• Non ci sono risultati.

Chiavi di lettura sull’evoluzione del mito di Mussolin

2. Studi sul mito di Mussolini dagli anni Ottanta in poi

2.2. Chiavi di lettura sull’evoluzione del mito di Mussolin

I risultati della ricerca scientifica sull’immagine di Mussolini nel periodo della seconda guerra mondiale non sono consistenti e offrono una visione contrastante in merito all’esame della fine del mito di Mussolini. Alcuni storici constatano il declino del mito in connessione alla caduta del fascismo, mentre altri riscontrano la sua continuazione sia durante la guerra, sia oltre, in distinte fasce della popolazione229. Per una dettagliata ricostruzione sull’evoluzione dell’immagine del duce dalla Conferenza di Monaco (1938) al 1943, un punto di riferimento è un altro studio di Angelo Michele Imbriani230. Lo storico osserva che l’immagine di Mussolini è associata perlopiù alla guerra tra la fine del 1942 e il 25 luglio 1943. Soprattutto in questo periodo il duce raccoglie in sé tutte le colpe, diventa il capro espiatorio di tutti i disagi che il popolo vive a causa della guerra e della sua lunga durata. Sia lo stato di privazione in cui versa la gente, sia il patriottismo italiano rappresentano elementi che concorrono a distruggere il mito di Mussolini e a generare una nuova interpretazione della sua immagine. In questa fase Mussolini riveste i panni del politico ordinario soggetto a debolezze biasimevoli e privato del carattere eccezionale, pertanto appare «un governante e un politicante cinico quanto e più degli altri»231. Il disprezzo prende il posto alla venerazione e viene considerato «lo “schiavo” e il “tirapiedi del Fϋhrer». Persino la sua intelligenza è messa in discussione: viene chiamato testone, scemo, ladro, buffone, ciarlatano, impostore ecc. Quindi, secondo Angelo Michele Imbriani avviene un completo rovesciamento del mito di Mussolini. Il fenomeno si verifica dal discorso che il duce pronuncia il 2 dicembre 1942, in quanto il popolo apprende che la fine della guerra non è imminente perché Mussolini è intenzionato a

229 Sono da annoverare tra gli storici che individuano la caduta del mito dopo gli anni ’40 Renzo De Felice, Emilio Gentile, Pero Melograni, Luisa Passerini. Mentre Didier Musiedlak e Maria Fraddosio sottolineano l’importanza dell’area fascista per la sopravvivenza del mito di Mussolini in forme diverse da quelle del passato.

230 A. M. Imbriani, Gli italiani e il duce. Il mito e l’immagine di Mussolini negli ultimi anni del

fascismo (1938-1943), cit.

continuarla. Da qui, nella società italiana vi è una tale caduta del mito di Mussolini da «credere ad una sorta di mutamento di identità»232. Le parole di Mussolini

generano nella popolazione la sensazione di essere abbandonata ai pericoli della guerra233, vissuta ormai come un conflitto «tra Capi di Governo (…) non [come] la guerra degli italiani»234. Sotto la pressione delle privazioni, dei bombardamenti e della percezione della sconfitta, lo “spirito pubblico” brama la pace. Infatti, è proprio lo stato spirituale delle masse (orientato alla pace) a modificare l’atteggiamento del popolo verso il duce. Non essendo in grado di vincere la guerra e nemmeno di decidere la sua fine, Mussolini appare un ostacolo da allontanare235. Difatti, nell’opinione pubblica velocemente si diffondono vociferazioni sul suo declino politico, sulla sua malattia fisica e sulla sua morte, ma anche sui piani dei generali, dei gerarchi e del re per sostituirlo. Quindi, Imbriani identifica la rottura nello sviluppo del mito di Mussolini prima del 25 luglio 1943 e la ascrive al fatto che nell’immaginario collettivo la guerra frantuma il suo nucleo basilare, cioè l’idea secondo cui Mussolini rappresenta «l’autorità protettrice, investita di una missione [orientata a] garantire pace, sicurezza, giustizia e benessere»236. Pertanto, viene a mancare il concetto di “missione” così come la persuasione sulle “qualità straordinarie” del duce. Tuttavia, lo storico è del parere che le vicende legate al mito di Mussolini non finiscono perché al declino del contenuto positivo segue una

232 Ivi, p. 174.

233 Ibidem. 234 Ivi, p. 180.

235 Un altro studio da segnalare sulla politica dell’immagine di Mussolini attuata durante la seconda guerra mondiale è quello di F. Dalla Pria, Dittatura e immagine. Mussolini e Hitler nei cinegiornali, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2012, che conferma anche a livello propagandistico un totale cambiamento nella rappresentazione di Mussolini, riscontrato nelle direttive inviate al Ministero della Propaganda dal 1940 al 1943. Fino al 1942, le direttive indirizzate all’Ufficio Propaganda forniscono istruzioni ancora di tener presente la centralità della figura di Mussolini e di evidenziare la sua opera di costruttore. I cinegiornali non mancano di trasmettere al popolo le immagini che ritraggono Mussolini mentre ispeziona un cantiere, incanalando l’idea che egli lavora per il paese e per migliorare la vita degli italiani. Tuttavia, con la guerra, oltre al fatto che si chiude la rappresentazione mitica di Mussolini, egli perde i connotati di creatore e capo di una nuova Nazione, diventando una persona accessibile a cui potersi affidare nel turbine degli eventi. Perciò, afferma Dalla Pria, con la scomparsa di Mussolini dai filmati, alla fine del 1942, svanisce anche l’immagine del duce, avvallata per tutti gli anni del regime, di costruttore della nuova Italia, apportatore di benessere economico e di modernizzazione.

