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La società comunale appare caratterizzata dall’intensità dei conflitti tra indi- vidui, tra famiglie, tra raggruppamenti societari, tra classi. Una lunga tradizione di studi ha inteso riconoscere nelle istituzioni comunali l’ordinamento capace di disciplinare – pur a costo di una perdurante instabilità – tale disordine, di cui si è evidenziato soprattutto il carattere di endemicità1. In questa chiave, l’afferma-

zione della giustizia pubblica, e di quella penale in particolare, avrebbe rappre- sentato una delle tappe della costruzione statale2.

Il valore di questa interpretazione può essere ulteriormente arricchito alla luce di una consapevolezza nuova delle nozioni di diritto e di giustizia. Se, in- fatti, riconosciamo al primo la funzione sostanziale di disciplinare la società, di risolvere i conflitti e di legittimare i poteri, e alla seconda quella di proporsi essenzialmente nei termini di soluzione dei conflitti3, formazioni politiche com-

plesse come quelle urbane tardo medievali appariranno allora caratterizzate da un accentuato pluralismo giudiziario, vale a dire, da una varietà di modi di solu- zione del conflitto – sia sanzionatori sia infragiudiziari, sia pacifici sia violenti –, che offriva agli individui e ai gruppi un’ampia gamma di opzioni e di strategie. La ricerca giuridica più recente ha inoltre contribuito a mettere in evidenza il carattere ordinario del conflitto, che non appare più come una devianza o una patologia, bensì come un processo aperto delle relazioni sociali4.

1 Cfr. G. Tabacco, Egemonie sociali e strutture del potere nel Medioevo italiano

[1974], Torino, 1979, pp. 330 sgg.; O. Capitani, Dal Comune alla Signoria, in Storia d’Ita-

lia, diretta da G. Galasso, Torino, 1981, vol. IV, pp. 149-150; e A.I. Pini, Dal comune città-stato al comune ente amministrativo [1981], in Id., Città, comuni e corporazioni nel medioevo italiano, Bologna, 1986, pp. 140 sgg.

2 Cfr. Tabacco, Egemonie sociali, cit., p. 350-352; Capitani, Dal Comune alla Signoria,

cit., p. 148; E. Artifoni, Tensioni sociali e istituzioni nel mondo comunale, in La storia. I gran-

di problemi dal Medioevo all’Età contemporanea, diretta da N. Tranfaglia - M. Firpo, vol. II: Il Medioevo. 2. Popoli e strutture politiche, Torino, 1986, pp. 481 sgg.; e P. Cammarosano, Italia medievale. Struttura e geografia delle fonti scritte, Roma, 1991, p. 139.

3 Cfr., per un primo orientamento, P. Stein, I fondamenti del diritto europeo [1984],

Milano, 1987; M.R. Damaska, I volti della giustizia e del potere. Analisi comparatistica del

processo [1986], Bologna, 1991; V. Ferrari, Funzioni del diritto. Saggio critico-ricostruttivo,

Roma-Bari, 1987; e N. Rouland, Aux confins du droit, Paris, 1991.

4 Per una prima introduzione, cfr. S. Roberts, Order and Dispute. An Introduction

to Legal Anthropology, Harmondsworth, 1979; N. Rouland, Anthropologie juridique,

Andrea Zorzi, La trasformazione di un quadro politico. Ricerche su politica e giustizia a

Firenze dal comune allo Stato territoriale, ISBN 978-88-8453-576-X (online) ISBN 978-

La documentazione prodotta in ambito urbano – gli atti giudiziari e notarili, le fonti normative e deliberative, e le cronache cittadine – evidenzia, infatti, come largo spazio avessero i modi infragiudiziari di soluzione delle dispute (paci, arbi- trati, vendette, faide), mentre l’attività giudiziaria dei tribunali non svolgeva che un ruolo assai parziale, e sostanzialmente ideologico, di legittimazione dei poteri comunali5. Soprattutto, una nozione non negativa del conflitto apre soluzioni

interpretative nuove anche alla storia della lotta politica e può contribuire, con nuove indagini e con la ridiscussione di temi classici, al fecondo rinnovamento che la storia politica conosce in questi anni e del quale partecipano anche le ricerche sul medioevo comunale italiano6.

