• Non ci sono risultati.

Cenni storici sul gioco d’azzardo

“Puote omo avere in sè man violenta e ne’ suoi beni; e però nel secondo giron conviene che sanza pro si penta qualunque priva sè del vostro mondo biscazza e fonde la sua facultade, e piange là dov’esser de’ giocondo”

Dante Alighieri

Le origini del gioco d’azzardo sono antichissime in quanto fenomeno collegato agli elementi magici e superstiziosi propri della razionalità delle culture premoderne e che, in qualche modo, caratterizzavano e caratterizzano tuttora ancora la natura umana. Mercurio, giocando con la Luna, riesce a vincere un po’ della sua luminosità e quei cinque giorni che si andranno a sommare ai 360 dell’anno e che verranno celebrati come il compleanno degli dei. Si risale addirittura all’anno 2300 a.C. e all’antica Cina dove si scommetteva sul vincitore del gioco Wei ch’i, una scacchiera e due eserciti rappresentati da dischi bianchi e neri che si combattevano per conquistare il campo di battaglia.347

Fin dalle sue origini l’uomo ha avvertito la necessità di predire il futuro e nell’antichità, quando concetti come “giustizia”, “legge”, “sorte” e “religione” si intersecavano e si sovrapponevano, l’uomo affidava importanti decisioni al fato, ritenendolo emanazione della volontà degli dei. Anche eventi inspiegabili venivano fatti risalire al caso ed al gioco: nella tradizione egizia l’origine delle stelle veniva ricondotta ad una “partita” tra divinità. Allo stesso modo un mito greco narra che Zeus e i suoi fratelli si sarebbero spartiti l’universo a dadi. 348

L’“azzardo” nacque quando “indovinare” un evento futuro, da pratica esclusiva di indovini e sacerdoti, divenne anche occasione di “sfida” tra uomo e “fato”, e tra uomo e uomo.

347 Cfr. Salvadori G., Il gioco d’azzardo patologico, pubblicato a marzo 2011 su I profili dell’abuso. Profiling, sul

giornale scientifico a cura dell’O.N.A.P. – Osservatorio Nazionale Abusi Psicologici: http://www.onap-profiling.org/il- gioco-dazzardo-patologico/

348 Cfr. Centro Studi Gruppo Abele, “Il gioco d’azzardo nella storia”, pubblicato sul sito web

www.centrostudi.gruppoabele.org nella sezione gambling a ottobre 2008: il Centro Studi, Documentazione e Ricerche dell’Associazione Gruppo Abele di Torino, grazie ad un finanziamento dell’ex Ministero della Solidarietà Sociale e alla collaborazione con ALEA (Associazione per lo studio del gioco d'azzardo e dei comportamenti a rischio), ha realizzato una corposa banca dati sul gioco d’azzardo all’interno di un ampio progetto di documentazione e ricerca sociale.

164

Giocare d’azzardo divenne dunque una pratica sociale in quanto furono stabilite delle regole e delle poste in palio, un fenomeno di notevole rilevanza sociale, oggetto di narrazioni letterarie e di regolazione politica; dall’antichità ad oggi, ha conosciuto periodi storici caratterizzati da politiche proibizionistiche alternati a periodi di maggiore tolleranza. Già nell’antica Grecia il gioco d’azzardo era così diffuso che fu proibito per un certo periodo, dal momento che la sua pratica dava origine a gravi problemi di ordine sociale. Platone stesso era preoccupato dal suo diffondersi: «L’abitudine al gioco non è poca cosa», sosteneva. 349

