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4. Analisi degli aspetti fondamentali della figura della teologia

4.5. Il soggetto (o l’oggetto) dell’«habitus theologicus»

1. La struttura del Liber Sententiarum, la sua articolazione «per titulos et capitula» finalizzata al più facile reperimento degli argomenti trattati («ut quod quaeritur facilius valeat inveniri»555), fornisce di nuovo il ‘pretesto’ per l’interrogativo circa il soggetto della

teologia, ultimo grande tema dell’indagine dell’Aureolo a proposito della figura della teologia556; eccone l’esplicita formulazione secondo il testo dello Scriptum: «utrum habitus

theologicus habeat pro subiecto Deum sub ratione deitatis»557.

550 Ibid., foll. 13vb-14ra 551 Ibid., fol. 14ra. 552 Ibidem.

553 Ibid., fol. 14rb. 554 Ibid., fol. 14va.

555 Scriptum, p. 285, n. 1, l. 2.

556 «Et quia Magister dividit librum per titulos et capitula, dividuntur autem et secantur scientiae

quemadmodum et res de quibus sunt subiective, ut dicitur in III De Anima» (ibid., n. 4).

Abbiamo già osservato come egli non si avvalga dello schema aristotelico della quadruplice causalità per determinare gli elementi che caratterizzano una scienza: nemmeno il tema del soggetto vi si troverà dunque inscritto. Non sarà possibile rintracciare cioè alcun riferimento al rapporto tra causalità materiale e soggetto di una scienza. Ora, benché l’Aureolo sciolga così la derivazione causale tra unità di una scienza – di cui a questo punto ha già trattato dedicando ad essa una questione specifica – e unità/unicità del suo soggetto, non può tuttavia ignorare l’affermazione di Aristotele: «una è la scienza di un solo genere», sulla cui auctoritas fonda appunto la regola per determinare la ragione formale del soggetto (oggetto)558 o della materia delle scienze («res de quibus sunt subiective, ut dicitur in III De

Anima»559). L’interrogativo cui cercherà di rispondere l’Aureolo non riguarda infatti solo la

ragione speciale sotto la quale Dio possa esser considerato soggetto dell’abito teologico, ma riguarda, più in generale, la domanda su quale sia la «ratio formalis subiectiva» per la quale un soggetto di una scienza può essere tale.

Egli si confronta anzitutto con l’«opinio Scoti». Per Duns Scoto la ragione formale del soggetto di una scienza, o oggetto primo, consiste nel contenere per sé virtualmente tutte le verità di quell’habitus560, e ultimamente l’habitus stesso561. Per l’Aureolo però la virtuale

continenza di queste verità non può essere la ragione formale del primo soggetto, poiché vi sono infatti verità conoscibili – quali quelle che riguardano le passioni delle parti («de passionibus partium») del soggetto di una scienza – che non possono essere contenute «in una ratione primo virtualiter»562; pertanto: «ratio primi obiecti in scientia non est omnes

veritates primo virtualiter continere»563.

Di qui segue che, se si resta fedeli ad Aristotele564, si dovrà ammettere che:

«ratio subiecti scientiae est esse genus subiectum, habens passiones et partes, determinans sibi unum genus cognitionis specificum et unum modum proprium et specificum cognoscendi. Est autem iste modus unicus specifice cognoscendi, unus modus asbtractionis in specie»565.

La ragione formale di soggetto di una scienza consiste, pertanto, nell’essere un genere di soggetto conoscibile tale da determinare un genere di conoscenza specifico e un proprio modo specifico di conoscere, che coincide con la conoscenza astrattiva:

«vocavit unum genus subiectum, unum genus cognoscibile, quod in suis partibus et proprietatibus suis et partium habet unum modum abstractionis; et per consequens appropriat sibi unum modum cognitionis specificum, et ex hoc, unam scientiam in specie, cuius erit subiectum»566.

558 Egli sembrerebbe utilizzare i due termini indistintamente. 559 Scriptum, p. 285, n. 4, ll. 4-5.

560 «est continere in se virtualiter primo omnes veritates illius habitus» (ibid., p. 292, n. 31). Cfr.

Ordinatio I, pars 3, qu. 1-3, 96 ss.

561 Cfr. Scriptum, p. 293, n. 34. 562 Ibid., p. 295, n. 37, l. 21. 563 Ibid., ll. 21-23.

564 «... non deviando a mente Aristotelis I Posteriorum. A qua, qui ibi et alibi visi sunt deviare, in

novitates varias sunt prolapsi, a vero deviantes pro eo quod philosophia Aristotelis et Commentatoris sui fuit summe examinata, et cum ingenti diligentia et experientia a phantasiis et imaginationibus segregata» (ibid., p. 298, n. 44).

