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14 351 Cfr Della Torre G ”Dagli Atti del convegno per un’ Europa multiculturale.10-12 maggio 2002” in Quadrimestrale d

Nel documento Future generazioni (pagine 144-188)

attività sociale, Anno V N°3, 2003. L’autore sottolinea a nche i limiti di entrambe le posizioni: I limiti del primo modello sono dati dal fatto che l’ordinamento giuridico tende ad una assimilazione culturale, che produce una sorta di “colonizzazione della cultura dominante sulle altre". Il secondo modello, quello tedesco, può far correre il grande rischio della “ghettizzazione” delle minoranze culturali e della loro esclusione societaria”.

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una volta per tutte, l’antico rifiuto di entrare in rapporto con ciò che appare “diverso”, diviene necessario per negoziare la definizione di uno spazio in cui siano possibili il “discorso” fra eguali e la solidarietà fra “persone”. .Non è infatti possibile il riconoscimento dell’Altro, prescindendo dal riconoscimento di sé e del proprio ambiente. Da questo presupposto può nascere, non solo l’interesse a conoscere – e rispettare – ciò che appare diverso, ma anche la capacità di cogliere ciò che vi è di comune nel vissuto dei soggetti come “persone”, indipendentemente dalle differenze linguistiche, religiose, ecc una sorta di linguaggio universale di incontro e conoscenza reciproca, su cui fondare l’esperienza della pluralità353. In realtà, è necessario che si riformi uno spazio politico che non sia uno Stato in senso moderno: uno spazio in cui le identità e le alterità non valgano come qualitative e naturali, ma neppure siano neutralizzate a funzioni indifferenti dell'unità giuridica. La complessità e alla fine la scarsa utilità del dibattito fra neocomunitari e neocontrattualisti (il liberalismo che voleva essere una filosofia universale si rivela una funzione politica e culturale), o le petizioni di principio a cui sono costrette le teorie del multiculturalismo (vivono nel medesimo spazio politico le culture che rispondono a determinati standard che servono a vivere nel medesimo spazio politico) dimostrano quanto sia difficile il compito di pensare la rispazializzazione - efficace ma non escludente - del contesto globale; compito difficile eppure necessario, perché solo in un nuovo spazio politico si può tentare di costruire una nuova forme di identitàGenerale, ma rispettose delle alterità che sono tra noi e che saranno dopo di noi354. Corollario di questa nuova concezione di spazio-politico garante di un soggetto giuridico ( umanità) generalizzato, è l’ampliamento di diritti, doveri, ma soprattutto “responsabilità”. Una responsabilità diversa, non più solo ”privata” ma concepita nei confronti di tutto ciò che rappresenta un bene comune dell’umanità, che inizia, dal diritto/dovere alla tutela del proprio ambito più prossimo di vita. In tale contesto infatti, si va formulando una ulteriore tipologia di diritti emergenti, riguardanti la responsabilità del cittadino di oggi di mantenere quegli stessi diritti per delle future generazioni. Si legge ancora nel preambolo della Costituzione europea che “L’Europa offre ai suoi popoli le migliori

possibilità di proseguire , nel rispetto dei diritti di ciascuno e nella consapevolezza della loro

353 Fabietti, U. 2001. “Memoria e oblio nell’incontro tra culture”. <<Rassegna Italiana di Sociologia>>, numero monogafico su

“La Memoria collettiva”, n. 3/2001.

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responsabilità nei confronti delle generazioni future e della Terra, la grande avventura che fa di essa uno spazio privilegiato della speranza355 umana”.Ci sorregge anche la convivenza di

differenti culture e lingue, religioni e confessioni. (…)E qui il multilinguismo dell’Europa, questa prossimità dell’altro in spazi ristretti e la parità dell’altro in uno spazio ancor più ristretto mi sembrano una vera scuola. Perciò, in un certo modo, non si tratta solo dell’unità dell’Europa nel senso di un’alleanza politica di potere. Io ritengo che in fondo sarà il futuro dell’umanità, per il quale dobbiamo apprendere tutto ciò insieme, ciò che è per noi il nostro impegno europeo356

