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Mentre in Europa già dagli anni Ottanta si vede emergere una rinnovata attenzione per le città a seguito di fenomeni di depolarizzazione imputabili all’insediamento della grande distribuzione al di fuori dei centri urbani (Moras, 2004), l’Italia è proprio in quegli anni che vede un timido inizio alla diffusione dei primi insediamenti della grande distribuzione out-of-town e non vede ancora all’orizzonte i problemi di degrado urbano.

Causa principale di questo profondo ritardo è la struttura del sistema distributivo generato dalla normativa italiana in materia di commercio vigente all’epoca152 (legge n° 426/’71) che, nata con l’intento dichiarato (o più esattamente, pubblicizzato) di “favorire una più razionale evoluzione dell’apparato distributivo” mostra invece subito i suoi limiti o almeno i limiti relativi alla sua applicazione nel concreto: una profonda incapacità di favorire lo sviluppo della rete distributiva e di modernizzarla; favorire le spinte corporative tendenti alla cristallizzazione del mercato; ostacolare l’ingresso di nuovi soggetti e di nuove esperienze produttive.

Dunque la normativa era tutta tesa a proteggere gli operatori esistenti e le formule di vendita nelle quali si identificavano (piccolo, piccolissimo dettaglio), senza tenere nella dovuta considerazione il valore della concorrenza (Bianchi, 2004).

Le nuove norme creano un numero virtualmente chiuso di negozi, senza concorrenza, con una conseguente ascesa dei prezzi e impedendo la creazione,

152 Esula da questo lavoro un’analisi dettagliata della normativa sul commercio pre e post Decreto Bersani (D.Lgs. n° 114/98). Si vuole solo fornire una sintetica fotografia del settore della distribuzione, utile ai fini della comprensione del contesto in cui operano le iniziative di

non solo di altri negozi, ma anche di Supermercati e Ipermercati a società estere con grande esperienza nella distribuzione che erano già pronte a scendere in Italia

La lobby dei commercianti sceglie così la strada della strenua difesa delle rendite di posizione, attraverso il boicottaggio dell’insediamento della grande distribuzione, invece di scegliere, in un ottica di lungo periodo, la strada dell’ammodernamento e della concorrenza.

Una strategia che si rileva perdente nel lungo periodo quando, se pur lentamente, la grande distribuzione si diffonde anche in Italia con un ritmo europeo.

Dal primo piccolo centro commerciale aperto nel 1971 si arriva nel 1997, ad un passo dall’ultima riforma del commercio, con 514 centri commerciali con una G.L.O. media di oltre 10.000 mq. (Fig. 68)153 (Zappi, 1998).

Figura 68: Diffusione Centri Commerciali in Italia

Fonte: Zappi (1998) 1 75 230 389 514 35 0 100 200 300 400 500 600 1970 1980 1985 1990 1993 1997 Anno

153 Il computo della diffusione dei centri commerciali viene condizionato dai limiti dimensionali scelti. Questo ha come risultato la presenza in circolazione di dati discordanti sull’esatta entità del fenomeno. Nonostante la probabile imprecisione, il grafico illustra comunque in maniera sufficientemente veritiera il trend dell’evoluzione di questo format.

La riforma del commercio introdotta con il D.Lgs. n° 114/98 (cd. decreto Bersani) ha rappresentato un decisivo passo avanti verso la liberalizzazione del settore.

L’elemento principale introdotto dalla riforma è dato certamente dalla rimozione di una serie di disposizioni che costituivano barriere all’entrata nel settore di nuovi operatori.

Accanto però a una liberalizzazione che porterà ad un’ulteriore crescita della GDO (con predilezione di centri di sempre maggior dimensione), per la prima volta lo Stato, di fronte ad un evidente perdita di importanza dei centri urbani ed all’incapacità del commercio urbano di reagire alla sfida con la GDO, prevede tra i compiti da delegare alle Regioni la valorizzazione della funzione commerciale al fine della riqualificazione del tessuto urbano.

Fra le principali finalità di questa legge troviamo, infatti:

- l'efficienza, la modernizzazione e lo sviluppo della rete distributiva, nonché l'evoluzione tecnologica dell'offerta (Art. 3, comma 1, lett. c);

- il pluralismo e l'equilibrio tra le diverse tipologie delle strutture distributive e le diverse forme di vendita, con particolare riguardo al riconoscimento e alla valorizzazione del ruolo delle piccole e medie imprese (Art. 3, comma 1, lett. d);

- la valorizzazione e la salvaguardia del servizio commerciale nelle aree urbane (…) (Art. 3, comma 1, lett. e);

- assicurare, nell'indicare gli obiettivi di presenza e di sviluppo delle grandi strutture di vendita, il rispetto del principio della libera concorrenza, favorendo l'equilibrato sviluppo delle diverse tipologie distributive (Art. 6, comma 1, lett. b);

- (…) valorizzare la funzione commerciale al fine della riqualificazione del tessuto urbano (…) (Art. 6, comma 1, lett. c);

- salvaguardare e riqualificare i centri storici (…) (Art. 6, comma 1, lett. d); - favorire gli insediamenti commerciali destinati al recupero delle piccole e

Le regioni quindi, nell’attuazione degli indirizzi generali stabiliti dal decreto, devono tener conto delle caratteristiche dei “centri storici, al fine di salvaguardare e qualificare la presenza delle attività commerciali e artigianali in grado di svolgere un servizio di vicinato, di tutelare gli esercizi aventi valore storico e artistico ed evitare il processo di espulsione delle attività commerciali e artigianali” (Art. 6 comma 3 lett. c).

Si è raggiunta la consapevolezza della stretta correlazione esistente tra le problematiche territoriali ed urbanistiche e la rete distributiva.

Con venti anni di ritardo rispetto ad altri paesi europei quindi, anche in Italia, il dilagare dei centri commerciali ha messo in crisi la vitalità dei centri urbani, minacciati dalla desertificazione commerciale e dal conseguente abbandono dei residenti.

E di conseguenza negli ultimi anni si è fatto sempre più vivo il dibattito sul rilancio dei centri urbani, con la necessità di garantire la sopravvivenza dei borghi cittadini, ma cercando di non ostacolare la contemporanea diffusione della grande distribuzione.

Il problema è, del resto, di tutta evidenza: sulle piazze dei centri storici delle nostre città si affacciano sempre meno negozi e attività, con il risultato che i quartieri svolgono sempre più una funzione di dormitorio, snaturando la funzione di aggregazione che è sempre stata caratteristica tipica delle città italiane (Rinaldi e Miglietta, 2005).