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1. L’ordine pubblico cardine dell’ordinamento politico

1.1. In apertura è necessario richiamare le sfumature di significato che, ri- spetto a oggi, assunsero nelle esperienze politiche del tardo medioevo il concetto e la pratica di ordine pubblico. Nelle società di antico regime la politica della prevenzione e dell’ordine pubblico comportavano un’implicazione più ideologi- ca che immediatamente e solo amministrativa. Nella dottrina medievale, l’ordine pubblico si riassumeva nell’ordinamento politico, nell’ordo civitatis e nella pax publica. Tra i fini costitutivi del governo cittadino era anzitutto la sicurezza e la punizione; ordine pubblico e autorità del potere politico si misuravano nella efficacia dell’azione di governo1. Il processo di disciplinamento della società che

i nuovi poteri vennero mettendo al centro delle loro priorità di governo, e di controllo più generale di tutti i comportamenti sociali, si faceva strumento di legittimazione della loro sovranità2.

L’elaborazione ideologica della nozione di “pacifico e quieto stato” dei regimi cittadini echeggia infatti di continuo nei documenti pubblici coevi, come anche nelle cronache delle lotte, dei tumulti, delle sedizioni politiche, quale funzione cardine di governo. Instabilità e disordini vennero crescentemente percepiti e de- scritti come effetti della mancata o inadeguata punizione dei delitti. Alle tensioni

1 Notazioni fondamentali su questi aspetti sono quelle di M. Sbriccoli, Nox quia no-

cet. I giuristi, l’ordine e la normalizzazione dell’immaginario, in La notte. Ordine, sicurezza e disciplinamento in età moderna, a cura di M. Sbriccoli, Firenze, 1991, pp. 9 e 15-16.

2 Tra le molte ricerche recenti sul processo di disciplinamento negli ultimi secoli del

medioevo, cfr. F.M. De Sanctis, Il potere e la complessità: la coppia “disciplina - disciplina-

mento”, “Materiali per una storia della cultura giuridica”, XVIII (1988), pp. 257-267; i

saggi su Disciplina. Disciplinamento raccolti in “Annali dell’Istituto storico italo-germa- nico in Trento”, XVIII (1992), pp. 315-411; Disciplina dell’anima, disciplina del corpo e

disciplina della società tra medioevo ed età moderna, a cura di P. Prodi, Bologna, 1994. In

particolare, sul nesso tra disciplinamento e legittimazione, cfr. le riflessioni di P. Schiera,

Lo Stato moderno e il rapporto disciplinamento/legittimazione, “Problemi del socialismo”,

26 (1985), pp. 111-135; Id., Legittimità, disciplina, istituzioni: tre presupposti per la nasci-

ta dello Stato moderno, in Origini dello Stato. Processi di formazione statale in Italia fra medioevo ed età moderna, a cura di G. Chittolini - A. Molho - P. Schiera, Bologna, 1994,

pp. 17-48.

Andrea Zorzi, La trasformazione di un quadro politico. Ricerche su politica e giustizia a

Firenze dal comune allo Stato territoriale, ISBN 978-88-8453-576-X (online) ISBN 978-

che caratterizzarono crescentemente le società urbane cominciarono a corrispon- dere, dal secolo XIII almeno, nuove esigenze di governo e nuove politiche giu- diziarie, delle quali si fecero a un certo punto fautori convinti i regimi di ‘popo- lo’3. La nota definizione che Alberico da Rosciate riprendeva dal motto tomistico

“Iustitia est anima civitatis”4 esprimeva lo stretto nesso tra i nuovi poteri cittadini

e l’esercizio della giustizia. Strumenti come la diffusione del processo inquisito- rio e dell’uso della tortura5, e apparati di controllo e di repressione sempre più

articolati e specifici vennero allora approntati mano a mano che della violenza si coglievano le implicazioni politiche più profonde. Il ruolo di corpi di polizia “se- parati istituzionalmente dalle strutture sociali”6, e ora operanti come istituzioni

fondamentali dell’autorità di governo, si sviluppò in questo contesto7.

