3. Analisi delle questioni sulla teologia («de ipsa sacra scientia»)
3.1. La teologia «secundum se»
3.3.3. La causa formale Il procedimento o il genere letterario della teologia
Proseguendo nell’applicazione dello schema della quadruplice causalità della teologia, Gerardo ne studia la causa formale. Questa consiste appunto nella forma o struttura che la materia teologica assume. Sotto tre aspetti: quello del modo con cui si presenta il suo genere letterario – «modus tractandi» –, del linguaggio e dello stile – «modus loquendi» –, e quello dei quattro sensi della Scrittura190, con l’attenzione ai soggetti della sua esposizione –
«modus exponendi»191. Ci limiteremo ad accostare il primo e – parzialmente – il terzo
aspetto, poiché più interessanti ai fini della nostra ricerca.
1. Gerardo si chiede anzitutto se tale «modus tractandi», sia «uniformis vel multiformis» (art. 1), e se sia «argumentativus vel narrativus» (art. 2).
Egli rileva, in analogia con le dottrine filosofiche:
187 Ibid., p. 401, ll. 27-28. Cfr. HENRICUS DE GANDAVO, Summa quaestionum ordinarium, art. 13, qu. 7
(ff. 95v-97v).
188 SDC, p. 405, ll. 8-9. 189 Ibid., ll. 12-24.
190 Cfr. H. DE LUBAC, Esegesi medievale. I quattro sensi della Scrittura, in Opera Omnia, Jaca Book, Milano
2006, voll. 17-20.
191 A dire il vero, Gerardo distingue anzitutto una «forma tractandi» e una «forma tractatus», il
secondo aspetto verrà tuttavia rapidamente liquidato in poche righe all’inizio della questione dodicesima (cfr. SDC, pp. 444-445).
«si modus tractandi in doctrinis philosophorum dicatur multiformis vel mupltiplex eo quod diffinitivus, divisivus, prolativus exemplorum, positivus, ut communiter dici solet, eodem modo poterit dici [...] quod modus huius scientiae, sive sacrae scripturae est multiplex, scilicet narrativus ut in libris hystorialibus, exortativus ut in sapientialibus, orativus ut in psalmis»192.
Di là dal riconoscimento dell’opportunità di un «modus multiformis» che dice chiaramente la varietà dei generi letterari, è interessante notare ancora la coincidenza «haec scientia»/«sacra scriptura». Inclinazione all’identità, rilevata qui quanto al modo di procedere e, dunque, all’aspetto formale della teologia, ma che è già emersa nella trattazione relativa alla causa materiale ed efficiente.
2. Ancora per quanto riguarda il «modus tractandi/tradendi», Gerardo si domanda se la teologia sia argomentativa. Ci sono però – distingue il maestro carmelitano – due modalità di argomentazioni: una che procede «per auctoritatem», l’altra «per rationem», e, precisando quest’ultima: «per rationem probabilem» o «per demontrationem».
Ora, per lo più («ut plurimum»), questa scienza, come ci è consegnata dalla Scrittura («ut in canone bibliae traditur»), non si presenta nella forma propriamente scientifica o sillogistica, contrassegnata appunto dalla dimostrazione e dal sillogismo, ma solo con i caratteri della narrazione o dell’esortazione.
Se poi talvolta («interdum») vi si possono rintracciare argomentazioni a partire da premesse di fede («ex resurrectione Christi argumentatur ad resurrectionem communem probandam», cfr. 1 Cor 15, 12ss), ciò non avviene però muovendo «ex articulis fidei» come da princìpi a conclusioni (Guglielmo d’Auxerre), in quanto – come nell’esempio citato – le stesse conclusioni cui si perviene restano comunque ex fide. La teologia – dirà poi – procede «creditive», non «demonstrative»193.
Se ancora – precisa Gerardo – si ammette, «aliquando et rarius», l’esercizio di un «modus arguendi» e di un processo argomentativo («modo argumentativo», «probative vel argumentative») nella teologia – sempre adottando il termine al di qua della sua specificazione e, dunque, nella coincidenza e identità con la Scrittura –, non si può parlare in ogni caso di un’argomentazione dimostrativa («modus arguendi non est demonstrativus», «non est ergo illa argumentatio demonstratio»), sia in ragione dei contenuti contingenti e temporali, sia perché questi contenuti sono «credita per fidem» e non «evidenter intellecta vel scita». Nell’esempio della risurrezione comune, questa è «probata» attraverso l’argomentazione ma non dimostrata, poiché: «demonstratio est sillogismus faciens scire»194.
