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6. Soggetti iconografici

6.1. Scene animate

6.1.1. Cicli a carattere narrativo

Gli unici nuclei finora individuati in regione in cui le pettenelle presentano una decorazione a carattere narrativo sono rappresentati da due soffitti pordenonesi. Il primo [cat. 1] è costituito da ottantadue tavolette, il cui recupero è avvenuto negli anni settanta in un palazzo in corso Vittorio Emanuele250. Il secondo [cat. 2], costituito da novantatré pettenelle e conservato nella collezione d’arte della Banca popolare FriulAdria di Pordenone, proviene da un ambiente al piano terra dell’antica ‘Osteria del Moro’, che - prima della divisione seicentesca - era parte di un edificio contiguo al più famoso palazzo Ricchieri. Le pettenelle vennero recuperate negli anni 1970-1972 durante i lavori di ristrutturazione dello stabile, fino ad allora occultate da una più tarda controsoffittatura a incannicciato251.

Viste le affinità sia stilistiche sia iconografiche, questi due nuclei furono prodotti molto probabilmente da un’unica bottega di pittori, tuttora non identificata252

. Le imprese decorative andrebbero cronologicamente collocate tra la fine del XIV secolo e gli inizi del successivo, ipotesi supportata dall’abbigliamento dei personaggi che, seppur sommariamente raffigurato, lascia intravedere i dettagli alla moda, quali «gli ampi manicotti dagli orli mossi da contorni arrotondati, o le giubbe con calzamaglia dei cavalieri»253. Gilberto Ganzer, considerando la ridotta gamma cromatica - dove prevalgono i colori cupi - ma soprattutto l’esecuzione veloce delle figure, li giudica tardotrecenteschi, mentre Chiara Guerzi, riprendendo le considerazioni sul tipo di abbigliamento, ma considerando il tipo di maniche (frappate), li colloca all’interno del primo decennio del XV secolo e, comunque, non oltre il secondo254.

250 COZZI 1996a, p. 79. 251 GUERZI 2002,p.125. 252

COZZI 1996a,p.81;COZZI 1999, p.123.

253

COZZI 1999, p.81.

254

GANZER 2000, p.37;GUERZI 2002, p. 131.Datazione successivamente confermata anche in GUERZI 2008, p.45.

Il soggetto della decorazione è costituito dalla materia cortese-cavalleresca, ancora ‘attiva’ nella produzione letteraria - per quanto svuotata dei profondi contenuti ideologici e morali originari - e trasportata nella dimensione fantastica della favola255. Nelle pettenelle sono dipinte scene che hanno per protagonisti cavalieri e dame e dove l’ambientazione è quasi sempre la stessa, en plein air e costituita da un prato, spesso circoscritta ai lati da due alberelli. Un tipo di ‘impaginazione’ che è del tutto analogo a quello che si riscontra nei successivi cicli con scene isolate, soprattutto in quelli di primo Quattrocento attribuiti alla bottega di Antonio Baietto [cat. 3-6]. A differenza di questi, tuttavia, qui non viene data attenzione al dettaglio: le scene, gli abiti e gli accessori, infatti, sono resi solo sommariamente tanto che, come si vedrà poi, è spesso problematico riconoscere i personaggi che si alternano nelle tavolette.

Se, come detto, nella quasi totalità dei casi le scene sono ambientate all’aperto su una semplice radura erbosa, solo alcune pettenelle sono caratterizzate, invece, da padiglioni o da altri elementi di tipo architettonico, quali fontane o piccoli edifici tratteggiati semplicemente. In pochissimi casi, inoltre, sono presenti una piccola barca e una nave - quest’ultima di notevoli dimensioni, tanto da occupare l’intero spazio della pettenella - mentre in una sola tavoletta la scena si svolge in un ambiente chiuso: una camera da letto, dipinta due volte per rappresentare i successivi momenti di un’azione: l’ingresso e la svestizione del protagonista.

