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236 “Chi, inoperoso / vive ai fuchi senz‟arma somigliante nell‟indole / i quali la fatica del'api consumano in ozio /mangiando.” (Arrighetti) 237Suid. s.v. θνζνπξὸλ, Lexicon k 2176, II Adler.

238 Hes. Theog. 594-602. 239 Theophyl. Simoc. Hist. 2.15.5.

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κηφῆνος γὰξ δίθελ ηνὺο η῅ο ε὎βνπιίαο ζίκβινπο ἞θάληζε θαὶ νἷα κειίηηεο ηηλὸο ηνῦ ζηξαηεγνῦ ηνὺο πόλνπο ιεΐδεηαη, in cui gli accostamenti con la vita dei fuchi sono applicati in senso figurato; in Teodoreto240, nella decima orazione sulla Provvidenza, si legge un lungo discorso riguardo alla vita delle api e ai fuchi, dove si trovano quasi tutti i termini utilizzati da Niceta.

É possibile, quindi, che Niceta non abbia solo ripreso questo passo dal testo esiodeo – delle Opere aveva comunque conoscenza diretta – ma abbia unito i versi del poeta con altri passi di scrittori che lo avevano rielaborato in precedenza, inserendosi così all‟interno di una lunga tradizione.

CITAZIONI CON RIFERIMENTI A EPISODI MITICI

Op. 58

Niceta, nel libro nono delle Cronache, racconta che la cesarissa Maria, spaventata dal crescente potere di Alessio, appoggia – come molti altri – la venuta di Andronico, sperando che questi possa risollevare le sorti dell‟impero. Riferendosi all‟atteggiamento di Maria, l‟autore afferma che ella prepara la propria rovina, ἑὸν κακὸν ἀμφαγαπῶσα241. È evidente, in questo passo, la citazione esiodea. Il poeta, nelle Opere, narra infatti che, per punire gli uomini del furto del fuoco commesso da Prometeo, Zeus decise di inviare loro Pandora, talmente attraente che ἅπαληεο / ηέξπσληαη θαηὰ ζπκὸλ ἑὸν κακὸν ἀμφαγαπῶντες242. Si può pensare, almeno in parte, a una ripresa intenzionale del passo poetico: Niceta conosceva le Opere, e sapeva, probabilmente, a quale situazione si riferiva questo verso; riflettendo sui personaggi delle due vicende – quella mitica e quella storica – dobbiamo prima di tutto osservare le notevoli differenze che vi sono: da una parte Pandora, giovane, bella, attraente, dall‟altra il vecchio Andronico, privo di ogni virtù; nel mito incontriamo poi Prometeo, il colpevole che provoca l‟ira divina, e lo stolto Epimeteo, che accoglie il dono del re degli Dei: nella narrazione storiografica, invece, il colpevole è Alessio, ma chi provoca la venuta di Andronico è la folla che lo sostiene e, in particolare, Maria, che svolge almeno in parte il ruolo di Epimeteo. La differenza fondamentale però è che, mentre Pandora era stata inviata dagli Dei appositamente per punire gli uomini, Andronico non si configura come un inviato divino. Lo sarà, forse, almeno formalmente, dopo aver preso il potere (Niceta non arriva mai a mettere apertamente in dubbio la nomina del sovrano per volontà divina), ma fino a quando la sua impresa è solamente una ηπξαλλίο, una rivolta dettata dalla sua sconfinata sete di potere, non ha alcun carattere divino. Il male che la cesarissa abbraccia è – analogamente a quanto accade nel mito – del tutto inaspettato, e in questo la donna somiglia realmente agli uomini del mito e a Epimeteo, ma non deriva dall‟intervento divino. Niceta opera quindi un capovolgimento del mito, invertendone diversi elementi; la coppia PANDORA/EPIMETEO, infatti, è esattamente capovolta rispetto a quella ANDRONICO/MARIA: un uomo al posto di una donna, un vecchio al posto di una giovane, un uomo privo di virtù di fronte alla donna plasmata dagli Dei e da essi dotata di ogni splendore, una donna che – anche se malaccorta – crede di agire per il meglio e reagisce a una situazione intollerabile come quella del dilagante potere di Alessio al posto di un titano stolto, che agiste per istinto senza considerare quello che il

240 Theod. De Prov. Or. 10.83 MPG 83. 241 “Abbracciando il proprio male.”

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fratello gli aveva raccomandato. A questo si aggiunge l‟elemento divino: Prometeo – e quindi gli uomini per cui egli agisce – è comunque colpevole di fronte a Zeus, mentre Maria non ha fatto nulla di male, e non riceve la sua punizione da Dio, ma da un uomo abietto quanto Alessio.