355 Al termine sarà dedicato un approfondimento nel capitolo quarto 356 Gadamer, L’eredità dell’Europa, p.41

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3.2. OIKOS

Per descrivere il rapporto tra generazione e mondo si potrebbe quasi utilizzare il termine ecologia, se ad esso venisse associato il suo significato etimologico. Il termine eco-logia risulta in effetti formato da ecome un discorso su una casa universale, un discorso sull’uomo nell’ambiente natura, dove esso sarebbe un tutto uno con il mondo abbracciante che lo circonda. Da tale impostazione risulta chiara non solo la dimensione universalistica, aperta, includente a favore perciò di ogni generazione, ma anche un secondo aspetto più intimo e familiare. La singola generazione occuperebbe la sua casa357, e sarebbe sua. Il possessivo ne sottolineerebbe la portata effettiva, ovvero tutto il potere e la responsabilità ad esso riferibile. Torna in tal modo la copresenza di elementi politico- pubblici ed economici privati. Ovvero l’attitudine pubblica propria della ed il governo della casa, dell’appunto, che trasferisce il suo significato etimologico nella gestione dei beni della società. C’è perciò fin dall’origine una copresenza di aspetti privati e comuni che attiene al governo dell’ambiente, che nel suo essere un abbracciante include l’uomo e lo fa concreatore del mondo. La relazione tra e pare perciò essere irriducibile. Pare oscillare di continuo tra diritto, bio- diritto e politica, bio –politica. Ma in tale oscillazione l’ovvero del luogo della vita privata, degli affetti, del rappresenterà sempre una forma di eccedenza358 rispetto al linguaggio della città, della ovvero dal luogo

delle regole, delle decisioni, (che allora si sarebbe chiamata delmercato. Scientificamente esiste qualcosa che lega gli organismi viventi e l’ambiente tutto e si pone alla base di una specifica concezione della vita dell’uomo nel mondo. Una sorta di teologia ontologica per cui il dispiegamento della vita naturale trova il suo  nella vita umana359.

Esiste una possibilità di espansione dentro il termine che dal particolare spinge sempre attraverso l’elemento della prossimità verso l’universale. Deridda, fa confluire

357 Bellissima la definizione che in tal senso prevede la Dichiarazione di Rio sull'Ambiente e lo Sviluppo in cui si parla della

natura la natura integrale ed interdipendente della Terra, la nostra casa.

358 E.Resta, Diritto vivente, Laterza, Bari-Roma,2011

359 Tymieniecka “the creative function guided by its own telos generates Imaginatio creatrix in man, as the means parexellance , of

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il suo iniziale significato ad esempio dalla domesticità alla appropriabilità e quindi alla prossimità. Indica cioè per l’autore tutto ciò che una economia può rendere conciliabile, aggiustabile, armonizzabile ”potrei spingermi fino a dire presente nella

familiarità del vicino o del prossimo360”.

3.2.1 Natura e tecnica

Quando si tutela la vita nella sua pienezza, ci si riferisce alla “vita” come sinonimo di natura comprendente sia la dimensione prettamente vitale sia quella legata al cosmo. Un tutto. Il rapporto uomo natura si ricostruisce attraverso le due macrotematiche economia e ecologia361. Anticamente il termine natura designava il principio vitale che presiede allo sviluppo del reale. La natura (la ), secondo Jonas, è per gli antichi sorgente del divenire e dell'essere e l'uomo è inserito in essa con una sua specificità qualitativa. Con il cristianesimo si verifica una frattura uomo-natura, che trova poi una sua formulazione nel dualismo cartesiano. L'uomo, ormai estraneo rispetto alla natura, stabilisce con essa un rapporto di dominio, espresso dalla tecnica. Nel momento stesso in cui le conoscenze tecniche allargano l’orizzonte del pensiero e dell’azione degli uomini, diminuiscono invece l’autonomia dell’uomo come individuo, la sua capacità di difendersi dall’apparato sempre più potente e complesso della propaganda di massa, la forza della sua immaginazione, la sua indipendenza di giudizio. Al progresso delle risorse tecniche che potrebbero servire ad illuminare la mente dell’uomo si accompagna un processo di disumanizzazione; così il progresso minaccia di distruggere proprio quello scopo che dovrebbe realizzare: L’idea dell’uomo.

Che questa situazione sia una fase necessaria del generale progresso sociale, o che conduca ad un vittorioso affermarsi delle barbarie sconfitte, dipende almeno in parte dalla nostra capacità di interpretare esattamente i profondi cambiamenti che stanno avvenendo nello spirito delle leggi e nella natura umana362.