Enrica Cozzi aveva notato come «chiari indizi scenici paiono rimandare a contesti letterari»256 e successivamente come «dal punto di vista iconografico, rimane la sensazione precisa che alle spalle dell’impresa di abbellimento policromo di tali soffitti lignei ci debba essere la volontà di illustrare uno o più testi letterari»257. Dello stesso avviso Gilberto Ganzer, che giudica i cicli pordenonesi come «forse legati al genio combinatorio tra la storia di Tristano e Lancillotto»258. Ipotesi ripresa da Chiara Guerzi, secondo la quale «le immagini ad una prima analisi sembrano rappresentare la narrazione di una vicenda d’amore-morte tra un cavaliere ed una regina »259

e che suggerisce come «non è difficile pensare che la bottega responsabile della realizzazione 255 Cfr. NOSELLA 1988-1989,p.85. 256 COZZI 1996a,p. 81. 257 COZZI 1999, p. 124. 258 GANZER 2000,p. 37. 259 GUERZI 2002,p.126.

dei due soffitti pordenonesi avesse a disposizione, per la trasposizione della historia sulle cantinelle [sic; più esattamente pettenelle], manoscritti miniati corredati da una illustrazione molto dettagliata e precisa, come appunto quella che contraddistingueva i romanzi cavallereschi, opere di cui tutte le biblioteche signorili erano più o meno provviste»260.

Purtroppo questi soffitti furono smontati perdendo così l’originaria disposizione e rendendo impossibile oggi ricostruire la corretta sequenza con la quale le singole pettenelle dovevano succedersi sul soffitto; impendendo, di conseguenza, la possibilità di ricostruire la narrazione che, in origine, dovevano proporre261. Nonostante ciò è stato comunque possibile, come si vedrà poi, raggruppare alcune tavolette riconoscendo alcuni temi e, in base a essi, ricostruirne l’originaria successione.

Soffitti a carattere narrativo sono costituiti, per esempio, in Lombardia dalle tavolette con le Storie del Genesi attribuite alla bottega di Bonifacio Bembo provenienti da casa Meli ora al Museo Ala Ponzone di Cremona262. Nel caso di cicli con scene veterotestamentarie, il passaggio dell’immagine dal testo alle tavolette avviene, come già evidenziato da Giuseppa Zanichelli, «con un processo di selezione degli elementi significativi e con una intensificazione di quelli caratterizzanti»263 giacché la diffusione e la fortuna del testo consentivano un immediato riconoscimento di un’immagine che si era ormai consolidata. Il fatto che nelle tavolette il testo costituisca una semplice didascalia - come si osserva, per esempio, in una pettenella tratta dalle Storie di Sansone (da palazzo Marazzi, già Grifoni) corredata dalla scritta «Li filistei prese Sanson per che l’è toso»264

- permette di ipotizzare come il repertorio qui utilizzato faccia riferimento a quelle particolari versioni istoriate della Bibbia - rappresentate, per esempio, dalla

Bibbia Istoriata padovana risalente all’ultimo decennio del XIV secolo265

- che «modificano il rapporto tra immagine e testo, riducendo questo a pura didascalia, a

260

GUERZI 2008,p. 44.

261

Cfr. COZZI 1996a,p. 79; GUERZI 2002, p. 125; GUERZI 2008, pp. 39-41; BATTAGLIA RICCI 2008, p. 52.

262

AGLIO 2004i.

263

ZANICHELLI 2005, p. 29.

264

TERNI DE GREGORY 1981a, tav. XX.

265 Rovigo, Biblioteca dell’Accademia dei Concordi, fondo Silvestri, ms 212; Londra, British Library, ms Add. 15277. Si veda TONIOLO 1999.

vantaggio di un lettore non più professionista ma appartenente al nuovo ceto mercantile più limitatamente alfabetizzato rispetto al religioso e all’intellettuale»266

.

