1. Gerardo da Bologna ne tratta nel contesto della questione se la teologia sia sapienza833. Per il maestro carmelitano, Duns Scoto se ne avvale per mostrare la possibilità
per il viator di una conoscenza teologica dell’essenza di Dio, benché non sia per sé evidente e non possa dirsi scienza o sapienza in senso assoluto. La cognitio abstractiva sarebbe precisamente la conoscenza quidditativa di una realtà astrazion fatta della sua presenza ed esistenza; quella intuitiva sarebbe invece la conoscenza della realtà secondo la sua esistenza attuale.
L’obiezione fondamentale che Gerardo rivolge alla proposta di Duns Scoto, e che ritiene difficilmente superabile, consiste esattamente nell’osservazione secondo cui non si conosce realmente qualcosa di cui non si conosca ciò che le appartiene per essenza, e poiché l’esistenza di Dio non si distingue realmente dalla sua essenza, ma vi appartiene, non si potrà conoscere la quiddità di Dio astrattivamente se non si conosce intuitivamente la sua esistenza attuale. Sarà in fondo lo stesso appunto che muoverà Gerardo da Siena al Doctor Subtilis.
2. Pietro Aureolo si confronta con la conoscenza astrattiva nello Scriptum nel contesto della questione circa la possibilità di una conoscenza scientifica delle verità teologiche834.
Egli rileva anzitutto la necessità di una riformulazione delle nozioni scotiste di notitia intuitiva e abstractiva. Pur ammettendo la possibilità di una conoscenza astrattiva che conferisce al viator una conoscenza scientifica di Dio, ne obietta l’affermazione secondo cui la conoscenza intuitiva sia vincolata all’attualità e alla presenza dell’oggetto. Partendo dall’assunto secondo cui Dio può compiere tutto ciò che non implica contraddizione835, egli
ammette da un lato la possibilità dell’intuizione del non esistente e, dall’altro, afferma che non si possa negare alla conoscenza astrattiva la capacità di terminare all’esistenza dell’oggetto. Istituendo un’analogia con l’intuizione sensibile, Aureolo rileva come la loro differenza non sia determinata ex parte obiecti, ma solo ex parte modi cognoscendi; e riconosce, infine, la possibilità per il viator di un lumen che coincide con la notitia imaginaria o abstractiva, di cui ribadisce la qualità scientifica della conoscenza che esso produce circa gli articoli di fede.
833 Cfr. SDC, qu. 1, art. 2. 834 Cfr. Scriptum, qu. 2.
835 Si sente forse ancora l’eco della denuncia di un certo determinismo naturalistico rappresentata
emblematicamente dall’articolo 147 della Condanna del 1277: «Quod impossibile simpliciter non potest fieri a Deo, vel ab agente alio. – Error, si de impossibili secundum naturam intelligatur» (H. DENIFLE – A. CHÂTELAIN, Chartularium Universitatis Parisiensis, I, Delalain, Paris 1889, p. 552). Cfr. inoltre R. HISSETTE, Enquête sur le 219 articles condamnés à Paris le 7 mars 1277, Publications universitaires de Louvain/Vander-Oyez, Louvain/Paris 1977, pp. 45-49.
Nella Reportatio836 ne tratta, invece, quando si domanda se la conoscenza di Dio, che è
possibile acquisire con un’indagine scientifica, possa essere partecipata al viator mediante una chiara e distinta conoscenza astrattiva, o quasi immaginaria, dell’essenza divina. Dopo aver ammesso la disponibilità o ‘passibilità’ scientifica dell’essenza divina, Aureolo cerca di dimostrare che tale conoscibilità è fruibile da parte del viator mediante la conoscenza astrattiva. Come nello Scriptum, anche qui l’Aureolo afferma chiaramente che la notitia abstractiva non è vincolata all’astrazione dell’esistenza di una data realtà, e che la notitia intuitiva non è limitata alla presenza dell’oggetto. Alla luce di queste considerazioni, ne consegue che queste conoscenze non differiscono ex parte obiecti ma ex parte modi congoscendi: la presenza e l’esistenza dell’oggetto non è infatti da intendersi obiective, ma modaliter, ossia come condizione dalla parte della conoscenza stessa e non dell’oggetto.