Ora, questo modo specifico di conoscenza è anche il criterio della specificità e, dunque, dell’unicità di questa scienza rispetto alle altre: «et ex hoc, unam scientiam in specie». Infatti: «quaelibet scientia appropriat sibi unum modum abstractionis et penes illos distinguuntur»567.

Ma questa «formalis ratio» – prosegue l’Aureolo – ha il compito di mediare tra il soggetto e tutti i predicati a lui attribuiti di cui si occupa la scienza568; mediazione che non

consiste nella continenza virtuale569, ma soltanto nel ricevere tutte le attribuzioni che

possono essere ricondotte a quel genere di soggetto conoscibile570.

Considerando nello specifico il caso dell’abito teologico, ne consegue che la sua ragione formale soggettiva sia qui la «ratio deitatis»:

«Per rationem namque deitatis, attribuuntur Deo ea quae declarantur in hac scientia quasi partes, scilicet tres personas; de qualibet namque persona multae veritates in hoc delcarativo habitu inquiruntur; per eandem etiam rationem reducuntur in Deum perfectiones essentiale, quae sunt intelligere et velle, et similia; per eandem etiam reducuntur omnia quae cadunt sub omnipotentia, ut quod Deus potuit mundum creare, et unire Deum et hominem, et Virginem facere inviolatam parere, et similia; per eandem etiam reducuntur omnia contingentia quae subsunt divinae voluntati, ut quod Virgo peperit de facto, quod homo Deus fuit, et quod Abraham duos filios habuit, et universa quae de facto tenemus per fidem, et declarantur per theologiam. Eadem quoque ratio deitatis sibi determinat modum declarativum absque adhaesione, qui est proprius istius habitus. Si enim deitas posset ex puris naturalibus clare et proprie comprehendi, non solum hic habitus esset declarativus, immo esset scientificus et faciens adhaerere. Sed quoniam ex naturalibus distincte cognisci non potest, oritur ut habitus, qui est de ratione ista tanquam de formali obiecto acquirendus, ex naturali ingenio sit tantum declarativus»571.

A tale questa «ratio deitatis», concepita proprie, benché non clare, e per analogia572, il

teologo «in statu viae» attribuisce ultimamente tutte le verità su Dio di cui intende occuparsi. Da questa molteplicità di attribuzione ne consegue per la teologia un’eccedenza rispetto a tutte le altre scienze («sub qua excedat theologia omnes scientias philosophicas»573) – ivi compresa la metafisica574 –, e la qualifica di disciplina «quodammodo

566 Ibid., p. 301, n. 51.

567 Ibid., p. 299, n. 46. Sulla distinzione tra le scienze («duodecim scientiae adinventae») in base ai

loro rispettivi modi di conoscenza, si legga l’intero n. 46, alle pp. 299-300.

568 Ibid., p. 311, n. 80. 569 Cfr. ibidem e p. 302, n. 51.

570 «in illo itaque subiecto illa est formalis ratio, quae mediat inter ipsum et omnia attributa, non

accipiendo mediationem pro virtuali continentia et causalitate, sed tantum pro mediatione in suscipiendo attributionem» (ibid., p. 311, n. 80).

571 Ibid., pp. 312-313, n. 83. 572 Cfr. ibid., p. 315, n. 85. 573 Ibid., p. 291, n. 27.

574 «sub tali ratione debet poni Deus subiectum in theologia, sub qua excedat theologia omnes

scientias philosophicas. Cum enim scientia excedant se in dignitate, vel propter modum procedendi certiorem, vel propter dignitatem subiecti, ut dicitur I De Anima, theologia non potest excedere scientias humanas in modo certitudinis; et idcirco oportet quod excedat in dignitate subiecti. Sed non excedit hoc modo, nisi ponatur Deus subiectum sub ratione deitatis, quoniam humana scientia,

latior omni scientia», in quanto «ad deitatem attribuuntur omnia causata multiplici attributione, quia in quantum producta ex nihilo, gubernata et conservata, et in ipsa finaliter ordinata et ab ipsa formaliter exemplata, quibus modis non attribuuntur omnia ad ens, quod est subiectum in metaphysica»575. Ecco dunque la ragione per cui non è possibile

ridurre la «ratio formalis» a un aspetto specifico, quali quelli che gli altri dottori ipotizzavano («credibile», «divinitus revelabile», «res et signa», «Deus sub ratione glorificatoris», «sub ratione boni diligibilis et finis», «sub ratione ignoti», «sub ratione entis infiniti»576).

D’altra parte però, a dispetto di questa ampiezza, la nostra teologia non si estende a tutte le verità conoscibili, ma soltanto a quelle che possono esservi ricondotte secondo la loro partecipazione alla creazione, all’attività ordinatrice e rettrice di Dio577.

