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Che cos’è un controfattuale?

4. Controfattuali e causalità in Lewis

4.1 Che cos’è un controfattuale?

Quando nominiamo un “condizionale controfattuale” (d’ora in poi semplicemente “controfattuale”) evochiamo di fatto un tema sconfinato e problematico cui qualunque filosofo dovrebbe accostarsi con timore e tremore. In termini molto generali, o, meglio, dal punto di

vista grammaticale, possiamo dire che un controfattuale è un enunciato ipotetico articolato

attraverso i connettivi “se… allora”, in cui la protasi (la proposizione subordinata) descrive una possibilità non realizzata, attraverso un congiuntivo (imperfetto o trapassato), e l’apodosi (la proposizione sovraordinata) un’altra possibilità che dipende, in qualche modo, dalla prima, attraverso un condizionale (presente o trapassato). Molti linguaggi naturali distinguono una

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simile costruzione non solo grazie all’uso delle particelle corrispondenti a“se… allora…”, ma anche con regole specifiche riguardanti i modi e i tempi che devono concorrere alla costruzione di un simile periodo.

Qui può essere sollevata una prima perplessità. Si può legittimamente sostenere che una tassonomia grammaticale, una classificazione basata sulle regole di specifici linguaggi naturali, non è uno strumento neutrale, e nemmeno è scevra da preconcetti filosofici che implicitamente la orientino. Inoltre, i sistemi grammaticali non sono gli stessi ovunque – i linguaggi nascono, si sviluppano e muoiono esattamente come le persone che se ne servono, con le cui

Lebensformen sono amalgamati. La lingua cinese, per esempio, che sembra candidarsi insieme

ai suoi parlanti a governare, un giorno, la comunicazione sulla Terra, non ha tempi verbali; i modi verbali necessari, nella lingua italiana, per costruire un controfattuale corretto, non sono perfettamente dominati da tutti i parlanti italiani, e così via.33 Alla luce di simili considerazioni ci si può domandare se soffermare l’attenzione su di un fenomeno linguistico che chiamiamo “controfattuali” non sia, per così dire, filosoficamente provinciale e condannato fin dal principio non appena si passi a linguaggi che non presentano tale fenomeno e tuttavia funzionano perfettamente.

Ritengo che le discussioni riguardanti il “provincialismo linguistico” siano esse stesse altamente filosofiche; un correttivo naturale alla hybris che talvolta anima i filosofi analitici del linguaggio, un memento mori per la loro teoria. Tuttavia, la grammatica, congiuntamente all’insieme dei linguaggi oggigiorno parlati o comunque a noi noti sono, nel bene e nel male, tutto quello che abbiamo, così che, anche se abbiamo abbandonato la convinzione di stare indagando categorie eterne e universali, si tratta dell’unico punto di partenza che abbiamo a disposizione. Questo rende salva la legittimità della indagine di Lewis e di ogni altra simile a essa.

Prendiamo ora qualche controfattuale noto, così da accumulare materia prima e comprendere quanto pervasivo e versatile sia il ragionamento in termini controfattuali:

(1) “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto” (Maria, sorella di Lazzaro, a Gesù; GV 11:32)

33 Tale è anche il caso del subjonctif francese. Si può anche pensare, ovviamente, che pur non rispettando la struttura grammaticale sopravvive comunque l’idea che un controfattuale esprime.