Per quanto riguarda invece il ricorso all’«auctoritas», ossia l’argomentare «per auctoritatem» mediante l’impiego di citazioni scritturistiche («nos dictis sacrae scripturae utimur»), tale ricorso ha il solo scopo di opporsi a quanti fraintendono la Scrittura stessa o se ne avvalgono a sproposito195. Ma Gerardo individua un altro caso di impiego di
192 Ibid., p. 413, ll. 9-15. 193 Ibid., p. 448, ll. 36-37. 194 Ibid., p. 414, l. 30. 195 Cfr. ibid., pp. 414-415.
«auctoritates», estremamente significativo nel suo esplicitare la coscienza della identità o «con-fusione» non sempre facilmente decifrabile e circuibile tra «sacra doctrina» e «sacra scriptura». Egli scrive:
«Est autem sciendum, prout quidam dicunt quod sacra scriptura interdum utitur, arguendo, auctoritatibus philosophorum, interdum auctoritatibus scripturae canonicae, interdum auctoritatibus aliorum doctorum»196.
Il maestro carmelitano si limita a osservare come in questi tre casi rilevati nell’asserto dei «quidam», venga all’emergenza una non univoca accezione di «sacra scriptura». È peraltro abbastanza evidente che, se nei primi due casi essa può coincidere con la «doctrina canonis novi et veteris testamenti», nel terzo invece, caratterizzato dal ricorso ai testi di altri dottori, tale univoca coincidenza non possa darsi, perché di fatto, come è logico, la «doctrina canonis» non poté avvalersi delle «auctoritates» posteriori alla sua composizione e redazione:
«Sed in hiis dictis horum doctorum est attendendum quod sacra doctrina non accipitur in eis uniformiter vel univoce, quia nec sic accipitur, quia in primo et secundo modo potest accipi pro doctrina canonis novi et veteris testamenti. In tertio vero non potest, quia doctrina illa non utitur auctoritatibus doctorum et sanctorum qui fuerunt postquam illa fuit edita et conscripta»197.
Per cui, ne conclude Gerardo: «oportet quod accipiatur doctrina pro ipsa doctrina sanctorum vel posteriorum doctorum qui auctoritatibus sanctorum utuntur»198; «doctrina»,
questa, che ci sembra abbastanza plausibilmente identificabile con la «theologia».
3. Oltre alla varietà dei generi letterari, del linguaggio e dello stile della sacra scriptura/theologia – conseguenza della sua natura unica ma multiforme –, relativamente al «modus exponendi» è sviluppata la trattazione dei quattro sensi della Scrittura. Secondo la suddivisione medievale che, oltre al senso letterale o storico, pone quello allegorico, quello morale o tropologico e quello anagogico.
Gerardo, che certamente riconosce la pertinenza di questa molteplicità quadriforme di sensi, giustificata con tutta una serie di citazioni bibliche («auctoritates canoni»), autorità dei Padri («dicta sanctorum») e argomenti di ragione («rationes»)199, dopo aver copiosamente
riprodotto tutte le spiegazioni tradizionali200, ne respinge l’identificazione con l’equivocità:
196 Ibid., p. 415, ll. 5-8. 197 Ibid., p. 415, ll. 17-22. 198 Ibid., ll. 22-24.
199 Cfr. ibid., pp. 423-424.
200 Cfr. ibid., p. 423. «L’esposizione del quadruplice senso rimarrà un tema obbligato della Scolastica.
Spesso sarà anche copioso. Come quello che presenta Gerardo di Bologna († 1317) nella sua Summa. Egli vi riproduce tutte le spiegazioni tradizionali, fino al concordismo dato un tempo da Cassiano con il testo della seconda lettera a Timoteo» (H. DE LUBAC, Esegesi medievale IV, in Opera Omnia, vol. 20, p. 382). Sul riferimento a Cassiano e al testo di 2 Tm 3,16, cfr. SDC, p. 430, ll. 7-9.
«multiplicitas sensuum huius scientiae non est multiplicitas equivocationis, quia illa est quando una vox significat plura, sed haec est multiplicitas sensuum ex hoc quod voc significat. Unde accipitur sensus spiritualis et diversus secundum diversas proprietates rerum vel secundum habitudinem ad diversa»201.
La molteplicità dei sensi della Scrittura corrisponde piuttosto alla molteplicità del reale, delle sue proprietà e relazioni significata dalle «voces». Questo realismo semantico, nella sua quadriforme declinazione, trova quale regola irrinunciabile il suo fondamento sul senso letterale202: «Tres autem sensus mistici vel spirituales fundantur super unum litteralem»203,
unico senso secondo cui «esporre» la Scrittura quando ne sia già sufficientemente manifesto il significato204. Nella consapevolezza – prosegue Gerardo – che sia stata la «provvidenza»
dello Spirito Santo ad averla dotata di più sensi, perché, quando non ci si può avvalere convenientemente di uno, la si possa esporre secondo gli altri205.