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Il concetto che “Cosa Nostra” si fosse sviluppata in una società contadina arretrata legata al latifondo, così come la constatazione dell'incapacità dello Stato a risollevare

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71 un'economia isolana stantia e immobile, erano i punti cardine, per gli studiosi del periodo da noi preso in considerazione, negli studi del fenomeno mafioso. L'errore era però considerare indissolubile il legame tra mafia e realtà contadina povera; legame che, seppur importante nella genesi del fenomeno, non deve essere visto come indissolubile poiché “Cosa Nostra” è riuscita ad adeguarsi ai mutamenti della società, radicandosi anche in ambienti economici non arretrati e non basati sul latifondo.

Per Lupo e Mangiameli143, infatti, la mafia non era affatto scaturita da inattività sociali ed economiche. Come ha riferito nel 1991 Catanzaro:

«Nelle zone costiere di Palermo e nella sua immediata periferia, costituita dagli agrumeti della conca d’oro, dove il latifondo non era presente e dove prosperava un’ agricoltura ricca, può essere spiegata soltanto con la considerazione che il fenomeno mafioso sorge in zone caratterizzate non da arretratezza, ma da opportunità relative di sviluppo144.»

La visione del latifondo come contesto di sviluppo della mafia viene posto in auge nel secondo dopoguerra, quando la terra ha assunto sempre più importanza nel quadro politico della Sicilia: sono gli anni della legge Gullo, delle lotte dei sindacalisti come Placido Rizzotto e Accursio Miraglia e del prepotente affermarsi di spietati gabellotti o campieri della stregua di Luciano Liggio. In quegli anni si poneva particolare attenzione alla cosiddetta "mafia dei giardini", di cui ha scritto recentemente Vittorio Coco145 e che è stata oggetto dell’inchiesta de «L’Ora». Era la mafia che lucrava sulle attività cerealicole sulla “Piana dei Colli” o che aveva il controllo dei pozzi che erano indispensabili per l’irrigazione dei campi che formavano la conca d’oro.

Il ruolo chiave dell’arretratezza economica, è stato un concetto portato avanti, tra gli altri, anche da Michele Pantaleone. Grande intellettuale e scrittore, è stato uno dei

143 S. Lupo, R. Mangiameli, Mafia di Ieri, mafia di oggi, Meridiana 7-8, pp 17-43

144 R. Catanzaro, Il delitto come impresa: storia sociale della mafia, Rrizzoli, Milano, 1991 pag .22 145

72 giornalisti di Nisticò, che aveva firmato molte inchieste per il quotidiano; il suo libro più famoso è senza dubbio “Mafia e politica”146

pubblicato nel 1959. È stato uno dei primi testi italiani a trattare del problema della mafia e delle sue relazioni profondamente ambigue con un gran numero di personaggi che sedevano al Parlamento Regionale. Pur dando merito a Pantaleone del coraggio con il quale ha trattato l’argomento, in maniera così asciutta e puntuale, il suo lavoro è contestabile in più punti.

Egli, ha incentrato il suo lavoro, principalmente sulla figura di don Calogero Vizzini, Sindaco di Villalba e, a detta dello scrittore, potente capomafia siculo; la sua figura è stata determinante al fine dell’indagine sul fenomeno mafioso poi redatta in “Mafia e Politica”. Lo scrittore nella sua trattazione ha attribuito al Vizzini la responsabilità dei principali fatti accaduti in Sicilia subito dopo il 1943. Il mafioso, per esempio, è stato considerato il regista della collaborazione tra mafia e Alleati durante lo sbarco avvenuto nel 1943. Tale collaborazione aveva determinato una recrudescenza mafiosa- che Pantaleone considerava « come organizzazione che scomparve ridotta a pochi gruppi isolati»147 durante la prima azione antimafia voluta da Mori- all’interno delle aree latifondistiche e favorita dal il ritardo economico e sociale dell’isola. L’ assunto sostenuto da Pantaleone di un contributo della mafia “vizziniana” nello sbarco alleato del 1943, è stata ampiamente dibattuta e contestata da molti storici di fine anni Ottanta.

Anche senza scendere particolarmente nel merito, risulta evidente come l'impresa della liberazione della Sicilia da parte degli Americani sia apparsa subito ampiamente di facile portata (dato l’enorme apparato militare del quale disponevano) tanto da far risultare futile un'eventuale richiesta d'aiuto indirizzata alle famiglie mafiose; per di più

146 M. Pantaleone, Mafia e politica, Einaudi, Torino, 1959 147

73 i documenti in possesso degli storici hanno attestato come non esistesse affatto tale concorso.

