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riconoscimento e vulnerabilità sociale: un’etnografia all’interno di uno SPRAR del centro Italia

Intervento di: Serena Caroselli Università di Genova Questo contributo è rivolto ad

approfondire l’esperienza delle donne che richiedono protezione in Italia inserite all’interno della rete di seconda accoglienza. L’osservazione che fonda

questo lavoro si colloca all’interno del programma ministeriale SPRAR ove le beneficiarie del progetto vivono all’interno del campo dell’accoglienza dinamiche comunitarie che meritano di essere

esplorate: da un lato poiché ciò plasma le loro soggettività proiettate nella società italiana una volta terminato il percorso di presa in carico istituzionale, dall’altro per comprendere l’adeguatezza di tali sistemi nel sostenere la loro possibilità di scelta. Per comprendere l’esperienza migratoria, soggettiva ed eterogenea, è necessario tenere in considerazione come essa si configuri a partire dalla componente di genere, articolata su differenti livelli di complessità, sia che ci si riferisca agli uomini o come nel nostro caso alla soggettività delle donne (Pinelli 2011). Per cogliere gli effetti molteplici che incidono sulla loro esperienza è utile tenere a mente come negli ultimi trent’anni il processo di engendering migration (Abbatecola, Bimbi 2013) ha permesso di considerare il genere come uno degli elementi costitutivi l’intero processo migratorio, strutturato e strutturante le migrazioni stesse, ragion per cui le soggettività incontrate vanno osservate nel loro carattere processuale, dinamico e contraddittorio che plasma le trasformazioni individuali senza ridurle alla costruzione della femminilità o alla comparazione differenziale donne/uomini, ma disvelando altre relazioni alla luce della crisi internazionale, delle sue configurazioni geo-politiche e delle nuove dinamiche di stratificazione sociale. Se l’articolazione delle differenti discipline sociali, nelle sue fasi, ci permette di inquadrare il nesso tra genere e migrazione in contrapposizione all’universalismo mainstream, attraverso un approccio intersezionale e transnazionale con un’apertura maggiore allo studio delle soggettività migranti, per parlare di donne e migrazioni forzate è bene partire dal presupposto che le strutture di genere come le costrizioni legate alla condizione di donna migrante agiscano a partire dalle società di origine, passando per i paesi di transito, per poi giungere a ricostruire le traiettorie

individuali (Freedman 2015) socializzate all’interno di una rete che è quella dell’accoglienza nei paesi di approdo. Tale campo rappresenta lo spazio all’interno del quale avvengono le negoziazioni, spesso conflittuali, sulle rappresentazioni delle donne e del mondo del lavoro: il bisogno di un’occupazione che passa attraverso l’inclusione selettiva nel mercato del lavoro favorita da nuovi processi di illegalizzazione, oltre ad essere uno strumento per l’autonomia è il primo passo per l’ottenimento di un riconoscimento sociale e giuridico. Per esplorare la condizione delle donne in accoglienza è bene inquadrare il discorso a partire da due riflessioni. La prima riguarda le politiche d’asilo europee in cui la configurazione degli scenari violenti obbliga a ripensare il processo migratorio delle donne considerando l’esperienza di attraversamento dello spazio nei termini di violence gender based (Freedman, 2016) alla luce di quella che è stata definita la costruzione della crisi europea dei rifugiati (Rajaram 2015), che mette in stretto rapporto di dipendenza l’esistenza soggettiva delle persone con le scelte dell’Europa in materia d’immigrazione. Le molteplici soggettività cui rivolgere lo sguardo si collocano in uno spazio cruciale della biopolitica dell’Europa che gestisce politicamente il tema umanitario in cui le cause economiche formano un continuum rispetto alle motivazioni migratorie (Fassin 2008, Castels and Loughna 2005). L’attuale schema europeo volto alla securitizzazione delle politiche e alla proliferazione dei confini(Mezzadra, Neilson 2014) oltre ad attuare una distinzione sistematica tra richiedenti asilo e migranti economici (Ambrosini 2010), che si traduce nel doppio

