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3. I CONTRATTI DI QUARTIERE (CDQ)

3.2. I CDQ: teorie e considerazioni

A seguito della prima esperienza CDQI e della predisposizione dei CDQ II sono state fatte varie osservazioni relativamente non solo ai loro contenuti, ma anche alle loro metodologie e procedure.

In questo paragrafo sono approfondite alcune critiche, per focalizzare argomenti di riflessione utili per la definizione di criteri di valutazione dei CDQ.

Come è stato messo in evidenza nel capitolo precedente il ruolo del Comune nella redazione del CDQ è fondamentale, non solo in quanto promotore del Programma, ma in quanto assume una forte connotazione di coordinatore tra Enti, attori, politiche ed interessi in gioco.

Proprio questo aspetto è stato messo in discussione, infatti come sostiene V. Giandelli “Uno dei problemi più grossi è il fatto che i contratti di quartiere sono fatti dai comuni, i quali non hanno un approccio adeguato poiché, per la suddivisione in assessorati, non vi è sinergia riguardo ai temi del contratto, che deve localizzarsi dove c’è degrado urbano, fisico,sociale, umano e per questo motivo tenere conto di tutti gli investitori disponibili.” 98 Sostanzialmente la struttura organizzativa del Comune non sembra essere adeguata per assolvere alla parte di coordinatore sub partes che gli viene attribuita dal CDQ. Sarà per questo che nei CDQ II ai Comuni sono state affiancate le Regioni per creare un meccanismo di selezione meno concorsuale e più negoziato?

Nei CDQII i comuni possono reperire finanziamenti che non sono obbligatori (art.5, comma 1, lettera g), ma che forniscono punteggio nella valutazione finale del contratto. Tali finanziamenti sono però relativi alla riqualificazione edilizia, al miglioramento delle condizioni ambientali, alle opere di urbanizzazione e ai servizi alla popolazione; mentre relativamente all’integrazione sociale e all’occupazione sociale è la Regione, tramite la redazione del bando, che definisce gli eventuali finanziamenti da destinare. 99

La critica mossa ai CDQ è che l’aspetto sociale, caratteristico dei CDQ, sia messo in secondo piano, a favore di altri aspetti, per i quali esiste la possibilità di usufruire di finanziamenti alternativi; inoltre che alcune regioni abbiano a disposizioni più possibilità di finanziamento rispetto ad altre.

In questa critica però non è considerato che la Regione è motivata a reperire il più cospicuo contributo possibile e che organizzerà il bando in base, non solo a questioni economiche, ma anche in funzione delle proprie caratteristiche locali, delle emergenze, delle esigenze, delle risorse locali e delle problematiche irrisolte che più le interessa risolvere. Inoltre è ovvio che alcune Regioni potranno usufruire di certi finanziamenti “alternativi” ed altre no; ma ciò, come ripeto è legato alle peculiarità locali, e non tanto ad un segno discriminatorio verso questa o quella Regione. Inoltre il carattere concorsuale dei CDQ spinge i comuni a trovare un valore aggiunto al proprio progetto, in modo da scavalcare la concorrenza, per cui l’abilità di chi programma sta anche nel trovare investitori, pubblici o privati come partner del contratto per avvalersi di finanziamenti altrimenti inutilizzati.

Le caratteristiche dei CDQ ne fanno un programma di intervento puntuale, limitato ad una ben specifica realtà, con definite regole di attuazione e tempi brevi di compilazione e di approvazione.

Tali tematiche portano a considerarli, come del resto anche gli altri PUC, come “blandi palliativi…interventi sporadici e puntuali “per quartieri”, incapaci di produrre effetti di rigenerazione complessiva delle città, nonostante le risorse economiche e politiche attivate” 100.

98

Virginia Giandelli “Contratti di Quartiere dalla prima alla seconda generazione” in “Atti del Convegno Progetti Contratto di Quartiere II”, Università degli Studi di Padova, 16/17 Gennaio 2004

99

Virginia Giandelli, op. già citata

100

M. Savino, “Slumming. Potenzialità limiti, ed alcune questioni ancora insolute della programmazione complessa”, in “Trasformazione, innovazione, riqualificazione urbana in Italia. Archivio di Studi Urbani e Regionali, Franco Angeli Editore, 2001

Tale considerazione porta a riflettere su che ruolo abbia il CDQ, come esempio di PUC, all’interno del “governo del territorio”.

Dal dibattito innescato su tale tematica si è giunti ad una posizione tutto sommato di compromesso. Ovvero, se da una parte è vero che i PUC, sono da considerarsi come varianti di “adeguamento”al piano101, poiché in tali termini la delibera CIPE del 5 Novembre 1987 li inquadra102, “ è anche vero che essi assumono di fatto i connotati di strumento attuativo del piano generale per diventare, infine, operativi nei confronti di strategie di programmazione e pianificazione di livello territoriale.103.

