Il tema del soggetto/oggetto mostra in termini evidenti l’interesse gnoseologico relativo alle possibilità e ai limiti dell’intelletto umano, soprattutto nella proposta elaborata da Gerardo da Siena. È così qui posto in evidenza il secondo plesso di interesse che abbiamo individudato nell’alveo degli sviluppi gnoseologici nel periodo preso in esame: quello riguardante le possibilità del nostro intelletto e della nostra conoscenza, nella disputa a distanza che il Maestro agostiniano ingaggia con l’Aureolo circa la ragione formale dell’oggetto della teologia.
Gerardo da Bologna non presenta uno sviluppo personale a questo tema. Avvitato attorno al perno della causalità materiale, secondo lo schema classico della quadruplice causalità aristotelica, esso gli fornisce anzitutto l’occasione per precisare ulteriormente la nozione di scienza. Se infatti la connota in primo luogo quale conoscenza dimostrativa, il cui oggetto consisterebbe nelle conclusioni cui si perviene in seguito all’argomentazione, egli la specifica soprattutto quale conoscenza di un oggetto nelle sue parti sostanziali e integrali e nelle sue passioni. In questo secondo caso, a interessare non è tanto la nozione di scienza, quanto il suo contenuto principale (oggetto formale) o secondario (oggetto materiale).
Avvalendosi ancora della distinzione tra verità eterne e necessarie e realtà temporali e contingenti, da cui il duplice abito della teologia, scientifico e sapienziale, Gerardo rileva un sostanziale accordo tra i Dottori che lo precedono nel ritenere sia Dio il soggetto della teologia/sapienza, ma precisa che è tale secondo una ragione formale assoluta, mentre soggetto della teologia/scienza sarebbe piuttosto Cristo. Questa soluzione tradisce il tenore di tutto il suo approccio anche al tema del soggetto, che è particolarmente vincolato alla tradizione e in particolare alla soluzione originale di Odone Rigaldi839.
Al tema del soggetto Pietro Aureolo aveva già attribuito notevole importanza mutuandone per la teologia la qualifica di sapienza. Ora, benché, a differenza di Gerardo da Bologna, egli sciolga la derivazione causale tra unità di una scienza e unità/unicità del suo soggetto, non può tuttavia ignorare l’affermazione di Aristotele in base alla quale l’unicità di una scienza è data dall’unicità di genere del suo soggetto, su cui fonda la regola per determinare la ragione formale del soggetto (oggetto) di una scienza. In accordo con lo Stagirita, prosegue Aureolo, si dovrà ammettere che la ragione formale del soggetto di una scienza consiste – come già abbiamo visto – nell’essere un genere di soggetto conoscibile, tale da determinare un genere di conoscenza specifico e un proprio modo specifico di conoscere, che coincide con la conoscenza astrattiva. La ragione formale ha il compito di mediare tra il soggetto e tutti i predicati a lui attribuiti di cui si occupa la scienza; mediazione che consiste nell’onnicomprensiva ricezione delle attribuzioni riconducibili a quel genere di soggetto conoscibile. Ora, nessuna ragione specifica, cioè finita e contratta, che possiamo assegnare a Dio in ragione del nostro atto di conoscenza, che è limitato,
839 Sul tema del soggetto della teologia in Odo Rigaldi, cfr. L.SILEO, Teoria della scienza teologica, pp.
sarebbe in grado di mediare tra Dio stesso e le verità che lo riguardano: soltanto la ratio deitatis può essere la ragione formale soggettiva che soddisfa tali requisiti. Questa ratio, del resto, determina il modo di procedere della teologia, che è un abito dichiarativo e non potrà generare adesione, poiché la divinità è un concetto non acquisibile a partire da realtà puramente naturali e non è comprensibile con chiarezza ed evidenza.
