• Non ci sono risultati.

Il Fascismo come negazione del liberalismo e della democrazia

3. L’espansione del fenomeno fascista

3.3. Il Fascismo come negazione del liberalismo e della democrazia

I tentativi del fascismo di imporsi quale “partito dominante” e poi “partito unico”795 nel sistema politico italiano si concretizzano nell’eliminazione del

pluralismo politico e nell’instaurazione della dittatura796. Il futuro ministro

dell’Educazione Nazionale Giuseppe Bottai, nella rivista «Critica fascista», tra il 1923-1926, sostiene che le premesse teoriche per il superamento del liberalismo democratico risiedono nell’avversione al governo di coalizione e al sistema parlamentare, esercitata dall’unico partito ritenuto “veramente dominante” e «capace di dare una pratica unità alla Nazione»797. Dunque, le origini del fascismo, sottolinea, sono rintracciabili in «una rivoluzione antiparlamentare» il cui scopo non è «riabilitare il parlamentarismo e ridar vita alla democrazia», ma affermare in politica un'unica organizzazione politica adatta a formulare «l’azione animatrice della coscienza nazionale» e conglobare il consenso798.

Il 30 agosto del 1925, la relazione tra fascismo e liberaldemocrazia viene ulteriormente specificata da Alfredo Rocco, in una conferenza a Perugia dal titolo La dottrina politica del Fascismo. Si tratta del primo tentativo di dare vita ad una

794 Ivi, pp. 219-221.

795 S. Mastellone, Storia della democrazia in Europa. Dal XVIII al XX secolo, cit., pp. 260-261. 796 Ivi, p. 262.

797 Ivi, p. 262. 798 Ibidem.

dottrina fascista in cui sia formalizzato il superamento della liberaldemocrazia, divulgato anche all’estero799. La disertazione di Rocco esce stampata e tradotta il 3

ottobre 1926 sulla rivista «International Conciliation», pubblicata mensilmente dall’American Association for International Conciliation, con una prefazione di Mussolini in cui si attribuisce allo scritto il valore di enunciato dei «principi base del programma fascista»800. In base alle teorizzazioni di Rocco, il fattore unitario del liberalismo, del socialismo e della democrazia è la predominanza in capo all’individuo o al ceto,del diritto, nel primo caso «alla libertà», nel secondo «alla giustizia economica», e infine «al governo della cosa pubblica»801. Nell’ottica fascista si tratta di concezioni che promanano dalla stessa sostanza. Invece, con la nascita di una nuova concezione politica, lo Stato liberale viene superato trasferendo l’idea del diritto in capo allo Stato e ascrivendo agli individui l’assioma del dovere802.

«Per il fascismo la società è un fine, e l’individuo è il mezzo, e tutta la vita della società consiste nell’assumere l’individuo come strumento dei fini sociali»803.

Questo può essere realizzato con la creazione di uno Stato forte in cui viene incrementato il potere dell’esecutivo e concentrato nelle mani del Primo ministro. Pertanto, una tra le cause principali che conducono all’eliminazione dell’opposizione è il rigetto dei valori del liberalismo democratico parlamentare che include nella propria ideologia “il diritto al dissenso politico” e “la libertà di espressione”804, considerati dal fascismo fattori di disordine e di fiacchezza per lo

799 Cfr. G. Simone, Il guardasigilli del regime. L’itinerario politico e culturale di Alfredo Rocco,

cit., p. 180 (in nota 46).

800 S. Mastellone, Storia della democrazia in Europa. Dal XVIII al XX secolo, cit., p. 262. 801 F. Benigno, B. Salvemini, Progetto storia. Temi e problemi. 1900/2000, Roma-Bari, Laterza,

2002, p. 146.

