Capitolo II. Dal diritto alla tecnica: prove di dialogo
2. Le linee guida di buona pratica clinica nella sperimentazione dei farmaci
2.1. Cenni generali e chiarimento del concetto di sperimentazione clinica
Il primo dei settori individuati ai fini dell’analisi del fenomeno delle norme tecniche è quello della sperimentazione clinica dei farmaci. Prima di procedere all’analisi del quadro normativo, e all’individuazione al suo interno delle norme rilevanti, è necessario svolgere alcune precisazioni in relazione al concetto di sperimentazione clinica, sia dal punto di vista definitorio, che per quanto riguarda le problematiche ad esso sottese sul piano etico e giuridico.
A livello normativo, la definizione di sperimentazione clinica è attualmente posta dall’art. 2, c. 1 lett. a) del d. lgs. 24 giugno 2003, n. 211130, e ricomprende “qualsiasi
studio sull’uomo” finalizzato non solo “a scoprire o verificare gli effetti clinici, farmacologici e/o altri effetti farmacodinamici di uno o più medicinali sperimentali”, comprese eventuali reazioni avverse, ma più in generale studiarne “l’assorbimento, la distribuzione, il metabolismo e l’eliminazione”, con la finalità di accertarne in primo luogo la sicurezza e l’efficacia131. La sperimentazione sull’uomo costituisce la fase
centrale del complesso procedimento che porta alla commercializzazione di nuovi farmaci: essa segue infatti la conclusione della sperimentazione in laboratorio (pre-
130 D. lgs. 24 giugno 2003, n. 211, “Attuazione della direttiva 2001/20/CE relativa all’applicazione della buona pratica clinica nell’esecuzione delle sperimentazioni cliniche di medicinali per uso clinico” in G.U. n. 184 del 9 agosto 2003, suppl. ordinario n. 130.
131 Sul piano terminologico, va peraltro precisato che se finora “sperimentazione clinica” e “studio clinico” erano considerati sinonimi (si veda il punto 1.12 del d.m. 15 luglio 1997), il regolamento n. 536/2014, di prossima entrata in vigore, considera la prima quale sottocategoria del secondo, e la differenzia dagli “studi non interventistici”. Con “studio clinico” si intende quindi “qualsiasi indagine effettuata in relazione a soggetti umani volta a: a) scoprire o verificare gli effetti clinici, farmacologici o altri effetti farmacodinamici di uno o più medicinali; b) identificare reazioni avverse di uno o più medicinali; oppure, c) studiare l’assorbimento, la distribuzione, il metabolismo e l’eliminazione di uno o più medicinali” (art. 2, c. 2, 1)). Sperimentazione clinica è invece esclusivamente lo studio clinico in cui, alternativamente “a) l’assegnazione del soggetto a una determinata strategia terapeutica è decisa anticipatamente e non rientra nella norma di pratica clinica dello Stato membro interessato; b) la decisione di prescrivere i medicinali sperimentali e la decisione di includere il soggetto nello studio clinico sono prese nello stesso momento; c) sono applicate ai soggetti procedure diagnostiche o di monitoraggio aggiuntive rispetto alla normale pratica clinica” (art. 2, c. 2, 2). Gli “studi non interventistici” (o osservazionali) sono invece quelli in cui i medicinali sono prescritti conformemente alle indicazioni dell’autorizzazione all’immissione in commercio, e in cui l’assegnazione del paziente ad una determinata strategia terapeutica non è decisa in anticipo in base ad un protocollo di sperimentazione, ma rientra nella normale pratica clinica, e la decisione di prescrivere il medicinale è indipendente da quella di includere il paziente nello studio (cfr. art. 2, c. 1, lett. c), d. lgs. 211/2003).
clinica), svolta in vitro o in vivo su animali, e, qualora dia esiti positivi, sfocia nella richiesta di autorizzazione all’immissione in commercio132.
