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Una cerchia di intellettual

II. 3.1 «Quid quod ipse libros scribo?» La polemica contro i cattivi poeti.

II.3.5. Una cerchia di intellettual

Come si è visto, gli scritti di Petrarca venivano spesso letti pubblicamente, tuttavia come ben spiega a Boccaccio nell’Epyst., III 17, 6-14, dedicata al problema della diffusione dei testi, le sue opere latine dovevano assolutamente evitare il plauso del volgo. L’obiettivo è quello di circondarsi di persone competenti e sodali e rivolgersi a un pubblico selezionato e colto. Si pensi a Fam., VIII 4, indirizzata a Olimpio, in cui è evidente la disposizione al consorzio e al sodalizio letterario:

Colligamus nos igitur ad extrema viarum […] In hoc vobis, luce michi cariores fratres, siquid in me opis aut consilii est, siquid oblectationis aut gratie ex me sperari potest, siquid subsidii ex his rebus quas improprie meas dicunt, cum fortune sint, denique me ipsum, quod sine arrogantia possum, et libellos atque ortulos meos offero, et siquid est aliud1

Da ciò che si evince da una lettera scritta dal Cardinale Bernard d’Albi a Petrarca, risalente al 1342 e il cui ritrovamento si deve a Feo2, il poeta aveva intorno a sé ad Avignone una sorta di piccola accademia di fedeli che formavano una specie di sacra setta, desiderosa di ascoltare la parola e la dottrina del poeta3.

O lux Ytalie splendens, o nobile munus divinis concesse deis, mundique salutem

fama vocat numenque suum, cui mentem animumque Delius inspirat vates aperitque futura.

Inter preteritos redimitus tempora lauro et genitus in monte pio iuxtaque benignum fontem dulcis aque superansque cacumina laude diceris et diva celebrans sublimia mente ac satus ad vires romana in carmina dandas.

Felices audire tuam sanctaque in parte locatos perpetuo duco socios illosque volentes doctrinam sentire bonam sensusque petentes armarium. Fama nullo cariturus in evo, indigno concede tua sub lege morari,

quamquam non merear certe - nec magna petuntur. Da, venerande pater, doctrinam sumere talem et valeam vestras audire et reddere voces.

Sic et honos nomenque tuum laudesque manebunt, insipiens carmen et stultum, maxime doctor, corrige, namque caris animi complectimur ulnis4.

1 Fam., VIII 4, ma sul sodalizio letterario si veda anche XIX 5.

2 Come scrive Feo: «Nelle raccolte ufficiali delle sue lettere, sia in versi che in prosa, egli non conserva mai le voci dei suoi interlocutori, perché quelle raccolte non hanno intento documentario, sono opere letterarie interamente sue. La sopravvivenza di lettere indirizzate al Petrarca si deve esclusivamente agli accidenti della tradizione extravagante» Feo 2007, p.130.

3 Cfr., ivi p. 133.

4 Cit. in Feo 2007, p. 132. O luce splendente dell’Italia, o nobile dono/ concesso dagli dei divini, la fama ti chiama/ salvezza del mondo e suo nume, a te il vate Delio/ ispira la mente e l'animo e manifesta il futuro./ Si dice di te che sei cinto le tempie di alloro fra gli antichi, / che sei stato generato sul pio monte e presso il benigno/ fonte della dolce acqua, che superi le vette nella gloria, / che celebri cose sublimi nella tua mente divina/ e che sei nato per profondere le tue forze

Laura Antonella Piras, L’epistolario di Petrarca fra ars poetica e interpretazione, Tesi di Dottorato in Lingue, Letterature e Culture dell’età Moderna e Contemporanea (XXXI ciclo), Dipartimento di Scienze Umanistiche e Sociali, Università degli Studi di Sassari.

