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Eloquenza latina e volgare

II. 3.1 «Quid quod ipse libros scribo?» La polemica contro i cattivi poeti.

II.3.2. Eloquenza latina e volgare

La polemica contro il volgo ignorante che non ha gli strumenti per comprendere il vero significato della poesia si ritrova anche nella celebre Fam., XXI 151, indirizzata a Boccaccio per difendersi pubblicamente dalle accuse di invidia per Dante e spiegare il suo rapporto con l’illustre predecessore. Petrarca coglie l’occasione offertagli dall’invio del Trattatello di laude di Dante da parte di Boccaccio, per contrapporre al culto dantesco del volgo una valutazione più equilibrata e più giusta dell’opera del grande predecessore. Questi sciocchi lodatori, infatti, non hanno la benché minima idea delle ragioni per le quali lodano o criticano Dante. Di fronte a loro Petrarca esibisce la propria competenza ermeneutica, affermando che mentre gli incolti (ydiotae) dell’età presente, e molti uomini colti (literatos homines) del passato, si attengono alla superficie, solo pochi intenditori sono in grado di cogliere (in animum) il senso profondo dell’opera2.

Mentiuntur igitur me illius famam carpere, cum unus ego forte, melius quam multi ex his insulsis et immodicis laudatoribus, sciam quid id est eis ipsis incognitum quod illorum aures mulcet, sed obstructis ingenii tramitibus in animum non descendit. Sunt enim ex illo grege quem Cicero in Rethoricis notat: «Cum» inquit, «legunt orationes bonas aut poemata, probant oratores et poetas, neque intelligunt quare commoti probent quod scire non possunt ubi sit nec quid sit nec quomodo factum sit id quod eos maxime delectet». Id si in Demosthene et Tullio inque Homero et Virgilio inter literatos homines et in scolis accidit, quid in hoc nostro inter ydiotas in tabernis et in foro posse putas accidere? Quod ad me attinet, miror ego illum et diligo, non contemno ineptissimos laudatores3.

Da una parte incoraggia Boccaccio a perseverare nella sua impresa e ad alzare al cielo, con elogi veri, la fiaccola di Dante, a lungo agitata dal ventoso plauso del volgo («facem […] ventosisque diu vulgi plausibus agitatam atque fatigatam»), dall’altra cerca di rettificare le lodi, ancora troppo vicine all’approvazione popolare, del Trattatello. Secondo Petrarca a Dante spetterebbe, fra i poeti moderni, solo la palma dell’eloquenza volgare. Per avere il diritto alla palma dell’eloquenza in assoluto Dante avrebbe dovuto trattare la sua materia nobile non solo in uno stile personale egregio4 ma nell’alto

1 La lettera è scritta in risposta a un’epistola dell’amico che non ci è pervenuta, ma il cui contenuto è desumibile da questa celebre risposta petrarchesca. Con la Fam., XXI 15, indirizzata a Boccaccio, Petrarca intende. La lettera non è datata; tuttavia è riferibile al giugno 1359, dopo la visita che Boccaccio, tra il marzo e l’aprile dello stesso anno, aveva fatto a Petrarca nella sua residenza di Milano, si vedano Fam., XX 6, XX 7 e XXII 2; cfr. inoltre Billanovich 1947, p. 234). Durante il soggiorno di Boccaccio, i due amici avevano parlato di vari argomenti: la prolungata residenza di Petrarca a Milano (cfr. Disp. 46, [Var. 25], p. 340 ss; il rifiuto petrarchesco di pubblicare l’Africa (come si evince peraltro dall’undicesima epistola di Boccaccio), l’idea di affidare a Leonzio Pilato (che si trovava in Italia proprio in quel periodo) la traduzione latina di Omero. In particolare i due amici si erano soffermati a discutere sul valore della poesia di Dante, che il certaldese aveva elogiato con toni appassionati. (Cfr. Dotti 1987, pp. 327-30 e Wilkins 2012 [I ed.1961], pp. 195- 196).