atteggiamento di

compassione/repressione (Bloch, Schuster 2002) mette maggiormente a rischio la sicurezza delle donne e mina ulteriormente la loro dignità

nell’impossibilità di riscattare la propria esistenza attraverso vie sicure d’ingresso, a favore dell’esercizio di una sovranità europea spietata. La declinazione di tali politiche a livello nazionale genera interventi non adeguatamente coordinati tanto da minare l’organicità dell’intero sistema normativo e procedurale in materia d’asilo (ASGI 2016), e la sicurezza delle persone esposte sempre più ai rischi legati alla condizione nei paesi di transito e alle regole d’ingresso/selezione in Europa. La seconda riflessione concerne la dualità del sistema di seconda accoglienza in Italia che vede la presenza della rete SPRAR e CAS. Seppur la teorizzazione del modello SPRAR rappresenti a livello europeo l’optimum dell’accoglienza, sempre più difficile da realizzare. parallelamente la rete prefettizia agisce in un’ottica emergenziale: la sospensione dello stato di diritto e le prassi consolidate di gestione dell’accoglienza hanno ripercussioni di non poco conto sui percorsi delle donne ospitate, in particolar modo quando la gestione da parte di compositi attori privati è motivata dalla logica del profitto (Manocchi 2014). In virtù di ciò il campo dell’accoglienza si configura a partire dalle reti di relazioni che nascono all’interno dei centri, nella loro funzione di risorse e limitazioni (Abbatecola 2002), che assumono il carattere di comunità temporanee e imposte all’ospite (Andreotti 2015). È al loro interno che prendono vita e si rinforzano i labelling process che tendono a definire il rifugiato (o potenziale) come vittima, risorsa, minaccia (Oliveri 2015). Nel caso della donna l’immaginario che orienta le prassi oscilla dalla vittima passiva da aiutare, della femina sacra da preservare, della madre da orientare, della prostituta da redimere. In questo senso i percorsi di accoglienza si configurano spesso come promotori di un deterioramento del senso d’autoefficacia del soggetto tramite

l’assistenzialismo, ostacolandone l’autonomia e alimentandone la sua vulnerabilità sociale. La domanda che ne consegue è: il sistema d’accoglienza, cos come si configura, è in grado di fornire davvero protezione alle donne che ne fanno richiesta? In che modo le politiche di accoglienza/assistenza agiscono sulla loro esperienza di vita? Con questa analisi intendo intraprendere una prima riflessione sul regime di controllo come produttore e riproduttore dell’esperienza violenta, dell’immaginario sulle donne che informa pratiche discorsive e relazionali, andando a destrutturare il valore della scelta soggettiva. Analizzare la loro presenza in Italia come il frutto di un processo, il prodotto dell’intersezione di elementi molteplici a cui si aggiungono le ripercussioni delle politiche d’asilo europee, permette di contestualizzare l’esperienza e comprenderne meglio il posizionamento nella società di accoglienza. Collocare il focus dell’analisi nei contesti istituzionali in cui avvengono le interazioni significative, in questo caso attraverso un’etnografia situata, mi permette di disvelare gli effetti dei dispositivi di governance del sistema d’asilo sui percorsi di ricostruzione e di self understanding delle donne (Brubaker e Cooper 2000). Poter rintracciare gli elementi che definiscono l’esperienza delle attrici sociali protagoniste di questa etnografia, attraverso gli strumenti dell’analisi qualitativa tra cui le interviste in profondità, i focus group, l’utilizzo del bilancio delle competenze per l’orientamento al lavoro e il materiale documentario, ci informa sui posizionamenti delle stesse rispetto al tessuto sociale/relazionale in cui si inseriscono dipendentemente dagli aspetti legali politici ed economici che determinano la loro possibilità di scelta. In questo senso l’ottenimento di un lavoro è l’elemento chiave che rappresenta il primo