Scrive Feo:

la fama raggiunta con i carmi politici letti in piazza a Verona da Rinaldo Cavalchili e l’incoronazione poetica offerta contemporaneamente da Parigi e da Roma ne facevano un unicum nel pur ampio e ricco panorama culturale della cosmopolita capitale della cristianità. Come mostra Feo, risulta interessante osservare che l’espressione «lux Ytalie splendens» ricorda quelle che molti anni dopo avrebbe usato il Boccaccio, prima inviando in dono al Petrarca la

Commedia di Dante («Ytalie iam certus honos, cui tempora lauro / romulei cinxere duces»), e poi esortando l’amico a

pubblicare l’Africa («Ytalie sublimis honor»)5.

Bernard ricorda espressamente la cerimonia capitolina, sostenendo che tale onore, dimenticato dai moderni, pone Petrarca sullo stesso piano dei grandi autori dell’antichità (inter preteritos). Risulta inoltre interessante osservare come il vecchio cardinale utilizzi- per rivolgersi al poeta, all’epoca trentottenne- parole reverenti (lo chiama pater) e gli chiede di avvallare una sua attività poetica, ma soprattutto gli chiede di ammetterlo nella cerchia dei suoi fedeli (valeam vestras audire et reddere voces)6.

Riconosciuto già dai contemporanei come una vera e propria auctoritas in ambito letterario, Petrarca viene contattato quotidianamente da ogni parte d’Italia e d’Europa per leggere e valutare gli scritti altrui. In vari luoghi dell’epistolario il poeta rappresenta se stesso come un vero e proprio critico letterario militante, particolarmente attivo, continuamente impegnato nella lettura e nella valutazione di scritti di amici e conoscenti, e spesso assediato- come in questo caso- da scrittori improvvisati alla ricerca di legittimazione. Nello stesso anno, durante un lungo soggiorno estivo ad Avignone, Petrarca decide di rispondere al novello poeta: le lettere indirizzate al cardinale sono tre: le Epystole, II 2-4 e contengono- come suggerisce Feo- un dialogo poetico7.

Nella prima Epystola (la II 2), Petrarca invita Bernard a continuare a leggere gli antichi poeti (dolce fatica, ma ardua impresa) e a perseverare nella poesia, consigliandogli di velare la verità dei poetici colori; per aiutarlo, allega il commento di Servio a Virgilio. Ciò che senza dubbio riveste particolare interesse, in questi versi,- come suggerisce Fenzi- risiede nel fatto che nell’ambito di un discorso generale sulla poesia , Petrarca esprime un articolato giudizio su Servio, corente con quello che egli ne diede in altre opere, si pensi alla Collatio laureationis scritta nell’anno precedete8.

nei carmi romani. / Considero felici i tuoi amici di ascoltarti/ e posti per sempre in luogo sacro, desiderosi/ di percepire labuona dottrina e protesi verso lo scrigno/ dei valori. Tu che mai sarai privo di gloria nel tempo, /concedi a un indegno di soggiornare sotto la tua legge, /per quanto io certamente non lo meriti - né aspiro a grandi cose. / Fa, venerando maestro, che io apprenda siffatto sapere /e possa ascoltare le vostre voci e rispondere loro. / Se è vero che il tuo onore, il tuo nome e le tue lodi resteranno, /il mio insipido e sciocco carme, o massimo dottore, / correggi: e io ti abbraccio con le affettuose braccia dell'animo.

5 Feo 2007, p. 133. 6 Cfr., ibidem. 7 Cfr. ivi, p. 130.

Laura Antonella Piras, L’epistolario di Petrarca fra ars poetica e interpretazione, Tesi di Dottorato in Lingue, Letterature e Culture dell’età Moderna e Contemporanea (XXXI ciclo), Dipartimento di Scienze Umanistiche e Sociali, Università degli Studi di Sassari.

Neu te vulgus iners neu pervulgata retrorsum mendaces mentita ferat te fama poetas. Ludimus, et vario tegimus speciosa colore, 25 quo vulgus penetrare nequit: iuvat alta profundis occuluisse locis, ne forte iacentia passim vilescant. Magno quesitum quippe labore carius inventum est. Imis quod terra cavernis abdiderat venit in lucem pretiosius aurum. 30 Dulcius ignoto iacuit que litore iaspis in digitos translata micat. Sic blandior ether post nebulas pluviamque nitet; sic, nocte fugata, expectatus adest et gratior aspicitur sol.

