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Nella seconda metà degli anni Cinquanta, la situazione politica in Italia attraversava un periodo delicatissimo fatto di incertezze e ripensamenti. Questa nuova situazione internazionale ha determinato riscontri tangibili anche nella vita politica del nostro paese, aprendo la strada a quella sperimentazione che si sarebbe attuata con i governi di centro sinistra. Nel 1958, a seguito della vittoria della DC, si nominava quale capo del Governo, Amintore Fanfani, che ricopriva rispettivamente sia il ruolo di Presidente del Consiglio, sia quello di Ministro degli Esteri, sia infine quello di Segretario della DC98, approntando quello che Di Loreto ha chiamato “gollismo all’italiana”99

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L’accentramento di così tanti ministeri nelle mai di un’unica persona, in unione con il progetto politico che Fanfani aveva intenzione di attuare- ossia un allontanamento dalle linee guida della DC sturziana e degasperiana per un ammodernamento del partito- avevano determinato preoccupazione all’interno della DC stessa; di fatto si era provocata una scissione tra fanfaniani e anti-fanfaniani. Tale clima di crisi interna al partito si è manifestato tanto a Roma quanto e soprattutto in Sicilia, dato che essa

97 F. Nicastro, M. Figurelli (a cura), Era L'Ora, XL, 2013 pag. 230 98 G. Galli, Storia della Democrazia cristiana, Roma-Bari, Laterza, 1978

99 P. Di Loreto, La difficile transizione. Dalla fine del centrismo al centro-sinistra 1953-1960, II Mulino,

49 rappresentava lo zoccolo duro della DC legata a Sturzo. Nel 1958 il Presidente della Regione Sicilia era il democristiano Giuseppe La Loggia il cui governo è stato ricordato da Renda come

Una vera rivoluzione che rimise tutto in discussione: i rapporti interni al gruppo e al partito della Democrazia cristiana; le alleanze politiche e parlamentari della maggioranza di governo; il programma della giunta regionale. Le questioni più rilevanti naturalmente furono la formazione della maggioranza e il programma. Il governo La Loggia intese qualificarsi come governo di centro.100

La politica del Presidente della Regione, faceva eco a quella più importante intrapresa da Fanfani: nel 1957, veniva approvata la legge sull’industrializzazione101

che, di fatto, anziché avviare una politica che migliorasse le condizioni economiche dell’Isola, ha visto lo sfruttamento delle proprie risorse dai grandi magnati della Confindustria102, tra cui l’Eni di Mattei, grande sostenitore della politica estera di Fanfani, nonché artefice con lui, del Neoatlantismo103.

In un primo momento, «L’Ora», si era schierato favorevolmente all’emanazione della legge del 1957, poiché fiducioso che l’incentivazione dell’imprenditoria siciliana avrebbe eliminato, finalmente, quei blocchi che facevano ristagnare l’economia dell’Isola.

Tuttavia la crescente pressione dell’autoritarismo fanfaniano e il sempre più profondo sfruttamento dei mezzi siciliani rivolti all'industrializzazione delle grandi aziende del

100 F. Renda, Storia della Sicilia dal 1860 al 1970(3 vol), Sellerio, Palermo, 1987 pag. 327

101 Legge 5 Agosto 1957 n. 51 recante i <<Provvedimenti straordinari per lo sviluppo industriale>>. Si

cercava di introdurre un’ ambizioso progetto di rinascita economica dell'isola, per superare le arretratezze del Mezzogiorno. Si veda E. Macaluso, I comunisti e la Sicilia, Editori Riuniti, Roma, 1970