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(2) “Se Dio non esistesse, bisognerebbe inventarlo” (Voltaire)

(3) “Se gli animali avessero le mani, dipingerebbero dèi a forma d’animali” (Senofane, framm. 15, adattato)

(4) “Se fossi ricco, avrei il tempo che mi manca per sedere in sinagoga e pregare” (Tevye, Il

violinista sul tetto)

(5) “Se il naso di Cleopatra fosse stato più corto, l’intera faccia della terra sarebbe stata differente” (Pascal, Pensieri, 180)

(6) “Se i desideri fossero destrieri, i mendicanti sarebbero a cavallo” (Proverbio tradizionale inglese) (7) “Se Verdi e Bizet fossero stati compatrioti, Verdi sarebbe stato francese” (Esempio tradizionale

della filosofia analitica, originariamente di Quine - 1952 pp.14-15 - e rinvenibile in molte versioni)

Questa lista illumina il fatto che una simile costruzione mette un parlante in grado di articolare ragioni aventi a che fare con i temi e i tempi più svariati, cosicché la struttura, che ha una rigida definizione grammaticale, è di fatto aperta alla più grande varietà di contenuti. Inoltre, il ragionamento controfattuale può riguardare non solo fatti accaduti nel passato (mentre altri invece sono accaduti) ma anche di fatti non realizzati (“se il presidente statunitense fosse una donna…”34). Casi ancora più dubbi sono quelli in cui si formula qualcosa contro le leggi di natura, o negandone una o asserendo un fatto che ne viola una. Se la distinzione modellata sulla forma dei controfattuali, dunque, è già opinabile, dal punto di vista semantico “controfattuale” è un “termine coperta” (o “ombrello”) che copre, di volta in volta, gli argomenti più disparati, aventi in comune più delle somiglianze di famiglia che una essenza generale.

Posto tutto questo, e assumendo che la nostra tradizione analitica occidentale potenzialmente sia in grado di dire l’ultima parola sull’intera questione, in ciascun controfattuale saremmo alle prese con un problema filosofico tripartito:

(α) Per prima cosa, un controfattuale è fondamentalmente un condizionale, ed è noto

che tali connettivi hanno condizioni di verità tutt’altro che chiare. I logici hanno discusso per

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millenni sulla questione, dal tempo della grande divisione tra le interpretazioni note come

filoniana e diodorea. In breve: secondo la tesi di Filone, affinché un condizionale sia vero

solo una condizione deve essere soddisfatta: l’antecedente non può essere vero e il conseguente falso. La tesi di Diodoro è più esplicitamente legata a considerazioni temporali: l’antecedente implica il conseguente se e solo se, per ogni tempo t, è impossibile che l’antecedente sia vero e il conseguente falso (cfr. Sesto Empirico, Contro i logici 2.108-2.123 e Øhrstrøm / Hasle 1995 § 1.2).

Se anche si accetta la consueta interpretazione manualistica, secondo la quale un condizionale può essere falso se e solo se il suo antecedente è vero e il conseguente falso, ci si trova poi a domandarsi perché dovrebbe essere considerata “vera” l’implicazione “Se Mozart era danese, allora Kierkegaard era nipponico” (o, peggio, “Se Mozart era Danese, allora Kierkegaard era danese”), se è ben difficile che si presenti in una conversazione naturale. O almeno si comincia a mettere in serio dubbio la relazione tra la logica classica, gli esempi di cui ci si serve per illustrarla, la verità, il linguaggio e il ragionamento. Si può anche tagliare corto dicendo che un controfattuale è un condizionale solo in modo specifico e distinto, il che aiuterebbe a sbarazzarsi di numerose difficoltà solo per confinarsi a quelle specifiche dei controfattuali.

(β) In secondo luogo, prescindendo dal posizionamento dal fatto (o dall’evento?) descritto dalla protasi nel futuro o nel passato (in cui non si è di fatto verificato) abbiamo comunque a che fare con una possibilità non realizzata, il cui status ontologico deve essere spiegato. Che cos’è, esattamente, qualcosa di cui si parla ma che non è mai accaduto, o che ancora non è accaduto?

(γ) Infine, a prescindere per il momento dalla sua natura causale o meno, un qualche tipo di

legame è espresso attraverso una costruzione contro fattuale: questa è l’essenza di una

proposizione con “se… allora…”. Che tipo di legame, dunque, alla luce delle domande (α) e (β)?

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