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Quando le macchine da scrivere sfidano le pistole. Le inchieste de "L'Ora" sulla mafia:1954-1975

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere

C

ORSO DI

L

AUREA IN

S

TORIA E

C

IVILTÀ

T

ESI DI LAUREA

QUANDO LE MACCHINE DA SCRIVERE SFIDANO LE PISTOLE

Le inchieste de “L’Ora” sulla mafia: 1954-1975

Relatore: Candidato:

Prof. Gianluca Fulvetti Marisangela Ilenia Gallo

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«Se per paura dovessimo rinunciare all'idea, a che ci servirebbe la pelle?» Alla mia famiglia, a Captivus Doricus,

alla mia Sicilia, al mio Eroe e

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3

Indice

Introduzione... ………..4

1-ACCADEVA A PALERMO:LA NASCITA DI UN MITO... 11

1.1 Dall’origine al secondo dopoguerra……...11

1.2 La nascita della Repubblica e le lotte contadine...31

1.3 Il calabrese che sognava la Sicilia………...38

1.4 Tutti gli uomini di Nisticò………41

2 GLI ANNI DI NISTICO’………... 46

2.1 Le grandi inchieste... 46

2.2 L’uomo dei cinquecento giorni………...48

2.3Quella lunga estate caldissima………...54

3 NON SOLO COPPOLE E LUPARE………...60

3.1 La mafiologia………...60

3.2 La mafia allo specchio:cultura e struttura...63

3.3Mafia’s comeback……...70

4 TUTTO SULLA MAFIA……….77

4.1 La mafia esiste…...77

4.2 In nome del padre: l’anomalia corleonese...81

4.3 La Palermo bella degli anni Sessanta...86

4.4 Si ammazzano tra di loro………92

4.5 La Commissione Parlamentare Antimafia……….100

4.6 Il coraggio delle parole……….103

CONCLUSIONI………...107

BIBLIOGRAFIA………...111

Legislazione e Documentazione Parlamentare ………...116

Sitografia ……… 117

Articoli de “L’Ora”……….117

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4

Introduzione

La mattina del 16 Luglio 1950 l’«Europeo», riportava in prima pagina un lungo articolo di Tommaso Besozzi dal titolo “Di sicuro c’è solo che è morto”1

. Il pezzo smontava punto per punto l’indagine fino ad allora condotta dai Carabinieri sull’omicidio di Salvatore Giuliano, riconducendo l’assassinio ad una mutazione dei nessi che intercorrevano tra politica, mafia e banditismo. Quell’articolo, ancora oggi, è considerato uno dei più grandi reportage mai realizzati, nonché una delle prime inchieste sulla mafia -e su quanto fosse ad essa collegata- redatta nello stile giornalistico che, nei primi anni Cinquanta, stava sviluppandosi in Italia e, che è diventato tratto distintivo di alcune testate. Era un giornalismo anticonformista e libero, dalla scrittura priva di qualsivoglia edulcorazione o pregiudizio; un giornalismo che abbandonava le redazioni e scendeva in strada, mescolandosi ai personaggi e alla cronaca di cui avrebbe narrato, raccontando del paese al paese, riuscendo a volte a smuovere anche le coscienze. L’attività giornalistica che cominciava a concretizzarsi in quegli anni era atta, come ha supportato una sentenza della corte di cassazione nel 1995, «proprio in ragione di una tempestività di informazione diretta, a sollecitare i cittadini a prendere conoscenza e coscienza di tematiche meritevoli, per la loro novità, della dovuta attenzione e considerazione»2.

Tale stile giornalistico, chiamato “investigative reporting”, si traduceva nell’indagare questioni che apparivano oscure o quantomeno controverse. Era il giornalismo prospettato da Joseph Pulitzer, che nei primi del Novecento aveva descritto la professione giornalistica come qualcosa che «scruta attraverso la nebbia e la tempesta

1 T. Besozzi, Di sicuro c’è solo che è morto, in L’Europeo, 16 luglio 1950 2 Cass. Civ., sez. lav., 20 Febbraio 1995, n. 1827

all’url file:///C:/Users/Utente/Downloads/2439Cass_20_02_1995_n.1827%20(1).pdf in data di consultazione 04/11/2016

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5 per dare l’allarme sui pericoli che si profilano, che vigila sul benessere del popolo che su di lui fa affidamento»3.

Era l’evocativa immagine del “watchdog”: il cane da guardia che proteggeva l’interesse della cittadinanza, vigilando sull’esatto svolgersi della democrazia, criticando, altresì, il potere politico qualora non avesse soddisfatto il suo corretto compito.

È una forma nobile del giornalismo […]. Organizzata in una serie di pezzi, anche a più mani, ha il carattere di una ricerca o di un’indagine, mira a scoprire verità nascoste. Dunque è il simbolo di ciò che si considera l’ideale della professione: cercare la verità[…]. È anche il genere in cui il giornalista gode della più ampia autonomia e di maggior fiducia[…]. Per condurre una buona inchiesta bisogna possedere una padronanza di tutti gli altri generi giornalistici: non per niente è considerata il banco di prova del giornalista maturo. L’inchiesta investigativa punta all’accertamento di vicende controverse, la cui natura e le cui responsabilità rappresentano un mistero per l’opinione pubblica. In questa categoria rientrano quelle su casi giudiziari, su scandali politici, su guerre economiche, su illeciti sportivi[…].4

