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L’approccio simbolico-culturale di Mary Douglas

La grande premessa epistemologica attraverso cui il rischio è analizzato come il prodotto di un processo di costruzione sociale della realtà più o meno forte e che influisce sulle percezioni e sulle condotte individuali, è il costruttivismo sociale che si pone l’obiettivo di comprendere come i soggetti costruiscono le proprie credenze sul rischio all’interno dei contesti sociali e culturali in cui sono inseriti.

Nel panorama delle coordinate teoretiche inerenti le dimensioni socioculturali della percezione del rischio relative al costruttivismo sociale, è possibile distinguere tre approcci principali: l’approccio simbolico-culturale proposto da Mary Douglas; l’orientamento relativo alla «società del rischio», di cui Ulrich Beck e Anthony Giddens sono i principali esponenti; l’approccio relativo alla cosiddetta «governamentalità», i cui teorici si ispirano alle opere del filosofo francese Michel Foucault.31

Tra i rilievi di un affresco così straordinariamente variegato è possibileoperare una distinzione tra quegli approcci che, pur riconoscendo i rischi come pericoli oggettivi, non prescindono dal fatto che la loro percezione sia mediata da processi politici e socio culturali; e quelli secondo cui, invece, il rischio siaesclusivamente il prodotto di una costruzione sociale. Nel primo caso si fa riferimento al costruttivismo debole, nel secondo al

costruttivismo forte. Nell’ottica di quest’ultima prospettiva, i rischi acquistano “realtà” solo

quando gli attori sociali li definiscono come tali. Nel costruttivismo debole, invece, essi sono concepiti come mediazioni culturali di pericoli oggettivi.32

Sia che si parli di costruttivismo forte che di costruttivismo debole, l’orientamento di fondo si oppone alla visione astratta, decontestualizzata e de-socializzata del rischio. I costruttivisti sostengono che gli individui, interiorizzando, attraverso i processi di socializzazione, le norme sociali, non possono sottrarsi all’influsso della propria cultura di appartenenza nella costruzione della realtà: tale costruzione, inoltre, essendo fondata su definizioni condivise, è continua, i suoi significati sono negoziati e soggetti a mutamento. Anche il rischio, dunque, è costantemente costruito in quanto elemento di continua

31 Cfr. Lupton D., opera citata, pag. 35. 32 Ivi, pag. 10.

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produzione di senso, sebbene sia innegabile, quale verità ontologicamente intesa, che nessuna forma di conoscenza è immune dai condizionamenti culturali33.

Avere nozione dei rischi, prescindendo dai valori morali e dai sistemi dicredenze, è, dunque, impossibile proprio perché sussiste un inscindibile vincoloche lega le interpretazioni e le percezioni del rischio al contesto socioculturale d’appartenenza.

Ordinando i vari approcci lungo un continuum ai cui estremi, come precedentementerilevato, si pongono antitetici orientamenti come il costruttivismo debole e il costruttivismo forte, l’approccio simbolico-culturale di Mary Douglas rientra nell’ambito del primo, così come quello di Beck e di Giddens, mentre i teorici della governamentalità si collocano sicuramente all’interno del costruttivismo forte34.

L’antropologa Mary Douglas è certamente l’esponente più rappresentativa dell’approccio simbolico-culturale o socio-culturale degli studi sul rischio.

I suoi contributi, di matrice strutturalista e funzionalista, si indirizzano sull’analisi dei meccanismi attraverso cui gli esseri umani conferiscono significato alla realtà, per poi esprimerla attraverso i simboli della propria cultura.35

Mary Douglas parte, quindi, dall’intuizione secondo cui gli individui forgiano, attraverso le loro azioni, i significati inerenti alla dimensione sociale della propria vita, consentendo così il mantenimento della società in cui sono immersi.

La chiave di lettura proposta da Mary Douglas considera il rischio come qualcosa di reale e concreto, la cui percezione dipende, però, dal contesto culturale di ciascuna società, conseguenza per cui certe situazioni vengono considerate pericolose presso alcune comunità, mentre presso altre non sortiscono alcuna preoccupazione.