236 A. M. Imbriani, Gli italiani e il duce. Il mito e l’immagine di Mussolini negli ultimi anni del

rinascita di segno opposto, che lo storico chiama “l’antimito”237. In definitiva, la

nuova immagine di Mussolini esprime un «“rovesciamento” di elementi, aspetti e comportamenti dell’immagine positiva, che per anni ha trovato largo credito»238.

Oltre allo studio di Imbriani, che si ferma al 1943, un’altra analisi sull’immagine di Mussolini concertata sul periodo della seconda guerra mondiale è quella di Maria Fraddosio. La storica coglie nelle vicissitudini delle donne che fanno parte delle organizzazioni della Repubblica sociale di Salò, in particolare il Servizio Ausiliario Femminile (SAF) delle Forze Armate e della Guardia Nazionale della Repubblica fascista, la permanenza del fascino e della forza trascinatrice di Mussolini. Invero, egli viene raffigurato dalle donne del SAF come un “Padre” a cui offrire devozione fino alla morte239 e si ritiene dalle medesime – nonostante le dimissioni dell’estate del 1943 e la perdita del potere – un uomo che conserva ancora il suo carattere carismatico, per aver dato ordine, disciplina e prosperità all’Italia durante il regime240. Mussolini è ancora sublimato nel ruolo ideale

dell’Eroe Condottiero e di leader capace di unire la funzione di Capo a quella di galvanizzatore del valore morale e anche di vittima del tradimento. Per le ausiliarie quando Mussolini si è deciso di «rivestire di nuovo l’autorità di Capo e Padre del fascismo ha ‘rischiato’ di perdere la sua credibilità politica e la sua stessa vita per

237 Ivi, p. 183.

238 Ivi, p. 186. Luisa Passerini è del parere che il 25 luglio 1943 è una data che segna l’immagine di Mussolini perché le esperienze del «duce prigioniero» e del «duce repubblicano», accompagnate dalla fisicità decadente e dall’inadeguatezza dimostrata di fronte ai fatti, cessano di offrire spunti per alimentare il mito del duce. Didier Musiedlak avanza un’altra prospettiva e ritiene che dopo il 25 luglio è riscontrabile continuità nell’alimentazione del mito del duce. L’immagine avallata nella base fascista è quella «del salvatore che sacrifica tutto per il popolo, incompreso, estromesso e vittima di ingratitudine», curata durante la prigione da Mussolini stesso e promossa con la pubblicazione sul «Corriere della Sera», tra il 24 giugno e il 18 luglio 1944, dei Pensieri Pontini e

Sardi e della Storia di un anno (Il tempo del bastone e della carota). Anche in seguito alla morte,

afferma Mussiedlak, il mito di Mussolini prosegue nella figura del martire elaborata dai neofascisti in ricordo di Piazzale Loreto (Cfr. L. Passerini, Mussolini immaginario, cit. pp. 5-8; D. Musiedlak,

Il mito di Mussolini, cit., pp. 40-54)

239 M. Fraddosio, The Fallen Hero: The myth of Mussolini and Fascist Women in the Italian Social

Republic (1943-5), «Journal of Contemporary History», Vol. 31, No. 1, 1996, p. 111.

240 Il SAF viene istituito formalmente da un decreto-legge del 18 aprile 1944, con la firma del segretario del Partito Alessandro Pavolini e del Primo Ministro. Le donne che si arruolano nel SAF sono in maggioranza giovani, istruite (diplomate o possiedono l’istruzione superiore) e appartengono al ceto medio-basso (M. Fraddosio, The Fallen Hero: The myth of Mussolini and

‘liberare’ un’Italia di fatto sotto l’occupazione dei tedeschi e dagli Alleati»241.

Pertanto, nelle militanti del fascismo il mito di Mussolini si presta alla funzione di portare sollievo al desiderio di redimere l’onore perso l’8 settembre. Tuttavia, constata Fraddosio, il nuovo mito all’orizzonte prima dell’8 settembre è quello del tradito, largamente diffuso dalla propaganda fascista repubblicana. Esso viene originato negli anni di guerra, quando diventa palese per tutti che Mussolini non stima né i dirigenti del partito, né il popolo all’altezza del loro duce. Perciò, il mito del tradito nasce dalla delusione del leader nei confronti del suo popolo, che prende spunto da un atteggiamento soggettivo, ma percepito dal popolo. Infatti, a partire dal 1942, prostrato dalla guerra e dalla sua condotta, il popolo a sua volta non stima più Mussolini nella posizione di offrire alla gente protezione una volta che non può più essere rappresentato come ‘infallibile’. Fraddosio sostiene che, nonostante ciò, non si può stabilire nell’anno 1943 la dissoluzione del culto di Mussolini. Nei giorni tragici della guerra, per molte giovani donne che attendono il suo ritorno, il carisma emanato dal duce, come uomo e come Capo, sembra aumentare. In un clima sociale caratterizzato da sensazioni di confusione e di rabbia, le giovani donne sentono il disonore subito per l’arresa incondizionata della nazione e credono nell’idea secondo cui Mussolini è doppiamente “tradito” sia da uomo, sia da guida della nazione242. Pertanto, la liberazione di Mussolini per le donne fasciste rappresenta la

fine di un incubo, del ritorno alla speranza e della fede nell’unico uomo in grado di prendere in mano il paese e portarlo alla vittoria.