Le problematiche poste da tale procedimento sono in parte note, e ruotano attorno a tre poli, fra loro strettamente collegati: la salute e la dignità dei soggetti che si sottopongono alla sperimentazione, la libertà di ricerca scientifica e l’autonomia decisionale propria della professione medica, e infine i consistenti interessi economici legati al mercato farmaceutico, dato l’impegno assai rilevante, tanto in termini di tempo quanto in termini di risorse e strutture, che la sperimentazione richiede. Dall’intreccio dei tre scaturiscono innanzitutto le questioni legate al consenso informato e alla necessaria solidità scientifica e metodologica della ricerca133, che
costituiscono condizioni indispensabili per l’ammissibilità, anche sul piano etico, della sperimentazione.
In secondo luogo, il fatto che la messa a punto di nuove specialità farmaceutiche sia in larga parte riconducibile al settore privato, pone da un lato il problema dei c.d. farmaci orfani, ossia di quelli diretti alla cura di malattie rare, il cui sviluppo è scarsamente appetibile in ragione degli incerti profitti da essi ricavabili; dall’altro il
132 Per una schematica descrizione delle diverse fasi attraverso cui si snoda la messa a punto di nuovi farmaci, si veda M. Di Muzio, L.M. Borgia, Le fasi della sperimentazione clinica, in L.M. Borgia (a cura di), Manuale di Bioetica per la sperimentazione clinica e i Comitati Etici. Conformità ai principi nelle normative e nei modelli operativi della ricerca, Torino 2008, p. 201 e ss. Pur premettendo che “non è possibile tracciare confini precisi tra le singole fasi, ed esistono al riguardo opinioni discordi sui dettagli e sulla metodologia”, l’allegato 2 del d.m. 27 aprile 1992 riporta la seguente classificazione delle fasi attraverso cui si snoda la sperimentazione: “a) Fase I. Primi studi su un nuovo principio attivo condotti nell'uomo spesso su volontari sani. Lo scopo è quello di fornire una valutazione preliminare sulla sicurezza ed un primo profilo della farmacocinetica e della farmacodinamica del principio attivo nell'uomo.
b) Fase II. Studi terapeutici pilota. Lo scopo è quello di dimostrare l’attività e di valutare la sicurezza a breve termine di un principio attivo in pazienti affetti da una malattia o da una condizione clinica per la quale il principio attivo è proposto […].
c) Fase III. Studi su gruppi di pazienti più numerosi (e possibilmente diversificati) al fine di determinare il rapporto sicurezza/efficacia a breve e lungo termine delle formulazioni del principio attivo, come pure di valutarne il valore terapeutico assoluto e relativo. […] Generalmente le condizioni degli studi dovrebbero essere il più possibile vicine alle normali condizioni di uso”. La fase IV è invece successiva alla commercializzazione: “Studi condotti dopo la commercializzazione del(i) prodotto(i) medicinale(i), anche se sulla definizione di questa fase non vi è un completo accordo. […] Secondo i casi, gli studi di fase IV richiedono condizioni sperimentali (che includono almeno un protocollo) simili a quelle sopra descritte per gli studi pre-marketing […]”. Per una panoramica della procedura di autorizzazione all’immissione in commercio, si rinvia alla nota n. 146. 133 Per alcune considerazioni sul rapporto di reciproca implicazione che sussiste tra eticità e attendibilità della ricerca, si veda W. Gasparri, Libertà di scienza, ricerca biomedica e comitati etici, in Diritto Pubblico, 2/2012, p. 540 e ss. Cfr. anche l’art. 2, c. 2 e 3 della direttiva 2005/28/CE.
problema di possibili interferenze e conflitti di interessi tra aziende farmaceutiche, ricercatori e soggetti sottoposti alla sperimentazione134.
Infine, un’ulteriore particolarità che la disciplina giuridica della sperimentazione deve tenere in considerazione è quella legata alla necessità di rispettare gli spazi di autonomia della ricerca clinica, indispensabili non solo per un suo pieno dispiegamento, ma anche per l’esercizio della professione medica stessa135.