In tale ragione formale soggettiva assoluta il teologo inserisce ultimamente tutte le verità su Dio di cui intende occuparsi la teologia. Da questa molteplicità di attribuzione consegue per la teologia un’eccedenza rispetto a tutte le altre scienze ivi compresa la metafisica, in quanto al suo oggetto, così formalmente determinato, possono essere attribuiti tutti i tipi di causalità (a differenza dell’ens, oggetto proprio della metafisica). Occorre però osservare che, a dispetto di questa ampiezza, la nostra teologia non si può estendere a tutte le verità conoscibili, comunque considerate, ma soltanto nella misura in cui partecipano della creazione, dell’attività ordinatrice e rettrice di Dio. Questa limitazione che Aureolo stesso si impone costituisce il modo mediante cui è possibile difendere la sua posizione di fronte all’obiezione che Gerardo da Siena gli rivolgerà, cioè quella di esagerare le possibilità della teologia, assimilandola da questo punto di vista – diremmo in termini scotisti – alla teologia in sé.
Ora, il punto di vista di Gerardo da Siena per circoscrivere i limiti e le possibilità della teologia si rivela assolutamente originale perlomeno già quanto al modo di procedere. Da un punto di vista quantitativo, osserviamo una sproporzione piuttosto evidente tra lo spazio concesso al tema da Gerardo da Bologna e Pietro Aureolo e quello che vi dedicherà invece il maestro agostiniano.
In merito alla distinzione veritativa da cui prende avvio la sua indagine, abbiamo già rilevato in sede di analisi alcune perplessità relative al rapporto tra la verità come frutto della capacità astrattiva dell’intelletto e la verità divina a cui quella dovrebbe configurarsi. Ci si domandava, non poco retoricamente, se non si inneschi una sorta di cortocircuito veritativo, a nostro avviso risolvibile soltanto mediante un’illuminazione soprannaturale dell’intelletto, che però Gerardo esplicitamente esclude a favore della semplice conformitas di ordine naturale della verità astratta con la verità divina.
Gerardo inoltre si mostra lontano dalla soluzione prospettata da Duns Scoto, poiché è assolutamente convinto che la verità astratta non dipenda affatto dal nostro modo di conoscere: se l’intelletto non procedesse per astrazione, ma avesse una conoscenza infusa – egli afferma –, la sua conoscenza scientifica terminerebbe parimenti alle forme universali astratte e non immediatamente alle realtà sensibili. In termini scotisti, ciò significherebbe però confondere una situazione di fatto con una situazione di diritto, poiché non si concede il necessario rilievo allo stato della natura umana decaduta in seguito al peccato originale840.
Una volta determinata la diversità tra le due discipline, e aver negato l’inclusione dell’oggetto della teologia in quello della metafisica, il maestro agostiniano esclude ancora che sia sufficiente ricorrere alla loro differenziazione in base ai rispettivi metodi per affermare che metafisica e teologia possano considerare la medesima verità. Se, infatti, in generale, per determinare la distinzione tra le scienze, fosse sufficiente il solo ricorso alla
diversità dei loro modi di conoscenza, pur nel riferimento a un’unica e medesima verità, allora metafisica e teologia potrebbero realmente occuparsi della verità divina, rispettivamente in quanto conosciuta naturalmente e in quanto rivelata. Egli tuttavia ritiene insufficiente questa soluzione, soprattutto perché, se così fosse, la teologia sarebbe determinata non in base all’oggetto conosciuto, ma a partire dal nostro modo di conoscerlo, cosa che Gerardo definisce assurda e in contrasto con il pensiero di Aristotele.
Metafisica e teologia possono certamente considerare una medesima verità, pur secondo differenti approcci e modalità conoscitive, ma questa verità non coinciderà mai con l’oggetto proprio di ciascuna di esse còlto sotto la medesima ragione formale. Per questa ragione, le due discipline si occuperanno di Dio considerato solo attraverso ragioni formali specifiche e non sotto una ragione formale assoluta che eliminerebbe per ciò stesso la loro differenza. Questa posizione si attesta su un punto di vista opposto rispetto a quello di Aureolo.
Ora, poiché la ragione formale dell’oggetto di una scienza non può essere determinato estrinsecamente, a partire dalla la facoltà conoscitiva dell’uomo, resta il problema di come sia possibile giustificare l’individuazione di una ragione speciale o contratta dell’oggetto a partire dall’oggetto stesso, dal momento che in Dio non si può individuare alcuna determinazione. Gerardo ribadisce che la ragione speciale è determinata a partire dall’oggetto in quanto esso termina l’atto della nostra conoscenza, e non viceversa. Ora, se Dio terminasse il nostro atto di conoscenza sotto una ragione formale assoluta, seguirebbe che la nostra teologia potrebbe estendersi a tutte le verità possibili, adeguando in ciò l’ampiezza della teologia divina.