360 Derridà, Politiche dell’amicizia, Raffaello Cortina, Milano 1995.

361 Abbiamo già in precedenza osservato che lo sviluppo personale, individuale è difficilmente concepibile senza

un’assunzione di responsabilità verso se stessi e la comunità potenziale in cui potenzialmente potremmo essere vissuti. Nel capitolo dedicato alla questione ambientale cercheremo di sostenere che la natura stessa potrebbe essere pensata come soggetto di diritto.

362 Horkheimer M. L’eclissi della ragione-Critica della ragione strumentale, Torino, Einaudi Paperbacks Filosofia, 1967, p 10-

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Quando la tecnica ci induce a pensare alla sua illimitatezza ed alla sua sfrenata corsa, troppo spesso ne ricaviamo paura per la sua incontrollata forza. Ma a dover essere criticata e regolata non sarebbe tanto la tecnica quanto la sua scarsa attitudine alla previsione delle conseguenze delle sue stesse azioni. Esattamente come l’uomo che troppo spesso non si cura affatto delle conseguenze del proprio agire. L’apertura al mondo dell’uomo contemporaneo facilmente scivola dalla acquisizione di possibilità, alla caduta nella pericolosità. L’illimitatezza del desiderare e la tendenza all’oltrepassamento dei limiti non possono essere cancellati dalla natura dell’uomo. La sua deriva nefasta è dovuta non al sentimento quanto alla perdita di scopo e di senso di quello stesso sentire. La Arendt definisce l’uomo come homo faber, Anders come uomo creato fino ad arrivare alla visione di Jonas che ne mostra l’identità moderna come quella di un Prometeo scatenato.

Ormai infatti sembra essere in atto una scissione psichica tra il produrre e gli effetti della produzione, tra fare ed immaginare, tra conoscere e sentire. Anche se spesso la psicoanalisi ci suggerisce che tali separazioni siano esito di semplici meccanismi di difesa di fronte allo sconosciuto ed alla paura, proprio freudianamente assistiamo ad un totale distacco , ad una totale e pericolosa scissione tra sfera cognitiva e sfera emozionale. Tale separazione, che produce disinteresse ed indifferenza nei confronti degli esiti delle azioni poste in essere, è la vera malattia del nostro secolo. Oggi si parla di paura, di un sentimento che Hobbes aveva correttamente legato al conosciuto. In realtà infatti la paura non funziona di fronte a pericoli futuri, essa si nutre di presenze, di dirette relazioni tra soggetti ed oggetti. Per questo la percezione del pericolo globale, del global warming ad esempio, non sembrano affatto spaventare l’uomo. Esso vive in una situazione di angoscia diffusa che tende a confonderlo più che a renderlo consapevole di una grande responsabilità. Il rischio stesso non viene percepito, o meglio non ne viene percepita la sua reale portata. La indeterminatezza e l’incertezza dell’esito futuro delle conseguenze presenti spingono l’uomo verso sentimenti di negazione o meglio di diniego. Sappiamo cognitivamente che alcune cose accadono, che molte azione hanno il rischio come componente costitutiva più che marginale, eppure nulla pare toccare la sfera emozionale. Il riconoscere il pericolo vorrebbe dire costringersi a cambiare. Ci autoinganniamo sulla natura del futuro. In realtà il rischio prodotto dalla nostra generazione è fonte spesso di danni irreversibili, capovolge il rapporto tra passato presente e futuro. Il passato infatti non determina affatto il

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presente, non ne è il suo supporto fenomenologico. E’ invece il futuro a determinare nel presente l’impellenza delle decisioni e la modificazione dei comportamenti. La nostra generazione del rischio potremmo dire parafrasando Beck363, genera anche una utopia ovvero quella di una modernità responsabile.

