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La governamentalità neoliberale e il biocapitalismo

La trattazione specifica dell’idea di governamentalità, concetto inaugurato dal filosofo e storico francese Michel Foucault, è un tentativo teorico importante e complesso di analisi del potere e della formazione della soggettività, e del loro nesso, che introduce, ai fini del presente lavoro di tesi, un’altra interessante chiave di lettura e di riflessione sulla condizione del soggetto moderno condannato alla gestione individuale e privatizzata del rischio.

Riprendendo brevemente l’analisi del rischio, oggetto del capitolo precedente, in Beck e Giddens il rischio è considerato un prodotto della tarda modernità e tale idea di base è condivisa anche dagli autori che analizzano il rischio proseguendo la linea di ricerca inaugurata dal filosofo francese Michel Foucault e, più in particolare, con l’obiettivo di descrivere il modo di funzionare del concetto di rischio, specialmente in relazione all’ethos politico del neoliberalismo.

Gli autori che analizzano il rischio da questa prospettiva lo individuano come un fenomeno prodotto da un “discorso sociale” ben preciso e legato al progetto della governamentalità, e come una verità circoscritta e delimitata da un insieme di discorsi, strategie e pratiche. Il problema teorico della governamentalità nasce ed è tematizzato da Michel Foucault durante i suoicorsi tenutial Collège de France di Parigi tra il 1976 e il 1979: tali corsi, solo successivamente trascritti e pubblicati, sono una trattazione frammentata, una serie di ipotesi e di piste di ricerca, di spunti, di riflessioni, poiché non avevano (e probabilmente non avrebbero mai avuto) né la pretesa né la volontà di essere o di costituire un sistema teorico strutturato e organizzato.181

Il termine è derivato dall’aggettivo francese gouvernemental che era già diffuso prima che Foucault lo utilizzasse come uno dei termini centrali della suaultima elaborazione teorica; negli anni ‘50 Roland Barthes usò questo neologismo per indicare un meccanismo che

181 Cfr. Foucault M., Sicurezza, territorio, popolazione, Feltrinelli, Milano,2005; Foucault M., Nascita della biopolitica,

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inverte causa ed effetto, presentando il governo non come effetto di relazioni sociali preesistenti, ma come l’autore delle relazioni sociali stesse.182

Foucault ritiene, anzitutto, che il termine “governo” non si riferisca soltanto a forme di direzione politicaoppure alla struttura delle istituzioni statali, ma anche a delle tecniche e a delle razionalità di "gestione degli uomini". Nelle sue ricerche storiche Foucault s'interessa, da un lato, di come le forme del governo politico e letecniche del "governo di se stessi" si colleghino fra loro. Dall'altro lato, eglianalizza come le pratiche di governo si riferiscano a delle specifiche formedi sapere e di razionalità politica. Con il concetto di governamentalità egli pone al centro delle sue ricerche anche il rapporto di reciprocità entro ilquale le tecniche del potere, le forme del sapere e i processi disoggettivazione si costituiscono.

La governamentalità indica l’approccio alla regolazione e al controllo sociale che secondo Foucault ha cominciato a emergere nell’Europa del sedicesimo secolo, in concomitanza con i mutamenti sociali in corso, in particolare con il crollo del sistema feudale e con il conseguente sviluppo dei primi stati amministrativi basati sui principi del governo legittimo. Sin dal diciottesimo secolo, i primi stati moderni europei avevano cominciato a pensare a propri cittadini in termini di popolazione o “società”, come un corpo sociale che richiede intervento, gestione e protezione in vista della massimizzazione della ricchezza, del benessere e della produttività attraverso l’elaborazione e la messa a punto di ideologie, tecniche e strategie di governo. Secondo Foucault, a partire dal diciottesimo secolo, il modo di concepire e gestire il potere politico della governamentalità è diventato, nei paesi occidentali, il modo dominante e, attualmente, è caratterizzato dall’approccio neoliberista che si schiera a difesa delle libertà e dei diritti degli individui contro l’eccessivo interventismo dello Stato.183

La riflessione teorica sulla governamentalità che, per l’economia del presente lavoro di tesi, verrà descritta per sommi capi e per principi generali, nasce in Foucault a partire dal problema della verità. Foucault, infatti, all’inizio del suo corso “Nascita della biopolitica”, nella lezione del 10 gennaio 1979, sottolineava che “la posta in gioco di tutte queste

indagini sulla follia, sul manicomio, sulla delinquenza, sulla sessualità, e si ciò di cui vi sto parlando, consiste nel mostrare in che modo l’accoppiamento, serie di pratiche – regimi di

182Cfr. Barthes R., “The Governement presented by the national press asthe Essence of efficacy.” in Barthes R., Mythologies,The Noonday Press, New York,1989.