Quanto al tema specifico dell’oggetto della teologia, esso è approfondito nel confronto con l’oggetto adeguato dell’intelletto umano. In questo contesto è possibile rilevare in particolare il secondo plesso di interesse relativo allo sviluppo in chiave gnoseologica delle questioni metateologiche: quello della possibilità del nostro intelletto e della nostra conoscenza (ex parte nostra). L’oggetto adeguato dell’intelletto – spiega Gerardo – è ciò che adegua perfettamente la sua possibilità di conoscenza secondo una proporzione perfetta. Ne consegue il rifiuto dell’opinione che la riduce alla quidditas rei materialis (Tommaso). Nemmeno il tentativo di ampliare l’orizzonte di questa possibilità sembra convincere Gerardo: prerogativa dell’oggetto adeguato dell’intelletto consisterebbe nel possedere un grado di astrazione tale da poter essere incluso in tutte le realtà conosciute. L’univocità dell’essere garantirebbe questa caratteristica (Duns Scoto). Questo ampliamento indiscriminato di orizzonte che si vorrebbe conferire alle prese dell’intelletto senza alcuna limitazione, implicherebbe l’immanenza della verità teologica nell’oggetto adeguato del nostro intelletto e, come conseguenza diretta, l’inclusione nell’oggetto adeguato del nostro intelletto non solo dell’ente creato e finito ma anche di quello increato e infinito.
Per determinare quale sia l’oggetto della teologia, Gerardo precisa anzitutto la natura di questa perfetta adeguazione tra oggetto e potenza conoscitiva. Secondo il maestro agostiniano, tale conformità assoluta possiede una natura negativa, in quanto caratterizzata da un limite che è imposto dalla possibilità di questa facoltà. Ora, il limite ultimo in cui consiste il termine dell’adeguazione e che coincide con l’oggetto adeguato stesso, è ciò in base a cui una potenza prescinde da tutto ciò che essa non può attingere, dovendo limitarsi invece a tutte le realtà poste al di qua del limite del suo oggetto. Una volta determinato
l’oggetto adeguato dell’intelletto umano nei suoi limiti e nella sua portata, Gerardo afferma che la sua ampiezza è maggiore e inclusiva rispetto all’oggetto della metafisica.
L’ultimo passaggio dell’indagine mirata a negare l’inclusione della verità teologica nell’oggetto adeguato dell’intelletto, riguarda la ragione formale attraverso la quale Dio possa essere considerato oggetto della teologia. Egli rifiuta le posizioni che tendono a individuare nella ratio absoluta deitatis la ragione formale secondo cui Dio sia il soggetto della teologia. Come Aureolo, rifiuta anche la soluzione di Duns Scoto che si appella alla distinzione tra theologia in se, il cui oggetto sarebbe Dio sub ratione absoluta, e la theologia in nobis, la quale avrebbe come oggetto solo l’ens infinitum. Per parte sua Gerardo, sulla scorta di Egidio, ritiene invece che la ratio deitatis debba essere necessariamente circoscritta, mediante qualche ragione speciale, ossia per ratione glorificatoris: è la ragione formale non assoluta dell’oggetto della teologia.
Soltanto a questo punto, cercherà di determinare se la verità rivelata, che è poi l’oggetto della teologia, possa essere inclusa nell’oggetto adeguato del nostro intelletto. Egli distingue due accezioni di oggetto adeguato, ma non fonda la distinzione sulla considerazione dell’intelletto secundum naturam/pro statu isto (Duns Scoto). Ricorre invece a una duplice considerazione di oggetto adeguato del nostro intelletto, determinata da un lato dal riferimento alla potenza naturale, dall’altro lato, invece, dal riferimento alla potenza obbedienziale mediante cui l’intelletto possibile riceve in modo soprannaturale una verità intelligibile. Nel primo caso, la veritas theologica non può essere inclusa nell’oggetto adeguato del nostro intelletto, sensibile o comunque congiunto a realtà sensibili, poiché Dio non ha cause e princìpi, e non è una realtà sensibile. Nel secondo caso, la veritas theologica invece vi sarebbe inclusa.