In particolare, attendono da tempo di essere rivisitate le interpretazioni tra- dizionali della lotta politica. Come è noto, la ricostruzione delle lotte di fazione si è a lungo divisa tra spiegazioni in termini di conflitto di classe (milites contro pedites, nobili contro popolo, magnati contro popolani) e spiegazioni in termini di scontro per il potere all’interno di un ceto dirigente socialmente omogeneo e diviso solo da motivazioni ideologiche (guelfi contro ghibellini o colori analo- ghi)7. Tali spiegazioni hanno messo in evidenza aspetti importanti della politica

comunale, ma hanno sostanzialmente eluso l’analisi delle sue modalità e del suo ricondursi a specifiche logiche di conflitto.

La maggiore difficoltà interpretativa si è rivelata essere soprattutto quella di conferire un senso alla violenza con cui si esprimevano i confronti di fazione. Anche i tentativi di concettualizzarla si sono risolti in spiegazioni tautologiche, secondo cui i comportamenti violenti originerebbero dal contesto generale di violenza della società comunale8. Di fatto, ha prevalso una valutazione negati-

Paris, 1988. Analisi di società storiche sono raccolte in Disputes and Settlements. Law

and Human Relations in the West, ed. by J. Bossy, Cambridge, 1983; e The settlement of disputes in early medieval Europe, ed. by W. Davies - P. Fouracre, Cambridge, 1986.

5 Sul pluralismo giudiziario nella società comunale, oltre che ai capitoli che seguono,

mi permetto di rinviare all’analisi che ho avviato in A. Zorzi, La giustizia a Firenze in età

comunale (1250-1343). Pratiche sociali, sistemi giudiziari, configurazioni istituzionali, tesi

di dottorato di ricerca in storia medievale, Università degli studi di Firenze, 1992; e Id.,

Conflits et pratiques infra-judiciaires dans les formations politiques italiennes des XIIIe-XVe siècles, in L’infrajudiciaire de l’antiquité au XXe siècle, sous la direction de B. Garnot,

Dijon, 1996.

6 Cfr. G. Sergi, Le istituzioni dimenticate: il medioevo, “Quaderni storici”, 74 (1990),

pp. 412-413.

7 Dalle indagini classiche di G. Salvemini, Magnati e popolani in Firenze dal 1280

al 1295 [1899], Torino, 1960; e N. Ottokar, Il Comune di Firenze alla fine del Dugento

[1926], Torino, 1962, a quelle più recenti, per esempio, di E. Cristiani, Nobiltà e popolo

nel comune di Pisa. Dalle origini del podestariato alla signoria dei Donoratico, Napoli,

1962; e Tabacco, Egemonie sociali, cit., pp. 275 sgg. e 330 sgg.; e Id., Ghibellinismo e lotte

di partito nella vita comunale italiana, in Federico II e le città italiane, a cura di P. Toubert

- A. Paravicini Bagliani, Palermo, 1994, pp. 335-343.

va di tali pratiche sociali9, interpretate come causa della crisi degli ordinamenti

comunali e dell’affermazione dei poteri signorili10. A ben vedere, tale interpre-

tazione ha il limite di assumere come valida la spiegazione fornita dai cronisti popolani, artefici di una visione negativa delle violenze che potevano minacciare il pacifico stato dell’ordinamento comunale.

