Intervento di: Alessia Belli, Scuola superiore Sant’Anna di Pisa L’intervento vuole analizzare,
capitalizzando la duplice esperienza di ricercatrice in filosofia politica e di consulente legale, il complesso ruolo giocato dalle memoriedei/lle richiedenti asilo. In questo senso, la ricostruzione della vicenda biografica, dalla vita nel paese di origine all’approdo in Italia, rappresenta non soltanto lo strumento attraverso il quale è possibile accedereallo status di rifugiat* o alle altre forme di protezione previste, ma anche un elemento e un’occasione fondamentale per ripensare le politiche di gestione dell’immigrazione tout court. Questo con tanta più urgenza in un paese, l’Italia, che ancora fatica a definire un modello e una linea di azioneproprie sulla materia (Allievi). Mettere al centro la memoria del soggetto significa, più specificamente,introdurre un cruciale elemento di contrastodella logica della securitizzazione (Bauman), della ‘spirale delle grida’(Dal Lago), della riduzione del/la richiedente a mero dato numerico, della de- umanizzazione del diverso. In altre parole, l’emersione e la centralità della memoria possono rappresentare uno strumento critico-decostruttivo fondamentale rispetto al clima di chiusura e di rifiuto che si materializza, e non solo nel contesto europeo, nella costruzione di muri e in campagne politiche e mediatiche di demonizzazione dell’Altro/a. La pratica del far emergere il vissutoindividuale ha due elementi di vantaggio: da una parte essa garantisce il riconoscimento dell’altr*, inteso come bisogno umano vitale (Taylor).In quanto tale, esso permette al
soggetto di ricostruire, proprio attraverso la narrazione, un senso di sé che le dinamiche migratorie hanno profondamente sollecitato, provocando lacerazioni identitarie o rotture difficilmente sanabili. La cura insita nell’operazione di emersione del vissuto è poi direttamente connessa alla ricostituzione di quell’agency che è alla base di ogni pratica di cittadinanza attiva e partecipata. Dall’altra, consentela trasposizione della memoria dallo spazio privato a quello pubblico-politico, e dunque il superamento del confine del sé e della vicenda personaleper ‘contaminare’ e sfidare quel dibattito pubblico, politico e mediatico profondamente viziato dall’ignoranza e plasmato dallo stereotipo.In questa declinazione, l’emersione della memoria introduce con urgenza in quello stesso dibattito il tema della responsabilità verso l’umano, un umano che è simbolo estremo di vulnerabilità e marginalità, e per questo percepito come scomodo, inaccettabile e perciò marginalizzato. La metodologia femminista del dare voce, che informa l’approcciodi questo contributo,mettendoal centrole storie e le esperienze delle donne
richiedenti asilo, intese
comeminoritieswithinminorities, ha una funzione fondamentale nello sfidare la retorica mainstream e alcuni presupposti delle politiche vigenti in tema di immigrazione. Il genere, come categoria, diventa allora una lente fondamentale permettere in luce come politiche migratorie e di accoglienza che non siano in grado di riconoscere e accogliere la
centralità del vissuto dei soggetti più vulnerabili, e con esso del carico specifico di violenza e di discriminazione che esso porta con sé, difficilmente potranno elaborare soluzioni sostenibilitalida garantire una coesistenza delle diversità entro contesti complessi. Il dare voce,all’interno di un ascolto empatico, diventa la prima e imprescindibile condizione di empowerment, di attivazione e di partecipazione della persona rispetto alla vita sociale, economica e politica. La memoria dei soggetti più marginali,delle donne richiedenti asilo appunto, diventa la cifra attraverso la quale le nostre società possono essere analizzate e ridefinite nel senso di una maggiore sostenibilità proprio perché a misura d’uomo. Questo elemento è intrinsecamente legato alla capacità di accogliere,accanto all’autonomia, anche la vulnerabilitàe la dipendenza intese quali condizioni imprescindibili dell’esistenza.
Pensare il gesto del dar voce come un tassello di un’etica della cura che si fa attitudine generale, significa conferire
alladimensione relazione
un’importantefunzione di antidoto contro i processi di mercificazione ede- umanizzazione in atto. Lo scopo del presente contributo è appunto quello di analizzareilpresunto ‘vantaggio prospettico’ di una politica del dare la voce che si esplica attraverso lamemoria di alcune donne richiedenti asilo residenti nella Provincia di Arezzo, diverse per età, paese di origine, lingua, religione, etnia etc. (intersezionalismo), mostrando in che modo essa rappresenti una condizione imprescindibile peraffrontare le sfide poste dalle migrazioni globali e dal crescente multiculturalismo, e per ri-configurare le nostre società nel segno di una maggiore giustizia ed eguaglianza per tutti e per tutte.
PANEL 11
La filosofia sociale di fronte alla questione rifugiati
Proponente: Italo Testa filosofia teoretica, teoria critica e filosofia sociale, Università di Parma
Il panel intende affrontare la questione dei migranti forzati e dei rifugiati in una prospettiva di filosofia sociale e filosofia politica, in particolare per quanto riguarda l’intreccio tra immigrazione, diritti umani, sovranità politica, cittadinanza democratica e cosmopolitismo. Il panel, organizzato in collaborazione con la rivista “La società degli individui. Quadrimestrale di filosofia e teoria sociale”, prevede la presentazione di max 4 paper scientifici. Si accettano proposte di comunicazioni in relazione alle seguenti questioni, anche se non esclusivamente: - E’ moralmente e/o politicamente legittimo distinguere tra migranti economici e rifugiati? Quali sono i limiti morali, etici, e/o politici, se vi sono, nelle strategie di ammissione e integrazione entro gli stati nazionali?
- In che misura la questione dei migranti e dei rifugiati rimette in discussione le basi morali e politiche della democrazia nazionale e può contribuire al suo ripensamento in senso sovranazionale e cosmopolitico?
- La soggettività dei migranti e dei rifugiati può condurci a ripensare la natura dell’agency politica e dei processi di soggettivazione e riconoscimento reciproco che la costituiscono, in particolare per quanto riguarda il nesso tra dipendenza, autonomia, e vulnerabilità? Sono identificabili nuove patologie sociali connesse specificamente a tali processi?
- Quali sono le più tipiche strategie argomentative, e fallacie logiche, del discorso pubblico intorno alla questione dei migranti e dei rifugiati?
Diritto di migrare, diritto di restare: perché la filosofia politica non dovrebbe
rinunciare ai concetti di migrazione volontaria e forzata
Intervento di: Laura Santi Amantini Università di Torino Fare appello al diritto, giuridicamente
sancito, di cercare asilo sembra costituire la strategia più efficace per limitare la discrezionalità degli Stati in materia di immigrazione. Diventa dunque cruciale determinare chi possa essere definito rifugiato. Tuttavia, per quanto la definizione di rifugiato possa essere ampliata, il diritto di asilo è destinato a restare l'eccezione alla regola. Pertanto, i teorici del free movement ritengono che un mondo giusto sia un mondo dai confini aperti, dove sia
riconosciuto l'uguale diritto di migrare per tutti gli esseri umani: in tale scenario, la distinzione fra migrazione volontaria e forzata sembra destinata a decadere. In questa comunicazione si intende invece sostenere che, anche nell'elaborare una teoria ideale che comprenda lo ius migrandi, la filosofia politica non dovrebbe privarsi della nozione di volontarietà rispetto alla scelta di migrare. Infatti, affinché vi sia libertà di movimento, occorre che vi sia la possibilità di scegliere se muoversi o meno.