In Italia, come abbiamo già avuto modo di accennare, sono stati gli anni Cinquanta a dare il via al giornalismo d’inchiesta: al suo sviluppo ha contribuito in maniera preponderante la trasformazione politica, sociale ed economica in atto nella Penisola. Sono state pubblicate in questo periodo grandi inchieste, poi entrate a far parte della storia del giornalismo e che si sono rivelate a tratti profetiche: Tina Merlin, giornalista per l’ «Unità», per esempio, ha condotto un’ indagine sulla diga del Vajont denunciando possibili frane nel lago e la conseguente inondazione degli abitati del fondovalle veneto5 (evento che di fatto è accaduto due anni dopo la pubblicazione dell’articolo, nel 1963). Negli anni seguenti di inchieste giornalistiche se ne sono susseguite molte: da quella sulla strage di piazza Fontana a quella realizzata da Giampaolo Pansa e Gaetano

3 J. Pulitzer, citato da Rodolfo Brancoli, Il risveglio del guardiano, Garzanti, Milano,1985, pag. 7. 4 A. Papuzzi, Professione giornalista, Donzelli, Roma, 2003, pp. 54-55

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6 Scardocchia su un giro di tangenti offerte ad alcuni politici italiani per la vendita di aerei militari, soprannominata “affare Lockheed”6.

Tra le testate italiane che hanno contribuito alla crescita del giornalismo d’inchiesta, tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta, un ruolo importante ha avuto il quotidiano locale della sera, con sede a Palermo, «L’Ora».

Oggi lo chiameremmo con qualche cedimento nostalgico, giornalismo d’inchiesta. In realtà era un giornalismo che non ha bisogno di alcuna qualificazione perché corrisponde al modello classico di un’ informazione che non è liquida, resta ancorata ai fatti e ne coglie il senso andando oltre la superficie e le apparenze. Ma soprattutto non si appiattisce sull’egemonia delle fonti. 7

Nato per volontà della famiglia Florio, il giornale, ha attraversato gli eventi più importanti della storia siciliana, diventando il cuore pulsante di Palermo e, nonostante di fatto limitato geograficamente, è riuscito a guadagnare fama e a esercitare un forte ascendente sulla società civile. Sebbene già dai primi editoriali il giornale aveva dichiarato il suo carattere progressista, attento ai problemi sociali, economici e politici di tutto il Meridione, è stato l’arrivo di Vittorio Nisticò a segnare il periodo migliore del quotidiano. Quando, nel Dicembre 1954, è approdato alla direzione de «L’Ora» il giornalista calabrese di «Paese Sera», le cose tra gli stanzoni del palazzo in Piazzetta Napoli, sede del giornale, sono cambiate decisamente: il nuovo direttore ha, infatti, rinnovato tutti i codici giornalistici fino ad allora contemplati, attuando una vera e propria sferzata per quanto riguardava la conduzione del quotidiano.

6

Per approfondimenti si veda S. Colarizi, Storia politica della Repubblica 1943-2006, Laterza, 2007; G. Galli, L’Italia sotterranea. Storia, politica, scandali, Laterza, Roma, 1983

L. Violante, Storia d’Italia. Il Parlamento. Parte V, Il caso Lockheed in Parlamento, a cura di M. Caprara, Annali 17, Einaudi collana Grandi opere, 2001.

7

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7 Il giornale, pur avendo una tiratura modesta (circa ventimila copie al giorno) se paragonata ai grandi quotidiani che venivano stampati in Sicilia, ha continuato ad essere non soltanto luogo di ritrovo di moltissimi intellettuali, ma si è imposto su tutte le altre testate, per essere stato il primo quotidiano a sbattere in prima pagina gli affari, i legami, le logiche che appartenevano a “Cosa Nostra”. Prima del 1958, anno in cui «L’Ora» ha pubblicato la sua prima inchiesta sul fenomeno, della mafia si sapeva ben poco: l’opinione pubblica, pur supponendo perfettamente cosa racchiudesse quel mondo, sosteneva strenuamente che fosse un’invenzione della stampa o un tratto folkloristico del posto; i più coraggiosi, invece, si esponevano associandola a comune delinquenza. Il fenomeno era dunque analizzato con superficialità, sottovalutandolo, circoscrivendolo e mimetizzandolo. Il direttore de «L’Ora» in controtendenza a ciò che l’opinione pubblica corroborava, ha pubblicato un reportage in puntate in cui si analizzava organicamente il fenomeno, grazie alle sagaci indagini giornalistiche, svolte direttamente nelle terre corleonesi, a diretto contatto con l’astro nascente della nuova mafia, Luciano Leggio. Da quel momento in poi, il piccolo giornale della sera di Palermo è diventato il quotidiano delle grandi battaglie per la legalità e il suo grido è stato così forte da riuscire a travalicare i confini siciliani, facendo conoscere il fenomeno mafioso in tutta Italia. È stato il primo quotidiano che con impegno, passione e intelligenza non comune, ha fatto emergere una Palermo affascinante, dalla cultura folkloristica e intellettuale vivace ma anche profondamente piena di contraddizioni e oscura.

Con il presente lavoro, dunque, si è cercato di comprendere la stretta relazione tra «L'Ora» e la storia siciliana, concentrandosi soprattutto su un arco temporale che comprende la fine degli anni Cinquanta e la metà degli anni Settanta. Tale scelta è scaturita dalla convinzione che, pur continuando con dedizione ad esporre gli affari

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8 poco puliti della Sicilia, «L’Ora» abbia perso- all’inizio degli anni Ottanta- quella temerarietà di avanguardia giornalistica che l’aveva caratterizzato dalla direzione di Nisticò.

La sfida che il giornale aveva lanciato nei confronti della mafia, aveva dimostrato quanto le parole potessero essere più forti delle pistole, avendo anche la capacità di smuovere le coscienze e le istituzioni. Tuttavia, il trasferimento di un direttore acuto e graffiante come Vittorio Nisticò, ha prodotto, a mio parere, una perdita di “mordente” per quanto riguardava le inchieste, che erano state punto centrale del giornale e che avevano fatto de «L’Ora» quello che era.