In una serie articolata di studi dedicati al concetto di rischio, la Nostra indica la necessità di analizzare il rischio non più come un problema di comportamenti individuali ma anche come un fenomeno culturale, che ha radici nei processi di costruzione sociale della realtà per opera dell’agire intersoggettivo degli individui.

Mary Douglas è particolarmente critica verso gli approcci economici neoclassici e psicologici che, focalizzandosi solo sugli elementi che guidano le scelte individuali e sui processi di cognizione del rischio, sottovalutano la struttura culturale e i criteri di valore da

33Cfr. Douglas M. e Wildavsky A., Risk and culture, Berkeley, University of California Press, 1982. 34 Cfr. Lupton D., opera citata, pag. 15.

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cui essi dipendono. Innanzitutto, la Nostra definisce il rischio come la probabilità di un evento combinato con l’entità delle perdite e dei guadagni che esso comporta. Di solito la parola rischio viene associata ad esiti negativi mentre l’autrice intravede anche risultati futuri positivi. Per questo, prende ad esempio la lingua giapponese, la quale non annovera nel suo linguaggio la parola rischio anche se i Giapponesi possono discutere con estrema precisione di probabilità, formule, limiti tecnici della certezza, gradi di sicurezza e naturalmente di pericolo. 36

L’individuo che comprende il concetto di “rischio” sa fare distinzione tra risultati buoni e cattivi, tra guadagni e perdite e sa valutare le diverse situazioni in termini di bassa o alta probabilità e, muovendosi tra le possibili alternative, compie le scelte più prevedibili.

Il vero punto di rottura della Douglas con le analisi riconducibili all’approccio cognitivo e a tutti quelli di natura tecnico-scientifica è l’affermazione di una derivazione culturale e sociale del rischio che non appare più unicamente misurabile scientificamente come elemento oggettivo e non perturbato da altri fattori inscritti nella cultura di una comunità. La Douglas e Wildavsky, nel loro libro Risk and Culture, provano a spiegare perché i timori circa i rischi non sono collegati necessariamente alla razionalità statistica e perché alcuni soggetti danno maggiore rilievo ad alcuni rischi e non ad altri, e la loro spiegazione è basata sull’asserzione che la percezione del rischio è un processo sociale: questo aiuta a comprendere perché gli individui, che sono in tensione nei generi differenti di organizzazioni sociali, siano propensi ad accettare di evitare, insieme agli altri membri del gruppo, i rischi.37

Alla base della percezione del rischio e dei comportamenti dei soggetti rispetto ad esso si trova la cultura come “sistema mnemonico di rischi” e, per questo, “principio codificatore mediante il quale si riconoscono i pericoli”.38

L’autrice vede dunque “il rischio come una risposta socialmente costruita, ad un pericolo “reale” che obiettivamente esiste, anche se alla sua conoscenza si può arrivare solo attraverso la mediazione dei processi culturali”.39

La cultura che, come si è scritto, rappresenta un “sistema mnemonico di rischi”, aiuta le persone a calcolarne i rischi e le loro conseguenze e contribuisce soprattutto, prendendo in

36

Cfr. Napoli L., La società dopo-moderna. Dal rischio all’emergenza, Morlacchi, Perugia, 2007, pag. 50.

37 Ivi, pp. 50-51.

38 Cfr. Douglas M., Come percepiamo il pericolo. Antropologia del rischio, Feltrinelli, Milano, 1991, pag. 91. 39Cfr. Lupton D., Risk, Rotledge, London, 1999, pag. 39.