102 Domenico La Cavera, rappresentante dei piccoli imprenditori siciliani, era stato escluso dalla SO.FI.S.:

Tale allontanamento è stato visto come segno tangibile che l'imprenditoria locale non avrebbe mai potuto decollare, restando subordinata e sfruttata dalle grandi aziende del Nord. F. Renda, Storia della Sicilia

dal 1860 al 1970(3 Vol.), Sellerio, Palermo, 1987

103 Strategia italiana da attuare in politica estera consistente in una forte alleanza con gli Stati Uniti contro

i blocchi comunisti, collaborando anche con i paesi del medio-oriente: è stata di Mattei, l’idea di rafforzare queste alleanze, siglando accordi petroliferi con l'Iran. Si veda A. Varsori, La cenerentola

50 Nord, ha portato il giornale palermitano a battersi contro un siffatto stato di cose, contro una

politica di discriminazione e di torti perpetrata in termini sempre più arroganti dal governo di Roma e dalla direzione del partito Dc che la ispira e l’attua non offende soltanto la Sicilia, ma lo stesso spirito unitario della nazione di cui la Sicilia è parte. Non è soltanto politica antisiciliana: è politica antinazionale, perché ogni progresso della Sicilia è progresso di tutto il Paese.104

Il giornale, ha sostenuto altresì che tale clima negasse i principi base dell’Autonomia che era stata sancita con lo Statuto, subito dopo la Seconda Guerra Mondiale.

È chiaro oggi come il sole che la politica romana verso la Sicilia ha camminato in tutti questi anni su binari di quel disegno che è poi semplicemente quello di mantenere inalterate le vecchie strutture dell’economia nazionale, con i profondi divari che tengono spaccato il paese in due. Da una parte un Sud e una Sicilia destinati solo a zona di consumo e condannati alla sudditanza economica, e dall’altro un Nord industrializzato con sei o sette grandi padroni del vapore decisi a mantenere il monopolio di tutti i canali della produzione e il controllo degli investimenti statali. Come poteva e può la Sicilia rassegnarsi ad uno stato e a un disegno del genere? Accettarli avrebbe significato e significherebbe ridurre ad una commedia la sua Autonomia, rinunciare agli strumenti costituzionali e politici che con L’Autonomia essa è riuscita a crearsi proprio allo scopo di uscire dallo sfruttamento e dalla depressione105

In questo contesto di profonde crisi e tensioni è emersa in Sicilia la figura di Silvio Milazzo: esponente della DC, grande autonomista, ma soprattutto avversario della politica centrista di Fanfani; «L’Ora» lo ha definito «conservatore come si può esserlo in Sicilia, egli è però rispettoso del gioco democratico parlamentare e, seppur tutt’altro che filocomunista, indipendente. Proprio per questo fu messo al bando, “scomunicato” dai sinedri di Palermo e di Roma». 106

L’onorevole Silvio Milazzo rifiutava non soltanto gli orientamenti del suo Partito, ma propugnava una politica che fosse anti mafiosa, autonomista e “moralizzatrice”107. Un

104 Aiutati che Dio ti aiuta, in L’Ora, 19 Aprile 1958 105 I veri separatisti siete voi, in L’Ora, 2 Maggio 1959 106 Il trionfo di Milazzo, in L’Ora, 24 Ottobre 1958 107

51 giornale come «L’Ora» vedeva in Milazzo il cambiamento che serviva alla Sicilia per riscattarsi e per questo ha deciso di sostenere quella che è stata definita come “Operazione Milazzo”.

Nei fatti: il 2 Giugno 1958, la giunta bocciava il bilancio proposto dal governo La Loggia; questo, in termini consueti, avrebbe significato la sfiducia del Presidente e le sue conseguenti dimissioni. Il dato che saltava subito all’occhio era la profonda cesura che si era ormai instaurata nella DC al Governo: nei quarantaquattro voti a sfavore del bilancio erano compresi anche quelli dei compagni democristiani di La Loggia. Il Presidente della Regione, sostenuto da Fanfani, era deciso, nonostante tutto, a non lasciare il suo incarico e tale scelta d’agire ha determinato la presa di posizione di Milazzo di opporsi all’operato di La Loggia, lasciando apertamente la DC.

