ogni sei mesi per l'altra misura il magistrato di

sorveglianza avrebbe dovuto espletare un accertamento sulla persistenza della pericolosità sociale. Questo accertamento sarebbe potuto essere anticipato su richiesta dell'interessato, su segnalazione del servizio sanitario, oppure d'ufficio.

Il progetto metteva mano anche alla disciplina relativa agli altri soggetti destinati all'OPG, cercando di porre rimedio a quella situazione di eterogeneità che si era mostrata essere fonte di problematiche. Per quanto riguarda l'invio in manicomio giudiziario per i condannati affetti da patologia psichiatrica in una fase successiva alla condanna e precedente l'esecuzione, o nel corso della stessa, previsto dall'art. 148 c.p., in primo luogo il progetto accoglieva i rilievi della sentenza della Corte Costituzionale n. 146 del 1975 (82), stabilendo che il tempo in cui il soggetto era sottoposto alla misura fosse

computato nella pena da espiare. Il progetto distingueva tra le due situazioni regolate dall'art. 148, da