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1. Faide e fazioni nella lotta politica comunale

Come nelle altre città, anche a Firenze la pratica della faida rappresentò un elemento conduttore della lotta politica tra i lignaggi aristocratici. Questa era infatti alimentata da una rete di relazioni che nei conflitti di faida esprimeva una pratica politica ordinaria. “Guerra”, d’altro canto, era una componente del sintagma che con “briga” e “inimicizia” le fonti usano per indicare il conflitto di faida. Le deliberazioni consiliari cercavano, per esempio, di favorire la pace tra coloro “qui habent guerras et inimicitias”1, o tra gli “habentes guerram seu inimi-

citiam patentem”2, mentre cronisti come Giovanni Villani osservavano come “i

grandi di Firenze [... fossero] tra.lloro in tante brighe e discordie [...] com’erano allora ch’egli avea grande guerra tra gli Adimari e’ Tosinghi”3. Le cronache si

limitavano a menzionare solo le faide più ramificate e violente, senza rimarcare la trama quotidiana dei conflitti, a riprova di quanto essi costituissero di fatto uno dei modi ordinari e riconosciuti della lotta politica.

Occorre dunque ripartire dall’analisi testuale della documentazione, non solo per evidenziarne l’elemento ideologico, ma soprattutto per cogliere i modi in cui i contemporanei concepivano e descrivevano le logiche e le pratiche del conflitto politico. Nelle fonti di età comunale, il linguaggio delle relazioni sociali e politiche appare infatti dominato dai concetti di amicizia e inimicizia. Da esse emerge esplicitamente come le relazioni di solidarietà familiare e di fazione defi- nissero i meccanismi di tutela dell’identità del singolo e dell’onore del lignaggio anche attraverso il conflitto. L’educazione civile del cittadino comunale era in realtà anche l’educazione ai modi della vendetta e della faida4. Questi facevano

1 Archivio di Stato di Firenze [cui appartengono tutte le successive citazioni docu-

mentarie], Provvisioni, Registri [d’ora in poi PR], 10, c. 260r-v, 27 giugno 1300. I corsivi, come nelle note successive, sono miei.

2 Statuti della repubblica fiorentina. Statuto del podestà dell’anno 1325, a cura di R.

Caggese, Firenze, 1921, III, CXXVII, p. 279.

3 Giovanni Villani, Nuova cronica, a cura di G. Porta, Parma, 1990-1991, IX, I, vol.

II, pp. 11-12.

parte della cultura diffusa, e non vanno perciò intesi come mere espressioni di odi personali, disconoscendo la forte connotazione politica di tali pratiche.

Sistema di autoregolazione e di limitazione della violenza – nell’alternanza di momenti di scontro e di lunghe fasi di negoziazione, e nell’interazione tra le parti in conflitto e l’azione delle autorità comunali5–, la faida non costituiva infatti un

elemento di disordine e di perturbazione dell’ordine civico. Al contrario, quei conflitti e quegli scontri di fazione che sono quasi sempre apparsi alla storiografia tradizionale come lotte caotiche originate da motivazioni “private” sulle quali il comune sarebbe riuscito ad affermare progressivamente il monopolio della forza “pubblica”6, ritrovano nei meccanismi della faida un livello di interpretazione

che conferisce loro il senso di modi originari del discorso e del conflitto politico7.

Le lotte di fazione servivano infatti l’ordinarsi della società politica in due grandi schieramenti che originavano quasi sempre da una faida tra famiglie.

Scorrendo le cronache cittadine, si può infatti ricostruire la gamma di moti- vazioni materiali, simboliche e politiche che sostanziavano le relazioni politiche nelle città. Nella loro varietà esse non paiono affatto ricondursi a elementi ideolo- gici, ma più semplicemente all’universo delle relazioni di amicizia e inimicizia, a legami parentali, a interessi economici comuni. Ciò che i cronisti descrivono sono infatti i modi reali della lotta politica nella società comunale, nei quali i conflitti sorti per questioni di onore e per l’egemonia sociale in ambito nobiliare sostanzia- vano la competizione per il potere cittadino e si manifestavano in forma di fazione proprio nel momento in cui si collegavano all’universo politico esterno, dominato nel corso del secolo XIII dalle contrapposte coordinazioni guelfa e ghibellina.