I dadi da gioco derivano dagli “astragali”, frammenti di ossa, pietre o altri materiali, utilizzati dagli indovini egizi (come gli “aruspici” dell’antica Roma) per interrogare il fato. Nella Roma antica il gioco d’azzardo era severamente proibito, sanzionato con pene che andavano dalla contravvenzione in denaro, che poteva arrivare sino a 4 volte la posta, all’esilio. Era consentito giocare d’azzardo solamente durante i Saturnali, il carnevale romano in onore del dio Saturno, durante il mese di dicembre. Seppure la proibizione non riguardasse le scommesse sportive quali le corse dei carri e i combattimenti dei gladiatori, la passione per l’azzardo era forte e in barba ai divieti l’antico romano giocava tutto l’anno grazie agli osti compiacenti e agli scarsi controlli degli Edili. Lo scrittore satirico Giovenale, agli inizi del II secolo, si doglie della decadenza dei costumi del suo tempo riferendosi alla diffusione del gioco d’azzardo verso il quale moliti dei suoi concittadini erano assiduamente dediti (Giovenale, Satire, Libro I), esprimendosi con le seguenti parole:

“Quando mai la pienezza di vizi si è manifestata con più abbondanza? Quando mai si è ceduto tanto alla avidità? Quando mai è stata forte la mania del gioco? Ormai non si va più al tavolo da gioco solo col borsellino, no! Ci si porta dietro tutti i propri averi!”.350

Nella Roma Imperiale il gioco occupava una posizione rilevante, sia nella vita dei ricchi, sia inquella dei cittadini comuni: sui combattimenti dei gladiatori era possibile scommettere con puntatechiamate “munera” e gli imperatori Claudio, Nerone e Caligola, avevano la fama di essere grandi scommettitori. La propensione al gioco dei nostri avi è tuttora testimoniata da insegne, trovate indiverse taverne romane recanti la scritta panem et circenses, scommesse e giochi. Tacito racconta che, nello stesso periodo, presso le popolazioni

349 Ibidem.

165

germaniche, si arrivava anche a mettere in gioco lamoglie, i figli, e persino la propria libertà.351

Proprio in una partita a dadi i soldati romani si giocarono la tunica di Gesù, come narra l’evangelista Giovanni (Giov. 19,23-24): “I soldati, quand’ebbero crocifisso Gesù, presero

le sue vesti e ne fecero quattro parti, una per ciascun soldato, e anche la tunica. Ma la tunica era senza cucitura, tessuta dalla parte superiore tutta di un pezzo. Dissero dunque fra di loro: Non dividiamola, ma tiriamo a sorte di chi sarà. È così che si compì la Scrittura che aveva detto: Si sono spartite fra loro le mie vesti. E per il mio vestito hanno tirato la sorte.”: da questo evento è stato tratto il romanzo The Robe di Lloyd del 1961 e il

famoso omonimo film (in italiano La Tunica), prima pellicola in cinescope.

Nei diversi periodi storici, l’atteggiamento nei confronti del gioco d’azzardo è cambiato più volte, alternando fasi di permissivismo ad altre di proibizionismo. Croce e Zerbetto osservano che negli ultimi due millenni, emerge come la competenza e la condanna del gioco (e dei giocatori) sia stata in un primo momento di pertinenza religiosa (giocare è peccato), diventando quindi di dominio e preoccupazione del diritto (giocare è reato), mentre ora appaia sempre più di dominio della medicina e della psicologia (giocare, se in modo compulsivo, è malattia).352

L’introduzione del gioco delle carte in Europa risale al 1350: alla diffusione capillare di questo tipo di giochi seguì una dura condanna da parte di giuristi e predicatori. Alla stessa epoca risalgono testimonianze di roghi pubblici di carte da gioco in molte piazze europee.Nel Medio Evo si assistette alla prima “demonizzazione” del gioco d’azzardo, largamente praticato. Nel 1212 il consiglio Lateranense proibì il gioco d’azzardo, esso era considerato sacrilego in quanto rappresentava un rivolgimento al divino o al maligno al fine di ottenere risultati. Dante Alighieri, nella Divina Commedia (Inferno, Canto XI), relega i giocatori nel secondo girone del settimo cerchio dell’Inferno, assieme ai suicidi, in quanto entrambi hanno peccato di violenza contro se stessi.