Sempre d’àmbito lombardo, seppur leggermente più tardo e risalente probabilmente alla metà del XV secolo, è il nucleo di sei pettenelle che ho rintracciato - attualmente smembrato, parte in collezione privata parte presso un antiquario - con scene tratte dalla storia romana. Vista l’evidente affinità con il ciclo proveniente da palazzo Benzoni a Crema (ora nel Museo civico) la loro esecuzione va ragionevolmente assegnata alla bottega di Bartolomeo Cadelupi Bombelli. Tra queste, la presenza di quella che potrebbe essere l’abbreviazione di «ET» prima di «COSTANTINO» suggerisce l’esistenza in origine di almeno un’altra tavoletta con iscrizione. In questa pettenella è rappresentato un uomo steso su una lettiera con al suo fianco un altro seduto mentre due personaggi sulla destra sono intenti a discutere (fig. 46 a p. 214). La scena potrebbe far riferimento al sogno di Costantino prima della battaglia di Ponte Milvio, con l’imperatore malato e i medici che si consultano sul da farsi nel tentativo di trovare una cura. Anche le altre due pettenelle possono essere ricondotte allo scontro fra i due imperatori. La tavoletta con le colonne (fig. 51 a p. 214) potrebbe infatti alludere alla distruzione delle statue di Costantino ad opera di Massenzio - oppure papa Silvestro che ordina di abbattere gli idoli pagani - mentre quella con i cavalieri (fig. 52 a p. 214) potrebbe rappresentare il trionfo di Costantino e l’esposizione della testa di Massenzio su una picca: una delle versioni della morte di Massenzio riporta, infatti, come il corpo dell’imperatore, dopo essere stato ritrovato nel Tevere, fu decapitato e la sua testa - confitta su di un’asta - portata in città. Queste tre pettenelle rappresentano, quindi, parte di un più ampio nucleo a carattere narrativo del quale, a mio parere, fanno parte anche quattro delle cinque tavolette conservate in palazzo Verdelli a Crema267 e nelle quali, infatti, non solo le scene sono costruite allo stesso modo ma si riscontra lo stesso ductus pittorico (fig. 46; fig. 48; fig. 49; fig. 50 a p. 214). Fino ad oggi queste pettenelle sono state riferite a un «genere letterario di tipo medievale, come i cicli francesi e i romanzi

266

ZANICHELLI 2005, pp. 29-30.

267

CESERANI ERMENTINI 1999, pp. 133-135. La quinta pettenella fa parte di un’altra serie: rappresenta l’allegoria del mese di maggio, come indica la scena di battaglia tra due cavalieri e la scritta «MAZO» (fig. 53 a p. 215). Anche fra le pettenelle della collezione privata sono presenti due tavolette con l’allegoria dei mesi (si veda più avanti a pp. 102-103): ulteriore elemento a sostegno dell’ipotesi secondo cui le pettenelle rintracciate nel corso della ricerca provengano da palazzo Verdelli a Crema.

di Chrétien de Troyes, Perceval o Lancillotto cui gli espisodi sembrano riferirisi»268 ma, se affiancate a quelle rintracciate in collezione privata, si capisce come le scene descritte non solo facciano parte dello stesso racconto che ha per protagonista l’imperatore romano ma lo completino. In una pettenella è descritto un generico banchetto (fig. 46 a p. 214): sono rappresentati un personaggio coronato, a questo punto identificabile con Costantino, e tre dame, probabilmente la moglie Fausta e le due figlie, Elena e Costantina. Nelle altre tre pettenelle viene descritta la parte della leggenda nella quale Costantino richiama papa Silvestro - che si sarebbe rifugiato in una grotta del Monte Soratte, insieme a tutto il clero, per fuggire alle persecuzioni dell’imperatore - affinché lo guarisca: nella prima (fig. 48 a p. 214) si vedono due soldati camminare su un prato, segue quindi l’incontro con il papa (fig. 49 a p. 214) - all’ingresso di una grotta e identificabile dalla scritta «SILVEST» - che poi si incammina, scortato dai due soldati (fig. 50 a p. 214).

Così come nelle pettenelle con soggetti tratti da storie veterotestamentarie anche nel caso della rappresentazione di romanzi cavallereschi, come nei cicli pordenonesi in esame, l’ispirazione sembra essere tratta direttamente dalle immagini a corredo del testo. Diversamente da quanto accade invece nella dipintura di cicli monumentali dove, come ha sottolineato Enrico Castelnuovo, il rapporto con la fonte letteraria cambia: non si assiste più, infatti, alla semplice ripresa delle immagini ma si instaura, invece, una maggiore dipendenza dal testo scritto269.