I collegamenti parentali, clientelari ed economici venivano comunemente per- cepiti e rappresentati come le motivazioni primarie dei legami di amicizia e inimici- zia, e quindi della lotta politica. Così, per esempio, in tempi e luoghi diversi, i con- flitti tra i Bostoli e i Tarlati ad Arezzo, tra i Solari e i Guttuari ad Asti, tra i Colleoni e i Soardi a Bergamo, tra i Geremei e i Lambertazzi a Bologna, tra i Gabrielli e i Raffaelli a Gubbio, tra i Torriani e i Visconti a Milano, tra i Monaldeschi e i Filippeschi a Orvieto, tra gli Oddi e i Baglioni a Perugia, tra i Raspanti e i Bergolini a Pisa, tra i Roberti e i Dal Sesso a Reggio, tra i Tolomei e i Salimbeni a Siena, tra i Conti e i Monticoli a Verona, e così via, si riconducevano a una stratificazione di dispute per interessi materiali, di conflitti per questioni d’onore, di inimicizie

5 Su questi aspetti, cfr. l’approfondimento infra, cap. 6 §§ 2-3.

6 Così, per esempio, in J. Heers, Partiti e vita politica nell’Occidente medievale

[1977], Milano, 1983, che pur riconoscendo nella faida e nella vendetta i meccanismi di base della lotta di fazione, li interpreta come modi residuali della lotta politica.

7 Cfr., per alcuni esmpi di analisi, A. Torre, Faide, fazioni e partiti, ovvero la ridefini-

zione della politica nei feudi imperiali delle Langhe tra Sei e Settecento, “Quaderni storici”,

n.s., 63 (1986), pp. 775-810; e O. Raggio, Faide e parentele. Lo stato genovese visto dalla

interfamiliari, di lotte per il predominio politico, quasi sempre intrecciate e sovrap- poste, e comunque tutte riconducibili alla logica della faida.

Anche a Firenze, la divisione della società politica comunale in due fazioni originava infatti dall’ordinarsi dicotomico degli schieramenti cui costringeva la logica del conflitto di faida8. Alla base del primo grande conflitto interno al-

l’aristocrazia consolare fu, per esempio, una faida tra contrapposte coalizioni di famiglie: da un lato gli Uberti e gli altri lignaggi a loro collegati, dall’altro i Giandonati e le famiglie che egemonizzavano da tempo il consolato. La crisi scoppiò nel 1177 quando il potente e filoimperiale lignaggio degli Uberti trasse forza dalla pace di Venezia, che apriva definitivamente al Barbarossa il controllo della Toscana, per muovere guerra al ristretto gruppo di famiglie che, stretto in- torno alla consorteria di torre dei Giandonati, Fifanti e Iudi, controllava da anni il consolato. La “gran discordia e guerra” che la cronaca pseudo-latiniana indica “intra’ consoli di Firençe e la casa degli Uberti”9 durò più di due anni, scandita

da scontri durissimi e incendi che devastarono metà della città antica10.

A un’analisi attenta si può rilevare come questa prima divisione generò le filiere degli schieramenti conflittuali successivi, dando vita alla tradizione fazio- naria duecentesca, così almeno quale fu ripresa e trasmessa dalla cronachistica. Intorno agli Uberti venne coalizzandosi un gruppo ben identificato di lignaggi (Lamberti, Amidei, Fifanti, Tedaldini, Caponsacchi, Bogolesi, etc.) che intrec- ciarono le proprie inimicizie con altre stirpi anch’esse chiaramente identificate (Buondelmonti, Donati, Infangati, Uguccioni, Adimari, etc.) e sempre raccorda- te al lignaggio dei Giandonati: è ciò che emerge, per esempio, dall’analisi delle “guerre” urbane ricordate dalle cronache per gli anni 1216, 1238-1239, 1241, 1242, 1245-1246 e 124811. Sempre la tradizione cronistica fa risalire alla faida

tra Amidei e Buondelmonti (e gruppi familiari collegati) del 1216 “la cagione e cominciamento delle maledette parti guelfa e ghibellina in Firenze”12, con conse-

guente elencazione (sia pure a posteriori) delle famiglie di ciascuna parte13.

