Le Born Global e le nuove tipologie d’impresa: un’analisi comparata.
2.1. La presenza delle Born Global europee.
Nel primo capitolo si è osservato come esistono in letteratura diverse definizioni volte a identificare la nozione d’impresa Born Global. Tra le varie accezioni con cui ci si può riferire a questo fenomeno, appare evidente che le BG s’inseriscano nella più grande categoria delle piccole e medie imprese (PMI). L’importanza delle PMI, in genere classificate come imprese con meno di 500 dipendenti, nell’economia mondiale è confermata da diversi studi e si è stimato che rappresentino ben il 95% delle aziende mondiali e oltre il 50% del valore aggiunto creato in tutto il mondo (OCSE, 1997). In un certo senso, quindi, le PMI costituiscono l’ossatura su cui si regge l’intera economia globale e le BG giocano un importante ruolo tra questo tipo di aziende attive nel commercio internazionale (Cavusgil e Knight, 2009). D’altronde, le PMI riescono a sostituire le grandi imprese o perché operano in un mercato troppo piccolo e, di conseguenza, di scarso
interesse per i competitor di maggiore dimensione, o perché riescono a operare con offerte più efficienti e allettanti rispetto a quanto possa fare una grande impresa (Lukács, 2005)
In Europa le PMI godono di un’importanza relativa ancora maggiore. All’interno dell’Unione Europea, infatti, le PMI rappresentano il 99,8% delle aziende non finanziarie, fornendo più di 87 milioni di posti di lavoro (Wymenga et al., 2012). È innanzitutto interessante osservare come le PMI beneficino di un riconoscimento normativo entro i confini dell’Unione: nel 2005 la Commissione Europea con la raccomandazione 2003/361 è giunta a definire una piccola e media impresa come un’entità che impiega meno di 250 dipendenti e che consegue un fatturato annuo inferiore ai 50 milioni di Euro e/o un totale di bilancio inferiore ai 43 milioni di Euro. Come si può notare nella figura 7, la Commissione ha poi specificato i criteri con cui si può definire la micro impresa (meno di 10 dipendenti e fatturato/totale di bilancio inferiori ai 2 milioni di Euro) e la piccola impresa (meno di 50 addetti e fatturato/totale di bilancio sotto i 10 milioni di Euro).
Figura 7. Classificazione delle PMI secondo la raccomandazione 2003/361 della Commissione Europea.
Categorie di imprese Dipendenti Fatturato Totale di bilancio
Media < 250 ≤ € 50 m ≤ € 43 m
Piccola < 50 ≤ € 10 m ≤ € 10 m
Micro < 10 ≤ € 2 m ≤ € 2 m
Fonte: Eurostat, 2012.
Si assiste, dunque, ad un quadro piuttosto variegato, dal quale tuttavia si può cogliere un’ulteriore particolarità del panorama europeo. Analizzando i dati disaggregati (Eurostat, 2012), osserviamo che ben il 92,2% delle imprese sono micro aziende e il 6,5% piccole aziende. Il tessuto economico dell’Unione Europea, quindi, si compone complessivamente per il 98,7% di piccole e piccolissime aziende, come indicato nella figura 7. Analizzando queste cifre in termini di posti di lavoro e valore aggiunto, si può agevolmente osservare come le piccole e piccolissime aziende impieghino il 50,2% della forza lavoro nell’UE (poco più di 65 milioni di posti di lavoro) cui si somma il 17,2% impiegato dalle medie imprese. Le PMI in Europa, dunque, impiegano più dei due terzi della forza lavoro in tutto il continente. In termini di valore aggiunto,
(21,2%), piccole (18,5%) e medie imprese (18,4%). In questo caso emerge la capacità della grande impresa di produrre ancora una parte considerevole (il restante 41,9%) del valore aggiunto nell’UE (cfr. figura 8).
Figura 8. Numero di imprese, lavoratori impiegati e valore aggiunto nell’UE a 27 classificati per categorie dimensionali.