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considerazione i doveri e le aspettative reciproche, al formarsi una nozione di rischio collettiva, più che individuale:

“Una comunità usa la propria esperienza comune, accumulata nel tempo, per determinare

quali perdite prevedibili siano più probabili, quali perdite probabili saranno più dannose, e quali danni possano essere evitati. Una comunità stabilisce inoltre il modello del mondo degli attori, e la scala di valori in base alla quale si giudicano gravi o banali le varie conseguenze”.40

Sulla base di questi presupposti, acquista fondamentale importanza il processo di selezione culturale che trasforma alcuni pericoli in rischi gravi, trascurandone o minimizzandone altri. L’Autrice riconosce, in questo senso, ampia dignità alle interpretazioni dei rischi della gente comune, rispetto a quelle dei cosiddetti “saperi esperti”, in quanto non bisogna ritenere che siano il risultato di una cattiva comprensione dei fatti scientifici, di reazioni emotive e irrazionali, così come fanno i cognitivisti, ma occorre, invece, considerarle costruzioni mediate da cornici interpretative culturali. I contributi dell’antropologa sul rischio possono essere considerati una continuazione delle sue antecedenti teorie, come quelle esposte nel volume Purezza e pericolo41: in tale opera la Nostra attua uno studio delle concezioni e dei rituali elaborati nell’ambito di diverse culture, relativamente alla contaminazione e alla purezza.

Adottando un approccio di tipo strutturalista, Mary Douglas avanza la tesi secondo cui le culture considerano certe cose impure, utilizzandole come tabù, per proteggersi dai comportamenti che minacciano di destabilizzarle e per sostenere le strutture socialiesistenti. Le culture adottano, infatti, certi tabù per strutturare, attraverso un sistema simbolico, l’ordine morale della società, catalogando, attraverso sistemi classificatori, ciò che può essere considerato accettabile e ciò che non può essere considerato tale. Il fine principale di ogni cultura è quello di salvaguardarsi da modi di agire che potrebbero minacciare di destabilizzare le strutture sociali, come per risolvere il problema hobbesiano dell’ordine. L’analisi della purezza, della contaminazione e del pericolo che Douglas, infatti, espone in

40

Cfr. Douglas M., Risk Acceptability According to the Social Sciences, New York, Russel Sage Foundation; trad. it.

Come percepiamo il pericolo. Antropologia del rischio, Feltrinelli, Milano, 1991, pag. 93.

41Cfr. Douglas M., Purity and Danger. An analysis of concepts of pollution and taboo, Routledge and Kegan Paul,

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questo studio è alla base dell’interpretazione della funzione culturale del rischio nelle società occidentali contemporanee.42

Ponendo in analogia la società con il microcosmo del corpo umano, l’antropologa, per sviluppare le sue tesi sulla natura simbolica dei rituali relativi alla purezza e alla contaminazione, presuppone che il controllo del corpo possa essere considerato un modello di controllo sociale. La selezione delle sostanze pure, e pertanto sicure, da ingerire riflette, infatti, idee analoghe relative al corpo sociale: come i suoi confini possano essere mantenuti solidi, regolando l’accesso di certe tipologie di persone ed escludendone altre.

Per cercare di contrastare il pericolo di contaminazione e soddisfare il bisogno di purezza, ogni cultura elabora i propri sistemi classificatori. In alcune, è il sangue mestruale ad essere considerato particolarmente contaminante, mentre altre temono soprattutto la contaminazione conseguente al contatto con la morte. Le scarpe non sono sporche in sé stesse ma lo diventano se vengono abbandonate sul tavolo da pranzo, il cibo appare sporco perché imbratta i vestiti, o resta nei piatti a cena finita. Lo sporco è disgustoso e ripugnante perché minaccia la giusta distanza fra l’individuo e le cose o altri individui, perché annuncia il mescolarsi di entità eterogenee, il cedimento dei confini. 43

Sono i confini del corpo/società, infatti, i luoghi considerati rischiosi essendo liminari, in cui l’ansia di purezza e la paura del pericolo si concentrano: attraversare o modificare i confini significa destabilizzare l’ordine culturale e sociale costituito.44

Il rischio rappresenta, dunque, il risultatoculturale alla violazione di un tabù, all’attraversamento di un confine, di un peccato commesso, di ciò che va ad offuscare i valori culturali che tengono insieme le comunità e le aspettative in esse condivise. Mary Douglas estende la valenza dei sistemi classificatori delle culture “primitive” a quelli dei sistemi delle culture urbanizzate moderne anche se “ nella cultura primitiva la regola di

creare modelli agisce con maggiore forza e un maggior potere di generalizzazione. Nei moderni si applica ad aree staccate separate dell’esistenza”.45

