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52 Cellule progenitrici endoteliali (EPC) come biomarker di rischio cardiovascolare

Dal momento che le EPC svolgono funzioni protettive nel contesto del sistema cardiovascolare, è intuitivo che una insufficienza numerica o disfunzione di queste, come precedentemente detto, possa promuovere lo sviluppo o la progressione delle malattie cardiovascolari 97 e il rischio di malattia aterosclerotica.

Studi clinici hanno messo in luce che la riduzione del pool di EPCs circolanti e la loro disfunzione si associano alla presenza dei classici fattori di rischio cardiovascolare quali l’età avanzata, l’ipertensione arteriosa, la dislipidemia, il fumo di sigaretta 98, e alla presenza di fattori di rischio emergenti quali l’iperomocisteinemia, l’insulino-resistenza, il diabete mellito 99 con l’obesità che costituiscono dei fattori di rischio cardiovascolari indipendenti, e di recente anche l’inquinamento ambientale (figura 28).

Figura 28 - Fattori di rischio cardiovascolari associati alla diminuzione del numero delle EPCs

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La principale caratteristica della disfunzione endoteliale è rappresentata dalla ridotta vasodilatazione endotelio-dipendente, ma un altro aspetto importante è la ridotta biodisponibilità di NO 100101.

L’NO, normalmente prodotto dal catabolismo della L-arginina ad opera di un enzima costitutivo chiamato NO-sintetasi (NOS), rappresenta il più importante mediatore della funzione endoteliale determinando una marcata azione vasodilatatrice e l’inibizione dell’attivazione piastrinica, della migrazione delle cellule muscolari lisce, dell’espressione delle molecole di adesione, dell’adesione dei monociti e della sintesi di endotelina, sostanze e meccanismi coinvolti nella patogenesi della trombosi e dell’aterosclerosi.

La sua riduzione determina vasocostrizione, aumento delle resistenze vascolari e incremento dei valori pressori, inoltre, il deficit di NO è correlato allo stress ossidativo, come dimostrato dalla maggiore eliminazione urinaria di 8-epi-PGF2 102 e dalla maggiore produzione di citochine proinfiammatorie.

Infatti, la disfunzione endoteliale rappresenta uno dei meccanismi attraverso cui i fattori di ri- schio cardiovascolare determinano un’aumentata produzione di ROS, predisponendo allo svi- luppo di aterosclerosi, instabilità di placca e trombosi 103.

L’aumento della concentrazione di ROS attiva il fattore nucleare NF-KB, determinando un au- mento della trascrizione di geni pro-infiammatori e l’espressione di molecole di adesione (E- selectina, VCAM-1, ICAM-1). In condizioni fisiologiche, l’ossido nitrico (NO) esercita un’impor- tante azione inibitoria su tale fattore 104, ma in presenza di disfunzione endoteliale, come so- vradetto, si riscontra una diminuzione della sua produzione e deficit di funzione su NF-KB. Responsabili della ridotta biodisponibilità di NO sono l’aumento della produzione dei radicali liberi dell’ossigeno (ROS) e della dimetil-arginina asimmetrica (ADMA), inibitore endogeno di NOS, insieme ad aumentati fattori vasocostrittori, quali l'endotelina1 e all’attivazione simpatica (figura 29).

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Figura 29 - Fisiopatologia della disfunzione endoteliale.

Schnabel e colleghi 105 esplorarono il valore prognostico di ADMA per quanto riguarda il rischio cardiovascolare. I livelli di ADMA del siero di base nei pazienti con malattia coronarica sono stati correlati con la morte per causa cardiovascolare o infarto miocardico non fatale, mentre non è stata osservata alcuna relazione con la morte per altre cause. Così ADMA è stato identificato come un fattore di rischio cardiovascolare indipendente, oltre i fattori di rischio tradizionali e i nuovi biomarcatori 106. A causa del suo ruolo di inibitore endogeno della sintesi dell’ossido nitrico endoteliale (eNOS), i livelli di ADMA aumentati contribuiscono quindi allo sviluppo della disfunzione endoteliale e della malattia coronarica, e compromettono la rigenerazione endogena dei vasi sanguigni causando uno sviluppo progressivo delle lesioni vascolari 105. È stata inoltre dimostrata una correlazione inversa tra concentrazione plasmatica di ADMA e livello di EPCs circolanti nei pazienti con malattia coronarica. Studi in vitro hanno dimostrato il ruolo di ADMA come inibitore endogeno della mobilizzazione, differenziazione e funzione di EPC, per cui il rischio cardiovascolare aumentato nei pazienti con elevati livelli di ADMA, può essere spiegato da bassi valori numerici e dalla funzione compromessa dell'EPC. Uno dei principali fattori di rischio cardiovascolare è l’invecchiamento. Dati presenti in letteratura suggeriscono che l’età può incidere sulla disponibilità e sulla funzionalità delle EPC

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107108109.

In un ampio studio di popolazione, il numero di EPC in coltura si riduceva con l’avanzare dell’età, e risultava direttamente correlato alla presenza dei fattori di rischio cardiovascolare (ipertensione, trigliceridi, emoglobina glicata) e del Framingham risk score 110.

Tra i diversi fattori di rischio, l’ipertensione sembra essere il più potente predittore del deterio- ramento della capacità migratoria delle EPC. L’angiotensina II diminuisce l’attività telomerasica nelle EPC ed accelera la senescenza attraverso un incremento dello stress ossidativo. È stato infatti visto che l’eccesso di angiotensina II o di aldosterone riducono la generazione di EPC. È stata osservata una lieve ma significativa riduzione delle EPC circolanti anche in soggetti apparentemente sani, ma che presentavano un elevato spessore medio-intimale a livello della carotide. Ciò sta ad indicare che la riduzione delle EPCs correla in maniera inversa con lo spessore medio-intimale carotideo confermando ancora una volta il significato della riduzione delle EPCs sul rimodellamento vascolare e che le alterazioni delle EPC sono un evento pre- coce e precedono lo sviluppo clinico dell’aterosclerosi 111. Inoltre, i pazienti con malattia vasco- lare aterosclerotica manifestano un’ulteriore diminuzione dei livelli di EPC (CD34+/KDR+ e CD34+) rispetto ai pazienti senza segni di aterosclerosi conclamata, a parità di fattori di rischio 112.

Si può quindi ritenere che il livello delle EPC circolanti rispecchi la storia naturale e la fisiopa- tologia della malattia aterosclerotica, dalla comparsa dei fattori di rischio allo sviluppo delle sindromi cliniche 97.

È stato dimostrato che la riduzione delle EPCs assume un significato prognostico per eventi cardiovascolari futuri. Tale evidenza è emersa in pazienti con malattia cardiovascolare, sindrome metabolica o nefropatia.

Nel lavoro di Werner e coll. 113, pubblicato su New England Journal of Medicine nel 2005, in cui sono stati arruolati 519 pazienti studiati al momento dell’esecuzione di una coronarografia, si evinse che la presenza di un livello di EPC (CD34+/KDR+) nel terzile inferiore della distribuzione era associata a un aumento del 52% dell’incidenza di un primo evento cardiovascolare, maggiore rispetto alla presenza di un livello di EPC nel terzile superiore. Questo primo studio, condotto su una popolazione “cardiologica” altamente selezionata, dimostrava per la prima volta il significato prognostico negativo del basso livello di EPC circolanti (figura 30).

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