Ergo, age, propositum qua fert novus impetus urge, 35 et studiis incumbe sacris, ubi lucida veri

effigies alti latitat, quam spiritus acris eruet ingenii sensim, scissaque parumper nube per obstantes cernet radiare tenebras. Hoc iter ingresso, magnum tibi munere parvo 40 Auxilium conferre velim: transmittitur ergo Servius altiloqui retegens archana Maronis. Suscipe tranquillus, nec iam variante senecta lurida permoveat facies vel turpis amictus: frons decet ista senem. Dabit hic tibi semina rerum 45 pauca, sed immensam segetem si rite colantur temporibus latura suis. Si parva lucerne

flamma valet monstrare viam sub tempore noctis, unda vel exigui rapidam compescere fontis estivo fervore sitim, non vilia forte,

50 non inamena, pater, munuscula nostra putabis.

Traduzione:

Né il popolo ignaro, né la

Fama menzognera diffusa sul passato

ti faccia credere che i poeti siano menzogneri! Noi, in realtà, componiamo,

rivestendo di vari colori le apparenze,

laddove il volgo non potrà mai addentrarsi, lì ci piace Nasconderli nei luoghi più appartati

Affinché non perdano di valore le bellezze che ritrovano in mezzo alla strada; poiché quel che trovi dopo averlo cercato con gran fatica ti è più caro. L’oro che la

terra aveva nascosto nelle caverne più profonde risulta più prezioso quando è portato alla luce. Il diaspro che ha dormito su un lido recondito brilla più caro trasferito sulle dita. E così più dolce il cielo brilla dopo le nuvole e la pioggia; così, se lunga è la notte giunge più atteso e si guarda con più piacere il sole. Pertanto, fatti forza! Porta avanti il progetto, dovunque ti spinga questa nuova energia, e dedicati agli studi sacri, dove la

Laura Antonella Piras, L’epistolario di Petrarca fra ars poetica e interpretazione, Tesi di Dottorato in Lingue, Letterature e Culture dell’età Moderna e Contemporanea (XXXI ciclo), Dipartimento di Scienze Umanistiche e Sociali, Università degli Studi di Sassari.

splendida figura del vero si nasconde lontano, ma l’animo acuito.

a trarrà fuori dall’ingegno a poco poco, e, dissolta per un poco quella nube, scorgerà che essa sparge i suoi raggi che combattono le tenebre!

A te che hai intrapreso questo cammino mi piacerebbe prestare aiuto con un piccolo dono pertanto ti è consegnato un Servio, colui che dischiude segreti del profondissimo Marone

Accettalo serenamente; e non ti preoccupare per via della sua mutevole vecchiaia, il suo aspetto squallido o la rilegatura rozza: tale aspetto è degno

di un vecchio. Ma ti regalerà i semi di sapienza, pochi, ma essi ti arrecheranno una messe

smisurata se li coltiverai come si deve, a suo tempo. Se picciol fiamma di lucerna è sufficiente a mostrar la via nel tempo della notte; se stilla di magra fonte basta a placare la sete nell’arsura aspra, allora giudicherai non povero, non brutto il nostro piccolo dono9.