Micro Piccola Media PMI Grande Totale
Numero di imprese Cifre 19.143.521 1.357.533 226.573 20.727.627 43.654 20.771.281 % 92,2 6,5 1,1 99,8 0,2 100 Dipendenti Cifre 38.395.819 26.771.287 22.310.205 87.477.311 42.318.854 129.796.165 % 29,617,2 20,6 17,2 67,4 32,6 100 Valore aggiunto EUR (milioni) 1.307.360,7 1.143.935,7 1.136.243,5 3.587.540 2.591.731,5 6.179.271,4 % 21,2 18,5 18,4 58,1 41,9 100 Fonte: Eurostat, 2012.
Appare del tutto evidente che le Born Global rientrano a pieno titolo tra le PMI. Le BG, infatti, abbiamo visto essere in genere piccole aziende che cercano di ottenere migliori performance internazionalizzandosi in più mercati già al momento della loro costituzione (Knight e Cavusgil, 2004). Già dalla definizione, quindi, si evince che si tratta di una particolare forma di piccola impresa, se non addirittura piccolissima, una particolare forma di start-up. L’accostamento alle PMI trova anche altri rimandi nella letteratura, come ad esempio nello studio di Oviatt e McDougall (1994) in cui si fa riferimento a tale fenomeno con il termine di global start-ups. Risulta opportuno e interessante, dunque, osservare come le BG si inseriscano nel panorama europeo tra le tante piccole aziende come le start up e anche tra le varie aziende più in generale. Dagli studi condotti nel panorama europeo (da intendersi in senso lato, cioè comprendendo quegli stati che, come la Norvegia, non appartengono all’Unione Europea) emerge chiaramente la rilevanza e la portata delle BG nell’economia del vecchio continente. Lindmark et al. (1994), infatti, hanno rilevato che circa il 50% delle start-up in Norvegia, Finlandia, Danimarca e Svezia sono attive nell’export già entro il secondo anno d’attività. Questi dati sono coerenti con quanto rilevato da Waagø et al. in un sondaggio dell’anno precedente (1993), in cui oltre il 44% delle start-up norvegesi conseguono delle esportazioni entro due anni
dalla loro fondazione. È interessante osservare, poi, l’attualità del fenomeno delle Born Global. Ciò emerge chiaramente dallo studio di Aspelund e Moen (2001), in cui il campione di 213 PMI norvegesi viene suddiviso in base alla data in cui le singole imprese sono state fondate. Vengono così individuate tre categorie: quella delle imprese sorte prima del 1980, quelle fondate negli anni Ottanta e, infine, quelle fondate dal 1990 in poi. I due autori hanno quindi rilevato che nella prima categoria, cioè tra le imprese sorte prima degli anni Ottanta, in media si sono attesi 27 anni dalla costituzione per intraprendere le prime attività all’estero. Tale attesa si è ridotta significativamente a due anni tra le imprese fondate negli anni Ottanta, mentre nell’ultima categoria si è rilevato che il processo d’internazionalizzazione avviene all’interno del primo anno di attività (Aspelund e Moen, 2001). Tali risultati appaiono coerenti con quanto è stato individuato nello studio condotto da Moen e Servais (2002) su un campione di 677 imprese danesi, norvegesi e francesi. In particolare emerge che una considerevole parte delle imprese coinvolte nel sondaggio (figura 9) hanno iniziato a esportare entro il secondo anno d’attività (dal 30,7% delle imprese danesi al 38,8% delle imprese norvegesi), a ulteriore conferma della rilevanza che hanno consolidato le Born Global nel contesto europeo.
Figura 9. Numero di imprese per ciascuna categoria (dati in percentuale). Norvegia (n = 335) Francia (n = 70) Danimarca (n = 272) Anni per l’internazionalizzazione
0-2 3-10 11-100 38,8 23,3 37,9 34,3 22,4 43,3 30,7 21,1 48,2 Fonte: Moen e Servais, pag. 60, 2002. Rielaborazione personale.
Moen (2002) propone poi un’ulteriore classificazione per individuare le imprese BG da un campione di 405 imprese francesi e norvegesi (figura 10). In base alla quota di esportazioni sul fatturato e anno di fondazione, viene creata una matrice in cui le imprese si distinguono in vecchie e locali, vecchie e globali, nuove e locali, nuove e globali (queste ultime sono, appunto, le imprese Born Global).