Nello suddetto elaborato, quindi, si è prestata particolare attenzione ad alcuni dei reportage che il quotidiano ha svolto e che hanno segnato la storia politica e culturale dell’Isola. In questo senso, hanno assunto un grande ruolo le indagini- come già sottolineato- sul fenomeno mafioso; sono proposte, tuttavia, anche, altre inchieste: quelle, per esempio, sulla campagna dell’onorevole Milazzo, con il suo esperimento autonomista, o gli scontri durante il Governo Tambroni,

Naturalmente, il merito di aver fatto risorgere il quotidiano non è stato solo di Nisticò, ma di tutta la squadra giornalistica che ne «L’Ora» ha profuso energie, impegno e intelligenza. I reportage analizzati, sono stati impiegati, quindi, anche, come mezzo per approfondire la vita e il lavoro di questi reporter che hanno fatto parte della storia del giornale, una su tutte quella di Mauro De Mauro

Tutto ciò è stato possibile, tramite la consultazione dell’Archivio del giornale, posseduto dalla Biblioteca Centrale della Regione Siciliana “Alberto Bombace” di Palermo, grazie al quale è stato possibile ricostruire la storia del quotidiano e rintracciare alcuni degli avvenimenti più significativi accaduti in Sicilia. Parte

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9 difficoltosa, ma non per questo meno interessante, del lavoro è stata sicuramente il confronto con i primi anni della vita del quotidiano; infatti, se per il periodo preso in maggior considerazione in questo studio, non sono mancati riferimenti bibliografici in grado di vagliare la ricerca degli articoli da analizzare, per gli anni antecedenti al secondo dopoguerra sono mancati di fatto tali supporti. È stato dunque uno studio incrociato tra i maggiori avvenimenti storici siciliani e l’analisi che ne ha dato il giornale.

Il filo conduttore del lavoro è possibile riscontrarlo nell’indagine dei fatti che il quotidiano ha seguito, facendo emergere il doppio filo cui sono legati la storia della Sicilia e quella del giornale.

Nel primo capitolo si è preso in esame il contesto storico siciliano che ha determinato la prima fase della vita del giornale, quella dal 1900 al 1954, anno in cui Vittorio Nisticò veniva nominato direttore. Sono stati anni di profonde destabilizzazioni interne soprattutto di ordine politico ed economico; l’asimmetria economia tra Nord e Sud scaturita, in particola modo, da una politica così poco attenta ai disagi siciliani, sono stati l’ humus nel quale è stato fondato il quotidiano. «L’Ora», era stato creato, dunque, per essere cassa di risonanza, non soltanto dell’ imprenditoriale locale, ma soprattutto del disagio e del malessere che, ogni giorno, attanagliava la povera gente.

La triade composta dal secondo, terzo e quarto capitolo, ha analizzato la fase più feconda del giornale, quella dal 1954 al 1975. Vent’anni, durante i quali «L’Ora» si è posta come roccaforte palermitana di legalità e giustizia, in un momento che risultava di svolta per l’evoluzione “Cosa Nostra”. Vent’anni che hanno rappresentato, altresì, la fase più adombrata degli studi sulla mafia fin ad ora condotti.

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10 Infatti, se nel secondo capitolo sono state analizzate le due più importanti inchieste, per così dire, “politiche”,- ossia l’ “Operazione Milazzo” e gli scontri durante il governo Tambroni-, nel terzo capitolo è stato contestualizzato il fenomeno mafioso. Infatti, per comprendere meglio, il ruolo innovativo che la direzione di Nisticò ha apportato al modo di fare inchiesta, risultava importante capire ed analizzare cosa s’intendesse per mafia fino a quel dato momento.

Il linea con quello che si è precedentemente detto, nel quarto capitolo, si è presa in esame la stretta connessione tra le indagini condotte da «L’Ora» e gli eventi che hanno segnato la storia di “Cosa Nostra”. Si sono analizzati gli articoli più forti che il quotidiano palermitano ha pubblicato, contestualizzandoli e mostrando la loro straordinaria capacità di anticipo sui tempi.

Nelle conclusioni, infine, è confluita l’ultima fase del lungo percorso de «L’Ora» che ha compreso il lasso di tempo intercorso tra gli ultimi anni Settanta e il 1992. Nel periodo preso in considerazione, il giornale si è misurato, da un lato con il golpe corleonese che stava insanguinando le strade di Palermo, dall’altro con la precaria situazione economica e organizzativa in cui versava la testata. Così, nonostante tutti gli sforzi profusi, dinamiche ben più profonde della “semplice” mancanza di mezzi, hanno costretto, nel Maggio 1992, il giornale a spegnere una volta per tutte le sue rotative.

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Capitolo I

Accadeva a Palermo: la nascita di un mito

1.1. Dalle origini al secondo dopoguerra

Agli inizi del ventesimo secolo, la città di Palermo, in pieno clima positivistico, era diventata centro nevralgico del Mediterraneo; tanto da competere con le grandi città europee per risveglio culturale, modernità e avanguardie artistiche. Il capoluogo siculo era palcoscenico di eventi commerciali, artistici e politici in cui la neonata e industriosa borghesia locale si poneva quale erede della vecchia aristocrazia palermitana che, ancora, possedeva un prestigio non affatto scalfito. Il clima di fiducia nel progresso e di ottimismo che caratterizzava la belle Epoque, è stato riassunto, in Sicilia, a Palermo, dalla famiglia Florio. Capitani d’industria da generazioni, i Florio, sono stati attivi in ogni settore della vita commerciale dell’Isola: oltre ad essere stati grandi finanziatori di opere monumentarie -il famoso Teatro Massimo è stato un esempio- hanno realizzato aziende vinicole nel marsalese e industrie per la conservazione del pesce; sono stati i proprietari di numerose zolfatare sparse nel territorio e di imprese armatoriali. La compagnia navale che la famiglia Florio gestiva, nel 1881 si era fusa con la compagnia genovese “Rubattino” incrementando i propri introiti finanziari, rendendo l’imprenditorialità siciliana in grado di poter competere con gli standard nazionali.8

Tuttavia il mondo sfavillante di cui i Florio erano protagonisti indiscussi, ben presto si è scontrato con la realtà quotidiana e con i problemi che, seppur in maniera diversa, affliggono ancora oggi la Sicilia. All’inizio del Novecento, la politica incerta- caratterizzata da numerosissimi cambi di Governo- aveva determinato importanti squilibri economici interni, rendendo incolmabile, già d’allora, il divario tra Nord e Sud.