Come sottolinea Giuseppa Zanichelli270, inoltre, i codici di riferimento sarebbero costituiti non da esemplari prestigiosi, come quelli commissionati da ambienti sociali elevati271, quanto piuttosto da più modesti codici illustrati rivolti a un pubblico più ampio e meno colto: una produzione caratterizzata da una struttura meno raffinata e, soprattutto, da un limitato repertorio iconografico «costituito dal sistematico ricorrere delle scene di duello o dagli incontri di cavalieri, dal perenne ritornare di topoi quali la

268 CESERANI ERMENTINI 1999, p. 133. 269 CASTELNUOVO 1999, p. 21. 270

«È forse logico pensare che sia nelle botteghe dei miniatori che in quelle dove venivano eseguite le tavolette lignee con storie cavalleresche circolassero libri di disegni con queste sequenze codificate e funzionali al tipo di racconto da illustrare, piuttosto che improbabili codici di lusso», ZANICHELLI 2005, p. 31.

271

fonte o il colloquio segreto degli amanti»272 così come è possibile osservare nelle tavolette pordenonesi.

Sul finire del XIII secolo, infatti, si assiste a una notevole diffusione di manoscritti illustrati di letteratura d’evasione in lingua francese riassumibili in due filoni principali: la ‘materia di Bretagna’, che celebra le avventure leggendarie di Artù e dei cavalieri della tavola rotonda273, e i romanzi che attingono, aggiornandoli e rivisitandoli, dalla storia antica, come il Roman de Troie274. Si tratta di testi rivolti a un pubblico meno colto e popolare, in cui la veste grafica è meno raffinata ed elaborata rispetto ai codici di lusso: «destinati a un pubblico ‘cortese’ o anche borghese, ma comunque socialmente elevato, di cultura alta e di maniere raffinate»275. A questa produzione appartiene anche La grant Queste del Saint Graal, codice di fine XIII secolo conservato alla Biblioteca Arcivescovile di Udine276 e corredato da trentatrè miniature, che rappresenta perfettamente la tipologia di testi ai quali possono essersi ispirati gli esecutori delle pettenelle pordenonesi. Si tratta, infatti, di disegni realizzati in maniera molto rapida, quasi degli schizzi, ma tracciati, proprio come nelle tavolette in esame, con «una mano franca e spiritosa» e dove le forme sono molto semplificate e i dettagli quasi assenti a vantaggio di una «vivace capacità comunicativa» e di «una freschezza espressiva»277.

Lo stesso metodo di lavoro seriale è usato sia nel caso di questi codici sia in quello delle pettenelle in esame: i motivi più ricorrenti, che scandiscono la vita di corte (il duello, il banchetto, la caccia &c.) sono descritti con formule fisse e riconoscibili così come schematica è la resa sia di animali, edifici e elementi architettonici, sia delle scene di battaglia, d’incontro e altro ancora. Tuttavia, se nel codice il racconto scritto sopperisce alla genericità dell’immagine consentendo la possibilità di una esatta identificazione e contestualizzazione dell’episodio descritto, nei soffittti in esame, invece, le scene dipinte costituiscono forse solo una traccia, una struttura narrativa ‘fluida’ che da un lato doveva essere da ‘guida’ e dall’altro sufficientemente ‘flessibile’

272

ZANICHELLI 2005, p. 31.

273

Le «Arturi regis ambages pulcerrime» ricordate da Dante (De Vulgari Eloquentia, I, X, 2).

274

Si veda PERRICCIOLI SAGGESE 1979;AVRIL,GOUSSET &RABEL 1984, pp. 23-52; BENEDETTI 1990; SFORZA VATTOVANI 1990.

275

SFORZA VATTOVANI 1990, p. 62.

276

Udine, Biblioteca Arcivescovile, ms. 177; si veda La grant Queste del Saint Graal 1990.

277

e adattabile ai diversi racconti. In questo modo l’osservatore avrebbe potuto di volta in volta aggiungere, togliere, modificare il racconto secondo le proprie esigenze: secondo quanto già espresso da Giuseppa Zanichelli secondo la quale sarebbe «logico ipotizzare che tali immagini dovessero funzionare in chiave mnemotecnica per i fruitori del tempo mostrando una sequenza ideale, spesso adattabile ai vari racconti»278. Questa ipotesi, inoltre, spiegherebbe come, nonostante si sia più volte tentato di ricondurre i cicli in esame - nel loro complesso o anche solo limitate sequenze di immagini - a una o più fonti precise, ancora oggi sia difficile identificare esattamente la maggor parte dei personaggi rappresentati.