2 Cfr. Kuon 2004, p. 18. 3 Fam., XXI 15, 3. 4 Ivi, 17.

Laura Antonella Piras, L’epistolario di Petrarca fra ars poetica e interpretazione, Tesi di Dottorato in Lingue, Letterature e Culture dell’età Moderna e Contemporanea (XXXI ciclo), Dipartimento di Scienze Umanistiche e Sociali, Università degli Studi di Sassari.

stile della lingua latina5. Come osserva Paolazzi, Boccaccio, nella versione definitiva del Trattatello in laude di Dante, si conformerà alle mofidiche consigliate dall’amico, riducendo in modo drastico le lodi di Dante e sopprimendo ogni paragone con Virgilio e Omero6.

Come hanno mostrato gli studi di Tavoni e Rizzo,Petrarca condivide sostanzialmente la teoria del latino come locutio, ovvero come strumento di comunicazione creato dagli uomini per sottrarli all’instabilità e alla varietà delle lingue naturali. In Fam., I 1, 6 Petrarca considera le rime volgari come un genere letterario che veniva anticamente praticato dai contadini:

Et erat pars soluto gressu libera [la prosa in latino], pars frenis homericis astricta [i versi esametrici], quoniam ysocraticis habenis raro utimur [le poesie rimate in latino]; pars autem, mulcendis vulgi auribus intenta, suis et ipsa legibus utebatur. Quod genus apud Siculos, ut fama est, multis ante seculis renatum, brevi per omnem Italiam ac longius manavit, apud Grecorum olim ac Latinorum vetustissimos celebratum; siquidem et Athicos et Romanos vulgares rithmico tantum carmine uti solitos accepimus.

La notizia di una tipologia di poesia ritmica presso i popoli italici deriva da una glossa di Servio alle Georgiche: «id est carminibus Saturnio metro compositis, quod ad rhytmum solum volgares componere consuerint»7. Petrarca interpreta l’affermazione come testimonianza dell'esistenza della poesia ritmica presso i romani e annota nel Virgilio ambrosiano al foglio 31 verso: «Rithmum solum vulgares componere solitos». Rizzo, sulla scorta di Feo, si pone il problema se «il Petrarca stabilisse fra il genere della poesia volgare “rinato” con la scuola siciliana e i componimenti ritmici anziché quantitativi dei vulgares antichi di cui parlavano Virgilio e Servio un'equivalenza di forma metrica o anche di lingua»8.

Secondo la studiosa, Petrarca pone il vulgare eloquium esattamente sullo stesso piano dei carmina e della prosa (evidentemente latini) come partes o genera dell’eloquenza (come si evince da Fam., XXI 15, 24-25, in cui ricorrono gli stessi termini pars e genus usati in Fam. I l, 6). Per Rizzo si tratterebbe dunque non di una distinzione per lingue, ma per aspetti tecnico-formali e di stile all’interno di un’unica eloquentia, e quindi probabilmente di un’unica lingua. La stessa tripartizione (uterque stilus... latinuse vulgari studio) compare non molti anni dopo nella Senile V 29, indirizzata a Boccaccio, dove Petrarca spiega le motivazioni che in passato lo avevano spinto a dedicarsi interamente alla poesia volgare:

5 I criteri del giudizio sono impliciti: in senso positivo, la nobiltà della materia, mai trattata in volgare, in senso negativo, l’inferiorità indiscussa del volgare rispetto al latino.

6 Cfr. Paolazzi 1983, pp. 215-228. 7 Verg., Georg., II 385-386. 8 Rizzo 2002, p. 54.

Laura Antonella Piras, L’epistolario di Petrarca fra ars poetica e interpretazione, Tesi di Dottorato in Lingue, Letterature e Culture dell’età Moderna e Contemporanea (XXXI ciclo), Dipartimento di Scienze Umanistiche e Sociali, Università degli Studi di Sassari.

cum eidem michi[...] aliquando contraria mens fuisset, totum huic vulgari studio tempus dare, quod uterque stilus altior latinus eo usque priscis ingeniis cultus esset ut pene iam nichil nostra ope vel cuiuslibet addi posset, at hic, modo inventus, adhuc recens, vastatoribus crebris ac raro squalidus colono, magni se vel ornamenti capacem ostenderet vel augmenti10.