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12 La politica crispina prima e giolittiana poi, basata sull’incremento economico e industriale del Settentrione e una sempre più marginalizzazione del Meridione, ha avuto come risultato l’accrescimento esponenziale della fragilità e della povertà dei ceti rurali e urbani del popolo siculo9.

I Florio, nonostante la grande intelligenza da sempre manifestata nel condurre e nel gestire i propri interessi nella finanza e nel commercio, si erano ritrovati sempre più sopraffatti dai debiti contratti per far fronte alle concorrenze nazionali. La presenza massiccia della Banca Commerciale Italiana e le leggi di Roma diventate- per i Florio e per tutti gli altri imprenditori- sempre più stringenti, avevano convinto il capostipite della famiglia a fondare un proprio giornale a cui impose il nome «L’Ora».

«L’Ora»- con sottotitolo “Corriere politico quotidiano della Sicilia”- ha visto la luce il 21 Aprile 1900 e già dalla sua prima stampa ha mostrato il carattere progressista e battagliero che l’ha contraddistinto anche negli anni futuri. Il quotidiano si è subito posto come mezzo a disposizione dell’imprenditoria locale siciliana per controbattere, esprimere rimostranze e rivendicazioni del Meridione d’Italia, troppo spesso trascurato dalle nuove politiche post-unitarie. Il giornale, sovvenzionato per essere quanto più all’avanguardia possibile sia nei contenuti che nella struttura, constava di argute interviste con personaggi di rilievo della politica siciliana10, di cronache estere e nazionali 11e, per concludere, di una rubrica di critica letteraria che ospitava firme importanti come quella di Verga o Capuana12.

9 E. Gentile, Le origini dell'Italia contemporanea. L'età giolittiana, Laterza, Bari, 2011 10

Si veda la rubrica «L’uomo del giorno»: in essa venivano approfondite le personalità di rilievo nel panorama culturale, politico ed economico sia a livello nazionale che spiccatamente siculo.

11 Si veda la rubrica «Servizio telegrafico dell’Ora», in cui si tenevano aggiornati i lettori dei fatti

nazionali ed esteri tramite i primi servizi, fittamente incolonnati , fatti pervenire da inviati sul posto.

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13 Il primo direttore del giornale è stato Vincenzo Morello, detto Rastignac13, che è rimasto alla guida del giornale per un biennio.

Nel suo primo editoriale come direttore, ha sintetizzato il proposito del giornale e degli articoli in esso contenuti.

Le questioni sociali in Italia sono soprattutto questioni regionali. Risolvere queste, significa ristabilire l’equilibrio delle funzioni politiche ed economiche; ristabilire l’ordine e l’armonia tra il sentimento nazionale e gli interessi materiali, significa fare opera di equità e di giustizia per mezza Italia, che sente troppo dolente il fianco piagato, o troppo ardente il desiderio di guarire o di risollevarsi.14

Nonostante lo scopo del giornale fosse la denuncia degli squilibri in Sicilia, era fin troppo evidente che esso rappresentasse anche una cassa di risonanza perfetta per i Florio che, grazie alle sue pagine, avrebbero mantenuto la propria influenza sul territorio.

Quando nel '900 Ignazio Florio fonda «L'Ora» ha scelto di avere voce nell'Italia che si avvia al giolittismo. Non a caso il giornale di Florio, al contrario di altri giornali che esistevano in Sicilia, era un giornale nazionale. L'Ora doveva rappresentarlo ed essere portavoce di interessi finanziari e imprenditoriali precisi, in particolare quelli legati agli interventi nel mondo della navigazione, alle sovvenzioni marittime. In un certo senso era un giocattolo che permetteva ai Florio di pesare su Roma15

Sempre puntuali e arguti, gli articoli sottolineavano i nodi centrali del malessere siculo e del Meridione in generale; in particolar modo, il quotidiano accoglieva numerosi dibattiti che avevano come scopo, non soltanto la discussione, ma anche la ricerca e il disegno di nuove prospettive da proporre al governo, tendenti ad un miglioramento

13 Rastignac, pseudonimo di balzachiana memoria di Vincenzo Morello. Di origine calabrese, Morello ha

cominciato la sua attività giornalistica fin da giovanissimo; il quotidiano per cui ha scritto per tutta la vita è stato il «La Tribuna», tranne che per due bienni durante i quali gli è stata affidata la direzione de «L’Ora»(1900-1902) e del «Il Secolo» (1925-1927). Per approfondimenti si veda M. Missiroli, Rastignac

e il suo tempo, in Uomini e giornali: i grandi giornalisti di ieri negli scritti dei giornalisti di oggi, a cura