Tale atto è stato sostenuto non soltanto da alcuni membri del Partito Democristiano ma anche da Scelba e Sturzo che, per primi, avevano sottolineato le politiche avverse attuate a Roma da Fanfani e in Sicilia dall’onorevole La Loggia. Dopo una resistenza di un paio di mesi, il Presidente è stato costretto a lasciare il suo incarico definitivamente108.

Con La Loggia infatti non è caduto soltanto un uomo o un Governo, non si è fatto soltanto giustizia di un pericoloso malcostume politico ma a crollare è stata tutta una linea politica che aveva ceduto nella difesa degli interessi siciliani. Aveva ceduto sul piano dei rapporti interni con il suo tentativo di applicazione del fanfanismo più illiberale e deteriore. Aveva ceduto sul piano della tutela dei nostri diritti di fronte all’incomprensioni o alle ostilità degli organi centrali. Aveva ceduto di fronte agli assalti o alle lusinghe di quei potentati economici che hanno sempre guardato a questa isola come a un’area di colonizzazione109

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Tuttavia il fanfanismo siculo, tolto La Loggia, aveva prospettato di continuare il suo percorso con Barbaro Lo Giudice; questi di fatto veniva a scontrarsi nelle elezioni

108 F. Renda, Storia della Sicilia dal 1860 al 1970(3 Vol.), Sellerio, Palermo, 1987; D. Grammatico, La

rivolta siciliana del 1958. Il primo governo Milazzo, Sellerio, Palermo,1996.

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52 politiche dell’Ottobre 1958 con Milazzo, favorito da Sturzo e Scelba, simbolo di una degna opposizione all’invadenza fanfaniana nella DC e nelle politiche della Sicilia.

L’elezione a Presidente della Regione di Silvio Milazzo- sostenuto da una maggioranza eterogenea (PCI, PSI, MSI, e DC antifanfaniana)- ha segnato la nascita di una situazione politica singolare e possibilmente propositiva per il futuro dell’Isola.

«La formazione del governo Milazzo fu accolta con grande entusiasmo in Sicilia.[…]La costituzione del governo dimostrò che era possibile sconfiggere la prepotenza democristiana e creare più favorevoli condizioni alla lotta per l’autonomia e la rinascita del popolo siciliano»110.

Il giornale di Nisticò titolando «Buon lavoro, Presidente» ha cercato di sostenere, quanto più possibile, il programma fortemente autonomista che il nuovo presidente si era proposto di attuare.

Ci auguriamo in altre parole che la già forte maggioranza intorno a nuovo governo di coalizione si allarghi e che, quindi, all’interno del gruppo DC finiscano col prevalere coloro- perché riteniamo non mancano- che sentono il disagio per le direttive antisiciliane e il tentativo di sopraffazione imposti da dirigenti del loro partito. […] I veri sconfitti di tutta la drammatica e grandiosa vicenda politica siciliana sono proprio esse, questi “proconsoli” fanfaniani, faziosi e sprovveduti, che con i loro metodi di strapotere, le loro ingordigie, la loro assoluta mancanza di ogni senso dello stato e della democrazia, hanno offeso la coscienza di tutti, fra l’altro umiliando e portando allo sbaraglio politico il loro partito.111

L’esperimento milazziano, tuttavia, ha avuto breve durata: dopo appena due anni Milazzo è stato “defenestrato” e la DC ha ripreso il posto partito di maggioranza in Sicilia. Casus belli dell’allontanamento di Milazzo era da rintracciarsi, sia nel cambio al vertice della DC di Roma - passata da Fanfani a Aldo Moro- sia negli intenti del Presidente della Regione di formare un partito comprendente le forze politiche che

110 E. Macaluso, I comunisti e la Sicilia, Editori Riuniti, Roma, 1970 pag.117 111

53 l’avevano eletto, l’ Unione Siciliana Cristiano Sociale (PSDI, il PLI, il PRI e il MSI con l'appoggio del PSI e del PCI). Tali mutamenti avevano azionato il motore di quello che Renda ha chiamato “contro-operazione Milazzo”112. «L’Ora», dal canto suo, non aveva

mancato di far notare lo strano percorso che la politica siciliana stava intraprendendo, facendo virare precipitosamente le cose per il Governo Milazzo.