La pena per i giocatori d’azzardo è di correre nudi, inseguiti e sbranati da cagne. Scrive Dante: “Puote omo avere in sè man violenta / e ne’ suoi beni; e però nel secondo /

351 Cfr. Codacons, Il gioco d’azzardo. Le ludopatie, Gruppo Markonet, Milano, 2011, pag. 17. 352 Cfr. Croce M. e Zerbetto R. (a cura di), Il gioco & l’azzardo, Angeli, Milano, 2001.

166

gironconviene che sanza pro si penta / qualunque priva sè del vostro mondo / biscazza e fonde la sua facultade, e piange là dov’esser de’ giocondo”. 353

Un grande nemico di qualunque forma di gioco d’azzardo era il predicatore cattolico e francescano San Bernardino da Siena, vissuto a cavallo fra il XIV e il XV secolo, che utilizza l'immagine del gioco come una specie di antichiesa fondata dal diavolo specularmente a quella cristiana, per contrastarla: “... poi [il diavolo] volse fare i cardinali, e sono quelli che vendono le baratterie. Vescovi sono chi compra le baratterie, e anco barattieri e giocatori. El vicario si sono i bari e la berta... le pievi sono le taverne e i postriboli. I popoli so'll briachi che vanno a tali chiese contrari a Dio”.354

Nel 1425 San Bernardino fece bruciare nella pubblica piazza di Siena, assieme agli oggetti di vanità femminile, anche quelli relativi all’azzardo, come gliscacchi, scacchieri, tavolieri, carte e dadi.

La severa condanna del gioco d'azzardo da parte della Chiesa nell’età medievale era dovuta al fatto che il gioco avrebbe potuto indurre a pratiche superstiziose, all’allontanamento dell’uomo dalla Chiesa, a peccati più gravi, quali la prodigalità, la frode, la violenza, l'adulterio, la bestemmia, alla rovina dei singoli e delle famiglie; e sarebbe stato occasione di vanità, di menzogne, di dissolutezze.

Il gioco dei dadi, e la sua origine “diabolica”, sono citati in diverse celebri opere letterarie, come “Gargantua e Pantagruel” (1532-34) di F. Rabelais. Il filosofo Tommaso Moro propose nella sua celebre “Utopia” (1516) l’estirpazione totale del gioco d’azzardo in ogni sua forma. Nonostante i tentativi di estirpazione e condanna, il gioco continuò a essere una pratica diffusa, inserita nell’immaginario collettivo e nella quotidianità delle persone dell’epoca rinascimentale e moderna.

Dal XVI secolo, nel Regno Unito come nel resto dell’Europa, divennero molto popolari le lotterie. Il gioco del lotto venne legalizzato in Italia nel 1576 a Genova, aseguito di una lunga tradizione non riconosciuta di scommesse su una miriade diavvenimenti come l’esito dell’elezioni del Doge, i matrimoni o il sesso del nascituro.355

353 Cfr. Invernizzi L., Il gioco d’azzardo nella Divina Commedia: la zara e gli scialacquatori, pubblicato sul sito web

http://casinotop10.it/ il 5 /12/2014: http://casinotop10.it/il-gioco-d-azzardo-nella-divina-commedia-la-zara-e-gli- scialacquatori

354

Cfr. San Bernardino Da Siena, Le prediche volgari del 1425 in Siena, a cura di C. Cannarozzi, Firenze, 1958, I, p. 179 e sgg.

355 Cfr. De Sanctis Ricciardone P., Il tipografo celeste: il gioco del lotto tra letteratura edemologia nell'Italia dell'Ottocento e oltre, Bari, Edizioni Dedalo, 1987.