passo per l’inserimento sociale e per la conquista/mantenimento dei diritti sul territorio nazionale. Rendere visibili dinamiche ancor poche esplorate dalla ricerca sociale mi permette di ampliare un discorso sulle donne (oltre il tema della tratta sessuale) che anche se non direttamente connesso allo sfruttamento stricto sensu, si iscrive nella spirale della violence gender based. Laddove il sistema all’interno del quale le donne costruiscono

relazioni quotidiane risulti incapace nell’intervenire favorevolmente sui percorsi di accoglienza, l’esposizione a forme di violenza può configurarsi come scenario possibile al momento dell’uscita dai progetti e nelle modalità in cui questo avvenga: soprattutto rispetto alla tendenza comune ad orientare le donne al lavoro di cura, in base alla segmentazione nazionale del mercato del lavoro, con esiti spesso fallimentari e di non compliance.

Innovare la tutela legale dei richiedenti asilo: una proposta di metodologia critica

Intervento di: Enrica Mattavelli Ciac onlus, Parma La presentazione, di taglio operativo, si

propone di stimolare e diffondere una nuova riflessione su forme e metodologie della tutela legale dei richiedenti asilo a partire dall’analisi del modello recentemente elaborato da Ciac nel territorio di Parma. Chiunque intraprenda azioni di tutela legale per richiedenti asilo e rifugiati, si trova oggi ad affrontare condizioni sempre più complesse, caratterizzate dalla presenza di molti vincoli («grandi numeri», emergenza, tempo e risorse limitate) nonché profonde trasformazioni. Per i migranti forzati che approdano sulle coste italiane, la protezione internazionale (unico canale di regolarizzazione) sembra quasi assumere un carattere di obbligatorietà e standardizzazione. L’inserimento pressoché automatico, già dall’approdo, nella procedura d’asilo e nel circuito delle accoglienze prefettizie offre però a tutti i migranti irregolari, per la prima volta, una garanzia di visibilità e una possibilità di emersione. Il diritto di asilo attraversa dunque una forte contraddizione: da una parte vi è un’estensione dell’accesso alla richiesta, dall’altra si assiste ad una effettiva restrizione della sua applicabilità (approccio hotspot e considerevole aumento dei dinieghi di protezione). La logica “hotspot” con la conseguente netta distinzione tra

migrante economico e potenziale rifugiato, assume un ruolo sempre più centrale nel discorso pubblico, nella narrazione mediatica del fenomeno delle migrazioni forzate e nell’agenda politica europea e nazionale. Al contrario, il lavoro sul campo ci rivela che la categoria di “rifugiato” secondo Ginevra è in crisi. Il diritto d’asilo comprende oggi tutta la vastità e la complessità delle storie dei nuovi richiedenti, portatori di vissuti e problematiche ben diverse da quelle contemplate dalla Convenzione di Ginevra. A fianco del rifugiato “tradizionale” troviamo oggi il richiedente in fuga dal disastro ambientale, il migrante-lavoratore che fugge dalla Libia perché sottoposto a condizioni di sfruttamento, chi è incappato nelle maglie delle reti del traffico e della tratta, chi migra per sottrarsi a povertà endemica (magari causata da privazione di risorse e materie prime, land grabbing) ed infine chi, privo di accesso a mezzi di sussistenza e forme minime di tutela sociale nel Paese d’origine, si trova costretto ad investire sul viaggio indebitandosi con “sponsor” e trafficanti. Questo panorama di complessi mutamenti ha portato l'equipe ad interrogarsi sul ruolo dell'operatore legale, sulle evoluzioni del diritto di asilo e dei richiedenti presenti oggi sul nostro territorio. L’operatore legale è anche un