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verità,formi un dispositivo di sapere-potere che imprime effettivamente nel reale ciò che non esiste e lo sottomette legittimamente alla distinzione tra vero e falso”.184Le rappresentazioni del mondo che si applicano, ad esempio, all’ambito sociale o politico vengono prese in considerazione come dei giochi di verità, ovvero un insieme di regole di produzione di verità; la verità non è intesa come un sapere assoluto che si può opporre all’errore e al falso, ma come un modello, un paradigma attorno al quale è possibile costruire forme di potere.

Il problema della verità, che attraversa tutta l’opera di Foucault, genera, in particolare, il metodo genealogico in cui la questione viene posta a partire dal rapporto tra il potere e la verità, e il discorso intorno alla governamentalità. La genealogia è il metodo di analisi intorno a tutto ciò che condiziona, limita e istituzionalizza le formazioni discorsive. Diceva Foucault nella sua lezione inaugurale al Collège de France che “la parte genealogica

dell’analisi si rivolge alla serie della formulazione effettiva del discorso: essa cerca di coglierlo nel suo potere d’affermazione; e con ciò intendo non un potere che si opporrebbe aquello di negare, ma il potere di costituire ambitidi oggetti, a proposito dei quali si potranno affermare o negare proposizioni vere o false”185. La genealogia libera gli elementi

discorsivi e concettuali riguardanti i processi di soggettivazione dalle forme di sovranità statuali: gli elementi della storia non preesistono, ma si attivano con i discorsi e le tattiche che si vengono a formare nella società. In particolare, la genealogia consente di svelare i poteri e di liberare i saperidall’assoggettamento e non si limita soltanto all’esplorazione dei discorsi attraverso le regole di formazione dei concetti, ma di iscrivere questi discorsi entro le strategie e le lotte politiche che li attraversano. 186

La genealogia consente, dunque, di ricavare l’essenza fatta di rapporti di dominio, di tecniche e di strategie che sottostanno al discorso sociale sul rischio. Le strategiee i discorsi sul rischio costituiscano, a tale proposito, strumenti atti a ridefinirne il concetto, riconducendo lostesso ad un modello razionale che imprime un ordine agli elementi della realtà: le nuove logiche sul rischio hanno, infatti, determinato diversi modi di

184 Cfr. Foucault M., Nascita della biopolitica, Feltrinelli, Milano, 2005, pag. 31. 185

Cfr. Foucault M., “L’Ordine del discorso”, in Foucault M., Il discorso, la storia, la verità. Interventi 1969-1984, Einaudi, Torino 2001, pag. 37.

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concepire,“produrre” e affrontare il pericolo, definendo al tempo stesso le formedi comportamento richieste agli individui.

Come in Beck e Giddens, anche per gli autori di orientamento foucaltiano ilrischio è il prodotto del processo di modernizzazione, ma, a differenza dei due sociologi, i saperi esperti non vengono considerati strumenti per un impegnoconcreto nella riflessività quanto piuttosto elementi fondamentali della governamentalità, in quanto forniscono indicazioni e linee guida sul modo in cui sorvegliare le popolazioni, metterle a confronto con le norme, prepararle a conformarsi ad esse, e a trasformarle in forza produttiva.187

Essi, infatti, attraverso la normalizzazione, ovvero il metodo volto all’identificazione delle condizioni di salute della popolazione o di alcuni suoi sottogruppi, e la definizione di regole di comportamento,tracciano le linee guida sul modo in cui sorvegliare e disciplinare le popolazioni, preparandole al tempostesso a conformarle alle norme preesistenti. L’uomo postmoderno viene in talmodo “costruito” entro un reticolo di strumenti e tecniche del potere. In questacornice di referenza, il rischio costituisce una strategia governativa del potere alfine di regolamentare la popolazione in vista degli obiettivi del neoliberalismo.188 Attraverso il progressivo proliferare del lavoro dei saperi esperti, i rischi vengono identificati, monitorati, resi calcolabili grazie ad una diagnosi anticipata sistematica, stimando le probabilità del loro prodursi. Al tempo stesso vengono dispensati consigli all’uomo comune sulle strategie da mettere in attonel condurre la propria esistenza. L’individuo cerca, dunque, di preservarsi daquei rischi “discorsivamente” collocati in un particolare contesto sociale, interiorizzandoal contempo gli obiettivi delle istituzioni dello Stato.Opporre resistenza alle strategie suggerite nelle società contemporanee equivalead un’incapacità dell’individuo di prendersi cura di sé, mentre, al contrario, le condotte rivolte alla prevenzione dei rischi costituiscono sforzi per il raggiungimentodell’autocontrollo e per la valorizzazione di sé. Le strategie del rischio contemporanee, secondo i teorici di ispirazione foucaultiana, si orientano, dunque, nelle società neoliberali, non su un intervento diretto, quanto piuttostonell’infondere un senso di responsabilità agli individui che porterebbe questi ultimiad adottare tecnologie di autocontrollo in grado di prevenire i rischi o di attenuarnegli effetti: agli individui si chiede sempre più spesso di adottare modi di comportamento giudicati in grado di prevenire i rischi o di attenuarne gli effetti. I critici