8 La faida può essere considerata come un tentativo di ridefinire le relazioni socia-

li rendendo totali rapporti parziali, e inserendo le persone in un universo più vasto di rapporti dicotomici tra due fronti in conflitto: cfr. Torre, Faide, fazioni e partiti, cit., pp. 781-782; e anche infra, cap. 6 §§ 2-3.

9 Cronica fiorentina compilata nel secolo XIII, in Testi fiorentini del Dugento e dei

primi del Trecento, a cura di A. Schiaffini, Firenze, 1954, p. 104.

10 Cfr. R. Davidsohn, Storia di Firenze [1896-1927], Firenze, 1973, vol. I, pp. 819-

830; e ancora P. Villari, I primi due secoli della storia di Firenze. Ricerche, Firenze, 1905², pp. 135-138.

11 Cfr., per brevità, quanto in Davidsohn, Storia di Firenze, cit., vol. II, pp. 58-69,

332-333, 337-338, 383-385, 385-389, 431-432 e 457 sgg.

12 Villani, Nuova cronica, cit., VI, XXXVIII, vol. I, p. 268.

13 Cfr. ivi, VI, XXXIX, vol. I, pp. 269-271; e Ricordano Malispini, Storia fiorentina,

L’esilio dei guelfi nel 1248 aprì la lunga stagione del fuoruscitismo fiorentino – scandito dagli esodi in massa dei ghibellini nel 1251 e nel 1258, dei guelfi nel 1260 e ancora dei ghibellini nel 126614–, durante la quale l’uso politico del bando

si frammischiò alle lotte di fazione. La proscrizione politica, la confisca dei beni e la condizione di debolezza giuridica cui esponeva il bando15, rese questa tipo-

logia penale una delle risorse migliori del conflitto politico. Esponendo legal- mente i banditi alla possibilità di essere offesi impunemente, il bando si inseriva infatti sistematicamente nelle pratiche del conflitto, nelle strategie di faida, che vi individuavano le occasioni propizie per esercitare la ritorsione vendicatrice16.

Il periodo di grandi rivolgimenti nelle prevalenze politiche di parte trovò un ter- mine provvisorio tra il 1279 e il 1280 quando Niccolò III fece promuovere nelle città toscane e in quelle dello Stato pontificio – in particolar modo a Bologna, a Siena e a Firenze – una riappacificazione tra guelfi e ghibellini che doveva servire i nuovi equlibri politici italiani dopo la fine dell’egemonia angioina17. La

pacificazione generale promossa dal cardinal Latino tra le fazioni politiche si accompagnò a paci tra singole famiglie18, a conferma della stretta identità tra la

pratica delle faide e i modi della lotta di fazione.

I modi del conflitto politico rimasero però immutati, se ancora negli anni ottanta, la descrizione di Giovanni Villani dei conflitti tra i lignaggi fiorentini poteva essere la seguente: “in que’ tempi i grandi di Firenze [...] furono tra. lloro in tante brighe e discordie [...], com’erano allora ch’egli avea grande guerra tra gli Adimari e’ Tosinghi, e tra i Rossi e’ Tornaquinci, e tra i Bardi e’ Mozzi, e tra i Gherardini e’ Manieri, e tra i Cavalcanti e’ Bondelmonti, e tra certi de’

14 Sul fuoruscitismo fiorentino la bibliografia è ancora frammentaria. Specifico ma

esile è l’intervento di C. Guimbard, Exil et institutions du Comune à Florence dans la

seconde moitié du XIIIe siècle, in Exil et civilisation en Italie (XIIe-XVIe siècles), études

réunies par J. Heers - Ch. Bec, Nancy, 1990, pp. 21-31. Molti riferimenti a Firenze hanno Heers, Partiti e vita politica, cit., pp. 171 sgg.; R. Starn, Contrary Commonwealth. The

Theme of Exile in Medieval and Renaissance Italy, Berkeley, 1982; e la raccolta Exil et civilisation en Italie, cit.

15 Sul bando in età comunale, cfr., per una prima informazione, J. Köhler, Das

Strafrecht der italienischen Statuten vom 12.-16. Jahrhundert, Mannheim, 1897, pp. 56

sgg.; C. Ghisalberti, La condanna al bando nel diritto comune, “Archivio giuridico “Filippo Serafini””, s. VI, XXVII (1960), pp. 3-75; D. Cavalca, Il bando nella prassi e nella dottrina

giuridica medievale, Milano, 1978, pp. 42 sgg. in particolare. Per un esempio d’analisi,

P.R. Pazzaglini, The Criminal Ban of the Sienese Commune. 1225-1310, Milano, 1979.