167

Ciò che è indubbio è che dal XVI secolo, in tutta l’Europa e negli Stati Uniti, è che il gioco d’azzardo venne legalizzato in funzione di raccolta difondi in favore dello Stato e la disapprovazione morale per il “vizio” del gioco diffuso nell’opinione pubblica divenne secondaria di fronte al giro di affari legato al gioco: come osserva Ladouceur, “Nella misura in cui i giochi d’azzardo sono stati visti dai governanti come una fonte inattesa e quasi inesauribile di fondi, hanno acquisito una specie di ‘patente di nobiltà” 356. Tra il 1714 e il 1729, più della metà delle chiese di Parigi vennero restaurate tramite gli introiti delle lotterie e, negli Stati Uniti, per facilitare la nobile missione della ricerca scientifica, dellosviluppo delle arti e delle lettere, le Università di Harvard, di Yale e di Columbia, solo per citarne alcune, sono state in parte finanziate da una lotteria, e, in parte, hanno essestesse organizzato delle lotterie per raccogliere fondi”.357Nel 1566 la regina Elisabetta I istituì la prima lotteria nazionale riconosciuta dallo Stato, mentre, in Italia, nel 1638 apriva il Ridotto di Venezia, la prima casa da gioco istituita e gestita dallo Stato. Nel 1665 venne aperto il primo ippodromo, a Hempstead Plains, New York. Probabilmente all’epoca nessuno avrebbe potuto immaginare l’importanza che l’ippica avrebbe progressivamente rivestito nello scenario dell’azzardo, né che l’ippodromo sarebbe diventato luogo di improvvisa creazione o dissipazione di interi patrimoni.

Nel 1731 in Italia, però, al tempo di Clemente XII, la Chiesa trasformò il lotto in gioco di stato. Il monopolio sul gioco d’azzardo diventa una grossa risorsa finanziaria per arricchire l’Erario e compensare i deficit statali. Croce scrive infatti che oltre al paradigma morale del gioco come vizio dei più deboli, a quello psicoanalitico della malattia e a quello legale del gioco come reato, si può rintracciare un paradigma economico, in cui “il gioco è business. Produce ricchezza, porta lavoro, ricchezza e profitto alle comunità locali e, da non ultimo, legalizzandolo si può togliere risorse alla criminalità”358.

Nel 1830 si scatenò in Europa un’ondata repressiva contro il gioco d’azzardo, chiusero casinò, ippodromi e lotterie e si moltiplicarono le bische clandestine. Il peggioramento della situazione, determinato dalla clandestinità del fenomeno, impose alle autorità una parziale “marcia indietro”: il gioco d’azzardo tornò a essere legale, ma con maggiori restrizioni.

356

Cfr.Ladouceur R., Sylvain C., Boutin C., Doucet C., Montréal, Ed. de l’Homme, 2000, pag. 6.

357 Ibidem.

358 Cfr. Croce M., “Gioco d’azzardo e psicopatologia:la difficile inclusione”, in Lavanco G., Psicologia del gioco d’azzardo, McGraw-Hill, Milano, 2001, pag. 66.

168

Nello stesso periodo, il neonato Stato Italiano, con il Regio Decreto n. 1524 del 1863, legalizzò il Lotto che divenne il primo gioco d’azzardo nazionale.

L’invenzione del telegrafo duplex nel 1872 rese possibile la trasmissione dei risultati delle corse in tempo quasi reale. Gli scommettitori potevano quindi “puntare” anche senza recarsi sui luoghi delle corse.

Durante il XIX secolo in Europa, l’azzardo conobbe una grande diffusione, nonostante le politiche repressive attuate dai governi e il fatto che fosse relegato a tradizionali e circoscritti luoghi di gioco quali, ad esempio, il casinò, il caffè concerto oppure l’ippodromo per la classe borghese, la bisca clandestina e la ricevitoria del lotto per le classi popolari. Stava crescendo, tuttavia, la consapevolezza sugli aspetti degenerativi e morbosi dell’eccesso di gioco e ciò è reso evidente dalla produzione letteraria del tempo che, come spesso accade, è lo specchio della coscienza dei tempi e l’epifenomeno dei mutamenti sociali, economici e culturali.