3. Per parte sua Gerardo da Siena si occupa della notitia abstractiva nel contesto dei rapporti tra scienza e fede e della loro compatibilità837. La posizione di Duns Scoto è
annoverata, insieme a quella di Durando ed Enrico di Gand, tra quelle che postulano la possibilità di una compatibilità tra la visione enigmatica della fede e l’evidenza scientifica. Come Gerardo da Bologna e Pietro Aureolo, egli riassume correttamente la distinzione scotista, individuandone due rilievi fondamentali: (a) Dio può comunicare al viator una conoscenza astrattiva della sua essenza, (b) in cui conoscere scientificamente le verità teologiche.
Prima però di misurarsi direttamente con la posizione di Duns Scoto, Gerardo recupera l’obiezione che l’Aureolo vi muove. Questi, come abbiamo visto, sosteneva da un lato la possibilità di una conoscenza intuitiva anche sine praesentialitate rei e, dall’altro, escludeva la necessità da parte della conoscenza astrattiva di fare astrazione della presenza dell’oggetto. Gerardo rileva correttamente, nella sua recensione della posizione dell’Aureolo, che, per il Doctor Facundus, la distinzione tra i due tipi di conoscenza non può essere intesa ex parte obiecti cogniti, ma solo ex parte modi. Per questa ragione la conoscenza intuitiva sarebbe quella in cui l’oggetto appare attualmente all’intelletto nel suo esse cognitum, a prescindere dalla presenza di tale realtà, mentre la conoscenza astrattiva quella in cui un oggetto appare nel suo esse cognitum, anche se realmente presente. Gerardo, tuttavia, rimprovera all’Aureolo di generare in questo modo una contraddittoria coincidenza tra cognitio intuitiva e abstractiva, rilevando, come conseguenza di questa prospettiva, l’impossibilità di una conoscenza reale e l’identificazione dell’oggetto di conoscenza nella sola apparenza.
Nel confronto diretto con Duns Scoto, poi, il Maestro agostiniano afferma che ogni conoscenza astrattiva della quiddità di una realtà implica una sorta di separazione virtuale o di ragione, osservando però come l’essenza divina non possa ammette tale separazione. Pertanto, la conoscenza dell’essenza divina non potrà essere astrattiva. È in fondo la negazione della possibilità del ricorso alla distinzione formale tra essenza ed esistenza in Dio, che abbiamo rintracciato anche in Gerardo da Bologna. Ciò che sta alla base di questa argomentazione è l’assunto secondo cui l’intelletto in statu viae non possiede una conoscenza intuitiva di alcuna quiddità; dunque, la sua conoscenza quidditativa dovrà procedere sempre tramite astrazione, separando l’essenza da tutto ciò che le è estraneo. In
836 Cfr. Reportatio, qu. 1, art. 2. 837 Cfr. Prol., qu. 4, art. 3.
altre parole: soltanto una conoscenza intuitiva sarebbe in grado di cogliere l’essenza divina, ma il viator, privo della possibilità di tale cognitio, dispone solo della conoscenza astrattiva, inadeguata però a cogliere l’essenza divina.
Alla luce di tali precisazioni, Gerardo si cimenta con la formulazione di una personale definizione di cognitio intuitiva e abstractiva che esclude categoricamente la possibilità di una conoscenza astrattiva de essentia Dei. La notizia intuitiva termina all’oggetto senza fare astrazione di qualcosa di estrinseco alla sua essenza a cui, realmente o virtualmente, l’oggetto sarebbe congiunto. La conoscenza astrattiva, invece, termina all’oggetto separando o astraendo da esso quel qualcosa di estrinseco a cui, realmente o virtualmente, esso è congiunto. Ora, dal momento che Dio non è realmente unito a nulla che gli sia estraneo, e poiché una sua conoscenza quidditativa non è inclusa virtualmente in nulla che gli sia estraneo, non si può che escludere la possibilità stessa di una tale conoscenza astrattiva dell’essenza divina per il viator, cui non rimane che un tertium genus cognitionis: la cognitio deductiva.