di S. Negro, Lazzarini, Firenze 1947, pp. 165-173

14 V. Morello, Ai lettori.., in L’Ora, 22 Aprile 1900 15

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14 economico e morale delle classi lavoratrici. Le discussioni vertevano sui punti cardine della politica economica del Paese. Specificatamente era la posizione protezionistica assunta dal governo e la conseguente imposizione di tasse doganali -che avevano come unico risultato il danneggiamento dei rapporti di scambio fra Nord e Sud- ad animare i dibattiti sul giornale .16 Alla luce di ciò, particolarmente soffocato risultava essere ogni tentativo del Sud di industrializzarsi, o quantomeno di investire nel miglioramento delle attività agricole del Meridione. Economisti come Epicarmo Corbino o Enrico la Loggia17, scrivevano sui salari bassissimi percepiti dagli operai, sull’occupazione delle terre, sul fallimento delle industrie meridionali e sulla stagnazione di un’ economia ancora basata sul latifondo. Emergeva soprattutto una certa acredine nei riguardi del Comit che, con il suo lento ma efficace strangolamento, soffocava gli imprenditori locali, primi tra tutti i Florio che dovevano alla Banca Commerciale Italiana quasi tre milioni di lire. In tale contesto economico e politico, dunque, risultava preminente, sia da parte del giornale e sia da parte degli imprenditori, portar avanti l’ambiziosa e riformatrice idea di Ignazio Florio di una politica economica moderna, seppur agraria, denominata “Progetto Sicilia”18

.

16

Si faccia riferimento agli articoli di F.S. Nitti, Nord e Sud, 15-16 Maggio 1900 e di N. Colajanni, I

termini del problema meridionale, 20-21Maggio 1900

17 Enrico La Loggia è stato un avvocato, docente universitario con la passione per il giornalismo.

Politicamente attivo, si occupava di economia elaborando una nuova visione politica, in cui si sintetizzavano, conciliandoli, gli aspetti del liberalismo con quelli del socialismo. Dopo numerosi scritti critici in vari giornali, è stato politico dal 1919 al 1925. Nel 1943 è stato uno dei principali interpreti dell’Autonomia siciliana nonché uno degli autori dello Statuto Speciale della Sicilia e dell’articolo 38 in esso contenuto.

Per approfondimento si veda: S. Brancati, Enrico La Loggia, un diplomatico nascosto, ILA Palma, Palermo 1982

Epicarmo Corbino è stato docente universitario forgiatore di centinaia di studenti nelle discipline economiche. Grande politico, ha basato il suo operato sul pensiero economico liberale, diventando braccio destro di Luigi Einaudi e assumendo varie cariche in rappresentanza del suo partito. Collaboratore di numerosi quotidiani e riviste diventeranno palcoscenico delle sue critiche alle politiche attuate dal centro-sinistra, ma anche delle sue riflessioni sui problemi economici italiani.

Per approfondimenti si veda: D. Demarco, Epicarmo Corbino e l’opera sua, con saggio bibliografico di F. Assante,Milano 1961

18 Tale progetto, si basava su di un programma di riforma dell’agricoltura intensiva, mediante la

riorganizzazione dei sistemi economici che regolavano la mezzadria; su di una modernizzazione delle zolfatare e delle attività vinicole e agrumario. Si veda P. Hamel, Breve storia della società

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15 La creazione, su «L’Ora», della rubrica «Il supplemento settimanale dell’Ora. Agricolo- industriale- commerciale», contenente notizie di carattere agricolo, botanico, etc. è stato l’escamotage perfetto per diffondere le idee avanguardiste dei Florio. Gli articoli, rivelatori delle politiche agricole siciliane, dei disagi delle zolfatare e delle seppur sparute industrie e dei loro operai, spronavano affinché si mettessero in pratica i dettami di quanto il “progetto Sicilia” prospettava.

La dedizione profusa per l’attuazione delle idee politiche ed economiche “floriane” ha messo in risalto, tuttavia, i limiti del giornale: pur volendo battersi sottolineando i gravosi problemi che attanagliavano la Sicilia, continuava ad essere considerato una freccia nella faretra della famiglia Florio e degli imprenditori ad essa connessa. Sin dai primi anni della sua formazione e almeno fino a quando i Florio hanno avuto il controllo, il giornale si è occupato solo di argomenti che potessero non mettere in cattiva luce gli imprenditori locali. Tenendo conto di ciò, è facilmente spiegabile il motivo per il quale «L’Ora» si è occupata poco e in maniera molto controllata di mafia, che, in quegli anni, stava definendosi come associazione a delinquere vera e propria. Un esempio della riluttanza nell’affrontare un tale argomento si è constatato durante l’elezioni del Giugno 1900; il giornale, in quel caso, aveva sostenuto- tra gli altri- la candidatura dell’onorevole Palizzolo, deputato alla Camera, amico dei Florio e imputato di essere il mandante di un delitto eccellente come quello di Emanuele Notarbartolo19. Il giornale, aveva marcatamente sottolineato il clima accusatorio che imperversava sulla persona dell’onorevole Palizzolo, derivante da «quell’accozzaglia di spioni di

19 Emanuele Notarbartolo nato in una famiglia della vecchia aristocrazia palermitana, ha studiato

all’estero entrando in rapporti con importanti figure politiche ed intellettuali come quella di Michele Amari e Mariano Stabile, rimanendone influenzato. Studioso di economia, si era avvicinato politicamente alla destra storica e al suo liberalismo. Nominato Sindaco di Palermo e successivamente direttore del Banco di Sicilia, ha svolto il suo lavoro con integrità non comune, lottando contro la corruzione che imperversava sull’istituto siciliano.

Per approfondimenti si rimanda a L. Notarbartolo, Il caso Notarbartolo, Il Vespro, Palermo, 1977; S. Vassalli, Il cigno, Einaudi, Torino, 1993

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16 Polizia[…]libellisti di taverna e di lupanare che usurpano in Italia il nome del partito socialista»20.

Ciò che il delitto Notarbartolo ha palesato, al di là delle responsabilità individuali, è stata la reale connivenza tra mafia e politica. Legame che Salvatore Lupo definisce “manutengolismo”21

: i rapporti, cioè, clientelari tra le eminenti personalità del potere siciliano e la mafia, nella gestione degli interessi politici e latifondisti.