802 Ibidem; S. Mastellone, op. cit., p. 263. 803 F. Benigno, B. Salvemini, op. cit., p. 146.

804 Tre fasi distinte costituiscono la radici del liberalismo: «la Riforma e le guerre di religione del

sedicesimo e diciassettesimo secolo, che portano inizialmente ad accettare con riluttanza il principio di tolleranza e della libertà di coscienza; il graduale contenimento del potere monarchico per via dell’emergere delle classi medie e dell’istituzione di regimi costituzionali a monarchia limitata; e la conquista della democrazia e della regola di maggioranza per le classi lavoratrici» (J. Rawls, Lezioni

Stato805. Nonostante in base alle dichiarazioni di Mussolini la distruzione della

filosofia marxista dal contesto politico risulti uno degli obiettivi principali da realizzare, ritiene Frank Rosengarten, la precondizione alla stabilizzazione dello Stato totalitario è l’aggressione al liberalismo806. Le ragioni della lotta al

liberalismo sono da ricondurre, continua Rosengarten, alla concezione politica di Mussolini, esposta il 1933 ne La dottrina del fascismo. Nella prima parte del documento sono contenute Le idee fondamentali, alla cui stesura è coinvolto il filosofo idealista Giovanni Gentile, nella seconda, interamente scritta da Mussolini, la Dottrina politica e sociale807. Diverse asserzioni presenti nel testo confermano l’idea secondo cui il liberalismo riveste un carattere divisivo tra lo Stato e la società nella politica italiana808.

Negli anni dello squadrismo, sostiene Mussolini nella ‘dottrina’, si vengono a delineare «i problemi dell’individuo e dello Stato; i problemi dell’autorità e della libertà; i problemi politici e sociali e quelli specificamente nazionali». Pertanto, insieme alle “spedizioni punitive” viene pilotata «la lotta contro le dottrine liberali, democratiche, socialistiche, massoniche, popolaresche». In questo modo, dal conflitto di «negazione violenta e dogmatica», in antitesi alle ideologie avversarie, prende corpo una dottrina del fascismo, mentre, successivamente, dagli anni 1926- 1928 si manifesta in senso costruttivo dall’impianto delle leggi e degli istituti del

805 F. Rosengarten, The italian anti-fascist press 1919-1945, cit., pp. 3; 5. 806 Ibidem.

807 Ibidem; B. Mussolini, La dottrina del fascismo, a cura di G. Esposito, ed. III, 1942, p. 4. 808 Secondo Roberto Vivarelli, la natura del fascismo alle sue origini non è chiara e intellegibile agli

occhi dei suoi contemporanei. Questo è confermato, continua Vivarelli, dal fatto che il fascismo è un movimento che nasce “per l’azione” e nel contesto nazionale attua un’affermazione strategica per arrivare al potere. Pertanto, quando Mussolini viene investito del ruolo di Presidente del Consiglio ancora non vi è un indirizzo politico decifrabile al pubblico, dato che il PNF non dispone di una dottrina ed è caratterizzato negli elementi che lo sostengono da una base variopinta. Soltanto in seguito al delitto Matteotti, con l’instaurazione della dittatura e con la soppressione delle libertà politiche si delinea l’identità del fascismo, dimostrando di essere totalmente inconciliabile al liberalismo, al contrario di quanto i suoi coevi credono. A quel punto per la popolazione diventa perfettamente comprensibile cosa vuol dire essere fascista. Ma ciò, che maggiormente viene rimarcato nell’interpretazione di Vivarelli è proprio il conflitto tra liberalismo e fascismo. Nelle sue riflessioni «il crollo delle istituzioni liberali si deve principalmente al fascismo», in quanto Mussolini impiega tutti i suoi sforzi per fare della fragilità delle istituzioni liberali un profitto, e in questo senso contribuisce al deterioramento del liberalismo, tuttavia non ritiene che il fascismo sia la causa dello stato di crisi in cui si trova (R. Vivarelli, Storia e storiografia. Approssimazioni per lo studio dell’età

regime dittatoriale809. Nel Novecento, l’affermazione delle principali ideologie

politiche ottocentesche – il liberalismo, la democrazia e il socialismo – , rileva Mussolini, non è più un fatto irreversibile dato che a trionfare è l’attivismo, la concezione collettiva e vitalistica della destra fascista che assegna il primato allo Stato nella politica. Al contrario del liberalismo, per il fascismo lo Stato è una “concezione organica del mondo” e della vita basata su un “sistema di idee” che creano “una visione” e “una fede”. Dunque, lo Stato fascista è “coscienza e volontà universale dell’uomo”, è l’assoluto in una realtà di sintesi collettiva in cui individui e gruppi si fondono con esso e rappresentano il relativo: «tutto è nello Stato, e nulla di umano o spirituale esiste, e tanto meno ha valore, fuori dello Stato», quindi totalitario. Alla sfera d’azione dell’ente va applicato il principio della libertà non dell’individuo che lo trova all’interno di esso810.