ricercatore dei fenomeni sociali e delle trasformazioni geopolitiche, è chiamato quindi a coltivare la capacità di leggere la realtà che lo circonda, senza perdere la sensibilità verso la specificità dell’esperienza individuale di ogni richiedente. Equipaggiarsi per il cambiamento: dal senso alle pratiche. Dal 2014 Ciac -a fianco del tradizionale lavoro per i propri beneficiari SPRAR e per chi accede agli sportelli da territorio- offre anche ai richiedenti accolti nei CAS (Centri di Accoglienza Straordinari) del territorio di Parma un servizio di tutela legale esperta, dalla prima fase di informazione e avvio della procedura, alla raccolta della storia individuale e alla redazione della memoria d’asilo per la Commissione erritoriale, fino al supporto per l’emersione e la presa in carico delle vulnerabilità e della tratta. Per accedervi, i CAS sottoscrivono una convenzione per la tutela legale aderendo ad un patto etico di accoglienza. La tutela legale dei richiedenti asilo accolti nei CAS ha rappresentato il campo privilegiato di elaborazione e sperimentazione del nuovo approccio metodologico. Nel consistente numero di percorsi di tutela attivati (più di 700 dal 2015) è stato possibile osservare ed individuare alcune evidenti criticità; si delineavano percorsi molto lunghi e dalla frequenza incerta, caratterizzati da incontri molto distanti nel tempo. Le lunghe attese tra una fase e l’altra della tutela, e prima della stesura della memoria tendevano a creare nei richiedenti ansia, disorientamento e passivizzazione. L’organizzazione del lavoro, se governata esclusivamente da un criterio di urgenza “percepita” dall’operatore, contribuiva a creare percorsi silenti o “dimenticati”, inibendo l’emersione di elementi importanti ed eventuali vulnerabilità. Nella stesura delle memorie si verificavano spesso difficoltà, incongruenze, “cambi di versione”, nonché una certa omologazione dei contenuti che l’operatore tendeva a

classificare come “motivi economici”. Si è reso necessario un cambio di paradigma: abbiamo avanzato l’ipotesi che l’apparente standardizzazione del contenuto delle memorie e delle domande di protezione dipendesse in buona misura da una standardizzazione del nostro sguardo. Si è proposta quindi una riflessione sulle categoire (migrante economico Vs rifugiato) così fortemente introiettate dagli operatori stessi, che rischiavamo di proiettarle a nostra volta sui richiedenti, durante l'ascolto e la documentazione delle narrazioni. Gli operatori si sono scoperti così “intrappolati” in un modello di tutela che non andava a scardinare, bensì a riprodurre la logica dell’hotspot. Il nuovo contesto richiedeva invece di adottare nuove lenti e nuovi strumenti di analisi, che favorissero l’emersione di bisogni nuovi. Si è dunque messo a punto un metodo di tutela il più possibile individualizzato, co-progettato e co-costruito con il richiedente. Tale metodologia si basa sulla centralità e sulla responsabilizzazione del richiedente, protagonista della propria domanda di protezione e della relazione con il servizio. Il senso di controllo sulle fasi della tutela (e nelle attese procedurali) viene restituito attraverso una programmazione chiara e condivisa con il richiedente (con particolare attenzione alla puntualità) anche attraverso nuovi strumenti (guida per richiedenti asilo, info-grafiche, “tessera” degli appuntamenti di tutela legale). A fianco di queste innovazioni operative si è inaugurata un’azione di ampio monitoraggio, di analisi delle memorie d’asilo e dei processi connessi, ad opera di un gruppo di lavoro dedicato e sulla base di specifici indicatori (si veda allegato 2). Questa riflessione più ampia sui processi ed i mutamenti in atto, insieme ad una maggiore interazione con la rete dei soggetti dell’accoglienza e dei servizi, mira all’ individuazione tempestiva di vulnerabilità ed esigenze specifiche dei richiedenti, ed alla progettazione e

concertazione di risposte innovative. La presentazione, oltre a descrivere puntualmente metodologia e approccio adottati, si concluderà con alcune considerazioni – frutto del lavoro condiviso con l’equipe legale di CIAC – sul possibile ripensamento dell’obsoleta distinzione tra

migrante economico e rifugiato, e su possibili piste di lavoro che aiutino a ridefinire politicamente e operativamente le categorie di vulnerabilità e di protezione.

Panel 18

Migrazioni forzate, memorie e politica della voce: visioni, pratiche,