Dalla letteratura del XIX secolo, e in particolare dai romanzieri veristi, emerge una curiosità di particolare interesse e fu Antonio Gramsci che la scoprì: quest’ultimo notò come la famosa definizione di “oppio dei popoli” applicata da Marx alla religione derivi, in realtà, da un brano di Balzac sulle lotterie.

Il romanziere francese, infatti, stabilì l’equazione lotto/droga a proposito dell’abitudine di M.me Descoing di giocare al lotto sempre un certo terno e scrive, nell’opera La

Rabouilleuse: “Cette passion, si universellement condamneé, n’a jamais été etudiée.

Personne n’ya vu l’opium de la misère. La loterie, la plus puissante fée du monde, ne développait-elle pas des espérances magiques?”

Gramsci che, dedica peraltro diverse pagine dei Quaderni al Lotto, viene colpito dalla suggestiva somiglianza della definizione del Lotto di Balzac con quella nota di religione che Marx espresse nella Introduzione a Per la critica della filosofia del diritto di Hegel. Marx avrebbe quindi tratto ispirazione dal passo de La Rabouilleuse per comporre la storica frase: “Essa (la religione) è l’oppiodei popoli”. In Balzac l’equiparazione del Lotto ad una forma di fede (“la plus puissante du monde”) è chiaramente esplicitata e, come tutte le fedi, libera quelle speranze magiche di riscatto dalla miseria e di conquista di benessere e si è molto vicini alle espressioni come “protesta contro la miseria reale”, a quel “sospiro della creatura

169

espressa”, a quel “cuore di un mondo spietato”, a quella “illusoria felicità” che è la religione per Marx.359.

La letteratura dell’Ottocento produce, inoltre, il romanzo capolavoro Il giocatore (in russo:

Игрок, Igrok) di Fëdor Dostoevskij, pubblicato nel 1866, e scritto in poco meno di un mese

accettando un contratto capestro, proprio a causa della stringente necessità, da parte dello scrittore, di dovere pagare dei debiti di gioco.

Con le tinte del suo fine psicologismo, Dostoevskij descrive sapientemente il comportamento, gli stati emotivi di febbrile eccitazione, spregiudicatezza e depressione e i meccanismi psicologici di difesa del giocatore compulsivo; analizza il gioco d'azzardo in tutte le sue forme con i diversi tipi di giocatori, dai ricchi nobili europei, ai poveretti che si giocano tutti i loro averi, ai ladri tipici dei casinò ed è anche uno studio delle diverse peculiarità delle popolazioni europee: la severità del barone tedesco, la vanità del conte italiano, il ricco gentleman inglese e il francese manipolatore.

In Italia, la napoletana Matilde Serao, scrittrice, giornalista e fondatrice de “Il Mattino” e acuta osservatrice della realtà popolare di Napoli, descrive con la sua opera inchiesta “Il

ventre di Napoli”, la speranza riposta, specialmente dai soggetti più poveri, nel gioco del

lotto, definito l’acquavite di Napoli, in quanto, come questa bevanda alcolica, anestetizza le menti dei napoletani, tormentati dalle ansie e dalle fatiche quotidiane, offrendo, a portata di tutti, il sogno della grande vincita, di un riscatto: “... Ebbene, il popolo napoletano rifà ogni settimana il suo grande sogno di felicità, vive per sei giorni in una speranza crescente, invadente, che si allarga, si allarga, esce dai confini della vitareale: per sei giorni, il popolo napoletano sogna il suo grande sogno, dove sono tutte le cose di cui èprivato, una casa pulita, dell'aria salubre e fresca, un bel raggio di sole caldo per terra, un lettobianco e alto, un comò lucido, i maccheroni e la carne ogni giorno, e il litro di vino, e la culla pel bimbo e la biancheria per la moglie e il cappello nuovo per il marito.Tutte queste cose che la vita reale non gli può dare, che non gli darà mai, esso le ha, nellasua immaginazione, dalla domenica al sabato seguente; e ne parla e ne è sicuro, e i progetti sisviluppano, diventano quasi quasi una realtà, e per essi marito e moglie litigano o si abbracciano.