In sostanza si parla di coerenza del programma con le previsioni di livello superiore o con politiche per il territorio. Tale atteggiamento, di conciliazione tra programma e piano, è “…più evidente nelle regioni che hanno definito il livello strutturale della pianificazione comunale, che individua gli ambiti strategici per la riqualificazione ed il loro ruolo urbano, rimandando però alla fase attuativa l’esatta definizione di quantità e contenuti funzionali degli intervent”i.104 (LR. Toscana 1/2005 in cui il programma complesso è visto come una delle componenti della programmazione operativa per ambiti strategici e non come uno strumento di settore).

Altra critica mossa ai CDQ è che la partecipazione ai vari livelli, spesso, non è affrontata in modo ottimale e le indicazioni che “sulla carta”(ovvero nel bando) sembrano essere sufficienti a garantire un processo partecipato e condiviso nelle scelte, obiettivi e metodi, in realtà è ridotto alla mera esplicazione di pure formalità.

In alcuni casi la partecipazione è interpretata come acquisizione di un consenso e riguarda aspetti marginali, ma non scelte strategiche. (B. Cillo) 105.

In altri, le forme di partecipazione e comunicazione sono trattate come precondizioni di successo per l’iniziativa (si distingue consultazione su progetti già elaborati da partecipazione degli abitanti fin dalle prime fasi del progetto), ma non sono di fatto questioni scontate.

All’enunciazione spesso non è seguita la “messa in opera”, anche a causa dei tempi lunghi che approcci di questa natura richiedono. 106

Quindi da un lato la rapidità di procedura del CDQ è un pregio (basti pensare che dall’emanazione del decreto ministeriale del bando di gara, alla attuazione dei programmi

101

G.Franz, “La città:Riqualificare, trasformare, rinnovare. strumenti e recenti politiche di Riqualificazione urbana”, in “Trasformazione, innovazione, riqualificazione urbana in Italia, Archivio di Studi Urbani e Regionali, Franco Angeli Editore, 2001

102

La delibera CIPE”Anticipazione della programmazione del quadriennio 1988-1991 di edilizia residenziale pubblica” e le successive delibere del 27/10/88 e del 30/07/91 interpretano iProgrammi integrati come strumento operativo del piano urbanistico attuativo e non come strumento ad esso equivalente: infatti essi riguardano l’attuazione di piani di recupero di cui all’art.28 della L. 457/78, di piani particolareggiati o altri strumenti ad essi equiparabili, ai sensi di leggi anche regionali”.

103

O. Segnalini, “I programmi complessi verso l’ordinario”, in “Programmi di Riqualificazione urbana. Azioni di programmazione integrata nelle città italiane”, L.Contardi, M.Moscato, M.Ricci (a cura di), vol II, Ministero dei Lavori Pubblici(Di.Co.Ter), INU Edizioni, Roma, 1999

104

L.Contardi, “Temi attuativi:elementi per una classificazione”, in “ I programmi di riqualificazione urbana, , Guida alla rassegna itinerante”, Ministero dei Lavori Pubblici (Di.Co.Ter),Vol II, INU e Edizioni 1997

105

B.Cillo, in “Difficoltà di attuazione di politiche urbanistiche orientate alla sostenibilità”, in Urbanistica e Informazione n°171/2000

106

occorrono 19 mesi), mentre per quanto riguarda l’attuazione di processi di partecipazione realmente efficaci sarebbero necessari tempi ben più lunghi.

Anche questo aspetto è interessante, infatti, strumenti di partecipazione dei cittadini potrebbero essere estesi non solo “all’emergenza” dell’intervento di pianificazione, ma sarebbe più efficace prevedere forme permanenti di partecipazione, come ad esempio i forum, che, costituirebbero dei veri e propri punti di riferimento per individuare le esigenze locali, le problematiche e le emergenze del luogo.

L’interpretazione di fatto di alcuni principi-chiave quali, il coinvolgimento e l’attivazione degli abitanti nella progettazione, il ricorso a risorse locali, la concertazione, la sostenibilità ambientale, non è scontata e spesso segue vie tradizionali più che innovative. Spesso la sperimentazione è risolta con consigli dettagliati di bioarchitettura, mentre restano vaghe le indicazioni relative alla dimensione sociale e relazionale degli interventi o al trattamento delle categorie sociali deboli e svantaggiate.

Il rischio (e il risultato per alcune delle esperienze passate) …è di privilegiare progetti che danno rappresentazioni semplificanti del problema urbano e garantiscono tempi di attuazione certi e di emarginare situazioni più complesse o più deboli sotto il profilo della capacità di costruire e gestire processi di intervento”107.

Altro aspetto critico dei CDQ è che la dimensione edilizia fa la parte da leone rispetto a quella urbanistica; ciò vale soprattutto per i contratti della prima tornata, in cui i progetti presentati erano sostanzialmente vecchi piani di recupero adattati alle esigenze dei CDQ. Ma le cose, almeno sulla carta, dovrebbero essere diverse per la seconda tornata; infatti c’è una diversa distribuzione dei finanziamenti che, in parte, sostengono di più le iniziative di riqualificazione sociale; inoltre, la prima esperienza di CDQ ha portato una maggiore consapevolezza e i comuni hanno ormai sviluppato una sorta di know-out sull’argomento. Inoltre non bisogna perdere di vista la natura di tali contratti, che vede nella dimensione edilizia il centro della pianificazione, ma che si estende ad altre tematiche legate allo sviluppo del territorio, per aspirare ad un intervento radicato nella realtà in cui si cala.(almeno nelle intenzioni).