È stata dimostrata, infatti, innanzitutto una percezione avversa al fenomeno mafioso da parte degli alleati americani, tanto che questi si sono ritrovati a fronteggiare una forte emergenza criminale che non era solo circoscrivibile negli affari di borsa nera e di banditismo; è inoltre documentata la collaborazione tra Alleati e Carabinieri che, sotto richiesta, avevano fornito un lungo elenco dei capomafia presenti in zona. Un esempio dell’atteggiamento americano nei confronti della mafia è possibile riscontrarlo nel Resoconto Scotten del 1943.

Nel suo rapporto, l’ufficiale riportava la percezione americana nei confronti della la mafia e le modalità con le quali tentarono di ostacolarla. Vi era inoltre la consapevolezza che la mafia avesse avuto una certa continuità con quella passata, nonostante la crisi del periodo Mori.148

Alla luce di ciò, lo sbarco Alleato raccontato da Pantaleone con il teatrale sventolio del fazzoletto giallo di Lucky Luciano sopra la casa del Vizzini quale emblema dell'intesa raggiunta fra le parti, risulta come l'eccesiva enfatizzazione di un rapporto mai comprovato.

Se i documenti e le successive analisi degli storici, hanno eliminato ogni possibile dubbio su questo argomento, non si può non sottolineare il ruolo che la mafia ha avuto nelle dinamiche politiche ed economiche successive allo sbarco Alleato. Lo scioglimento della classe politica sia italiana che isolana e i successivi disordini scaturiti, hanno determinato un rimescolamento delle attività mafiose, fornendo nuove

148 Per il Resoconto Scotten si vedano i lavori di R. Mangiameli, Le allegorie del buon governo. Sui

rapporti tra mafia e americani in Sicilia, in annali del dipartimento di scienze storiche della Facoltà di

Scienze politiche dell’Università di Catania, 1980, pp. 609- 629; G. Fiume, Nuovi quaderni del

74 opportunità di illeciti guadagni. Le cosche si sono inserite nella riorganizzazione politica attuata dagli Alleati subito dopo lo sbarco, penetrando nella gestione delle amministrazione locali e soprattutto nella gestione delle terre.

Ancora una volta Pantaleone, ha considerato preminente il ruolo svolto da Vizzini149 in questa transazione: questi sarebbe, infatti, stato l’anello di congiunzione tra latifondisti, mafia e politica del dopoguerra e questa tesi, a differenza di quella precedentemente esposta, è poi risultata corretta. Il ruolo svolto dal Sindaco, ha permesso allo scrittore villalbese di indagare e portare alla luce per la prima volta la stretta connessione tra mafia e politica. In particolar modo, il decisivo concretizzarsi di tale connessione è risultata evidente nelle elezioni del 1948 durante le quali l’organizzazione mafiosa ha rintracciato quale suo partito di riferimento la Democrazia Cristiana150. Prima di ciò, il legame tra mafia e politica era limitato all'ambito agrario- con il controllo delle casse del grano e degli ammassi, affidato dalle politiche alleate ai latifondisti e ai loro gabellotti- e all'unione d'intenti nel contrastare la riforma agraria voluta dai comunisti. Pantaleone, dunque, da politico di sinistra e attivista per la giusta attuazione dei decreti Gullo, nella sua indagine non poteva che porre a fuoco le radici del legame tra

149 Nella fattispecie Vizzini, non ha ricoperto un ruolo così importante all’interno dell’organizzazione

mafiosa; la sua influenza, infatti, veniva circoscritta solo su Villalba. Tuttavia non si può negare l’intelligenza del mafioso villalbese; la sua abilità nel gestire, con profitto, illeciti affari.

«Già nel 1908 è protagonista dell’affittanza collettiva del feudo di Belici, che viene concessa alla Cassa rurale cattolica di Villalba[…].Vizzini è abile nel gestire la situazione, tiene per se metà delle terre ottenute lasciando l’altra alla gestione della Cassa Rurale. Nell’immediato dopoguerra è protagonista dei processi di modernizzazione della zona sia in ambito agricolo che zolfataro, che riesce a piegare ai propri interessi» G. Fulvetti., Tra silenzio e collusione. La Chiesa di Sicilia e la mafia 1860-1970, in Novecento.

