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Il pomeriggio seguente, l’articolo di Felice Chilanti, il più importante di tutta l’inchiesta, veniva stampato e soggetto esaminato era Luciano Liggio.

“Lucianeddu” da campiere quale era, aveva fatto strada; con più di dieci omicidi alle spalle - tra i quali quello del sindacalista Placido Rizzotto- aveva guadagnato il rispetto che la mafia era solita dare ai bravi “picciotti”. Rispetto che, nel 1958, aveva permesso a Liggio di alzare la testa, avallando le sue ambizioni e, di far fuori il suo stesso boss, quello che lui e i corleonesi erano soliti chiamare “Lu Patri Nostru”.159

Navarra, con il suo modo d’agire, si era posto come ostacolo alle ambizioni del suo giovane pupillo; proposito principale del Liggio, in quegli anni, era utilizzare i finanziamenti del Consorzio di Bonifica dell’Alto e medio Belice160

per costruire una diga nelle terre corleonesi, facendo arrivare l’acqua a Palermo e dintorni. Avallare le intenzioni di “Lucianeddu”, avrebbe significato, per il Navarra, consegnarsi alla “mafia dei giardini” che controllava la distribuzione dell’acqua in tutti i campi della Conca d’Oro; avrebbe significato perdere il controllo dei pozzi corleonesi. Liggio, ormai, era diventato una spina nel fianco per il notabile corleonese: bisognava, in qualche modo, che il campiere capisse che queste “alzate di capo” avrebbero avuto conseguenze. Nel Luglio del 1957 Liggio, scampava ad un attentato, che il medico aveva ordito nei suoi riguardi. Il fallito attento, aveva dato all’ambizioso campiere, l’input che mancava, per decidere l’omicidio del suo capo.

158 Da pane e morte, in L’Ora, 16 Ottobre 1958

159 C. Dalla Chiesa, Michele Navarra e la mafia del Corleonese, a cura di Francesco Petruzzella, Palermo,

La Zisa,1990

160

82 Il pomeriggio del 2 Agosto 1958, il corpo di Navarra –e del collega che viaggiava con lui- è stato trovato crivellato di colpi dentro la sua auto.

Navarra ha capito immediatamente di chi si trattava appena vide i suoi assassini saltare giù dal camioncino e dalla cabina[…]Navarra si abbassò nell’istante in cui partì la prima raffica che uccideva sul colpo il dottor Russo[… ]intanto le armi continuavano a sparare all’impazzata, per non perdere tempo gli assassini non aprirono neppure lo sportello dell’auto, ma indirizzarono i colpi attraverso la portiera e il finestrino raggiungendo mortalmente Navarra rannicchiato sotto le gambe del dottor Russo[…]in pochi minuti scoppiò un violento temporale, molti fulmini e poca pioggia. Così la notizia giunse a Corleone; “un fulmine ammazzò a dui!”. Niente di più161

.

La decisione di uccidere Michele Navarra, ha rappresentato una svolta nelle logiche strategiche di cosa nostra, definendo, si potrebbe dire “un marchio di fabbrica”, della nuova famiglia corleonese. La mafia liggiana intendeva dettare legge non più con i metodi usuali che contraddistingueva quella che, con tutti i dovuti accorgimenti, è stata definita dai vari collaboratori di giustizia, “vecchia mafia”, ma utilizzando la violenza bruta. L’unica legge da seguire era quella imposta con pistole e lupare. L’omicidio, cosi ben organizzato, ha rappresentato anche la caduta di certi concetti fino ad allora intoccabili: se si pensava alla mafia come il “braccio armato” di personalità in vista, non soltanto politici ma notabili di vario tipo, l’uccisione di uno di questi sarebbe risultata impensabile. Il medico corleonese rappresentava il notabile di rispetto, l’uomo integerrimo, come ha scritto Dickie, nel suo “storia della mafia”,

Il medico malavitoso di Corleone incarnava un tipo di stabilità e di protezione politica che riscuote l’apprezzamento di cosa nostra. Oltre alla sua posizione di medico, Navarra era il presidente della federazione contadina di Corleone, un amministratore del sindacato degli agricoltori e un ispettore dell’organismo regionale per l’assicurazione contro le malattie, piazzava i suoi amici in una folla di influenti enti parastatali […]il medico corleonese controllava un rilevante pacchetto di voti a beneficio della democrazia cristiana, godeva dell’appoggio degli altri boss mafiosi della zona e annoverava nel suo clan uomini d’onore di considerevole esperienza[…]162