16 Sui rapporti tra bando e vendetta, cfr. G. Dahm, Untersuchungen zur Verfassungs-

und Strafrechtgeschichte der italienischen Stadt im Mittelalter, Hamburg, 1941, pp. 98

sgg.; e, per alcuni contesti d’analisi, M. Vallerani, Il sistema giudiziario del comune di

Perugia. Conflitti, reati e processi nella seconda metà del XIII secolo, Perugia, 1991, pp. 62

sgg., e gli esempi, oltre che in questo capitolo, infra, cap. 5 § 2.1.

17 Cfr. G. Fasoli, La pace del 1279 tra i partiti bolognesi, “Archivio storico italiano”,

XCI (1933), pp. 49-68; e M. Sanfilippo, Guelfi e ghibellini a Firenze: la ‘pace’ del cardinal

Latino (1280), “Nuova rivista storica”, LXIV (1980), pp. 1-24.

Bondelmonti e’ Giandonati, e tra’ Visdomini e’ Falconieri, e tra i Bostichi e’ Foraboschi, e tra’ Foraboschi e’ Malispini, e tra’ Frescobaldi insieme, e tra la casa de’ Donati insieme, e più altri casati”19. Nel suo riproporsi incessante, la

lotta di fazione non esprimeva dunque una patologia, bensì definiva il conflitto come uno dei modi ordinari di condurre la lotta politica. In altri termini, la faida si configurava come un’idioma della competizione politica.

Condizione necessaria per sostenerne tale articolazione era pertanto il coin- volgimento di strutture familiari solide economicamente, coese spiritualmente, capaci di mantenere nel tempo l’inimicizia e di alimentare la sua memoria, ardite nell’azione, e spesso preparate a gestire un confronto armato. Requisiti che era- no reinterpretati culturalmente – nell’elaborazione della tradizione della faida, del vincolo parentale del sangue, della tutela del sentimento familiare dell’onore – da letterati e pensatori laici come Brunetto Latini e Dante20. Celeberrimo è,

da questo punto di vista, il conflitto tra i Cerchi e i Donati dove fu palesemente la faida a fornire un linguaggio alla lotta politica e ad animare la “guerra” tra i Bianchi e i Neri a cavallo del 130021. Una felice concentrazione documentaria di

documenti pubblici e, soprattutto, di testi cronachistici – a cominciare da quelli di Dino Compagni, Giovanni Villani e Marchionne di Coppo Stefani, che spic- cano per precisione del vocabolario, selezione dei temi trattati e chiarezza delle categorie interpretative22– consente di ricostruire tale episodio, mettendone in

evidenza la genesi e l’ordinarietà della sua regolazione come conflitto per l’ege- monia nella società politica comunale.

2. Genesi di un conflitto tra lignaggi

Rispetto ad altre faide di cui si ha notizia23, quella tra i Cerchi e i Donati fu

più breve ma più intensa, svolgendosi in pratica nel corso di una generazione tra gli ultimi decenni del secolo XIII e i primissimi anni del XIV.

19 Villani, Nuova cronica, cit., IX, I, vol. II, pp. 11-12. 20 Cfr. infra, cap. 5 § 2.2., per un approfondimento.

21 Sui Bianchi e i Neri la letteratura è nutrita: cfr. almeno I. Del Lungo, I Bianchi

e i Neri. Pagine di storia fiorentina da Bonifazio VIII ad Arrigo VII per la vita di Dante,

Milano, 1921² (pp. 117 sgg., per la narrazione della faida).

22 Sul Compagni, cfr. I. Del Lungo, Dino Compagni e la sua Cronica, 3 voll., Firenze,

1879-1887; G. Arnaldi, Dino Compagni cronista e militante “popolano”, “La cultura”, XXI (1983), pp. 37-82; Id., “Cronica delle cose occorrenti ne’ tempi suoi” di Dino Compagni, in Letteratura italiana. Le Opere, Torino, 1992, vol. I, pp. 331-350. Sullo Stefani, cfr. E. Sestan, Buonaiuti Baldassarre, detto Marchionne (Marchionne di Coppo Stefani), voce del

Dizionario biografico degli italiani, Roma, 1972, vol. XV, pp. 105-112; sul Villani, cfr.