1.2. A Firenze, come nelle altre maggiori città toscane della seconda metà del Trecento, per esempio, le minacce all’ordine pubblico erano percepite prin- cipalmente come l’effetto dell’inasprimento, in forme talora anche violente, della lotta politica interna ai lignaggi e agli schieramenti dei gruppi dirigenti oligarchi- ci, e del loro intrecciarsi – a Siena come a Firenze –, con il fermento e i tumulti degli artigiani minori e dei lavoratori salariati delle manifatture tessili. E non a caso, proprio dagli avvenimenti di quest’epoca cominciarono a profilarsi anche nella dottrina giuridica quegli elementi che, attraverso le figure criminali della rebellio e della seditio, confluirono poi nella progressiva definizione del reato politico per eccellenza, del crimen lesae maiestatis8.

3 Sul ruolo del ‘popolo’ nel mutamento delle politiche giudiziarie, cfr. J.P. Grundman,

The ‘popolo’ at Perugia. 1139-1309 [1974], Perugia, 1992, pp. 99 sgg., 267 sgg. e 309 sgg.;

S.R. Blanshei, Criminal Law and Politics in Medieval Bologna, “Criminal Justice History”, II (1981), pp. 1-30; J. Koenig, Il ‘popolo’ dell’Italia del Nord nel XIII secolo, Bologna, 1986, pp. 338 sgg.; J.-C. Maire Vigueur, Il comune popolare, in Società e istituzioni dell’Ita-

lia comunale: l’esempio di Perugia (secoli XII-XIV), Perugia, 1988, vol. I, pp. 48 sgg.; Id., Justice et politique dans l’Italie communale de la seconde moitié du XIIIe siècle: l’exemple de Pérouse, “Comptes rendus de l’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres”, (1986),

pp. 312-328; cfr. inoltre supra, il cap. 5. Mi permetto inoltre di rinviare anche a A. Zorzi,

La giustizia a Firenze in età comunale (1250-1343). Pratiche sociali, sistemi giudiziari, con- figurazioni istituzionali, tesi di dottorato di ricerca in storia medievale, Università degli

studi di Firenze, 1992.

4 Citata in Sbriccoli, Nox quia nocet, cit., p. 22.

5 Sui quali, cfr., per un primo inquadramento, M. Sbriccoli, “Tormentum idest tor-

quere mentem”. Processo inquisitorio e interrogatorio per tortura nell’Italia comunale, in La parola all’accusato, a cura di J.-C. Maire Vigueur - A. Paravicini Bagliani, Palermo, 1991,

pp. 19 sgg.

6 G. Tabacco, Egemonie sociali e strutture del potere nel medioevo italiano [1974],

Torino 1979, pp. 330 sgg., 350 sgg.

7 M. Sbriccoli, “Crimen lesae maiestatis”. Il problema del reato politico alle soglie del-

la scienza penalistica moderna, Milano, 1974, pp. 71 sgg. e 308 sgg.; e Id., Polizia (diritto intermedio), voce dell’Enciclopedia del diritto, vol. XXXIV, 1985, pp. 113 sgg.

L’erompere di queste tensioni, che si espressero nei modi delle congiure, dei tumulti e delle sommosse – e che in qualche caso sfociarono in soluzioni di governo apertamente signorile – mise a nudo il grado di precarietà che gli ordinamenti comunali delle città toscane, e quelli giudiziari in particolare, ave- vano ormai raggiunto nel declino della loro eperienza politica9. Le necessità di

disciplinare le forze interne in conflitto e le trasformazioni strutturali dei sistemi giudiziari cittadini si accompagnarono così alla definizione di nuovi assetti socia- li e di nuovi equilibri politici.