161 Cosi si è svolta l’infame trama del delitto di portella imbriaca, in “L’Ora” 5 Agosto 1958 162

83 Ancora Etrio Fidora, giornalista de «L’Ora» scriveva:

«Godeva di larghe amicizie in tutti gli strati sociali ovunque vi fosse da dirimere una questione; politicamente orientato verso i partiti di destra; sempre pronto a interporre i suoi benefici a talvolta a far sentire il peso…della sua personalità in favore di quanti a lui si rivolgevano per avere protezione, consigli e guida.»163

Nonostante le opinioni raccolte, che evidenziavano il grande credito che il medico riscuoteva verso la società corleonese, non era sfuggito ai giornalisti de «L’Ora», un sostrato oscuro che racchiudeva ben altro che sincera stima verso il notabile. Inoltre si sottolineava una possibile relazione tra l’assassinio del Navarra e alcuni omicidi avvenuti nel giro di un paio d’anni nel territorio di Corleone; tra questi la personalità più nota era quella di Vincenzo Collura, capomafia siculo- americano.

Il dottor Navarra era insomma il cittadino numero uno di Corleone e godeva di una generale estimazione anche se spesso tale sentimento era giocoforza simulato per nascondere un reverenziale timore[…] Strane coincidenze stanno alle badi delle complesse e difficili indagini che la Polizia sta conducendo per venire a capo della tragica vicenda. Proprio- vedi caso- 17 mesi fa cadde alla periferia di Corleone, sotto il fuoco incrociato di quattro armi automatiche, un personaggio “intiso” Vincenzo Collura[…] legittimo erede del bastone di comando lasciatogli dal “potentissimo” don Calogero Lo Bue[…] non si è mai saputo che ha ucciso “don Vincenzo” Collura ne chi ne abbia dato mandato[…] Ma andando indietro negli anni quanti delitti sono stati consumati nel corleonese nel giro di 10 anni e tutti rimasti impuniti![…]vecchi rancori frammisti a motivi di interesse sono alla base del delitto di sabato? Molti conti aveva da “regolare” il dottor Navarra per cui sarebbe naturalmente giunta la data della “scadenza”164

Le scadenze di cui parla Fidora, sarebbero state riscosse anche da tutti gli altri uomini vicini al medico, iniziando una sorta di “Blitzkrieg”: una guerra lampo “alla corleonese” tra liggiani e navarriani, questi ultimi risultati perdenti.

163 E. Fidora, E’ l’ultimo anello della catene di morte?, in “L’Ora” 5 Agosto 1958 164

84 L’eco dell’omicidio di Navarra - e nei mesi successivi di quelli dei suoi uomini- non poteva passare inosservato al giornale. Luciano Liggio era diventato il nuovo padrino della famiglia di Corleone e si accingeva a far fare quel salto di qualità che avrebbe portato la sua cosca a prendersi Palermo.

Ma ecco emergere nel dopoguerra una giovane mafia, guidata da un uomo deciso, che viene ben presto a scontrarsi con la “cosca” tradizionale. Cerchiamo di seguire la sanguinosa carriera di Luciano Liggio, capo riconosciuto della giovane mafia di Corleone; cerchiamo cioè di conoscere questo giovane malfattore, oggi latitante, campione dell’ultima fase della storia della mafia: 33 anni di età, ricco, temuto e temibile, uomo da grande albergo e locali notturni con la pistola sotto la giacca americana e capace allo stesso tempo di cavalcare su per i monti con la doppietta mozza sotto l’impermeabile: un misto di vecchio mafioso del feudo e nuovo gangster americano. […]Il suo distacco dal feudo , la sua conquista della città; gabellotto prima poi proprietario di camions, forse per il trasporto di bestiame e carni, sicuramente per il trasporto di materiale da costruzione per le strade di consorzio di bonifica[…] proprio perché quel consorzio avrebbe dovuto costruire una diga a Piano Scala sopra Corleone, Luciano Liggio entra a far parte della società armentizie della vecchia mafia che gestisce il suo ranch in quella località[…] i fatti di sangue di Corleone sono stati l’ultima fase del le conquiste mafiose di luciano Liggio. Ed ora quale sorte attende questo fuorilegge? Sarà egli raggiunto dalla giustizia o cadrà sotto la raffica di un vendicatore della vecchia mafia? Qualora nulla di ciò accadesse la Sicilia occidentale avrebbe il suo nuovo Giuliano, meno pittoresco del montepellegrino, meno grezzo e romantico. Attorno a Liggio non vi sono più rozzi campagnoli, ladri e banditi di strada ma una gang sanguinaria, collocata nel cuore della vita economica, lungo la via dell’acqua, delle carni, dei prodotti ortofrutticoli 165

La “primula rossa”, non avendo gradito il redazionale che lo etichettava come “Pericoloso”166

, nella notte tra il 19 e il 20 Ottobre, faceva esplodere una bomba nella tipografia del giornale palermitano. Ciò, però, non ha di certo fermato il quotidiano, che è andato in stampa titolando «La mafia ci minaccia: l’inchiesta continua»167

;al suo interno spiccava l’ editoriale di Nisticò che, rifacendosi a quello ormai celebre di Ingrassia, è stato chiamato «La nostra pelle»168.