A ben vedere questi versi riassumono i punti centrali di quella difesa della poesia che lo impegnò per tutta la vita: la verità nascosta della poesia; il suo difficile e necessariamente elitario linguaggio; la rarità preziosa e la fatica che essa costa. In questo senso, - come giustamente suggerisce Fenzi- la lettera presenta evidenti corrispondenze con la Collatio, specialmente là dove Petrarca rivendica il carattere di veridicità della poesia. Per Petrarca, infatti, lo ricordiamo, la poesia contiene la verità, la cui scoperta è tanto più dolce quanto più impegnativa ne è stata la ricerca10: «Eo tamen dulcior fit poesis, quo laboriosius quesita veritas magis atque magis inventa dulcescit»11. Le stesse argomentazioni si trovano in Epyst., II 2 27-28: «Magno quesitu quippe labore / carius inventum est». Inoltre, nella lettera prosegue affermando che “noi poeti”: «Ludimus, et vario tegimus speciosa colore, / quo vulgus penetrare nequit». Come spiega nella Collatio, i poeti amano giocare con queste difficoltà interpretative, perché- scrive, citando Lattanzio12, il compito del poeta è quello di nascondere il verum sub velamine figmentorum, e dunque di ludere (con la complicità del lettore): quamvis poetarum more ludere delectet.

9 La traduzione è di chi scrive. 10 Cfr. Marcozzi 2002, p. 31. 11 ai vv. 22-38

Laura Antonella Piras, L’epistolario di Petrarca fra ars poetica e interpretazione, Tesi di Dottorato in Lingue, Letterature e Culture dell’età Moderna e Contemporanea (XXXI ciclo), Dipartimento di Scienze Umanistiche e Sociali, Università degli Studi di Sassari.

In Epyst., II 2, inoltre, Petrarca esalta la vera effigies alla quale l’intelligenza ermeneutica sa giungere attraverso le nubi che l’avvolgono. Il tema tornerà successivamente nel IX libro dell’Africa:

Non illa licentia uatum est quam multis placuisse palam est. Scripturum iecisse prius firmissima ueri fundamenta decet, quibus inde innixus amena et uaria sub nube potest abscondere sese, lectori longum cumulans placidumque laborem, quesitu asperior quo sit sententia, uerum dulcior inuentu13.

Nel 1353, nelle Invective:

poete, inquam, studium est veritatem rerum pulchris velaminibus adornare, ut vulgus insulsum [...] lateat, ingeniosis autem studiosisque lectoribus et quesitu difficilior et dulcior sit inuentu,

e nel 1370 nella Sen., XII 2, indirizzata al medico Giovanni Dondi, in cui Petrarca spiega quale sarebbe il vero compito del poeta:

est fingere, id est componere atque ornare et ueritatem rerum uel mortalium uel naturalium uel quarumlibet aliarum artificiosis adumbrare coloribus et uelo amene fictionis obnubere, quo dimoto ueritas elucescat, eo gratior inuentu quo difficilior sit quesitu. Enimuero quis hoc nescit ab Homero ac Virgilio ante alios elegantissime factum esse.

Servio, costituisce dunque una guida preziosa per svelare gli archana, celati nell’alta sapienza poetica (altiloquus) di Virgilio14. Il suo prezioso commento, precisa in Epyst., I 2 offre i semi della sapienza (semina rerum), pochi (pauca), è vero, ma in grado di produrre una messe immensa (immensam segretem) se coltivati con cura.

L’espressione semina rerum, come osserva Petoletti, è tipicamente lucreziana15, ma la si ritrova spesso anche negli autori noti a Petrarca, e il significato è in genere chiaro, riferendosi appunto agli atomi, cioè ai ‘semi’ primordiali degli elementi costitutivi della realtà, come sono quelli di Virgilio, Buc., VI, 31-32:

Namque canebat uti magnum per inane coacta

13 90-97.

14 altiloquus cosi come alto è definito poco sopra il vero (v. 36), a dire appunto che il linguaggio di Virgilio è il linguaggio stesso della verità, e in quanto tale è, per definizione, un archanum. Nel Secretum e poi più ampiamente nella Senile IV 5 a Federico d’Arezzo, egli stesso s’è impegnato a svelare i sensi nascosti di alcuni episodi dell’Eneide, e fa in modo che Agostino gli mostri il suo apprezzamento: «Preclare lucem sub nubibus inuenisti. Sic nempe poeticis inest ueritas figmentis, tenuissimis rimulis adeunda», e più avanti: «Laudo hec, quibus abundare te uideo, poetice narrationis archana». 15 De rer., I 54; I, 174; I, 498; II, 676, ecc., ove semina sono i ‘principi primi’ e insomma gli atomi.