Solo per richiamare gli sviluppi più noti nelle città maggiori, basti, per esempio, ricordare come a Siena, caduto il lungo regime Novesco, fu attraver- so le sommosse popolari del 1355, 1368, 1369, quella del Bruco del 1371, le sollevazioni dei grandi del 1368, e le mobilitazioni violente degli anni ottan- ta, che maturò il clima politico e civile che dal governo di ‘popolo’ condusse a quello oligarchico-nobiliare attraverso i regimi pluripartiti dei Monti10. A

Lucca, invece, il lungo periodo di pace apparente seguito alla restituità libertà dalla dominazione pisana nel 1369 fu percorso da tensioni e rivalità sotter- ranee tra la parte dei Forteguerra e quella dei Guinigi, destinate a sfociare – dopo l’estate armata del 1391, quando, stando alla felice espressione del Sercambi, “era divenuta Luccha peggio ch’um bosco”11, tante erano le ricerca-

te occasioni di scontro tra le parti – nel conflitto armato del maggio 1392 che spianò la strada alla signoria dei Guinigi e in particolare di Paolo Guinigi che poi seppe abilmente propagandare la propria figura di pacificatore12. A Pisa, la

lotta politica non toccò che raramente episodi di scontro violento tra le parti, ma accentuò comunque quelle tendenze molto forti al conservatorismo politi- co della classe dirigente che, dopo la faida tra Bergolini e Raspanti negli anni

9 Sul declino comunale in Toscana, cfr., per una prima sintesi, E. Cristiani, Il ceto

dirigente, in La Toscana nel secolo XIV. Caratteri di una civiltà regionale, a cura di S.

Gensini, Pisa, 1988, pp. 27-40.

10 Su questi eventi e sul quadro politico senese tra XIV e XV secolo, cfr. M. Luzzati,

Siena, Lucca e Pisa fra Trecento e Cinquecento, in Storia della società italiana, vol. VIII, I secoli del primato italiano: il Quattrocento, Milano, 1988, pp. 383 sgg.; V. Wainwright, Conflict and popular government in fourteenth century Siena: il Monte dei Dodici, 1355- 1368, in I ceti dirigenti nella Toscana tardo comunale, Monte Oriolo, 1983, pp. 57-79;

A.K. Isaacs, Magnati, comune e stato a Siena nel Trecento e all’inizio del Quattrocento, ivi, pp. 81-96; e M. Ascheri, Dal governo di ‘popolo’ al governo nobiliare, in Id., Siena nel

Rinascimento. Istituzioni e sistema politico, Siena, 1985, pp. 9-108.

11 Giovanni Sercambi, Le croniche lucchesi, a cura di S. Bongi, Roma, 1892, vol. I,

p. 274.

12 Sul quadro politico lucchese tra XIV e XV secolo, cfr. Luzzati, Siena, Lucca e Pisa,

cit., pp. 387 sgg.; Ch. Meek, Lucca 1369-1400. Politics and Society in an Early Renaissance

City-State, Oxford, 1978, pp. 237-268 e 271 sgg., in particolare, per gli eventi citati; e S.

Polica, Le famiglie del ceto dirigente lucchese dalla caduta di Paolo Guinigi alla fine del

Quattrocento, in I ceti dirigenti nella Toscana del Quattrocento, Monte Oriolo, 1987, pp.

cinquanta del secolo XIV, partorirono, attraverso congiure e repressioni poli- tiche e penali assai determinate, tutta la genìa degli esperimenti signorili – dei Gambacorta, del “dogado” di Giovanni dell’Agnello, di Gherardo e Jacopo d’Appiano – che finirono col consegnare la città dapprima ai Visconti e poi, dal 1406, ai Fiorentini13.

A Firenze, infine, le lotte anche armate all’interno dell’oligarchia cresciuta nel seno del cosiddetto regime delle arti successivo al 1343 – e che gravitarono negli anni sessanta intorno alle fazioni dei Ricci e degli Albizzi –, si intrec- ciarono con la crescente contestazione sociale e politica dei ceti subalterni14.