Questa «lobby cittadina di gran lunga più potente, quella che partendo dalle larghissime aderenze di casa Florio negli ambienti aristocratici e borghesi […] costituiva un partito trasversale comprendente la quasi totalità del mondo politico municipale: i crispini, innanzitutto, ma poi l'intero fronte conservatore e persino Colajanni e i socialisti “marca Florio”»22

avrebbe dunque utilizzato la mafia come mezzo «nelle battaglie parlamentari tendenti all'incremento delle sovvenzioni statali e alla resistenza contro i progetti di riforma antimonopolista che periodicamente vengono avanzati, e che troveranno in Giolitti il più autorevole fautore»23.

Era dunque palese come «L’Ora» - nonostante sia indubbia l’opera di denuncia che l’ attività del giornale compiva-si ritrovasse ad essere più o meno controllato dalla volontà della famiglia Florio, che stava ben attenta affinché non si sottintendessero mai possibili “manutengolismi”. Sarebbe passato parecchio tempo prima che il quotidiano potesse trattare del fenomeno mafioso portando alla luce i suoi legami con la politica, con l’imprenditoria e con la Chiesa siciliana; tuttavia, per il periodo da noi preso in

20 Dal documento, risultante parzialmente danneggiato, è impossibile ricavarne il titolo, ma soltanto la

data 24-25 Luglio 1904, in L’ Ora.

21 S. Lupo, Tra banche e politica. Il delitto Notarbartolo ,in Meridiana. Rivista di storia e scienze

sociali,7-8/1989-1990, p 144-145

22 Ibid. 23

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17 considerazione, proposito primario del giornale era proseguire le direttive del “progetto Sicilia” senza che fosse mai scritta la parola “mafia” nei propri editoriali.

Nel Giugno del 1900, il giornale si è posto a sostegno- durante le elezioni politiche- dei partiti d’opposizione al governo Pelloux, quali socialisti e repubblicani. Causa dell’opposizione si riscontrava nell’ intento del Governo di far ratificare una serie di leggi che avrebbero limitato notevolmente le libertà di stampa, i poteri del Parlamento e le forze di opposizione24. La battaglia portata avanti dal giornale ha indubbiamente contribuito affinché le elezioni si concludessero con la disfatta del Gabinetto di Pelloux25. Tuttavia, anche se i partiti di Governo avevano subito un duro colpo, la maggioranza era ancora al potere e per pacificare la crisi politica, ancora in atto, il re aveva nominato quale nuovo Capo del Governo, Giuseppe Saracco. Questi non distaccandosi affatto dalle idee del suo predecessore, ha proseguito con un atteggiamento di totale disinteresse per il Meridione e per i problemi che lo travagliavano. In questo contesto di totale isolamento governativo, la linea politica, non ancora ben definita, dei Florio, si era manifestata a vantaggio di Sonnino. Il politico, infatti, nel primo biennio del Novecento, aveva cercato di tamponare i bisogni del Mezzogiorno proponendo una riforma agraria nella quale, tra le altre cose, lo Stato si facesse garante nell’ applicare migliorie nei patti che intercorrevano tra proprietari terrieri contadini.26

I discorsi di Sonnino sono stati pubblicati sulle pagine de «L’Ora» e le varie riforme riprese e discusse più volte, tanto da rendere ovvia la scelta politica del giornale. I propositi che Sonnino era propenso ad attuare, sembrava avessero avuto presa su Zanardelli, che sarebbe stato nominato nuovo Presidente del Governo, dopo le

24 E. Gentile, Le origini dell'Italia contemporanea. L'età giolittiana, Roma-Bari, Laterza, 2003 25 I. Montanelli, L'Italia di Giolitti (1900-1920), Milano, Rizzoli, 1974

26

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18 dimissioni di Saracco. Le misure che il futuro Capo del Governo era propenso ad attuare a favore del Mezzogiorno, andavano nella direzione che i Florio e «L’Ora» avevano auspicato.

Il paese è ammalato, moralmente e politicamente, lo dimostrano i moti del 1893[…] i risultati delle elezioni del 1897 e di quest’anno; per cui in un triennio si è visto triplicare il numero dei rappresentanti di partiti sovversivi, il perdurare della brutta linea dell’assassinio politico che da più di mezzo secolo macchia il buon nome italiano e che, in quanto non trova una sufficiente condanna nella coscienza popolare, rivela un profondo vizio nell’educazione nazionale27

.

Riguardo le riforme agrarie, si prospettava,

«La necessità di definire con spirito di equità e di umanità i patti tra contadini e proprietari, riformando completamente la materia di contratti agrari »28.

Tuttavia i tempi per quel cambiamento politico ed economico della Sicilia, a dispetto di quanto i Florio e l’imprenditoria palermitana si auguravano, non erano ancora maturi. Per sostenere le proposte di Zanardelli si doveva contare sul supporto di una forza politica siciliana tale da sostenere l’entusiasmo del cambiamento che con il passare dei mesi è venuto meno. Il punto più alto di quella che sarebbe poi stata una parabola discendente è riscontrabile nelle elezioni comunali che si erano tenute a Palermo, nelle quali «L’Ora» aveva sostenuto il partito socialista che di fatto era riuscito a vincere. Morello, il 30 Luglio del 1900 ha pubblicato un articolo che esprimeva grande fiducia riguardo il cambiamento politico:

«un fenomeno assolutamente nuovo fra noi è l’entrata dei partiti popolari al Municipio, un’entrata che si potrebbe dire trionfale per essi e salutare per un non lontano risveglio dei partiti politici locali»29

Tuttavia con il passare del tempo i siciliani hanno visto sedimentare sempre più una disincantata consapevolezza dell’operato della casse politica dirigente.