Di fronte a forme apparentemente caotiche di espressione della politica, si è cioè quasi sempre ricorsi alla pretesa razionalità di spiegazioni motivaziona- li (calcolo di opportunità, lotta di classe, affermazione di prerogative nobiliari, etc.). Anche quando si sono individuati i caratteri di faida alla base dei conflitti di fazione, se ne è disconosciuto il potenziale valore interpretativo. Al contrario, la lotta politica tra i lignaggi aristocratici originava proprio dalla rete di relazioni di inimicizia che nei conflitti di faida esprimeva una pratica politica ordinaria. Il capitolo 4 ricostruisce un episodio fiorentino ben noto, la lotta tra le fazioni dei Bianchi e dei Neri nell’età di Dante, da un punto di vista finora meno indagato: mettendone in evidenza, cioè, la genesi come conflitto di faida tra le casate ma- gnatizie dei Cerchi e dei Donati per l’egemonia nella società politica comunale. La faida vi appare un modo di organizzare e condurre il conflitto politico su una pluralità di livelli, ricorrendo sia alle pratiche infragiudiziarie sia alla risorsa costituita dalla giustizia comunale.

Il confronto tra magnati e popolani rappresenta a sua volta un terreno pri- vilegiato del nesso tra politica e giustizia. Paradossalmente, per quanto la lotta antimagnatizia gravitasse intorno a un ben definito nucleo di disciplina penale, la prospettiva della storia giudiziaria è rimasta finora trascurata nello studio di que- sti temi. Il capitolo 5 si sofferma dunque su alcune questioni che investono l’in- terpretazione generale delle misure antimagnatizie, evidenziando, in particolare, come esse servirono al ‘popolo’ per legittimarsi e per attuare la ristrutturazione della società politica, il ricambio, vale a dire, del ceto dirigente comunale. Nella discriminazione dei magnati le forze di ‘popolo’ seppero infatti individuare uno strumento di negoziazione politica. In altri termini, la proscrizione politica dei magnati, la dura disciplina penale che ne colpiva i comportamenti violenti, il ricorso diffuso a procedure straordinarie, servirono il processo che portò un

L. Martines, Berkeley, 1972; e J. Heers, Partiti e vita politica nell’Occidente medievale [1977], Milano, 1983.

9 Un termine che è ormai “diventato di uso generale: tanto con riferimento a prati-

che di lavoro quanto a pratiche conflittuali”: E. Grendi, Il Cervo e la repubblica. Il modello

ligure di antico regime, Torino, 1993, p. XV.

10 Cfr., per esempio, Tabacco, Egemonie sociali, cit., pp. 352 sgg.; Capitani, Dal

Comune alla Signoria, cit., pp. 147 sgg.; e G. Chittolini, La crisi delle libertà comunali e le origini dello Stato territoriale [1970], in Id., La formazione dello Stato regionale e le istituzioni del contado. Secoli XIV e XV, Torino, 1979, pp. 7 sgg. Una prima revisione di

queste posizioni è nelle acute osservazioni di L. Martines, Potere e fantasia. Le città stato

gruppo ben definito di famiglie di estrazione mercantile e artigiana a fare di tali misure un elemento di contrattazione nel controllo dell’accesso agli uffici e nel- l’educazione a una cultura politica non più fondata sul conflitto armato.

Con uno sguardo comparativo esteso ad altre esperienze politiche italiane, il capitolo 6 ripercorre infine il tema del conflitto e dei sistemi infragiudiziari met- tendo in evidenza come occorra superare il punto di vista che interpreta queste pratiche come privatistiche e residuali, come tappe intermedie nella progressiva affermazione dello Stato. Al contrario, è proprio nell’interazione con le istitu- zioni giudiziarie, con la dimensione giuridica e con le pratiche di governo, che i modi infragiudiziari possono essere colti nella pienezza delle loro implicazioni. Dall’analisi del pluralismo giudiziario proprio alle formazioni politiche italiane nella fase di transizione dall’età comunale a quella degli stati territoriali, emerge con rilievo come le trasformazioni nell’esercizio della giustizia furono determi- nate dal mutamento delle pratiche infragiudiziarie più che dall’affermazione di una funzione pubblica di amministrazione della giustizia.

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