187 Cfr. Lupton D., opera citata, pag. 95. 188 Ibidem.

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hanno definito tale strategia “nuovo prudenzialismo”: si tratta di una strategia neoconservatrice che consiste nello spostare progressivamente la responsabilità della protezione dai rischi dalle agenzie pubbliche e delle istituzioni di welfare (Castel parlerebbe, appunto, di “collettivi solidali di protezione”) agli individui, incoraggiando questi ultimi ad assumersi l’onere di assicurarsi contro le sventureattraverso polizze private, o meglio ancora, a prevenire i rischi, attraverso condotte di vita sane e razionali, improntatesull’autocontrollo, sulla conoscenza e sulla valorizzazione del sé.189

Nelle società tardo-moderne, non curarsi dei rischi è considerato un segno dell’incapacità dell’individuo di prendersi cura di sé, una forma di irrazionalità o semplicemente una mancanza di abilità, e i comportamenti finalizzati alla prevenzione dei rischi appaiono come iniziative morali, forme di autodisciplina che presuppongono l’interiorizzazione degli obiettivi delle istituzioni dello Stato, e, poiché, il progetto di costruire il proprio sé è destinato a non concludersi mai, ma a proseguire per la durata intera della vita (non a caso, si parla diffusamente di lifelong learning), la tecnologia del sé che consente nell’evitare i rischi deve essere continua.190

Si rende interessante, in questo senso, la riflessione attuata dal sociologo tedesco Thomas Lemke sul “governo dei rischi genetici”, intendendo per quest’ultimo un rapporto specifico fra tecniche di potere e forme di sapere, fra gestioneautonoma e gestione eteronoma. Il paradigma geneticopuò essere inteso come "regime di verità" che organizza un campoconoscitivo del visibile e del dicibile e che specifica le condizioni del vero edel falso. All’interno del sapere medico, le malattie sono intese oggi sempre di più come causate o condizionategeneticamente, cioè i rischi genetici vanno localizzati nell’individuo stesso, trascurando, ad esempio, quei fattori come inquinamenti ambientali, fattori sociali nocivi, stress o cattive condizioni di lavoro che trent’anni fa erano individuati come cause del cancro. Secondo Lemke, l’avanzare deldiscorso genetico può essere analizzato come una precisa strategia governamentale nel quadro di una trasformazione del sociale caratterizzata dalla dissoluzione delle forme tradizionali di solidarietà sociale e lariduzione tecnico- assicurativa dei rischi collettivi: l’ipotesi centrale di Lemke è che la diagnostica genetica debba essere vista come effetto e strumento di una razionalità politica che si propone un cambiamento di rapporti di forza sociali e sollecita una forte privatizzazione dei rischi

189 Ivi, pp. 108-109. 190 Ivi, pp. 99-100.

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collettivi, attraverso l’emergere del discorso sulla "responsabilità genetica" che presuppone lo sviluppo di specifiche tecnologie del sé, di un soggetto responsabile e previdente (homo geneticus) che si sottopone a costanti pratiche di autocontrollo e di management del rischio fisico. La concezione “genetizzata” della malattia rende possibile la localizzazione di fattori patogeninell'individuo stesso escludendo le cause sociali e strutturali della patogenesi e, inoltre, una visione del superamento dei problemi di salute non solo rendendo apparentementesuperfluo un cambiamento delle condizioni sociali patogene, ma offrendoanche delle "soluzioni dei problemi" in forma di medicalizzazione , diagnosie opzioni di prevenzione. Tale situazione è causata da due principali processi di trasformazionesviluppatisi a partire dagli anni settanta: con la crisi dei sistemi pubblici di welfare, la revoca tendenziale del diritto alla salute a favore di undovere di gestione della salute, di comportamento responsabile rispetto airischi di salute, e la trasformazione progressiva dei pazienti in persone a rischio da un lato, e in clienti dall'altro.191