Laura Antonella Piras, L’epistolario di Petrarca fra ars poetica e interpretazione, Tesi di Dottorato in Lingue, Letterature e Culture dell’età Moderna e Contemporanea (XXXI ciclo), Dipartimento di Scienze Umanistiche e Sociali, Università degli Studi di Sassari.

emina terrarumque animaeque marisque fuissent, et liquidi simul ignes.

o quelli di questo passo di Macrobio16 .

Cumque semina rerum omnium post caelum gignendarum de caelo fluerent, et elementa uniuersa quae mundo plenitudinem facerent ex illis seminibus fundarentur, ubi mundus omnibus suis partibus membrisque perfectus est, certo iam tempore finis factus est procedendi de caelo semina ad elementorum conceptionem, quippe quae iam plena fuerant procreata.

Negli autori noti al Petrarca abbondano anche le espressioni ove i semina hanno senso proprio17 . Per Fenzi, Petrarca non si distanzia dall’uso che questi autori fanno della parola. Si pensi a De vita solitaria I 7, 8: nec ideo minus in aruo ingenii rerum semina iacere et inter ipsum quietis reparandique animi tempus uenturo labori materiam preparare. Tra boschi, prati e ruscelli, insomma-prosegue lo studioso- i semina rerum non abbandonano il ‘campo’ dell’ingegno, ma al contrario, in un clima di actuosa requies et quietus labor, promettono futura ‘materia’ agli impegni dell’intellettuale. Siamo vicini, come si vede, al nostro testo, e forse un passo in più ci viene dal Secretum, là dove Petrarca fa dire ad Agostino che sono bastate poche parole di Cicerone, nelle Tusculanae, a fornirgli il punto di partenza per il De vera religione, si che pochi semi hanno prodotto una ricca messe: «scito me, ut opus illud inciperem, unum maxime Ciceronis tui verbum induxisse. Affuit Deus incepto, ut ex paucis seminibus messis opima consurgeret»18.

I critici si sono interrogati a lungo sul significato che questo termine assume nella lettera: per Petoletti potrebbero essere ‘poche profonde verità’o ‘poche cose essenziali’, per Ottaviano: ‘pochi spunti fecondi’. Per Fenzi quest’ultima tesi appare la più convincente:

I pauca semina rerum potrebbero essere, insomma, quelli che un commentatore come Servio, in genere aderente alla superficie del testo, ha eccezionalmente portato alla luce nell’atto stesso di svelare gli archana del poeta: alcuni nuclei essenziali di contenuto nei quali la veritas brilla di luce più forte19.

Lo studioso inoltre si chiede se effettivamente quell’aggettivo (pauca) abbia un valore negativo o non sottolinei piuttosto che tali semina rerum siano per natura pochi (rari) e in ogni caso sufficienti, data la loro eccezionale capacità di produrre frutti:

16Macrobio, Sat., I 8, 8.

17 Cfr. Ovidio, Met., I 419-420: fecundaque semina rerum / uiuaci nutrita solo ceu matris in aluo / creuerunt faciemque aliquam cepere morando, mentre in I, 78 l’uomo è fatto divino semine), e quelle in cui il termine è usato per indicare ‘causa’, ‘germe’, ‘principio’, ‘elemento fondamentale’ e simili, come nelle iuncturae: semina belli; semina morbi; semina virtutum; semina odii; semina nequitiae; semina curarum ; semina philosophiae, ecc.