Dalla ricerca emerge in modo considerevole il peso delle BG sul totale delle nuove imprese costituite dopo il 1990. Infatti, tra le imprese fondate dopo il 1990, sebbene queste rappresentino il 18,4% e il 18,8% rispettivamente in Norvegia e Francia sul totale delle imprese, le BG contano
per oltre il 50% in Norvegia e oltre il 60% in Francia, con una media dell’export sul totale delle vendite pari al 65,4% nel primo caso e del 73,5% nel secondo. È interessante, inoltre, osservare il tempo impiegato dalle imprese per internazionalizzarsi (figura 11). Se alle imprese costituite prima del 1990 occorrono mediamente circa 20 anni per dar seguito alle prime attività d’esportazione, quelle costituite dopo il 1990 ci riescono in media entro il terzo anno. Se, poi, si analizzano i dati disaggregati tra imprese locali e BG, il tempo necessario si riduce ulteriormente nel secondo caso: in particolare, le BG norvegesi si internazionalizzano entro l’anno in cui sono state fondate, mentre in Francia ci impiegano mediamente un anno (Moen, 2002).
Figura 10. Classificazione delle imprese.
Anno di fondazione Export su fatturato
(%) 1850-1989 1990-1998
< 25 Vecchie e locali Nuove e locali
> 25 Vecchie e globali Nuove e globali (Born Global) Fonte: Moen, pag. 158, 2002.
Figura 11. Descrizione dei gruppi.
Aziende vecchie Aziende nuove
Locali Globali Locali Globali (BG)
Norvegia
Percentuale delle imprese Anno medio di fondazione Anno medio inizio export Media esportazioni (%) 37,8 1956 1977 11,0 43,8 1952 1969 59,9 9,0 1992 1993 11,5 9,4 1993 1993 65,4 Francia
Percentuale delle imprese Anno medio di fondazione Anno medio inizio export Media esportazioni (%) 58,0 1963 1983 14,5 23,2 1969 1986 54,3 7,2 1991 1994 20,0 11,6 1991 1992 73,5 Fonte: Moen, pag. 162, 2002.
Figura 12. Forme d'internazionalizzazione delle PMI europee con meno di quattro anni d'attività.
Fonte: EIM Business & Policy Research, 2010. Rielaborazione personale
Un ulteriore sondaggio ha evidenziato che su un campione di circa 500 start-up austriache quasi il 20% delle stesse ha iniziato a esportare entro il primo anno d’attività. Lo stesso sondaggio, inoltre, verifica una correlazione positiva tra l’età delle start-up e il numero dei paesi in cui esporta. Infatti, se quel 20% di start-up che s’internazionalizzano nel primo anno di vita arrivano ad operare fino a tre paesi diversi, un ulteriore 2% esporta verso un range tra quattro e sei paesi e, infine, un ulteriore 1% esporta in più di sei paesi (Eurofound, 2012). Cifre simili sono state raggiunte in un altro sondaggio condotto su circa 1700 start up austriache fondate nel 2002 e ancora attive nel 2005 sotto la guida dello stesso fondatore. In questo caso, infatti, il 22% del campione afferma di esportare all’interno dell’Unione Europea e un ulteriore 7% fuori dai confini UE (Eurofound, 2012). Un sondaggio simile condotto in Spagna su un campione di circa 270 start-up ha condotto a risultati abbastanza simili: circa poco più del 16% del campione ha dichiarato di aver iniziato le attività d’esportazione entro il primo anno dalla fondazione dell’azienda, percentuale che aumenta fino al 26,2% entro il sesto anno (Eurofound, 2012). Se si considera un outlook più europeo, infine, un sondaggio del 2009 che coinvolge tutti i paesi dell’Unione e altri cinque stati limitrofi (Islanda, Turchia, Macedonia, Norvegia e Liechtenstein) dimostra che il 17% delle PMI fino a quattro anni dalla loro costituzione si sono internazionalizzate attraverso le esportazioni, mentre il 25% sono importatori netti (figura 12). Inoltre, il 2% di queste si è internazionalizzato ricorrendo a forme di investimenti diretti esteri, il
17% 25% 2% 7% 6% Esportazioni Importazioni IDE Collaborazioni tecnologiche Subforniture
stato coinvolto in operazioni di subfornitura per terzisti stranieri (EIM Business & Policy Research, 2010).