Alle quattro del pomeriggio, nel sabato, la delusione è profonda, la desolazione non halimiti: ma alla domenica mattina, la fantasia si rialza, rinfrancata, il sogno settimanale

359Cfr. http://www.vita.it/noslot/gioco-se-la-vera-posta-la-vita.html, articolo “Se la vera posta è la vita” di Alessandro

170

ricomincia. Illotto, il lotto è il largo sogno, che consola la fantasia napoletana: è l'idea fissa di quei cervelliinfuocati; è la grande visione felice che appaga la gente oppressa; è la vasta allucinazione che siprende le anime... [...]... il lotto è una delle più grandi speranze: speranza di redenzione... [...]...Ma come tutti i sogni troppo pronunziati, il lotto conduce alla inazione ed all'ozio: come tutte le visioni, esso porta alla falsità e alla menzogna; come tutte le allucinazioni, esso conduce allacrudeltà e alla ferocia; come tutti i rimedi fittizi che nascono dalla miseria, esso produce miseria,degradazione, delitto.Il popolo napoletano, che è sobrio, non si corrompe per l'acquavite, non muore di deliriumtremens; esso si corrompe e muore pel lotto. Il lotto è l'acquavite di Napoli ... [...]... Il popolo napoletano giuoca per quanto più ha denaro. Per quanto sia povero, trova sempre sei soldi, mezza lira, al sabato, da giuocare; ricorre a tutti gli espedienti, inventa, cerca, finisce per trovare. La sua massima miseria non consiste nel dire che non ha pranzato, consiste nel dire: Nun,m'aggio potuto jucà manco nu

viglietto; chi ascolta, ne resta spaventato.” Matilde Serao conclude la sua narrazione con la

descrizione delle conseguenze di questa mania collettiva: “...Ora la statistica porta: che nei giorni di giovedì, venerdì e sabato, avvengono maggiori furti domestici; che in questi tre giorni si fanno più pegni al Monte di Pietà, che in questi tre giorni leagenzie private di pegni, sono affollatissime; che in questi tre giorni, ma specialmente nelpomeriggio del sabato, avvengono maggiori risse; che infine le cose più brutte, più laide, piùignobili e più violente avvengono in questo fatale periodo, e che in questi giorni il popolonapoletano si mette nelle mani dell'usura: il vero cancro, di cui muore.”360

Se si volesse de-contestualizzare la narrazione della Serao dalla realtà napoletana di fine ‘800 – inizio ‘900 e trasporla a quella tutta italiana dei giorni di oggi, vi sarebbero non pochi elementi in comune, ma con alcune rilevanti considerazioni: il sogno del lotto non ha più una cadenza settimanale ed è una delle tante “macchine di produzione del sogno”. Il gioco d’azzardo non è più circoscritto a luoghi e tempi precisi e identificabili, è oggi caratterizzato sempre più da rapidità, immediatezza e dislocazione: il gioco sul web, la diffusione capillare di videopoker e lotterie istantanee, come i “gratta e vinci”, rendono possibile giocare d’azzardo a chiunque, ovunque e in qualunque momento, rapidamente e anonimamente, abbattendo le barriere economiche e sociali che in passato avevano contribuito a limitare i rischi connessi al gioco, sia per i singoli individui, sia per la società nel suo complesso.

360 Cfr. Serao M.,Il ventre di Napoli (Venti anni fa - Adesso - L'anima di Napoli, Francesco Perrella, Napoli, 1906, pp.

171

Nel 1906 H. S. Mills produsse su scala industriale le prime slot machine, che fecero la fortuna di Casinò e sale da gioco (e la sfortuna di molti giocatori). La rapidità e la semplicità