A tutto questo, però, occorre aggiungere alcune osservazioni: l‟espressione utilizzata da Niceta è di indubbia origine esiodea, perché, pur riferendosi a un episodio mitico, la ripresa lessicale è chiara e inequivocabile. Il verso, però, non viene utilizzato solo in Niceta: oltre a essere riportato integralmente da Stobeo243 , lo troviamo in Achille Tazio244, Olimpiodoro245 – che nel Commentario al Gorgia di Platone ne riporta, con attribuzione a Esiodo, solo la seconda parte, dandone anche una spiegazione filosofica – e Origene246, che riporta un lungo brano di Esiodo nell‟orazione Contra Celsum. Nonostante la presenza del passo in altri autori, però, si può pensare che esso non fosse un luogo comune, entrato nei “modi di dire” letterari, come era accaduto ad altri passi poetici, perché in tutti i casi sopracitati è chiaro – il più delle volte esplicito – il riferimento alle Opere e all‟episodio di Pandora. È quindi possibile che effettivamente ci fosse, in questo caso, un intento specifico nella scelta del rimando mitologico, non dettato solo dalla consuetudine, e che Niceta volesse davvero “capovolgere” un famoso episodio del mito per sottolineare con maggior forza l‟assurdità degli avvenimenti storici.

Op. 109/116.

La descrizione dell‟età dell‟oro, secondo riferimento mitologico per cui si rimanda alle Opere, ritorna in Niceta tre volte: nel libro secondo delle Cronache, durante il regno di Manuele, in cui Niceta afferma che ὡο γὰξ ἀπήγγειινλ ἟κῖλ νἱ ηὴλ ἟ιηθίαλ πξνήθνληεο, ἐπὶ τὰς πλαγίῳ λόγῳ ᾀδομένας χρυσᾶς ἔννας νἱ ηόηε ἤζαλ παλινδρομήσαντες ἄλζξσπνη θαὶ ζκήλεη ἐῴθεζαλ κειηζζ῵λ ἐθ πέηξεο γιαθπξ῅ο βνκβεδὸλ ἰπηακέλσλ247; nel libro nono, all‟inizio del regno di Andronico, dove l‟autore scrive che i sudditi ripongono grandi speranze su questo personaggio, ὡο εἴπεξ τὰς ᾀδομένας χρυσᾶς ἔννας θαὶ ηὴλ ἀιειεζκέλελ ηνῦ κύζνπ δηάηηηαλ ἠ ηὴλ ἟ιίνπ ιεγνκέλελ ηξάπεδαλ παξαθεηκέλελ εὕξαλην θαὶ θαηαθνξεῖο α὎η῅ο ἐγεγόλεηζαλ248; infine, nella quinta orazione, composta in occasione delle nozze di Isacco Angelo con Maria, principessa d‟Ungheria, in cui Niceta celebra il regno del sovrano, affermando che εἰς τὰς πλαγίῳ λόγῳ τοῖς πάλαι φημιζομένας χρυσᾶς ἡμέρας πεπαλινδρόμηκε ηὰ ἟κέηεξα θαὶ εἰθόησο249.

È evidente la convenzionalità di questi richiami: indipendentemente da quanto fosse noto all‟autore il testo esiodeo, la descrizione dell‟età dell‟oro faceva parte di un repertorio di episodi del mito noti agli autori bizantini, sfruttati all‟interno di varie opere e, in particolare, utilizzata proprio nella lode ai sovrani: per manifestare tutta la propria ammirazione nei confronti di un imperatore non si poteva scegliere strada migliore che paragonare il suo regno e il suo tempo alla favolosa epoca mitica in cui la terra produceva da sola i frutti necessari all‟uomo e gli uomini vivevano, senza fatica, malattia, in una condizione di beatitudine

243 Joann. Stob. Anth. 4.22. 244 Ach. Tat. Leuc. Clitoph. 1.8.2. 245 Olymp. In Plat. Gorg. Comm. 48.7. 246 Orig. Contra Celsum 48.3.