Pertanto, secondo i principi della dottrina fascista, il mondo degno di essere vissuto per l’uomo è spirituale e si fonda sui valori dell’etica, della religione e della storicità. Non è una concezione di vita da condurre indipendente dagli altri, orientata alla soddisfazione personale, ma è collettiva e nazionale, trascendente dalla soddisfazione individuale e dai fini particolari e subordinata ad un’entità superiore da cui l’essere si materializza nella realtà famigliare, sociale, nazionale e storica811. Perciò, gli uomini vivono in nome della grandezza della nazione e del

superamento della sfera privata per adempiere al moto espansionistico dello Stato, immanente «alla natura della volontà umana»812. Ne discende che il fascismo è

avverso al liberalismo che consente di disperdere le energie dello Stato e di creare un’entità sociale edonistica, “degenerata”, simile agli istinti dell’«uomo volgare» a causa delle “astrazioni individualistiche”813, dei principi di libertà e di benessere

individuale814; combatte in nome della coesione e della centralità dello Stato il

809 F. Rosengarten, The italian anti-fascist press 1919-1945, cit., pp. 5-6; B. Mussolini, La dottrina

del fascismo, Roma, 1935 (ed. I 1933), parte III, p. 2; parte II, p. 7.

810 B. Mussolini, op. cit., parte II-VIII, pp. 1-3. 811 Ibidem.

812 Ivi, pp. 9-11. 813 Ibidem. 814 Ibidem.

socialismo che «ignora l’unità statale» e fa della lotta di classe e del materialismo il motore del cambiamento, quando una simile funzione è da assegnare ai valori immateriali della “santità” e dell’“eroismo”815. Il fascismo combatte, altrettanto, «il

complesso delle ideologie democratiche» e tutti i meccanismi di funzionamento istituzionale perché fondati sull’illusione dell’uguaglianza, della logica del numero e sulla convinzione che «la società esiste solo per il benessere e la libertà degli individui». Il fascismo conferma, in merito alla realizzazione in senso positivo dei principi della dottrina, «la disuguaglianza irrimediabile e feconda e benefica degli uomini»816; esclude la pace perpetua perché si tratta di un valore che deriva dalla pusillanimità e dalla volontà di astenersi dalla lotta; abbraccia la guerra come fattore dinamico dell’umanità che eleva «tutte le energie umane» e conferisce «nobiltà ai popoli che hanno la virtù di affrontarla»817. Difatti, l’imperialismo si considera intrinseco allo spirito dello Stato fascista che trae dalla tradizione romana la sua forza dato che la disposizione «all’espansione delle nazioni» è «una manifestazione di vitalità; il suo contrario, o il piede di casa, è un segno di decadenza»818. Pertanto, Mussolini afferma che il fascismo per la sua essenza di regime politico indirizzato a includere l’individuo nello Stato è qualificabile «democrazia organizzata, centralizzata, autoritaria»819.

815 Ivi, parte V, p. 8; F. Rosengarten, The italian anti-fascist press 1919-1945, cit., pp. 6-7. 816 B. Mussolini, La dottrina del fascismo, cit., parte VI, cit., pp. 8-9; F. Rosengarten, op., cit., pp.

6-7.

817 B. Mussolini, op. cit., parte III, p. 7; F. Rosengarten, op. cit., Ibidem. 818 Ivi, parte XIII, p. 13; Ibidem.

819 Ivi, parte VII, p. 9; Ibidem. In base all’osservazione di Salvo Mastellone, si può dire che

«l’ideologia politica del fascismo agli occhi dell’opinione pubblica europea [appare], dopo il 1930, come una dottrina capace di mettere in crisi e distruggere tutte le istituzioni rappresentative a carattere democratico» (S. Mastellone, Storia della democrazia in Europa. Dal XVIII al XX secolo, cit., p. 263).