Nel caso delle tavolette in esame, secondo Lucia Battaglia Ricci, la fonte di ispirazione potrebbe essere un testo che appartiene «a un filone destinato proprio in quest’area a un certo successo»279

e nel quale probabilmente sono «implicati testi di tradizione locale, disponibili a comporre in nuove unità narrative materiali e motivi di provenienza eterogenea, germanica ad esempio, e/o folclorica»280, secondo una prassi caratterizzata dalla tendenza, sia nel caso del romanzo cavalleresco sia dei cantari, a processi continui di riscrittura che di volta in volta aggiungevano o modificavano parti della narrazione, innestando storie diverse281.

Il racconto illustrato nei nuclei di pettenelle in esame risulta essere così composto da spunti narrativi diversi282, ispirati alla tematica cortese, secondo una consuetudine che, tra la fine del Trecento e il secolo successivo, trovava una delle sue maggiori espressioni nella decorazione di arazzi e di cofanetti eburnei: si possono, infatti, riconoscere una serie di differenti episodi che hanno per protagonisti cavalieri a cavallo che - da soli o in gruppi più o meno numerosi - affrontano le prove più disparate.

278 ZANICHELLI 2005, p. 32. 279 BATTAGLIA RICCI 2008, p. 53. 280 BATTAGLIA RICCI 2008, p. 53. 281

Secondo Chiara Guerzi «il racconto si snoda attraverso una serie di momenti topici che possiamo ritrovare anche in altri contesti figurativi più sicuramente connessi alle vicende dei cavalieri della letteratura tristaniana. [ …] In mancanza della precisa individuazione della fonte letteraria o di più stringenti raffronti pittorico-iconografici, non possiamo escludere l’utilizzazione di immagini estrapolate da quella tradizione figurativa e coniugate con altri contesti, secondo un meccanismo tipico della ricezione e diffusione delle immagini artistiche nel senso della loro ‘lectio facilior’», GUERZI 2002, p. 126.

282

Un tentativo di riconoscere e ricostruire il discorso narrativo affidato alle pettenelle è stato affrontato da Lucia Battaglia Ricci (BATTAGLIA RICCI 2008, pp. 51-65).

Tra queste, si incontrano cavalieri che lottano contro animali reali o fantastici -come orsi (fig. 57 a p. 215), draghi (fig. 58 e fig. 59 a p. 215) e unicorni (fig. 60 a p. 215) per esempio - ma anche contro esseri mostruosi: uomini provvisti di coda, altri caratterizzati da grandi orecchie appuntite oppure uomini selvaggi con clava. Se i primi ricordano quelli di popolazioni esotiche e lontane, simboli delle meraviglie di un Oriente poco conosciuto, descritte da cavalieri e viaggiatori nelle loro avventure in quelle regioni (John Mandeville, Marco Polo e Odorico da Pordenone per esempio); gli uomini selvaggi, invece, fanno pensare piuttosto a una tradizione nordica come quella raffigurata nel ciclo di Ywain a Castel Rodengo (Bz)283. In una serie di pettenelle (fig.

61 - fig. 67 a p. 216) è possibile riconoscere la raffigurazione di quella che sembrerebbe

una variante di un vero e proprio topos narrativo: la cattura della cerva bianca284. Possiamo seguirne le varie fasi: la parte iniziale con il cavaliere che insegue la cerva (fig. 61) - bianca con screziature nere e corna - e poi la cattura con una rete (fig. 62); quella centrale in cui l’uomo tenta di ‘addomesticare’ la preda e la nutre con l’aiuto di una dama (fig. 64; fig. 65); la parte finale quando il cavaliere presenta il leggendario animale alla regina (fig. 67). Il modello iconografico di quest’ultima scena è stato individuato da Chiara Guerzi nelle «miniature delle ‘Storie di Alessandro’, modello che sarà poi divulgato dalla letteratura da viaggio»285.