Si vuole spodestare Milazzo e togliere il potere allo schieramento autonomista perché hanno dimostrato di sapersi opporre alle prepotenze romane e condizionare rigorosamente quei “padroni del vapore” che avevano preso la comoda abitudine di tenere essi in tasca le chiavi degli assessorati regionali. Si vuole spodestare Milazzo e piegare lo schieramento autonomista perché il loro successo ha finito col rafforzare anche lo schieramento democratico italiano, comprese le tendenze anticonservatrici presenti all’interno della DC nazionale113.

Esattamente come era accaduto per La Loggia, anche per Milazzo era bastata una bocciatura del bilancio per decretare la fine dell’esecutivo.

Con l’elezione di Benedetto Majorana della Nicchiara come Presidente della Regione e di Salvo Lima come Sindaco di Palermo, iniziava la fase più importante dell’infiltrazione mafiosa negli apparati della Democrazia Cristiana in Sicilia. Questo è stato possibile grazie alla capacità dimostrata da Lima e Ciancimino, appena eletti nel consiglio comunale, nel saper accentrare nelle loro mani la maggior parte dei di poteri che ruotavano attorno a edilizia, credito e impieghi pubblici.

Chi volle quella scenata, invero, più che provocare la caduta del governo Milazzo, ormai di fatto già decisa, intese screditare l’idea stessa o l’insieme dei valori politici che stavano o che erano stati alla base di quel governo.[…] A subirne il danno maggiore, anzi ad uscirne irrimediabilmente distrutto sul piano dell’immagine e della considerazione generale, fu infatti il milazzismo114.

112 F. Renda, Storia della Sicilia dal 1860 al 1970(3 vol), Sellerio, Palermo, 1987 pag. 415 113 Ci vogliono “recuperare”, in L’Ora, 1 Novembre 1958

114

54 La vicenda di Milazzo ha lasciato ai posteri una molteplicità di pareri come poche altre questioni sono riuscite ad ottenere: a voler guardare la faccenda obiettivamente, è evidente come Milazzo, soprattutto per la DC, sia servito da strumento per estirpare le radici fanfaniane che stavano attecchendo all’interno dell’amministrazione sicula. Il mandato milazziano ha rappresentato quindi una parentesi necessaria per ritornare al potere senza ulteriori fratture interne, coesi sugli obiettivi da perseguire nella politica dell’isola. Dall’altro versante, si è notato come Milazzo per i partiti di sinistra, in particolare per il PCI, abbia rappresentato il mezzo per portare i partiti popolari al governo.

La sua forza fondamentale era costituita dagli operai, dai contadini e dai gruppi di piccola borghesia cittadina e campagnola che seguivano la politica del Pci e del Psi, le forze che da anni avevano lottato con tenacia per la riforma agraria, per il lavoro, per giusti salari, per l’industrializzazione, per una profonda riforma amministrativa, per garantire i diritti sindacali e politici del popolo sanciti nella Costituzione e nello statuto regionale contro i governi clericali e i monopoli 115.

Tuttavia è stata un’ipotesi vagliata, anche la convinzione che l’“Operazione Milazzo” sia stata sostenuta dai partiti di sinistra per imprimere ancora più profondamente una frattura all’interno della DC. Quel che rimane del milazzismo - al di la delle varie “congetture”, sia dei rappresentanti del centro destra sia di quelli di sinistra- è stato l’aver segnato «la fine di una stagione politica, ma fu anche la conclusione di un intero periodo storico dell’autonomia.»116

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