Figura 13. Born Global sul totale delle imprese e sul totale delle giovani imprese.
Fonte: Eurofound, pag. 15, 2012.
Nella media europea, dunque, le BG rappresentano il 19% delle giovani imprese neo costituite e l’1,1% se si considera la totalità delle aziende in Europa (Eurofound, 2012). Se da una parte esistono delle cifre piuttosto uniformi tra alcuni paesi UE, come abbiamo d’altronde evidenziato nel corso del paragrafo, esiste dall’altra una certa variabilità se si considera la totalità degli stati membri. Ci sono paesi come Romania, Danimarca o Belgio in cui la percentuale delle BG sul totale delle neo imprese sfiora il 50%, altri paesi come Gran Bretagna e Spagna in cui le percentuali di BG sono in linea con la media europea, altri, invece, come Italia e Ungheria in cui si resta sotto il 10% (Eurofound, 2012). Tale variabilità si può facilmente constatare e osservare nella figura 13, che tiene in considerazione la percentuale di BG sul totale delle imprese sull’asse delle ordinate e la percentuale di BG sul totale delle neo imprese sull’asse delle ascisse. Il grafico tiene in considerazione la maggior parte dei paesi UE e li compara con i livelli degli Stati Uniti e del Giappone. Tale eterogeneità pare del tutto normale se si considera che il mercato europeo è lungi dall’essere omogeneo al suo interno. Appare normale, infatti, che le imprese e le start-up nei paesi dal mercato domestico piuttosto piccolo come quelli scandinavi o dei paesi dell’est europeo trovino maggiori spazi d’espansione e crescita al di fuori dei confini nazionali, mentre in
paesi in cui l’economia è già in uno stadio più avanzato o in cui il mercato interno rappresenta pesa in modo più considerevole fornendo anch’esso delle buone opportunità di sviluppo.
Ovviamente ciò non basta per spiegare tale fenomeno. Appare evidente, infatti, come l’Italia dimostra cifre ben diverse da paesi che possono essere paragonabili per dimensione e struttura dell’economia come Germania o Regno Unito. Verosimilmente in queste circostanze possono incidere molteplici fattori come, ad esempio, lo scarso investimento in ricerca e innovazione rispetto a paesi come Germania o Finlandia. Se le Born Global sono, in genere, start-up ad alto contenuto innovativo e tecnologico, pare ragionevole ipotizzare una correlazione positiva tra la loro presenza all’interno di un paese e la spesa per investimenti in ricerca e innovazione all’interno del paese stesso.
In questo paragrafo abbiamo quindi visto come le Born Global si presentino all’interno del panorama europeo. Abbiamo visto che le BG europee e le PMI in generale costituiscono un asse portante dell’economia continentale e, di seguito, come tale ruolo venga confermato da numerosi studi e dati empirici. Analizzando i vari studi, poi, si è constatato la maggiore o minore intensità delle BG tra i vari paesi europei e la maggiore concentrazione nell’arco temporale a noi più prossimo (inizio anni Novanta) a dimostrazione del fatto che quello delle BG è un fenomeno piuttosto recente. Abbiamo visto, infine, la variabilità della presenza delle BG tra le start-up nei vari paesi europei, giungendo a evidenziare come sussistano paesi con un alto tasso di BG rispetto la media e altri, invece, con tassi di presenza di BG molto più bassi. Tale variabilità, tuttavia, non preclude la possibilità di intravedere una caratteristica comune a livello europeo. Le BG europee, infatti, tendono a focalizzare il processo d’internazionalizzazione all’interno del continente stesso. Tale peculiarità sarà oggetto del prossimo paragrafo e porrà un quesito non del tutto secondario: le start-up che si internazionalizzano all’interno dei confini dell’Unione (o del continente europeo) possono essere definite delle vere Born Global o, essendo la portata di questo tipo d’internazionalizzazione circoscritta ad una regione del globo, sono meglio definibili come Born Regional?