Scrive Rizzo:

il volgare è qui modo inventus e non più renatus perché in un diverso contesto e in funzione di un diverso argomento al Petrarca non interessa più tanto rintracciare precedenti antichi per nobilitare la poesia volgare quanto spiegare perché l’aveva coltivata con tanto impegno da giovane: in un genere modo inventus e ancora recente, praticato da molti devastatori e da pochi cultori, gli restava la speranza di poter raggiungere quell’eccellenza che nella prosa e nella poesia latina sembrava interdetta dalle vette di perfezione già raggiunte dagli antichi11.

Ad ogni modo risulta evidente come Petrarca si concentri sui limiti dello stile volgare, con l’obiettivo di ridimensionare la figura complessiva di Dante, primo soltanto in un genere minore, per attribuirgli un posto di secondo piano nel Pantheon dei moderni e riservarne uno più prestigioso a se stesso, erede diretto di Virgilio e Omero. La strategia messa in atto ha lo scopo di costruire l’immagine pubblica di un poeta che, invece di competere sul terreno proprio di Dante, decide di intraprendere un’altra più ambiziosa strada12. Da questo punto di vista la Fam., XXI 15 è dunque «una tessera del grande autoritratto petrarchesco ed un contributo fondamentale alla canonizzazione e gerarchizzazione delle tre corone fiorentine»13.

Quando, in Sen., V 2, 15 Petrarca definisce l’Alighieri «ille nostri eloqui dux vulgaris», Boccaccio legge in queste affermazioni il riconoscimento pubblico di Dante da lui tanto sperato14. Tuttavia non si tratta di un riconoscimento senza condizioni: nessuno, risponde Petrarca, nemmeno Boccaccio stesso, potrebbe negare che Dante si elevi molto di più nell’eloquenza volgare che nella poesia e prosa latina. Il suo primato fra i poeti moderni riguarda quindi la sola poesia volgare. Il giudizio apparentemente positivo si rivela dunque abbastanza critico se si presta attenzione alle valutazioni sottintese. Come potrebbe lui, Petrarca, invidiare una persona che dedicò tutta la sua vita a uno stile (quello volgare) cui lui invece aveva dedicato solo una parte della giovinezza15 (cfr. infra, paragrafo 21). La ragione addotta per giustificare il suo giovanile entusiasmo per la poesia volgare, il non avere ancora imparato ad aspirare a mete più alte (cfr. infra, paragrafo 11) ci fa misurare tutta la distanza che egli mette fra sé e il suo predecessore. Il suo- sostiene- è stato un itinerario in ascesa a partire dalla passione giovanile per la poesia volgare «iocus atque solatium»16 per arrivare nel regno

10 Fam., V 2, 52.

11 Rizzo 2002, ppp. 60-61. 12 Cfr. Kuon 2004, p. 21.

13 Paolazzi 1983, pp. 215-228; su questi argomenti cfr. anche Paolazzi 1983, p. 199 e. 410 e Kuon, 2004, p. 19. 14 Cfr. Paolazzi 1983, p. 166.

15 Cfr. XXI 15, 13 e Kuon 2002, p. 18. 16 Fam., XXI 15, 21.

Laura Antonella Piras, L’epistolario di Petrarca fra ars poetica e interpretazione, Tesi di Dottorato in Lingue, Letterature e Culture dell’età Moderna e Contemporanea (XXXI ciclo), Dipartimento di Scienze Umanistiche e Sociali, Università degli Studi di Sassari.

dell’eloquenza latina, dove si poteva trattare, conversando con gli autori, di cose serie ed alte17. Petrarca, prosegue affermando di non aver mai posseduto la Commedia di Dante nella sua biblioteca. Le ragioni di questo vuoto non sono tuttavia quelle addotte dai suoi nemici, cioè l’invidia, l’odio o il disprezzo, bensì il timore, nella sua giovinezza, quando si dedicava ancora alla poesia volgare, di soccombere all’influsso di Dante e di altri scrittori e di diventare, senza volerlo, per troppa familiarità un semplice imitatore.