Il concetto di rischio della società neoliberale finisce con l’indicare, di conseguenza, un tipo di esperienza sempre più privata e connessa in modo sempre più stretto all’idea di un soggetto imprenditore di se stesso, mettendo così in questione l’idea stessa di diritti sociali.192

Si tratta certamente del discorso di una responsabilità individuale, che presuppone un attore libero e completamente razionale, un homo oeconomicus, cioè un soggetto che si conforma al modello di attore auto interessato e responsabile presente nei discorsi neoconservatori.193O’Malley riprende come esemplificazione di tale approccio, il discorso sulla percezione e sulla gestione della criminalità situazionale che rappresenta il malvivente potenziale come un individuo universale, privo di biografia, un attore della scelta razionale che decide se commettere o meno un reato avendo soppesato i pro e i contro. La mancanza di interesse per la storia e le motivazioni dell’individuo considerato “a rischio” lascia in ombra le cause socioeconomiche del rischio, e apre un solco tra le disgrazie personali e i problemi di giustizia sociale; il modo stesso di concepire la prevenzione delle attività criminali non cerca più di intervenire sulle cause sociali e strutturali alla base di tali attività,

191 Cfr. Cfr. Lemke T., Biopolitica e neoliberalismo Rischio, salute e malattia nell'epoca post-genomica, Università di

Bari, 20 aprile 2007; cfr. http://www.sinistrainrete.info/pdf/Lemke%20traduzione%20- %20Biopolitica%20e%20neoliberalismo.pdf

192 Ivi, pag. 108. 193 Ivi, pag. 110.

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come la situazione di svantaggio socio-economico, ma si limita piuttosto ad affrontare gli individui considerati incapaci di autocontrollo ricorrendo a strategie punitive. 194

Il culto della piena e totale responsabilità individuale ricorda certamente l’importante discorso che l’ex Presidente degli Stati Uniti d’America Ronald Reagan tenne il 14 ottobre 1982, in cui illustrava la svolta punitiva alla base della nuova politica criminale della sua amministrazione: «La crescita di una classe criminale senza scrupoli è stata in parte il risultato di una filosofia sociale sbagliata, che in modo utopico considera l’uomo come prodotto del suo ambiente, mentre la trasgressione è vista sempre come conseguenza di condizioni socio-economiche svantaggiate. Questa filosofia predica che dove si verifica un crimine è responsabile la società, non l’individuo. Ma il popolo americano sta finalmente riaffermando alcune verità indiscutibili: il bene e il male esistono, gli individui sono responsabili delle proprie azioni, il male è spesso frutto di una scelta, e la pena deve essere certa e immediata per chi si fa strada a danno degli innocenti».195

Le tecnologie attuali definiscono i soggetti come cittadini attivi e liberi, come agenti autonomi, auto-responsabili e razionali, in grado di calcolare in modo razionale i rischi della propria vita, coloro che, riprendendo la riflessione di apertura del presente capitolo, sanno praticare un “gioco legale e responsabile”, ma tale esaltazione del principio di auto- responsabilità trascura il peso della distribuzione sociale delle opportunità e delle

capabilities: come scrive Bovens, infatti, “non è facile accettare l’idea di responsabilità a meno che non si abbia effettivamente a disposizione la possibilità di comportarsi in modo responsabile. Sarebbe pretendere troppo da qualcuno il ritenerlo responsabile di una situazione in cui non aveva altra scelta se non quella di comportarsi nel modo in cui ha fatto”.196

L’ottica sottesa nelle democrazie neoliberali è, indefinitiva, quella di un affrancamento dell’individuo dall’interventismo dello Stato, un’opportunità per il soggetto imprenditore di scegliere il proprio modo di vivere, conformandosi al modello di attore razionale capace di autocontrollo; in particolare, le società neoliberiste incoraggiano tutta una serie di discorsi

194

Ivi, pp. 110-111.