Ed il vero problema è che oggi tecnica e natura sono sempre meno distinguibili e separabili, nell’epoca della biopolitica e della manipolabilità del genoma, costringendoci a rivedere le categorie oppositive classiche del pensiero occidentale. La biopolitica è una nuova dimensione del potere che considera obsoleti gli strumenti finora utilizzati in quella che M. Foucault chiamava “la società disciplinare”. Il meccanismo del controllo non è ora più indirizzato alla disciplina del corpo fisico del soggetto, al potenziamento o al condizionamento delle attitudini o delle abilità, ma è rivolto alla stessa struttura del vivente, ai fini meccanismi della riproduzione cellulare in altre parole al . Secondo Jonas l'uomo tende ad intervenire sulla natura modificando l'ambiente a proprio vantaggio. In questo processo viene considerata una serie di ordini di grandezze, alcune costanti, come l'irradiazione solare, altre variabili, come la crescita numerica della popolazione, che ci inducono a non condurre lo sfruttamento delle risorse ad un livello incompatibile con la sussistenza della vita. Jonas definisce la vita attraverso l'attività metabolica dell'organismo che, guadagnando energia, determina le condizioni della propria conservazione. Il metabolismo permette un uso ontologico, non solo morale, della nozione di libertà perché grazie ad esso, la materia può costantemente modificarsi. Mentre il progresso scientifico è quantificabile, quello morale non è misurabile ma deve essere riferito ai casi singoli. Secondo Jonas il compito etico più rilevante è evitare l'infelicità conservando i presupposti utili per la definizione dei fini dell'esistenza umana nel quadro di una rinnovata attenzione per i diritti propri della natura, nell'interesse dell'umanità futura364. Se è vero che, mai come in questi tempi, si siano giuridicamente proclamati diritti cosiddetti “universali”, è pur vero che all’interno di questo nucleo fondamentale, esistano tantissime diversificazioni tendenti a demolire l’antica concezione di un’etica universale e storicizzata.

363 U. Beck, La società del rischio. Verso una seconda modernità, Carocci Editore, 2000 364

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L’etica365 cerca di regolamentare l’agire. Ed essendo l’azione una funzione del nostro

potere, ci si interroga sulla legittimità di ciò che possiamo fare. Più corretto sarebbe dire su ciò che l’”uomo della tecnica” può fare. “ Le conoscenze scientifiche ampliano il raggio d’azione dell’uomo a tal punto da aver rilevanza anche per le generazioni future. Fini ai quali prima non si era nemmeno pensato diventano bisogni una volta che sussista la possibilità di farlo366”. Si pensi all’ambito della manipolazione genetica: non si

sentiva certo il bisogno di riflettere sull’etica di un cambiamento, per intervento artificiale, delle qualità umane ereditarie ( più nota con l’espressione inglese di ‘genetic engineering’). Il sapere, quindi, porta al potere, il poter fare al fare ed il fare al dover fare. “La ricerca di base è già essa stessa in misura notevole un fare”, ma Jonas si chiede a che prezzo il potere di conoscenza debba proseguire e nel tentare di rispondere ci riporta un esempio367. La scoperta di Otto Hahn sul fatto che l’atomo fosse fissionabile e

che nell’applicare tale procedura si liberasse energia era conoscenza. Ma nello stesso tempo è conoscenza anche sapere che (come nel caso di Hiroshima) gli organismi, nel caso sopravvivano, possano reagire agli influssi dell’effetto radioattivo dopo una od anche due generazioni. La soluzione che Jonas propone è quella di stabilire misure di sicurezza ( e conseguenti regolamentazioni giuridiche) che “non ci facciano divenire ostili alla scienza ma che allo stesso tempo gli stessi risultati della ricerca non vengano manipolati a favore di interessi completamente diversi- militari, politici, economici- in grado di trasformare il destino universale368”.

Ecco il punto nodale: qualcosa pare accomunare la tecnica al diritto. Essi, ci suggerisce E.Resta, non condividono tanto la forza, o la logica della potenza quanto l’ambivalenza che vive nella complicità dei contrari. Codici doppi, complici e rivali (pensiamo ad esempio alle dicotomie: giusto/ingiusto/, consentito/vietato, lecito/illecito, interdetto/prescritto, libero/vincolato, bene/male) che oscillano tra l’essere un limite e al tempo stesso un bene. La tecnologia esattamente come la legge è infatti capace di assoggettare ma al tempo stesso di aprire possibilità. Possiamo prescrivere forme di protezione del patrimonio vivente, possiamo porre in essere pratiche solidaristiche prima sconosciute(Foucault porta ad esempio la donazione degli

365 Concetto che verrà ampiamente analizzato nel capitolo seguente. 366Cfr. Hans Jonas:” Un’Etica per la civiltà Tecnologica”. 367 Cfr.ivi pp 23 – 24.