165 F. Chilanti, Pericoloso!, in L’Ora, 17 Ottobre 1958 166 Ibid.

167 La mafia ci minaccia, l’inchiesta continua, in L’Ora, 20 Ottobre 1958 168

85 Purtroppo in Sicilia, da parte di autorità e organi ufficiali, si ha persino la preoccupazione di chiamare pubblicamente col suo nome l’organizzazione criminale delle cosche mafiose che da decenni si insedia in tutti gli ingranaggi decisivi della vita siciliana[…] Quando parliamo di mafia, sappiamo individuare in essa una precisa organizzazione delinquenziale che attenta, col suo potere e con i suoi ricatti, alle libertà e al progresso della nostra isola e in particolare, alla tranquillità ed al lavoro della gente onesta. Questa è la mafia che combattiamo.[…] ci si minaccia di farci rimettere la pelle[…] E la nostra idea, anonimo mittente, è soprattutto quella di una Sicilia dove nessuno possa esser povero e senza speranza al punto da portare un morto ai mandanti della mafia in cambio di un pezzo di pane o di una “ carriera” nel delitto.169

Il giornale così ha continuato a tenere sottocchio, seppur mediaticamente, l’operato di Liggio e dei corleonesi. Cinque anni dopo l’attentato alla redazione, il quotidiano ha pubblicato un lungo excursus sulla vita e le azioni di cui era stato artefice Liggio, mettendo in relazione fatti e cause dietro gli omicidi avvenuti a Corleone, in particolare per quelli di Navarra e Collura. Pretesto per tale inchiesta è stata l’apertura del processo in Corte D’Assise di Palermo, che vedeva come imputati il padrino corleonese e i suoi uomini.

Ovviamente gli imputati- quattro corleonesi tra i quali non figurava Liggio, che è stato arrestato nel 1964- si dichiaravano totalmente estranei ai fatti di cui li accusavano: l’omicidio Collura, la sparatoria a Piano Scala (ordinato da Navarra e che aveva come obiettivo Liggio) e il duplice omicidio di Navarra e di Russo, suo collega. Ciò che si evinceva dal resoconto del giornale, è stato il profondo atteggiamento omertoso che pervadeva ogni dichiarazione dei teste chiamati a deporre al processo; stesso comportamento reticente si evinceva anche nelle le famiglie degli uccisi, che addirittura non si erano presentati in aula. Esempi di questa paura che generava silenzio, sono state le dichiarazioni, o meglio le mancate dichiarazioni di Vincenzo Maiuri: teste numero uno e principale accusatore degli imputati.

169

86 Vincenzo Maiuri, cognato di Vincenzo Collura, accusò gli attuali imputati […]dell’omicidio. Disse ai Carabinieri di Campofiorito di temere per la propria vita in quanto unico pericoloso teste e di essere stato minacciato. Poi improvvisamente il ricovero all’ospedale psichiatrico e la successiva amnesia. Amnesia o finzione determinata da soggiacere dalla intimidazione di chi ha ucciso?[…]cosa c’è dietro la memoria schematicamente labile del vecchio, dietro l’incredibile ignoranza di situazioni e vicende dichiarate dal fratello del dott. Navarra e dal figlio di Vincenzo Collura? La mafia, Liggio ancora vivo? Gli eredi “mafiosi” di Navarra di cui non si fa il nome? Dell’omicidio del medico corleonese sono accusati Luciano Liggio[…]movente la lotta di predominio fra le due fazioni mafiose che in un anno provocò 6 di quei 43 omicidi che hanno insanguinato il Corleonese.[…] la tesi sostenuta dall’accusa, che Vincenzo Maiuri cioè, vittima designata perché teste incomodo, in un primo tempo si sia rivolto terrorizzato ai Carabinieri e che poi sia stato costretto a simulare la pazzia per rendere nulli gli effetti della dichiarazione, appare logicamente accettabile170.

Il processo si è concluso con l’assoluzione di Liggio e dei suoi per insufficienza di prove. D’altra parte non poteva che essere così: oltre alla reticenza dei teste, durante tutto il processo, sono state fatte scomparire molte prove indiziarie che avrebbero sicuramente accusato fuori di ogni ragionevole dubbio la “primula rossa”.

Era il primo di una lunga serie di bocconi amari che l’accusa giornalistica e giudiziaria ha dovuto inghiottire, mentre l’ “anomalia corleonese” cominciava a spadroneggiare per tutta Palermo.

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