Nelle pettenelle di entrambi i nuclei compare poi, come la definisce Enrica Cozzi, «una enigmatica arpia»286 che, secondo Lucia Battaglia Ricci, vista «la proliferazione di un’immagine così singolare in uno spazio tanto ristretto e in tempi del tutto sovrapponibili, lascia credere che l’immagine testimoni o una tradizione del luogo o il successo ugualmente locale di una storia nata altrove»287. Si tratta di un ibrido, con testa di donna e corpo di uccello, che compare, sorridente e con una corona, al centro di un gruppo di cavalieri a cavallo nella posizione che, nella tradizione, spetterebbe alla dama cortese. La studiosa288, inoltre, riconduce la figura a quella descritta in un testo di

283 Sull’homo selvaticus si veda ERMACORA 2006-07.

284

Si veda CIGADA 1965; DONÀ 1997; DONÀ 1998; DONÀ 2003.

285 GUERZI 2002, p. 78. 286 COZZI 1999, p.124. 287 BATTAGLIA RICCI 2008,p. 58. 288 BATTAGLIA RICCI 2008, pp. 58-60.

tradizione veneta, il cantare della Ponzela Gaia (o Pulzella Gaia)289, dove, appunto, una creatura molto simile a quella raffigurata nelle pettenelle è descritta in groppa a un cavallo entro un corteo di cavalieri.

Il racconto inizia descrivendo le avventure di un gruppo di cavalieri di Artù impegnati in una gara di caccia: uno di loro, Troiano, cattura una cerva bianca, proprio come quella già ricordata e che compare in altre tavolette, per poi offrirla a Ginevra, così come nelle pettenelle la cerva viene donata a una dama coronata290 (fig. 68 a p. 216):

Intradi fono i cavalieri a quele inprexe; inverso lo bosco prexeno lor camino; miser Troiano una zerva sí prexe che ierano pui bianca de un armelino; e tutavia lo la menava palexe,

che veder la podea grandi e picolino; davanto lo re Artus saluta e inchina poi la aprexentò a Zenevre la rezina

Un altro cavaliere, Galvano, lotta a lungo contro una serpe nel tentativo di catturarla fino a quando quest’ultima rivela di essere una fata: ritornata alla forma umana si fa riconoscere come la Pulzella Gaia, figlia della più celebre Morgana,

289

Si veda Fiore di leggende. Cantari antichi 1914, pp. 29-58 e 341-342; Cantari novellistici dal Tre al

Cinquecento 2002, pp. 408-448. L’unico testimone manoscritto del cantare è del Quattrocento inoltrato, ma la storia circolava già prima come prova, tra gli altri, un frammento del XIV secolo in prosa toscana conservato nel ms. II-IV 136 della Biblioteca Nazionale di Firenze, si veda Cantari novellistici dal Tre al

Cinquecento 2002, p. 411. Il racconto ha per protagonista Galvano, nipote di Artù, che, a caccia, si

imbatte in una «serpa poderossa» con cui intraprende un duello, avendo però la peggio. La serpe parlante chiede quindi al cavaliere il suo nome e dopo averlo saputo acquista forme umane; si tratta della Ponzela Gaia, figlia della fata Morgana, da sempre innamorata proprio di Galvano e al quale ora offre il suo amore. Galvano accetta di divenire amante della fata, ricevendo un anello magico in grado di procurargli ogni bene ma con l’unico obbligo di non far sapere della sua esistenza. Ginevra però si innamora a sua volta di Galvano che, però, la rifiuta. La regina non desiste e organizza un ‘vanto’ nel corso del quale l’uomo rivela l’esistenza della fata ed è costretto, pena la morte, a condurla a corte. La fata compare solo all’ultimo momento, quando Galvano è già sul patibolo, annunciando al cavaliere che, giacché è stata obbligata a mostrarsi, verrà per questo motivo imprigionata da sua madre. Galvano, disperato, parte alla sua ricerca e, dopo aver compiuto prodigi di valore, giunge nel regno di Morgana. Qui, con l’aiuto degli abitanti del luogo, riesce a penetrare nel castello e, dopo aver ucciso tutti i difensori, libera la Ponzela