F. Ragone, Le scritture parlate. Qualche ipotesi sulla redazione delle cronache volgari nel

Trecento dopo l’edizione critica della “Nuova Cronica” di Giovanni Villani, “Archivio sto-

rico italiano”, CXLIX (1991), pp. 783-810.

I Cerchi costituivano ormai in quel periodo un lignaggio tra i più ricchi e potenti della città, articolato in rami distinti per lo più da colori (Cerchi Neri del rione di Porta San Piero, Cerchi Bianchi di S. Procolo, Cerchi Bianchi del Garbo, Cerchi di S. Romolo, etc.), e con gran seguito di “famigli e cavalli”24. Di

origini modeste, inurbati a Firenze dalla Valdisieve probabilmente nel secolo XII, essi crebbero in ricchezza con la mercatura e la banca, fino ad assurgere tra le compagnie di commercio più importanti in Europa. Lignaggio non nobile, dunque, ma di mercanti ricchissimi, alcuni dei quali (circa una ventina) furono insigniti della militia dal comune di Firenze per essersi distinti nelle battaglie di Montaperti (1260) e soprattutto di Campaldino (1289)25. Pur collegati con

“grandi parentadi”26 ai lignaggi maggiori di Firenze, e pur giunti a partecipare

dello stile di vita cavalleresco27, la reputazione dei Cerchi rimase sempre quella

di “uomini di basso stato [...] venuti di piccolo tempo in grande stato e po- dere”28. Parvenus plutocrati, essi non riuscirono mai a celare quell’arroganza e

quella “bizzarra salvatichezza” messe in rilievo dai cronisti popolani.

I Donati, invece, erano uno dei lignaggi militari più antichi di Firenze. Originari anch’essi della Valdisieve, nell’età di Dante costituivano ormai una casata in incipiente declino, divisa in più rami e minata da conflitti intestini. “Più antichi di sangue”, dunque, “ma non sì ricchi”29 come i Cerchi, per rimanere al-

l’opinione comune ripresa dai cronisti, essi si caratterizzavano soprattutto come “gentili uomini e guerrieri”30. La violenza e l’uso delle armi costituivano ancora

la loro principale risorsa, tanto da guadagnarsi l’appellativo di “Malefami”31.

Inevitabile fu il loro inserimento nel novero delle famiglie magnatizie, al pari, pe- raltro, dei Cerchi che, pur di tradizione cavalleresca più recente, si erano ormai avvezzi a comportamenti di “grandigia”.

Entrambe aderenti, sin dalle prime divisioni cittadine, alla parte guelfa, le casate dei Cerchi e dei Donati erano comunque irriconducibilmente diverse per

24 Dino Compagni, La cronica delle cose occorrenti ne’ tempi suoi, a cura di I. Del

Lungo, RR.II.SS., IX/2, 2 voll., Città di Castello, 1913-1916, I, XX, p. 55. Sui Cerchi, cfr. le varie voci del Dizionario biografico degli italiani, Roma, 1979, vol. XXIII, pp. 685-700; e dell’Enciclopedia dantesca, Roma, 1970, vol. I, pp. 915-918.

25 Cfr. S. Gasparri, I “milites” cittadini. Studi sulla cavalleria in Italia, Roma, 1992,

pp. 62-63.

26 Villani, Nuova cronica, cit., IX, XXXIX, vol. II, p. 63.

27 Cfr. Compagni, La cronica, cit., I, XX, p. 55; e Gasparri, I “milites” cittadini, cit.,

pp. 62-63.

28 Compagni, La cronica, cit., I, XX, p. 55; e Villani, Nuova cronica, cit., IX, XXXIX,

vol. II, p. 63.

29 Compagni, La cronica, cit., I, XX, p. 55. Sui Donati, cfr. le varie voci del Dizionario

biografico degli italiani, Roma, 1992, vol. XLI, pp. 10-61; e dell’Enciclopedia dantesca,

Roma, 1970, vol. II, pp. 555-568.