2. Nella Reportatio578 i due temi dell’unità e del soggetto di una scienza sono

esplicitamente accostati e trattati nella medesima quaestio579. Ma che anche qui questo

accostamento non costituisca un semplice criterio estrinsceco per determinarne la prossimità risulterà presto evidente.

Il tema del soggetto rappresenta l’argomento conclusivo dei una lunga trattazione legata all’unità di un abito. In primo luogo l’Aureolo tratta in generale della «ratio primi subiecti habitus scientifici», e ne applica poi i risultati, nello specifico, all’«habitus theologicus». A questo proposito, qui come nello Scriptum, egli afferma anzitutto che:

«per se ratio primi subiecti est illa quae per se mediat inter omnes veritates habitus, tam adaequatas, quae primo insunt per rationem illam, quam inadaequatas, reducendo ultimoad ipsam»580.

Ora, per quanto riguarda la «scientia nostra», Aureolo precisa subito che Dio non possa essere considerato soggetto della teologia sotto una ragione specifica: «nullus respectus rationis est ratio subiectiva in Deo», poiché tali ragioni specifiche non costituiscono il medio tra Dio stesso e le verità che lo riguardano581. Non solo: nessuna ragione finita e

contratta che noi possiamo assegnare a Dio in ragione del nostro atto di conoscenza, che è limitato, potrebbe costituire la ragione formale oggettiva dell’abito teologico582; queste

infatti sono esattamente «denominationes ab actu» o «ex parte actus», ossia determinate a

puta prima philosophia, tractat de Deo sub ratione qua prima causa et ultimus finis et nobilissima forma, ut patet I et XII Metaphysica» (ibid., p. 291, n. 27).

575 Ibid., p. 316, n. 92.

576 Cfr. ibid, pp. 285-290, nn. 5-24; pp. 302-310, nn. 52-79. 577 Cfr. ibid., p. 317, n. 93.

578 Reportatio, foll. 14vb-15va.

579 «Postquam quaesitum est de habitu theologico quantum ad formam et similiter quantum ad

finem, nunc tertio restat quaerere de ipso quantum ad unitatem et eius subiectum...» (ibid., fol. 12ra). E ancora: «sciendum quod omnes conveniunt in hoc quod scientia una habet unum subiectum sub una ratione formali» (ibid., fol. 12rb).

580 Ibid., fol. 14vb. 581 Ibid., foll 14ra-14rb. 582 Ibid., fol. 15rb.

partire dalla nostra possibilità di conoscenza583. Ma nemmeno il concetto di ens infinitum

potrà essere la ratio formalis del soggetto della teologia, poiché nemmeno questo costituisce il medio tra Dio e le verità che gli attribuiamo. Ratio subiectiva sarà dunque la sola deitas:

«Deus sub ratione deitatis est subiectum in theologia nostra, sola enim deitas mediat inter Deum et veritates quas Deo attribuimus et appropriat sibi unum modum sciendi speculativum»584.

Anche qui, come aveva già avuto occasione di accennare nella questione sull’unità di un abito scientifico585 e in quella del soggetto nello Scriptum586, la ragione formale di un

soggetto conoscibile è l’appropriazione di un solo modo di conoscibilità:

«deitas ratione deitatis appropriat sibi modum scibilitatis specialem propter quod theologia habet unum modum sciendi quia natura deitatis est natura sic excellens quod non adhaerere possimus et evidenter sed tantum omnes veritates dictas de ea habemus nos declarative»587.

In ciò risiede ultimamente l’evidenza innegabile della convergenza, anche per Pietro Aureolo, dei due temi dell’unità e del soggetto dell’«habitus theologicus».

583 Un esempio che lo stesso Aureolo fornisce aiuterà a comprendere meglio questo punto:

«Exemplum: si videam unum colorem magis clare et tu minus clare, hoc magis clarum et minus clarum non sunt conditiones se tenentes ex parte obiecti, sed ex parte actus; sic in proposito, cum dicitur Deus cognoscitur a nobis sub ratione finita, ista finitas est conditio tenens se tantum ex parte actus. Ideo non est ratio subiectiva quae se teneat ex parte obiecti» (ibidem).

584 Ibidem.

585 «formalis ratio unius subiecti scibilis consistit in apropriatione unius modi scibilitatis» (ibid., fol.

12rb); e in termini ancora più espliciti: «scientiam est una per unum modum sciendi correspondentem uni modo scilibilitatis et uni abstractioni in obiecto» (ibid., 13rb).

586 Cfr. Scriptum, p. 298, n. 45; p. 301, n. 51. 587 Reportatio, fol. 15ra.

«PROPTER MAGNAM SIMILITUDINEM...

CUM SCIENTIA PROPRIE DICTA»:

COGNITIO DEDUCTIVA E THEOLOGIA DILECTIVA

Theologia est amplissima scientiarum, nam considerat de toto ente ut deservit ad cognitionem Dei et ad defensionem eorum quae sunt fidei*