247 “Infatti, come ci hanno raccontato persone di età avanzata, gli uomini di allora erano tornati indietro all‟età dell‟oro, cantata con

elaborate espressioni, e somigliavano a uno sciame di api che vola ronzando da una splendida pietra."

248 “Come se avessero trovato la celebrata età dell‟oro, il favoloso paese della cuccagna o imbandita la famosa mensa del Sole e se ne

fossero saziati."

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simile a quella degli dei immortali. Anche il riferimento alla tavola del sole – altro mito tramandato sin dall‟antichità e smentito da Erodoto, di cui con tutta probabilità Niceta conosceva l‟opera – viene volutamente riportato come estrema apoteosi della ricchezza e del benessere che vigevano nell‟epoca descritta.

È interessante, però, esaminare come Niceta sfrutti questa citazione di volta in volta con diverse sfumature di significato. Se la descrizione in sé è piuttosto convenzionale, pur non somigliando, letteralmente, al testo esiodeo, nel primo caso ci troviamo di fronte alla celebrazione del regno di Manuele, imperatore molto stimato da Niceta, che ne approva la politica, pur criticandone alcuni aspetti. La pace e la tranquillità che sembrano regnare sono in realtà solo una parentesi tra le molteplici guerre che caratterizzeranno il regno di questo imperatore, ma Niceta sembra sincero nella sua ammirazione, anche se, sottolinea, ἟κεῖο δὲ θιένο νἶνλ ἀθνύνκελ250, come a prendere le distanze da qualcosa di cui non può essere certo, perché non era presente al momento dei fatti. Distaccandosi dagli avvenimenti narrati, quindi, l‟autore lascia trapelare l‟idea che, in realtà, le lodi fatte nei confronti di Manuele non corrispondano del tutto al vero, e manifesta così anche la propria sfiducia nei confronti degli imperatori, che, dopo Giovanni Comneno, non hanno mai più raggiunto l‟optimum. Nemmeno Manuele, pur tanto apprezzato, si sottrae del tutto ai dubbi di Niceta. Nel secondo caso, invece, è chiaro che la celebrazione di Andronico viene letta, dall‟autore, solo come una manifestazione della stoltezza degli abitanti di Bisanzio: in questa occasione, infatti, l‟autore parla di avvenimenti vissuti in prima persona e, consapevole di come in realtà Andronico ha governato – affliggendo i sudditi, aristocratici e non, con pene smisurate, mostrando una crudeltà, un‟efferatezza senza pari, ardendo dalla bramosia di potere al punto da uccidere i propri familiari, tra i quali il giovane Alessio, figlio di Manuele – non può fare a meno di riportare un simile elogio con profondo disprezzo nei confronti di chi lo ha pronunciato, incapace di valutare la realtà storica e la figura minacciosa di Andronico. L‟episodio mitico assume in questo caso una chiara colorazione ironica, ma piena, contemporaneamente, dell‟amarezza dettata dalla conoscenza personale degli avvenimenti. Nell‟ultimo caso, invece ci troviamo realmente di fronte alla formula encomiastica stereotipata: Niceta, oratore di corte, chiamato a celebrare il matrimonio dell‟imperatore, ne esalta, nel corso del discorso, l‟aspetto, le imprese, le azioni, sino a giungere alla massima celebrazione del suo regno.

Bisogna aggiungere il fatto che il mito delle età non sembra essere tra i più tramandati dell‟antichità, fatta eccezione per quanto riguarda le riprese a scopo encomiastico da parte degli scrittori bizantini. Niceta, probabilmente, seguiva in questo modo la tradizione del suo tempo, comune ai dotti dell‟epoca, caricando naturalmente di significati diversi un argomento mitico già ampiamente sfruttato dai predecessori. La consapevolezza che il mito fosse stato trattato da Esiodo è indiscutibile, anche perché nella quindicesima orazione Niceta fa nuovamente riferimento a questo mito, a proposito della morte di Belissariota, suo cognato, riprendendo testualmente i versi del poeta. In questo caso, però, la consuetudine encomiastica bizantina prevale, molto probabilmente, sull‟intenzione di citare propriamente Esiodo.