Rassegna di Storia Contemporanea , 5, cit., pag. 153;

Si veda anche S. Lupo, Storia della mafia. Dalle origini ai nostri giorni, Donzelli, Roma 1993

150 A tal proposito è da segnalare come ,nel 1947, durante la riunione provinciale della DC siciliana, il

gruppo democristiano sia stato chiamato a decidere dell’adesione al Partito di un nutrito gruppo di uomini facenti parte del cosi detto “Vallone”, che raggruppava i comuni limitrofi a Caltanisetta. Gli uomini che avevano presentato la richiesta erano le personalità più in vista di quei comuni: per fare un esempio Vizzini per Villalba e Genco Russo per Mussomeli. Non ricevendo alcuna disapprovazione in tal senso, il gruppo mafioso del Vallone, è andato a rimpinguare il bacino democristiano. Si rimanda a S. Lupo,

Storia della mafia. Dalle origini ai nostri giorni, , Donzelli, Roma 1993; A. Caruso, Da cosa nasce cosa: storia della mafia dal 1943 a oggi, Longanesi, Milano 2000; N. Tranfaglia, Mafia, politica e affari 1943- 1991, Laterza, Roma-Bari, 1991

75 organizzazione mafiosa e politica, nel contesto politico-economico così importante come la riforma agraria.

Un esempio emblematico di tale agitazione contadina può essere riscontrato nello scontro a fuoco, avvenuto nella piazza di Villalba, descritto dallo stesso Pantaleone. Durante un comizio, tenutosi il 16 settembre 1944, infatti, la denuncia delle condizioni di sfruttamento dei contadini da parte dei latifondisti e dei gabellotti mosse dal comunista Girolamo Li Causi e dallo stesso Pantaleone, e le insinuazioni sul ruolo svolto dalla mafia nel controllo degli ammassi hanno causato la reazione violenta di Vizzini, presente al comizi, che ha dato inizio alla sparatoria.

Lo scrittore ha evidenziato, poi come tale episodio sia stato fortemente sminuito dalla Dc, in particolare da Bernardo Mattarella, segretario del partito, il quale aveva ridotto la questione al «conflitto di due famiglie- Vizzini e Pantaleone- che nel piccolo centro si contendono il primato e il potere»151.

L'analisi del giornalista villalbese, seppur fortemente schierata politicamente, fatto non raro comunque nella trattazione di fine anni cinquanta, risulta indubbiamente lungimirante nella trattazione del problema mafioso proprio per la pioneristica individuazione delle strette interconnessioni fra mafia e istituzioni.

Abbiamo fin qui descritto, dunque, le convinzioni e i contesti più conosciuti e significativi, che durante gli anni Cinquanta si avevano del fenomeno mafioso.

151 B. Mattarella, in Il Popolo, n.100 24 Settembre 1944. Bernardo Mattarella, negli anni a seguire, è

diventato il maggior avversario politico di Pantaleone, il quale ha accusato più volte il democristiano di aver connessioni con l’organizzazione mafiosa e di aver favorito l’insediamento, nel partito, di uomini politici come Ciancimino. Lo stesso Gaspare Pisciotta aveva dichiarato come Mattarella era tra i politici che aveva fatto “promesse” alla banda Giuliano e avesse ordinato la strage di Portella.

Si veda Atti della Commissione Parlamentare Antimafia, XIII legislatura, doc. XXIII n. 6, pp. 744- 747, in http://leg13.camera.it/_dati/leg13/lavori/doc/xxiii/006p02_RS/00000047.pdf consultata in data 12 Giugno 2017;

La relazione conclusiva della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia In Sicilia, VI legislatura, doc. XXIII, n° 2, 1976

76 Specificità fraintendibili attribuite alla mafia che hanno contribuito a formare un'immagine sociale tale da permetterle di sopravvivere durante i periodi di crisi interna e a garantirsi il totale disinteresse della comunità nei suoi riguardi, al fine di procedere indisturbata con le sue illecite attività.

Indubbiamente un ruolo centrale nel rendere evidenti tali logiche è stato svolto dalle inchieste de «L’Ora», un quotidiano lungimirante che, purtroppo, risultava come una voce che grida nel deserto dato che parlare di mafia sarebbe rimasto appannaggio di pochi. Si è dovuto aspettare l’intelligente lavoro di Giovanni Falcone, l’apertura del Maxi Processo e le dichiarazioni di Buscetta, non soltanto per colmare alcune lacune che legavano la mafia con l’imprenditoria, la politica e l’economia, ma soprattutto per dare slancio a studi che estraessero il fenomeno dalle forme pregiudiziali che l’attagliavano, inquadrandolo storicamente e comprendendo il sostrato economico, sociale e culturale.

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Capitolo 4

Tutto sulla mafia

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