Petrarca, in effetti, era accusato di imitare troppo da vicino Dante; tuttavia altri dovrebbero giudicare se sia riuscito a formarsi, senza influssi esterni, uno stile proprio e originale. Ad ogni modo- prosegue- se nei suoi versi si trovassero espressioni simili o addirittura uguali a quelle di Dante o di altri autori, non si tratterebbe di plagi o di imitazioni intenzionali ma di corrispondenze assolutamente casuali.

Eidem tunc stilo deditus, vulgari eloquio ingenium exercebam; nichil rebar elegantius necdum altius aspirare didiceram, sed verebar ne si huius aut alterius dictis imbuerer, ut est etas illa flexibilis et miratrix omnium, vel invitus ac nesciens imitator evaderem. Quod, ut erat animus annis audentior, indignabar, tantumque fidutie seu elationis indueram, ut sine cuiusquam mortalis auxilio in eo genere ad meum et proprium quendam modum suffecturum michi ingenium arbitrarer; quod quam vere crediderim alii iudicent. Hoc unum non dissimulo, quoniam siquid in eo sermone a me dictum illius aut alterius cuiusquam dicto simile sive idem forte cum aliquo sit inventum, non id furtim aut imitandi proposito, que duo semper in his maxime vulgaribus ut scopulos declinavi, sed vel casu fortuito factum esse, vel similitudine ingeniorum, ut Tullio videtur, iisdem vestigiis ab ignorante concursum. Hoc autem ita esse, siquid unquam michi crediturus es, crede; nichil est verius18.

Del resto, come scrive anche in Fam., XXII 2 e XXIII 19 i “verba” altrui che possono incontrarsi nelle sue opere sono sempre reminiscenze involontarie, sfuggite al suo controllo. Come osserva Kuon, tali affermazioni sono state per lungo tempo erroneamente prese alla lettera dalla critica. Petrarca- osserva lo studioso- basa il suo concetto di imitazione sul principio della mutatio. Ogni tanto però, come ad esempio nella Fam., XXII 2 lascia intendere che alcune riprese letterali sono giustificate quali elementi consapevoli della scrittura poetica, che ubbidiscono a un’intenzione non di furto, ma di emulazione e fanno parte di un consapevole gioco allusivo. In questo passo tanto la negazione iniziale della dissimulazione quanto la protesta finale di sincerità pongono l’accento sul fatto che la presa di distanza nei confronti di Dante e della sua poesia volgare si scontra con l’evidenza delle corrispondenze dantesche nella poesia volgare di Petrarca. Pur ammettendo dunque il fatto, peraltro che nella sua poesia volgare si trovino espressioni simili o uguali a quelle di Dante, Petrarca cerca di dissimulare il fatto che non si tratta di corrispondenze casuali ma di intenzionali riprese di versi

17 Cfr. Kuon 2004, p. 18. 18 Fam., XXI 15, 11-13.

Laura Antonella Piras, L’epistolario di Petrarca fra ars poetica e interpretazione, Tesi di Dottorato in Lingue, Letterature e Culture dell’età Moderna e Contemporanea (XXXI ciclo), Dipartimento di Scienze Umanistiche e Sociali, Università degli Studi di Sassari.

danteschi, in gran parte tratti proprio da quella Commedia che nega di aver posseduto ai tempi della sua poesia giovanile in lingua volgare19.

19 Il mancato possesso, però, non esclude la lettura di un’opera per sua stessa definizione alla portata di tutti. (Cfr. Kuon 2004, p. 20).

Laura Antonella Piras, L’epistolario di Petrarca fra ars poetica e interpretazione, Tesi di Dottorato in Lingue, Letterature e Culture dell’età Moderna e Contemporanea (XXXI ciclo), Dipartimento di Scienze Umanistiche e Sociali, Università degli Studi di Sassari.

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