30 Villani, Nuova cronica, cit., IX, XXXIX, vol. II, p. 63. 31 Ossia “fammi male”: ibidem.

origini patrimoniali. Agli occhi dei cronisti era questo un elemento di differen- ziazione di mentalità e di cultura che sembrava motivare una naturale attitudine dei Donati a battersi per la conquista del potere e, vicerversa, una maggiore pro- pensione dei Cerchi a fare della disponibilità di risorse lo strumento per l’azione politica32: quanto i primi si comportavano da “guerrieri”, tanto i secondi appa-

rivano “morbidi”33.

L’ostentazione delle ricchezze da parte dei Cerchi fu certo tra gli elementi che contribuirono ad alimentare la crescente inimicizia tra le due famiglie. In origine, i rapporti dovevano invece essere buoni se Corso Donati, personalità spiccata – “che per sua superbia fu chiamato il Barone”34–, capo famiglia e leader principale

della sua parte, aveva sposato in prime nozze la sorella di Niccolò de’ Cerchi (se non, addirittura, come vorrebbero altre fonti, di Vieri de’ Cerchi)35. Ma fu proprio

il sospetto avvelenamento di quest’ultima da parte del marito – una voce che cir- colò a Treviso negli anni successivi al decesso, che avvenne durante una podesteria del Donati in quella città36– a creare le prime ragioni di discordia tra i due casati.

Ragioni che crebbero quando, nel novembre 1280, Vieri e altri membri dei Cerchi acquistarono da Guido Salvatico dei conti Guidi case, terreni e, soprat- tutto, il palazzo nel sesto di Porta San Piero, adiacente alle proprietà dei Pazzi e dei Donati. Il nuovo insediamento segnava il definitivo raggiungimento dello status di famiglia potente anche sul piano dell’immagine sociale. Il palazzo fu restaurato e “cresciuto”, e intorno a esso i Cerchi presero a sfoggiare appieno la propria ricchezza, “tenendo gran vita”: “vestivano bene, e teneano molti famigli e cavalli, e aveano bella apparenza”37. L’ostentazione suonò provocatoria agli

occhi dei vicini Donati, abituati, al contrario, a considerare dall’alto in basso le famiglie senza tradizione militare: “veggendo i Cerchi salire in altezza” – una cre- scita che era sia materiale sia sociale, e che i Donati vissero con crescente disagio –, essi cominciarono così a nutrire un “grande odio contra loro”38. L’opinione

dei cronisti è chiarissima a tale proposito: Giovanni Villani osserva, per esempio, come “per la conversazione de la loro invidia co.la bizzarra salvatichezza nacque il superbo isdegno tra.lloro”39.

32 Cfr. G. Rossetti, Gli storici nella civiltà cittadina italiana, in Il ruolo della storia e

degli storici nelle civiltà, Messina, 1982, p. 176.

33 Villani, Nuova cronica, cit., IX, XXXIX, vol. II, p. 63.

34 Compagni, La cronica, cit., II, XX, p. 126. Su di lui, cfr. ora S. Raveggi, Donati,

Corso, voce del Dizionario biografico degli italiani, cit., 1992, vol. XLI, pp. 18-24.

35 Cfr. Compagni, La cronica, cit., p. 56, nota 9.

36 Cfr. Ferreto Ferreti, Historia rerum in Italia gestarum ab anno MCCL ad annum

MCCCXVIII, in Le opere di Ferreto de’ Ferreti vicentino, a cura di C. Cipolla, 3 voll.,

Roma, 1908-1920, vol. I, pp. 76-97, sulla faida tra i Cerchi e i Donati.

37 Compagni, La cronica, cit., I, XX, p. 55. 38 Ibidem.

L’ostilità latente sfociò in aperto conflitto quando Corso Donati riuscì a spo- sare in seconde nozze la ricca ereditiera Tessa degli Ubertini, contro la volontà dei parenti di questa, tra i quali figuravano anche i Cerchi. Nonostante vari ricorsi al tribunale vescovile e alla curia pontificia, alla fine nel 1296 il “Barone” l’ebbe vinta “per forza”40, assicurandosi il controllo di un patrimonio di circa 6.000 fio-

rini41. Il Donati, d’altra parte, non era nuovo a imprese del genere. La sua vita fu

infatti scandita da una spregiudicata politica matrimoniale, finalizzata non solo alla tessitura di alleanze politiche ma anche alla caccia di doti e di eredità. Le sue

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