Altre riflessioni108 sono maturate a seguito del primo bando nazionale, e riguardano sia aspetti procedurali sia di contenuto.

E’ stata messa in evidenza la necessità di una processualità delle scelte. Lavorare per programmi complessi significa confrontare sul campo ed in progress la fattibilità delle scelte adottate nelle diverse fasi del processo attuativo. Una procedura troppo rigida, come spesso dettata dai Programmi nazionali, disincentiva le occasioni di verifica, lasciando scarso margine ai miglioramenti possibili e perseguibili in fase progettuale e nelle verifiche in corso d’opera. Uno strumento utile a tal fine si è dimostrato il ricorso alla Conferenza di servizi tra i diversi livelli istituzionali interessati (Regione, Comuni, altri enti pubblici, aziende di servizio) che ha spesso consentito di correggere a livello finanziario ed operativo alcune disfunzioni nell’iter realizzativo.

Inoltre è confermata la necessità di prevedere, sin dall’inizio, un intervento attivo dei residenti attraverso metodi partecipativi. In numerosi CDQ gli interventi di riqualificazione

107

P. Savoldi, op. già citata. 108

Le considerazioni in merito sono contenute nel “Rapporto dal Territorio 2003” a cura di P. Properzi,, INU Edizioni S.r.l., Roma 2003

riguardano edifici abitati da residenti anziani, da famiglie o soggetti disagiati e spesso le proposte progettuali prevedono interventi da effettuare mantenendo all’interno delle case gli stessi abitanti; altri aspetti riguardano il recupero di un gap di servizi interni al quartiere, che può avvenire sia riqualificando spazi pubblici sia attraverso convenzioni per l’uso pubblico di spazi privati; una nuova accessibilità all’area, collegata a politiche di disincentivazione dell’auto; possono essere messe in atto strategie per l’inserimento di attività artigianali all’interno di spazi vuoti o in abbandono o ancora studiate forme di gestione collettiva degli spazi e di alcuni servizi pubblici (es. biblioteca di quartiere o spazi giochi per i bambini).

Queste ed altre strategie di intervento richiedono che tutto il percorso di formazione dei CDQ sia strutturato in costante confronto con i residenti ed i soggetti che utilizzeranno le strutture e gli spazi. In mancanza di tale raccordo, come accaduto in esperienze passate, si rischia di stravolgere i caratteri originari del progetto, limitandone in tal modo l’efficacia. Inoltre per sostenere una intersettorialità nelle scelte dell’ente locale è individuata nella figura del “Responsabile del Contratto”, che interloquisce con la Giunta (Sindaco) e con la Regione, una figura utile ma non sufficiente. Infatti, sarebbe necessario affiancare al Responsabile un gruppo di lavoro che faccia da tramite tra i vari assessorati a cui affidare il coordinamento delle diverse politiche (sociali, scolastiche, della mobilità, dei LL.PP., per il verde, per l’ambiente, le reti, etc.) e la responsabilità del rispetto dei tempi.

Così come avvenuto relativamente alle forme di partnership, dagli esiti migliori dei primi CDQ, sono emerse altre questioni fondamentali in tema di rigenerazione urbana, seppur non sostenute in sede di bando da riferimenti a metodologie/sperimentazioni adeguate:

- il coinvolgimento di risorse economiche private fa sì che gli ambiti privilegiati d’intervento siano quelli suscettibili di trasformazioni ad elevata redditività piuttosto che i luoghi più emarginati della città, che, viceversa, sono oggetti degli investimenti pubblici;

- la presenza, accanto ai tradizionali promotori/operatori dell’edilizia residenziale pubblica (ex IACP e cooperative edilizie), di soggetti del Terzo Settore (non esperti certo a quelle forme di co-progettazione degli interventi e dei servizi sociali che hanno trovato sistematizzazione nella L.328/2000) ha introdotto la possibilità di costruzione di proposte urbanistiche fondate sulla condivisione sociale.109

La questione intorno ai CDQ non è per niente esaurita; infatti, valutando le varie considerazioni fin qui fatte, si può dire che la fase di sperimentazione di tali strumenti è ancora in corso.

Se da un lato è confermata la condizione di episodicità dello strumento, che ne fa un caso “eccezionale” nella prassi pianificatoria, dall’altro se ne riconosce la funzionalità nell’ambito della strumentazione di riqualificazione urbana.

Proprio per questo è interessante approfondire tali argomenti per verificare le potenzialità di tali strumenti e la possibilità di nobilitarli ad interventi più consolidati nella pianificazione urbanistica, oppure di poterne migliorare le prestazioni per rappresentare uno strumento più efficace all’interno della strumentazione di riqualificazione urbana.

109

Le considerazioni in merito sono contenute nel “Rapporto dal Territorio 2003” a cura di P. Properzi,, INU Edizioni S.r.l., Roma 2003