195 Cfr. De Giorgi A., La paura neoliberista, pubblicato il 17/06/2013 sul sito www.alfabeta2.it:

cfr. https://www.alfabeta2.it/2013/06/17/la-paura-neoliberista/

196 Cfr. Cheliotis L. K., Governare attraverso lo specchio. Neoliberismo, managerialismo e psicopatologia del controllodella devianza, www.academia.edu, pag. 67.

http://www.academia.edu/481812/Cheliotis_L._K._2010_Governare_attraverso_lo_specchio_Neoliberismo_managerial ismo_e_la_psicopolitica_del_controllo_della_devianza_transl._Andrea_Mubi_Brighenti_Studi_sulla_questione_crimin ale_Rome_5_3_47-94

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orientati alla costruzione del sé, della soggettività degli individui, della responsabilità individuale, e un complesso di pratiche che Foucault ha definito “tecnologie del sé”: attraverso tali tecnologie, gli individui diventano “imprenditori di se stessi”, nel senso che cercano di massimizzare il proprio “capitale umano”, o, utilizzando le stesse parole del filosofo francese, di “realizzare una trasformazione di se stessi allo scopo di raggiungere

uno stato caratterizzato da felicità, purezza, saggezza, perfezione o immortalità”197.

Il neoliberismo è una forma di governo che si pratica con l’autogoverno, implica strutture istituzionali di tipo amministrativo e una razionalità politica dotata di una «macchina antropogenica» diversa da quella a cui miravano le società moderne.

Le pratiche di assoggettamento dell’individuo contemporaneo, attuate tramite ladisciplina governamentale, intesa come insieme di tecniche di strutturazione del campo dell’azione, diverse a seconda della situazione in cui si trova l’individuo, sono ben diverse, tuttavia, dal Panopticon benthamiano, proprio della cosiddetta “società disciplinare”, caratterizzata com’era da dispositivi di distribuzione spaziale, di classificazione e di addestramento dei corpi individuali e che Foucault descrive in “Sorvegliare e punire198.

Fin dall’età classica delle discipline, il potere non può esercitarsi tramite una pura costrizione sul corpo: deve accompagnare il desiderio individuale e orientarlo facendo giocare tutte le molle di quella che Bentham chiama l’”influenza”: deve dunque penetrare nel calcolo individuale, addirittura parteciparvi, per agire sulle anticipazioni immaginarie degli individui, per rafforzare il desiderio (con la ricompensa), per indebolirlo (con la punizione), per deviarlo (con la sostituzione dell’oggetto); il segreto dell’arte del potere, scrive Bentham, è fare in modo che l’individuo persegua il proprio interesse come se fosse il suo dovere e viceversa.199

E’ stimolante, in questo senso, uno studio condotto dalla metà degli anni novanta del secolo scorso da Judith Butler che, sulle orme di Foucault, analizza il potere come macchina antropogenica, in cui i processi di assoggettamento risultano intrinsecamente connessi alle tecniche di produzione dei soggetti.

197 Cfr. “Tecnologie del sé”, in Martin L., Gutman H. e Hutton P. (a cura di), Un seminario con Michel Foucault. Tecnologie del sé, Bollati Boringhieri, 1992, pag. 13.

198

Cfr. Foucault M., Nascita della biopolitica, Feltrinelli, Milano, 2005, pag. 69; per quanto riguarda l’analisi della “società disciplinare” cfr. Foucault M., Sorvegliare e punire: nascita della prigione, Einaudi, Torino, 1976.

199 Cfr. Dardot P. e Laval C., La nuova ragione del mondo. Critica della razionalità neoliberista, Derive Approdi,

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Mentre Foucault appare a Butler piuttosto interessato a individuare la materialità del potere nelle sue forme istituzionali, la sua attenzione è invece rivolta alla «vita psichica del potere», come recita il titolo del suo libro dedicato a questo tema.

L’intreccio tra ambito psichico e ambito sociale costituiscela base dell’analisi di Butler, che collega le riflessioni di Foucault e Freud in un percorso che, da Hegel ad Althusser passando per Nietzsche, decostruisce la postura moderna del potere come dominio su soggetti già dati e, come tali, da sottomettere.200

“ …. Sentirci dominati da un potere esterno a noi è forse una delle esperienze più dolorose, ma anche più comuni. Meno comune, invece, è prendere atto del fatto che ciò che noi stessi siamo – ossia che il nostro costituirci come soggetti – intrattiene una relazione molto stretta proprio con quel potere. Siamo soliti, infatti, concettualizzare il potere come ciò che si impone a noi dall’esterno, come qualcosa che ci sovrasta [...]. Tuttavia, seguendo Michel Foucault, è possibile comprendere che il potere costituisce il soggetto, determinando le condizioni stesse della sua esistenza e le traiettorie del suo desiderio: ne consegue dunque che il potere non è più, o non solo, ciò a cui ci contrapponiamo, ma anche, in senso forte,