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Le Born Global e le nuove tipologie d’impresa: un’analisi comparata.

2.3. Giovani e innovative: le aziende start-up.

2.3.1. Il ciclo di vita delle start-up.

Nel precedente paragrafo abbiamo presentato le start-up come una particolare tipologia d’azienda che si trova in una specifica fase di quello che viene comunemente definito ciclo di vita delle imprese. Le imprese, generalmente, tendono nel corso del loro sviluppo ad attraversare diverse fasi in cui vengono plasmate le diverse caratteristiche che via via le imprese andranno ad assumere nel tempo. Così come indicato nel paragrafo precedente, il ciclo di vita prevede una fase di avvio alla quale segue lo sviluppo, l’espansione, la maturità e il declino. Tale ciclo può essere assimilabile a quello concernente il prodotto offerto dall’azienda stessa: anche il prodotto

che l’azienda lancia segue un percorso che prevede l’introduzione, lo sviluppo, la maturità e, infine, il declino (o l’eventuale rilancio). Ciò appare del tutto ragionevole, in considerazione del fatto che la discriminante che consente all’impresa di rimanere sul mercato è la capacità della propria offerta di generare fatturato e profitti. La start-up, come già accennato, rientra in questo ciclo nella fase di avvio. Abbiamo visto, infatti, come le condizioni di temporaneità e la ricerca di un business model che sia ripetibile e scalabile facciano sì che per l’impresa debba trascorrere del tempo prima che possa presentarsi sul mercato con un’offerta credibile in grado di generare quelle risorse che le consentirebbero di accedere alle fasi successive del proprio sviluppo. Abbiamo altresì visto che per le start-up in particolare esiste un’elevata probabilità di fallimento rispetto ad altre tipologie di aziende, perciò non è del tutto scorretto affermare che le start-up esperimentino un ciclo di vita piuttosto breve, cioè arrivando alla fase di declino senza necessariamente aver visto una particolare fase di espansione o sviluppo.

Occorre tuttavia rilevare come, oltre al normale ciclo di vita delle imprese, le start-up racchiudono un proprio ciclo di sviluppo che le contraddistingue dalle altre tipologie aziendali. Quest’assunto prende i Marmer Stages come spunto (Compass, 2014) e prevede la definizione di un ciclo di vita strettamente legato al prodotto che la start-up intende sviluppare.

In tal senso, il ciclo della start-up inizia necessariamente con la configurazione di un’idea da parte dell’imprenditore. L’idea che risiede alla base della volontà dello start-upper di intraprendere un’attività in proprio è quella di ipotizzare un servizio o un prodotto che possano soddisfare i bisogni che consumatori (orientamento B2C) o altre aziende (orientamento B2B) non riescono a soddisfare con l’offerta presente nel mercato. Riprendendo quanto detto precedentemente, l’idea e il progetto imprenditoriale dello start-upper sono generalmente fonte di innovazione radicale, che scardina i paradigmi di mercato presenti nei vari settori e industrie. Qualora, poi, tale idea riscontri l’interesse di qualcuno o si dimostrasse in grado di dare soluzioni a specifici problemi, si passa alla fase di discovery. A queste due fasi segue quella della validation, in cui lo start-upper riceve l’apprezzamento da parte di potenziali clienti disposti a comprare l’eventuale prodotto o servizio offerto dalla nuova azienda. In questa fase, della durata che va dai 3 ai 5 mesi, ci si focalizza sostanzialmente nel perfezionamento del prodotto nelle sue specificità tecniche e sulla sua potenziale attrattività nel mercato, nonché nella ricerca di finanziamenti utili a soddisfare le esigenze di cassa aziendali. Altri 5 o 6 mesi, poi, sono dedicati alla fase di efficiency, durante la quale si procede ad una migliore definizione e rafforzamento del business model tali per cui l’impresa riesce a incrementare l’efficienza del processo d’acquisizione di clienti e finanziatori. Tale fase è necessariamente propedeutica all’ultima, cioè

consolidarsi come impresa presentandosi sul mercato con una strategia aggressiva e volta a generare ritorni positivi sia per l’azionista principale, cioè l’imprenditore, che per gli altri finanziatori che hanno contribuito alla costruzione del capitale della start-up: l’impresa, dunque, inizia a generare valore (Santelli, 2014a; 2014b). Il successo, tuttavia, non è ancora garantito: come spiegato nel precedente paragrafo, la start-up può andare incontro ad un errore nel calcolo dei tempi in cui dar avvio allo scaling, andando, quindi, incontro ad un eventuale premature scaling e facendo fallire il progetto imprenditoriale. Una volta raggiunto il successo, comunque, la start-up termina il proprio ciclo di vita: lo start-upper è riuscito a trasformare la sua idea in un qualcosa di concreto e apprezzato nel mercato, ma nulla vieta che tale ciclo si possa ripetere attraverso l’identificazione di una nuova idea e relativo progetto di business (cfr. fig. 16).

Parallelamente al ciclo di vita delle start-up è interessante osservare come ad esso si affianchi quello relativo alle fasi di finanziamento del progetto imprenditoriale dello start-upper. Le forme di finanziamento sono infatti molto importanti per la sopravvivenza della start-up, in quanto, generalmente, il solo imprenditore non dispone delle risorse necessarie volte a coprire le esigenze di capitale richieste dall’azienda. La start-up, infatti, non prevede comunemente la capacità di generare utili, a causa soprattutto della costante necessità di rivedere il business model e la non ancora adeguatezza del prodotto alla domanda richiesta nel mercato, e, di conseguenza, l’autofinanziamento interno non è praticabile. L’impresa, quindi, necessita di forme di finanziamento esterne, in particolare attraverso le varie forme di finanziamento in equity come i venture capital. Le forme di finanziamento in equity rispondono, infatti, alla preclusione ai finanziamenti bancari che le start-up si trovano costrette ad affrontare: l’accesso al credito bancario, infatti, presuppone la capacità dell’azienda di generare flussi sufficientemente elevati e che siano in grado di ripagare gli interessi passivi: se da una parte ciò risulta particolarmente difficile per una start-up, dall’altra, qualora tali flussi fossero generati, servirebbero necessariamente all’autofinanziamento interno per far fronte ai tassi di crescita dell’azienda stessa. I fondi di private equity, quindi, compensano tali criticità fornendo capitale di rischio e supporto alle aziende in cui investono. Nel caso delle start-up, inoltre, sono in particolare i venture capital a occuparsi del finanziamento, in particolare attraverso operazioni di early stage financing (Perin, 2010). Riprendendo il parallelismo con le fasi del ciclo di vita delle start-up, inoltre, si può constatare come le forme di seed financing e start-up financing (entrambi suddivisioni dei finanziamenti early stage) contribuiscono rispettivamente alle fasi di discovery e validation. Le fasi di efficiency e scaling, invece, sono supportate da forme di expansion financing, cioè finanziamenti che contribuiscono allo sviluppo dell’attività imprenditoriale. L’expansion financing (i cui finanziamenti vengono anche denominati development capital) si

distingue dall’early stage financing e si frappone tra quest’ultimo e il replacement capital (cfr. fig. 17), il quale, tuttavia, esula dalla sfera di interesse delle start-up.

Figura 16. Il ciclo di vita delle start-up.

Fonte: rielaborazione personale.

Figura 17. Relazioni tra fasi della start-up e forme di finanziamento.

Idea Discovery Validation Efficiency Scaling

Seed

financing

Start-up

financing Expansion financing Fonte: rielaborazione personale.