La risonanza che ebbero in tutta Europa l’intensità e la violenza del tumulto dei Ciompi del 1378 trovò corrispondenza nell’intensità della restaurazione, repressiva e determinata, di un ordine pubblico, sociale e politico, che le se- guì15 e che avviò una fase di decisa concentrazione del potere della quale si

fece interprete l’autoritario regime albizzesco16. Gli apparati giudiziari e di

ordine pubblico di tradizione comunale furono investiti da queste tensioni, e in buona misura si fecero strumento politico di questi confronti, dando luogo a un mutamento strutturale dell’esercizio della giustizia e del controllo del- l’ordine. In altre sedi ho analizzato le trasformazioni che accompagnarono il

13 Sul quadro politico pisano tra XIV e XV secolo, cfr. M. Luzzati, Firenze e la

Toscana nel Medioevo. Seicento anni per la costruzione di uno Stato, Torino, 1986, pp. 144-

145; Id., Siena, Lucca e Pisa, cit., pp. 393 sgg.; M. Tangheroni, Politica, commercio, agricol-

tura a Pisa nel Trecento, Pisa, 1973; e G. Petralia, ‘Crisi’ ed emigrazione dei ceti eminenti a Pisa durante il primo dominio fiorentino: l’orizzonte cittadino e la ricerca di spazi esterni (1406-1460), in I ceti dirigenti nella Toscana del Quattrocento, cit., pp. 291-352.

14 Cfr. G.A. Brucker, Florentine Politics and Society, 1343-1378, Princeton, 1962; Id.,

The Florentine “Popolo minuto” and its Political Role, 1340-1450, in Violence and Civil Disorder in Italian Cities, 1200-1500, ed. by L. Martines, Berkeley, 1972, pp. 155-183; e

N. Rodolico, Il popolo minuto. Note di storia fiorentina (1343-1378), Firenze, 19682; Id., I

Ciompi. Una pagina di storia del proletariato operaio, Firenze, 1945.

15 Sulla quale, cfr. G.A. Brucker, The Ciompi Revolution, in Florentine Studies.

Politics and Society in Renaissance Florence, ed. by N. Rubinstein, London, 1968, pp. 344

sgg.; e N. Rubinstein, Il regime politico di Firenze dopo il tumulto dei Ciompi, in Il tumulto

dei Ciompi. Un momento di storia fiorentina ed europea, Firenze, 1981, pp. 105-124.

16 Cfr. G.A. Brucker, Dal Comune alla Signoria. La vita pubblica a Firenze nel primo

Rinascimento [1977], Bologna, 1981, sintesi cui si rinvia anche per i numerosi contri-

buti di ricercatori anglofoni; e i vari saggi di R. Fubini, Osservazioni sugli “Historiarum

Florentini populi l. XII” di L. Bruni, in Studi di storia medievale e moderna per Ernesto Sestan, Firenze, 1980, vol. I, pp. 403-448; Id., Classe dirigente ed esercizio della diploma- zia nella Firenze quattrocentesca, in I ceti dirigenti nella Toscana del Quattrocento, cit.,

pp. 117-189; Id., La rivendicazione di Firenze della sovranità statale e il contributo delle

“Historiae” di Leonardo Bruni, in Leonardo Bruni cancelliere della Repubblica di Firenze,

a cura di P. Viti, Firenze, 1990, pp. 29-62; Id., Dalla rappresentanza sociale alla rappre-

sentanza politica: alcune osservazioni sull’evoluzione politico-costituzionale di Firenze nel Rinascimento, “Rivista storica italiana”, CII (1990), pp. 279-301 (solo quest’ultimo è ora

raccolto in Id., Italia quattrocentesca. Politica e diplomazia nell’età di Lorenzo il Magnifico, Milano, 1994, pp. 41-61).

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