27 S. Sonnino, La situazione politica- “Quid agendum”, in L’Ora 16-17 settembre 1900 28 Ibid.

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19 Con tale clima, si è assistito a un nuovo cambiamento di rotta nella politica che intendeva attuare Florio per la Sicilia: la classe dirigente avrebbe spostato le sue preferenze verso i liberali con i quali avrebbe formato una “concentrazione monarchica”30

« Per impedire che le redini del Comune restino abbandonate nelle mani dei nemici delle istituzioni politiche e dei presenti ordinamenti sociali. »31

«L’Ora» ha dunque cambiato corso, promuovendo una campagna a favore del Principe di Camporeale, scelto come rappresentante della nuova linea politica- in seno al “progetto Sicilia”- per le elezioni che si sarebbero tenute nel Settembre del 1900, dopo lo scioglimento della prima municipalità. Il volta faccia dei Florio e di conseguenza del loro giornale, aveva scatenato le ostilità da parte della popolazione che parteggiava per i partiti popolari e che aveva posto grandi aspettative nelle idee propugnate fino a quel momento degli armatori palermitani. Da ciò non sono stati esenti anche alcuni giornalisti de «L’Ora», come Napoleone Colajanni che con un violento articolo32

si dimetteva dalla redazione del giornale del capoluogo.

Il volta faccia dei Florio andava a sommarsi alla totale perdita di fiducia, che in Sicilia, stava subendo l’operato del governo presieduto da Zanardelli, nominato alla fine nel 1900; egli non era riuscito a recuperare le simpatie dei meridionali ed aveva aggravato la situazione con la nomina a ministro degli interni di Giolitti, grande “nemico” dei meridionali e in particolare di Rastignac. La politica che Giolitti s’incaponiva ad attuare era sintetizzata in un atteggiamento di favoritismo degli affari settentrionali più che

30 S. Lupo, Storia della mafia. Dalle origini ai nostri giorni, Roma, Donzelli, 1993, pag.159.

31 Il manifesto della concentrazione monarchica, in L’Ora, 6-7 Settembre 1900, cit in F.Renda, Socialisti

e cattolici in Sicilia cit., pag 116

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20 meridionali, coadiuvato da un rigido neutralismo statale nel risolvere contrasti economici e politici.

Poi venne Giolitti[…] nella vita politica italiana si congiunsero in un momento le più terribili costellazioni: le banche, i processi, le persecuzioni, le crisi, la guerra civile incruenta più terribile e più devastante di quella cruenta, che si risolve con un fiotto di sangue nelle vie, con un mucchio di morti sulle barricate[…]Bisogna correggere questo indirizzo di Governo, bisogna attenuare questo sistema fiscale, bisogna tagliate questa tassa o aggiungere quest’altra![…] La vita politica non è vita di combinazioni artificiose, ma vita di anime naturali. L’ Italia oggi ha bisogno di anime nuove, d’uomini nuovi più che di nuove leggi; e voi siete forse tutti travolti dalla stessa rovina dell’aula di Montecitorio, dalla vostra aula dove sfiorì la vostra giovinezza e anche la giovinezza della Patria! Quid agendum? Ma la giovinezza della Patria si rinnova come quella della natura. Si rinnoverà anche quella degli uomini? E degli uomini politici?33

Nel Marzo del 1901, scoppiava a Palermo uno sciopero che aveva come protagonisti gli operai dei cantieri navali dei Florio; la totale neutralità statale manifestata nei confronti delle due parti in conflitto hanno sancito la completa disfatta dell’idillio che avrebbe visto un tempo il governo di Zanardelli e la Sicilia sulla stessa lunghezza d’onda.

Che fa lo Stato durante queste lotte? Lo Stato, negli scioperi si astiene e interviene soltanto nel caso che l’ordine pubblico sia turbato: questa la teoria del presente governo. Benissimo! Lo Stato, dunque o è spettatore o carabiniere: o guarda o reprime[…]Lo stato dev’essere e rappresentare la sintesi degli elementi giuridici e morali della collettività. Ora per l’onorevole Giolitti e per il governo di cui fa parte quali idee, qual programma, ha lo Stato nella lotta tra capitale e lavoro?[…]. L’assenteismo segna sempre il principio della fine nella storia degli istituti sociali; perché gli organi che hanno funzione non hanno più ragione d’essere. Quale dunque la teoria positiva dell’onorevole Giolitti?34

«L’Ora», nei suoi articoli, sollevava gli errori di un siffatto Governo, esprimendo le mancanze di una politica che non prestava alcuna attenzione ai problemi che dei lavoratori, ma che, al contrario, cercava di ostacolare i progetti politici volti al cambiamento, come quello proposto dagli onorevoli Luttazzi e Di Rudinì, basato sulla creazione di una Cassa Nazionale.

33 V. Morello, Demolizioni, in Tribuna, 26 Settembre 1900 poi riproposto nella rubrica “servizio

telegrafico de L’Ora il 26-27 Settembre 1900

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21 Il debito ipotecario[…]pesa enormemente sul Sud[…]. Il progetto degli onorevoli Di Rudinì e Luttazzi tende appunto a liberare l’Italia da questa vera schiavitù[…]. A taluni il piano porrà temerario, non mancheranno le solite obbiezioni e difficoltà[…]. Ma è da augurare che anche questa volta arrida fortuna all’idea geniale dei due autorevoli parlamentari e che […] si riesca ad attuare una benefica riforma del credito fondiario. La proprietà fondiaria è permanentemente in crisi, perché oberata di debiti, schiacciata da ogni sorta di balzelli. Lo Stato confisca giornalmente campicelli e frutteti, e non avvede che questo non è il modo di risolvere la durissima crisi.35