In seguito, altri lavori di Mary Douglas hanno mirato a sviluppare alcune intuizioni di

Purezza e pericolo, mettendo in evidenza come la percezione, il riconoscimento e la

42 Cfr. Lupton D., Il rischio. Percezioni, simboli, culture, Il Mulino, Bologna, 2003, pp 46-47. 43 Ibidem.

44 Ivi, pp. 48-49. 45 Ivi, pag. 48.

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gestione stessa del rischio si concentrino in quei pericoli connessi in qualche modo alla questione della legittimazione dei principi morali.

Così come nelle società tradizionali, anche in quelle tecnologicamente avanzate, come si è visto, il rischio è qualcosa di reale e concreto, ma la sua percezione è filtrata da specifiche culture, orizzonti simbolici e organizzazioni sociali entro cui i soggetti si muovono. Tutta la conoscenza accumulata dall’uomo moderno non è sufficiente a proteggerlo dal pericolo che, anzi, la tecnologia sembra avere aumentato. Nelle culture occidentali contemporanee il sistema di attribuzione della colpa ha sostituito la precedente combinazione di condanna moralistica tipica delle società premoderne fondata sulla profanazione dei tabù che tendevano a proteggere la comunità. La strategia di difesa dell’uomo contemporaneo si basa, infatti, sulla concezione secondo cui essere a rischio equivale ad essere vittima di un peccato e non causa del male, imputando la colpa dei rischi a un nemico da demonizzare.46 Mary Douglas rileva, infatti, una differenza fra l’uso del concetto di pericolo nelle società premoderne, e l’uso del rischio, come di un concetto fondamentalmente insito in quello di pericolo, in quelle moderne. Nelle società premoderne, il pericolo rimanda a tabù, e viene utilizzato in una retorica di accusa e punizione che prende di mira i singoli individui e, come tale, è uno strumento per consolidare i legami della comunità, per sostenere le sue norme e per rafforzare i suoi confini. In quanto parte di una società individualistica, il concetto di rischio viene adoperato per proteggere gli individui dagli altri: essere “a rischio” significa trovarsi nella posizione della vittima, vivere sotto la minaccia di rischi imposti da altri, più che l’assumersi di propria iniziativa un rischio.47

Nella cultura occidentale moderna il rischio acquista notevole importanza in quanto componente di un complesso di nuove idee e sviluppi e di una sensibilità più acuta nei confronti di ciò che annuncia un pericolo per effetto del processo di globalizzazione. La cultura occidentale, in questo senso, trova nel concetto di rischio un criterio efficace per rendere più tollerabile il fronteggia mento della condizione di incertezza sempre più diffusa e generalizzata nella modernità.48

46Cfr. Douglas M., Risk and Blame. Essays in Cultural Theory, Routledge, London; tr. it. Rischio e colpa, il Mulino,

Bologna, 1996.

47 Cfr. Lupton D., op. citata, pag. 54.

48 Cfr. Chicchi F., Derive sociali. Precarizzazione del lavoro, crisi del legame sociale ed egemonia culturale del rischio, Angeli, Milano, 2001, pag. 68.

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L’orientamento dell’antropologa mostra in definitiva come il problema di natura sociale dei rischi non risiede tanto nella definizione della loro entità, quanto piuttosto nella negoziazione sociale della loro accettabilità, il cui giudizio viene formulato tenendo conto dell’orizzonte simbolico della specifica cultura, dei valori morali, dei giudizi politici e pertanto non sempre rispecchia le valutazioni quantitative basate sul calcolo probabilistico delle perdite umane e materiali.

Mary Douglas, in collaborazione con Wildavsky, costruisce un vero e proprio modello interpretativo sulla percezione e sulla gestione del rischio da parte dei gruppi sociali e organizzazioni attraverso la creazione del grid-group model, un modello di comportamento a due dimensioni, la dimensione della griglia e quella del gruppo.

La dimensione del gruppo oppone due tipi ideali di gruppo: i gruppi caratterizzati da un senso di appartenenza forte, da coesione interna e delimitati verso l’esterno e i gruppi internamente poco coesi.