Da tali questioni di ordine generale poste dalla disciplina “ordinaria” delle sperimentazioni cliniche, su cui si concentrerà l’attenzione, vanno tenute distinte quelle relative a discipline particolari, aventi sì ad oggetto l’impiego di farmaci in via di sperimentazione, ma legate a particolari esigenze di cura: fra queste si ricordano in particolare l’uso speciale dei farmaci ai sensi della l. 648/1996136 e il c.d. uso
compassionevole137, nonché le vicende, pur assai significative, del “Multitrattamento
di Bella”138 e del “Metodo Stamina”139.
134 Su questo aspetto si vedano C. Seife, Is drug research trustworthy? How drug company money is undermining science, in Scientific American, vol. 307, 6, 2012, pp. 56-63; R. Gatter, Conflicts of Interest in International Human Drug Reserach and the Insufficiency of International Protections, in American Journal of Law and Medicine, 32, 2006, 351-354. La dottrina nordamericana è più sensibile al problema del conflitto di interessi rispetto a quella europea, e in particolare italiana, maggiormente concentrata sulle tematiche legate al consenso informato.
135 Tali questioni assumono peraltro declinazioni differenti a seconda che si tratti di sperimentazione “pura”, svolta cioè su volontari sani, o “terapeutica”, nel qual caso la sperimentazione del nuovo farmaco si interseca con la cura del soggetto malato. Sui diversi problemi posti dalla sperimentazione terapeutica e da quella pura, si vedano E. Palermo Fabris, La sperimentazione clinica: profili giuridici, in L. Lenti, E. Palermo Fabris, P. Zatti, I diritti in medicina, Milano 2011, p. 647, A. Manna, Sperimentazione medica, in Enc. Dir., aggior., vol. IV, Milano 2000, p. 1122 e ss, e M. Portigliatti Barbos, Sperimentazione medica, in Dig. Disc. Pen., Vol. XIII, UTET, 1997, p. 549.
136 Legge 23 dicembre 1996, n. 648, Conversione in legge del decreto-legge 21 ottobre 1996, n. 536, recante misure per il contenimento della spesa farmaceutica e la rideterminazione del tetto di spesa per l’anno 1996, in G.U. n. 300 del 21 dicembre 1996. Vi si prevede, in caso di assenza di un’alternativa terapeutica valida, previo parere e indicazione delle modalità e delle condizioni di uso della Commissione Unica del Farmaco (ora sostituita dalla Commissione consultiva Tecnico-Scientifica dell’Agenzia Italiana per il Farmaco - AIFA) l’erogazione a carico del Sevizio Sanitario Nazionale di medicinali innovativi in commercio in altri Stati, ma non sul territorio nazionale, di medicinali non ancora autorizzati ma in corso di sperimentazione e di medicinali da impiegare per una indicazione terapeutica diversa da quella autorizzata (uso off-label).
137 Si tratta della disciplina contenuta nei D.M. 8 maggio 2003 (poi modificato dal D.M. 7 novembre 2008) e 5 dicembre 2006, che consentono l’accesso a terapie sperimentali (senza però prendere parte al procedimento di sperimentazione) a pazienti affetti da malattie gravi, rare o che si trovino in pericolo di vita, qualora, a giudizio del medico, non vi siano valide alternative terapeutiche.
138 Su cui si veda la l. 8 aprile 1998, n. 94, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 17 febbraio 1998, n. 23, recante disposizioni urgenti in materia di sperimentazioni cliniche in campo oncologico e altre misure in materia sanitaria, in G.U. n. 86 del 14 aprile 1998, e il successivo intervento della Corte costituzionale con sent. n. 185/1998; per alcune considerazioni sulla vicenda si rinvia a T. Groppi, La Corte costituzionale tra “fatto legislativo” e “fatto sociale”, in Giur. Cost., 1998, pp. 2798-2805 e a P. Giangaspero, Il diritto alla salute e la sperimentazione clinica in una “additiva di principio” anomala, in Giur. Cost., 1998, pp. 2805-2817.