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organi o la disposizione dei dati genetici), ma al contempo possiamo distruggere l’ambiente, porre in essere pratiche al limite dell’immorale(pensiamo all’uso selettivo della tecnica eugenetica369). Abbiamo già sostenuto di non credere nella soluzione dei contrasti tra poli opposti attraverso la ricerca di un valore terzo. Ed in questo caso più che mai tale impostazione teorica si fa reale. Possiamo solo elaborare fino in fondo e consapevolmente l’ecologia della decisione370. La tecnica come il diritto , vive dentro la

società ed opera al suo interno: lavora ermeneuticamente aprendo possibilità frutto dei continui tentativi di rendere il dato reale universale compatibile con il singolo linguaggio del diritto .La questione ecologica perciò si mostra perciò nel suo appartenere contemporaneamente a diverse dimensioni, morali, tecnico-scientifiche e giuridiche. Così come chiaro appare il riferimento sia alla responsabilità, giuridicamente vincolabile, che all’impegno personale. Oggi infatti occorre predisporre un impianto teorico nuovo riguardo al rapporto uomo-ambiente. La sopravvivenza dell’ uomo e la qualità di vita delle generazioni future dipenderanno da una corretta gestione dell’ambiente, considerato nella sua accezione più ampia, da una adeguata normativa internazionale. Tutto comunque condizionato dalla consapevolezza di dover possedere una coscienza planetaria ed una responsabilità verso l’umanità tutta.

3.2.2 Ambiti applicativi o della percezione provinciale di senso:

La presente generazione, indipendentemente dal soggetto che avremo scelto per rappresentare le future generazione, non deve però porre in essere interventi decisionali autoreferenziali. L’unico vero modo per dare realmente tutela alle future generazioni è quello di lasciarle libere di auto-determinarsi. E’ la conservazione di quella chance di esistenza vera. E la vera esistenza, la vita felice come direbbe A.Heller, è quella che si sostanzia:

369 L. D’avack, Verso un antidestino,

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in una possibilità di vita (protezione della biodiversità e del genoma umano), PATRIMONIO GENETICO

in uno spazio( preservazione della vita della Terra e degli altri ecosistemi), PATRIMONIO NATURALE

con una propria identità (conservazione della diversità culturale) PATRIMONIO CULTURALE

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A. AMBIENTE

Quando togliamo qualcosa alla terra, dobbiamo anche restituirle qualcosa. Noi e la Terra dovremmo essere compagni con uguali diritti. Quello che noi rendiamo alla Terra può essere una cosa così semplice e allo stesso tempo così difficile come il rispetto. Jimmie Begay (Indiano Navajo) Il rapporto tra uomo e natura ha cambiato forma. Da una totale separazione di campo e dalla possibilità di predominio del primo sul secondo, oggi i confini tra queste due sfere si fanno labili e l’uomo e la natura si ritrovano a costituire una interrelazione continua. L’uomo modifica la natura, ma questa a sua volta condiziona l’uomo e la sua reale possibilità di vivere in un ambiente sano e con un patrimonio genetico protetto. Come non comprendere quanto sia anacronistico il voler proteggere l’uomo371, la sua incolumità senza aver coscienza dell’intima relazione esistente tra l’uomo e quello stesso ambiente in cui vive. Anche da un punto di vista strettamente biologico- scientifico, risulterebbe impossibile scindere la protezione dell’umanità da quella del suo habitat372. E proprio l’ambiente più che essere oggetto di strumentalizzazione dovrebbe essere considerato valore a se stante. Troppo spesso si è cercato di stilare una gerarchia tra diritti, ponendo in primo piano ,e non certo senza motivo, i diritti fondamentali dell’essere umano. Non è però comprensibile come si possa parlare di diritti alla salute senza dare risalto al problema ecologico373. L’aria che respiriamo, l’acqua che beviamo , il cibo di cui ci nutriamo regolano la nostra stessa esistenza. Non possiamo perciò riferirci ai diritti della persona senza immettere nella protezione di quegli stessi diritti anche un’attenzione ed una particolare tutela al pianeta, inteso come habitat di riferimento di un essere umano374.

371 Luciani M., Il diritto costituzionale della salute, in Dir. Soc., 1980p. 796 Nella coscienza collettiva la salute del singolo ed il

suo ambiente vitale vengono considerati strettamente legati.

372"voglio un mondo nel quale si rispetti la natura che ci alimenta, un mondo nel quale si restituisca quello che la natura ci presta per

Nel documento Future generazioni (pagine 144-188)