La dimensione della griglia riguarda, invece, tutte le altre distinzioni sociali e le deleghe di autorità a cui le persone ricorrono nel tentativo di limitare l’interferenza degli altri. Gli individui dei gruppi che occupano una posizione alta sulla dimensione della griglia sono soggetti a vincoli culturali pesanti, mentre quelli collocati in basso hanno un maggiore livello di autonomia.49

Incrociando la dimensione del gruppo con quella della griglia si ottengono quattro differenti gruppi ideali con quattro relativi approcci al rischio:

i gruppi gerarchici rispettano le autorità, si conformano alle norme di gruppo, ne condividono le previsioni riguardo ai rischi e hanno fiducia nelle organizzazioni prestabilite; i gruppi egualitarisono costituiti da individui che si identificano fortemente con il proprio gruppo, attribuiscono le responsabilità dei rischi ad attori non appartenenti al gruppo stesso, tendono a diffidare delle norme imposte dall’esterno e sono favorevoli a un approccio al rischio fondato sulla partecipazione;

i gruppi individualisti, invece, sostengono che ognuno debba affrontare il rischiosulla base dei propri criteri, confidano nei singoli più che nelle organizzazioni e sostengono che l’assunzione di rischio possa avere conseguenze tanto negativequanto positive;

49 Cfr. Lupton D., opera citata, pp. 56-58.

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i fatalistimancano di legami forti con il gruppo, rispetto al rischio tendono ad affidarsial caso e alla sorte e si attribuiscono scarso controllo sugli eventi.50

Il modello della Douglas e Wildvasky offre sicuramente prospettive interessanti ma, tuttavia, tende ad essere una tipologia rigida e statica che non riconosce il fatto che la maggior parte delle persone non possiede una sola concezione del mondo, ma ne adotta una diversa in base alla situazione.

Nell’attribuire, inoltre, a una certa visione del mondo, più che alla natura stessa del rischio, l’origine delle diverse risposte al rischio, esso tende a trattare il concetto di rischio come un dato.51

Il modello è però, definito in termini ideali e il suo scopo principale è quello di essere uno strumento di lavoro con il quale esaminare le posizioni culturali entro le quali gli individui concepiscono e affrontano il rischio.

Nel tentativo di volere trarre una breve analisi conclusiva, l’approccio simbolico-culturale di Mary Douglas attribuisce ai giudizi sul rischio una funzione politica, morale ed estetica; li considera costruzioni mediate da cornici interpretative culturali e, per questo, evidenziando il ruolo dei condizionamenti di tipo culturale e simbolico nella percezione e nella gestione del rischio, mostra l’indubbio merito di superare l’approccio cognitivista tutto incentrato su una presunta razionalità strumentale dell’individuo astratto.

Altri studiosi del rischio, come Luhmann, hanno trovato nelle considerazioni dell’antropologa britannica elementi importanti per la costruzione delle proprie teorie ma, tuttavia, il problema di fondo dell’approccio di Mary Douglas è che esso si rivela piuttosto statico e limitato da una concezione funzional-strutturalista della dimensione culturale. Gli studi sul rischio, la purezza e il pericolo di Mary Douglas affrontano in misura molto minima la dimensione del cambiamento.52

Se l’approccio di Mary Douglas si rivela idoneo per leggere la natura del rischio nella prima fase della modernità, esso si dimostra perlopiù inadeguato per l’analisi delle condizioni della tarda modernità caratterizzata dai processi di globalizzazione, riflessività e individualizzazione. La prospettiva dei teorici della “società del rischio”, come Ulrick Beck e Anthony Giddens, si propone, quindi, di studiare, da un punto di vista macrosociologico, i

50

Cfr. DouglasM., WildavskyA.,Risk and Culture: An essay on the selection of Technical and Environmental

Dangers, University of California Press, Berkeley, 1982. 51 Cfr. Lupton D., op. citata, 58.

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significati e le strategie correnti del rischio alla luce delle trasformazioni dell’ordine politico ed economico nella tarda modernità.

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