CAPITOLO III

L’ANTIFASCISMO ALL’ESTERO NEGLI ANNI DEL REGIME

Introduzione

Nonostante la composizione del PNF nel contesto del primo dopoguerra abbia pochi anni di vita, non tardano a rendersi manifesti i caratteri della sua ideologia totalitaria. Appena dopo la marcia su Roma, quando Mussolini diventa il primo ministro di un governo di coalizione formato insieme ai liberali e ai popolari, inizia la battaglia per l’affermazione del “sistema-pensiero” fascista. Nel giro di quattro anni (1922-1926) i limiti alla rappresentanza politica e la pretesa di Mussolini di istituzionalizzare l’idea della «Rivoluzione Fascista» sotto forma di regime diventano realtà. Con il discorso di Mussolini in Aula, il 17 gennaio 1926, l’opposizione politica cessa di avere la sua ragion d’esistere in parlamento. Ai politici della secessione dell’Aventino vengono poste da Mussolini tre condizioni “inderogabili” per tornare a ricoprire la funzione di deputati:

1°) riconoscere il fatto compiuto della Rivoluzione Fascista, divenuta ormai un regime che ha profondamente mutato la costituzione dello Stato italiano, per cui una opposizione preconcetta è politicamente inutile, storicamente assurda, e può essere compresa soltanto in coloro che vivono al di là dei limiti dello Stato;

2°) riconoscere non meno pubblicamente e non meno solennemente che la nefanda campagna scandalista dell’Aventino è miseramente fallita, perché non è mai esistita una questione morale che riguardasse il Governo o il Partito; 3°) scindere, non meno solennemente e pubblicamente, la propria responsabilità da coloro che oltre le frontiere continuano l’agitazione antifascista820.

L’ideologia fascista e la sua visione del mondo, di cui Mussolini è il massimo interprete e realizzatore, possiedono un carattere perentorio a livello

820 Camera dei deputati, Legislatura XXVII, La legislazione fascista 1922-1928 (I-VII), Vol. I, Segretariato Generale della Camera dei Deputati, Roma, 1929, p. 167.

istituzionale ed investono l’intera gamma degli aspetti della vita collettiva, ragion per cui vengono accettate da una buona parte della popolazione. Coloro che sono contrari ai principi e alla politica del fascismo e lottano per i propri ideali o recano qualche forma di opposizione al regime sono colpiti dalle “leggi fascistissime” e incalzati dalle ripetute violenze squadriste. Dunque, un gran numero di personalità della politica e della cultura, ma anche lavoratori dell’industria e del mondo rurale, si trovano costretti a prendere la via dell’emigrazione. Gli italiani che fuggono dall’Italia dal 1922 al 1930 si stabiliscono in paesi come la Francia, il Belgio, la Svizzera, l’Inghilterra, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica821.

Il flusso migratorio, nei primi anni del governo Mussolini (1922-1924), si dirige verso i paesi europei (Belgio, Francia, Svizzera) ed è determinato in larga parte da ragioni economiche. Tuttavia, è bene specificare che l’esodo dall’Italia degli anarchici e dei socialisti, coinvolti nelle battaglie degli operai, è indotto da motivazioni politiche822. Invece, nelle due fasi successive, tra il 1925-‘26 e dopo le “leggi fascistissime”, soprattutto la violenza e il rifiuto del regime fascista sono causa dell’allontanamento degli italiani dal proprio paese. Tuttavia, se si considera il fenomeno migratorio nel suo complesso, le ragioni economiche sono predominanti. Ma se si valuta il numero di coloro che fuggono all’estero dalla «persecuzione politica e per il disgusto morale provato nei confronti del fascismo», secondo le stime di Delzell, si arriva ad una cifra di diecimila persone823. Due casi esemplari e tragici della violenza squadrista sono Piero Gobetti, direttore del settimanale «La Rivoluzione Liberale», e Giovanni Amendola, fondatore dell’Unione nazionale e guida dell’opposizione aventiniana. Entrambi si recano in Francia nel 1925, dopo le aggressioni subite, e trovano la morte nelle cliniche francesi. Gobetti il 15 febbraio ed Amendola il 7 aprile del 1926824.

821 F. Rosengarten, The italian anti-fascist press 1919-1945, cit., p. 50. 822 Ch. F. Delzell, I nemici di Mussolini, cit., p. 42.

823 Ibidem. Solo in Francia nel ’21 emigrano 44.782 lavoratori italiani, per poi aumentare nel ’23 a 167.982 e nel ’24 a 201.715 (Cfr. E. Collotti, L’antifascismo in Italia e in Europa, cit., p. 60). 824 Ivi, p. 48.