18 Cfr. Fenzi 2011. 19 Ivi.

Laura Antonella Piras, L’epistolario di Petrarca fra ars poetica e interpretazione, Tesi di Dottorato in Lingue, Letterature e Culture dell’età Moderna e Contemporanea (XXXI ciclo), Dipartimento di Scienze Umanistiche e Sociali, Università degli Studi di Sassari.

la connotazione ‘genetica’ dei semina rerum […] è ovviamente decisiva, e in ogni caso è largamente positivo il saldo tra la loro rarità e la loro capacità generatrice. Ma c’è poi nell’epistola un altro elemento che va notato, che potrebbe introdurre una sfumatura diversa nell’interpretazione. I semina rerum, se coltivati a dovere, daranno a tempo debito una messe ricchissima: evidentemente, dato che Petrarca sta incoraggiando Bernard d’Albi a proseguire tenacemente nel suo apprendistato poetico, si tratta di messe poetica. Cio significa che l’utilità di Servio è duplice: da un lato egli offre un aiuto indispensabile ai lettori di Virgilio, e dall’altro è altrettanto utile per chi voglia diventare poeta in proprio, perché il lungo e paziente lavoro ermeneutico che il suo commento impone è di per sé scuola di poesia20.

Nelle Epyst., II 3 e 4, indirizzate al medesimo destinatario, Petrarca trova finalmente il coraggio di dire al cardinale di non essere fatto per cogliere gli allori, perché nella sua smania di scrivere, egli non si cura né della prosodia né della chiarezza del testo, contravvenendo a tutte i principi di ars poetica cui Petrarca invece ha sempre tenuto fede. Si potrebbe dunque ipotizzare che nemmeno nella prima lettera i versi fossero perfetti e dunque, per Fenzi, si potrebbe pensare che Petrarca in Epyst., II 2, voglia dire all’amico che:

il commento gli sarà di grande aiuto perché potrà offrire quelli che si potrebbero tradurre come ‘i ferri del mestiere’, e cioè i pochi essenziali insegnamenti che un aspirante poeta deve assolutamente far propri per proseguire con successo: onde i semina offerti da Servio, o almeno quelli che al momento dovrebbero interessare al prelato, non sarebbero tanto gli alti contenuti di verità della poesia di Virgilio, ma riguarderebbero piuttosto la sua tecnica versificatoria e i suoi segreti21.

A questo punto, potrebbe essere interessante soffermarsi un attimo sul significato e sul ruolo che i semina rerum assumono nell’opera stessa di Virgilio, in particolare, proprio nel passo di Buc. VI, 31-32. Nei suoi studi Paschalis ha mostrato che, nella cosmogonia virgiliana, l’immagine del seme si lega strettamente a quella del fuoco22. Nel Canto di Sileno (Ecl., VI 31-40), la scoperta del fuoco da parte di Prometeo è trattata come un mito della fertilità, attraverso il quale viene spiegata la miracolosa preservazione e propagazione del fuoco con termini molto simili a quelli che vengono usati per la semina:

Namque canebat uti magnum per inane coacta

semina terrarumque animaeque marisque fuissent,

et liquidi simul ignes23.

Il Canto di Sileno è l’unico luogo in cui appare il mito di Prometeo per giustificare la scoperta del fuoco; nelle Georgiche, infatti, essa è attribuita alla sola abilità degli uomini (I 118-146). Più avanti,

20 Ivi. 21 Ivi.

22 Paschalis 2001, pp. 201-222. 23 Buc., VI, 31-32

Laura Antonella Piras, L’epistolario di Petrarca fra ars poetica e interpretazione, Tesi di Dottorato in Lingue, Letterature e Culture dell’età Moderna e Contemporanea (XXXI ciclo), Dipartimento di Scienze Umanistiche e Sociali, Università degli Studi di Sassari.

sempre nelle Georgiche, Virgilio riprende l’analogia che Esiodo aveva stabilito fra l’occultamento della vita e quello del fuoco (perché la terra nasconde i semi nel solco, come Zeus nasconde il fuoco agli uomini):

mellaque decussit foliis ignemque removit et passim rivis currentia vina repressit ut varias usus meditando extunderet artis paulatim, et sulcis frumenti quaererent herbam ut silicis venis abstrusum excuderet ignem24

Sulla stessa linea si mantiene in apertura del VI canto dell’Eneide, ma sostituisce ignem con semina flammae. In questo modo, il viaggio di Enea verso l’Italia si trasforma in un viaggio dentro

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