L’accentramento politico e amministrativo perseguito dal Governo, l’annullamento delle autonomie locali e il clientelismo elettorale, affossavano ogni qualsivoglia sviluppo di una coscienza politica nel Meridione e rendevano vani gli sforzi dei Florio nell’ attuazione del “Progetto Sicilia”. A tale situazione si univa la modifica della struttura del mercato finanziario, fino ad allora vigente, messa in atto dal Governo. Nel 1904, la precarietà economica nella quale versava l’Isola aveva costretto i Florio a vendere le quote di maggioranza de «L’Ora» e a condividerne la proprietà con Filippo Pecoraino, un imprenditore siciliano nel settore alimentare36. Gli ex armatori, tuttavia, pur avendo bisogno di solvibilità, allo scopo si saldare i debiti contratti, si erano riservati di mantenere ancora alcune quote, seppur minime, del loro giornale, garantendosi, almeno fino agli inizi degli anni venti, la nomina dei direttori.

Era in questo contesto che, nel 1904, la direzione del giornale è passava nelle mani di Edoardo Scarfoglio37, già direttore del «Il Mattino». Il nuovo direttore ha proseguito con la linea giornalistica che aveva intrapreso nel suo quotidiano e che si adattava perfettamente all’opera già avviata da Rastignac. Obiettivo era quello di non censurare nulla dei problemi del Meridione, difendendo i lavoratori e i disoccupati, auspicando un

35 Un grandioso progetto, in L’Ora, 18-19 Maggio 1901

36 V. Nisticò, in Accadeva in Sicilia. Gli anni ruggenti dell'«Ora» di Palermo. Sellerio, Palermo,2001 37 Edoardo Scarfoglio, abruzzese di nascita, ha passato gran parte della propria vita a Napoli, dedicandosi

al giornalismo e alla scrittura. Nel 1892 ha fondato, insieme alla moglie Matilde Serao, anch’essa giornalista, il quotidiano «Il Mattino». La linea attivista e attenta ai problemi del Meridione, che aveva attuato all’interno del giornale napoletano, hanno fatto di Scarfoglio il direttore perfetto per «L’Ora», che ha diretto dal 1904 al 1907. Si rimanda per approfondimenti a R. Giglio, L'invincibile penna Edoardo

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22 processo di evoluzione politica ed economica in grado di ridurre tutti quei problemi che ormai andavano sotto il nome di “questione meridionale”. La tradizionale struttura del quotidiano era stata arricchita nella cronaca estera, grazie ai collegamenti telefonici che Scarfoglio aveva fatto istallare al giornale, mettendo così in comunicazione estemporanea «L'Ora» con «Le Matin» di Parigi, il «Times» di Londra e il «The Sun» di New York. Tali migliorie, naturalmente, hanno rappresentato l’ultimo e soffocato tentativo dei Florio di dar visibilità europea ai propri affari. «L’Ora», dal canto suo, non aveva risentito della precarietà economica “floriana” e aveva continuato la sua opera d’ informazione e di denuncia; la direzione di Scarfoglio- che ha protratto la sua attività all’interno del giornale fino al 1907- si era dimostrata, in termini di struttura e contenuti, così innovativa e forte da resistere al cambiamento di proprietà.

Nel frattempo, il nuovo governo Giolitti, che aveva portato cosi tanti cambiamenti in politica interna, non era stato esime da mostrare altrettanti slanci per quanto riguardava la politica estera. Muovendosi in logiche non strettamente collegate alle direttive della Triplice Alleanza- della quale faceva parte l’Italia-Giolitti aveva cercato di conquistare un ruolo di primo piano nella sfida imperialistica che stava coinvolgendo le più grandi nazioni europee. Perduta la Tunisia nel 1881, Giolitti aveva cominciato a tessere legami economici e commerciali con la Libia, che si erano spinti fino al 1911; quello stesso, anno una massiccia campagna giornalistica, sostenuta da importanti imprenditori settentrionali, aveva spalleggiato i vantaggi di una vera e propria sottomissione del territorio africano. Dopo un primo periodo di titubanza, Giolitti si era trovato concorde ad avallare l'occupazione della Libia, convinto che l’impresa avrebbe dato la possibilità di intraprendere nuovi e migliori accordi per l’industria italiana.

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23 A sostenere l’iniziativa del governo, si era nel frattempo aggiunta anche «L’Ora» che era passata, proprio nel 1911, sotta la supervisione di Tullio Giordana38. Il fatto che il giornale si fosse schierato a favore di una tale imprese potrebbe stupire, visto il mai celato contrasto con le posizioni prese fino a quel momento dal Governo nazionale; tuttavia bisogna considerare che, come era opinione comune, la campagna in Libia avrebbe favorito sia gli interessi dei pochi industriali siciliani, come per esempio i Florio, sia soprattutto i contadini che motivavano la guerra come un’opportunità per impadronirsi di altre terre ponendo fine a tutti quei problemi agricoli di cui il Meridione era colmo39.

A ciò si aggiungeva anche un fattore puramente ambizioso del giornale: il fatto che la guerra rappresentava un'occasione per rafforzare e ingigantire il proprio credito. In effetti è stato proprio cosi: non è stato raro che durante il conflitto, altri giornali prendessero esempi e riferimenti dai reportage così ben scritti dei redattori de «L’Ora». In particolar modo Giordana ha saputo dar lustro e importanza alle immagini della campagna libica, pubblicando le foto del primo fotoreporter siciliano, il Professor Urbani.

La guerra in Libia, però, non aveva raggiunto i risultati sperati: la Sicilia era ormai ridotta nelle condizioni di un mercato coloniale, strumentale all’economia del Nord,

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Tullio Giordana ha esordito come giornalista sul quotidiano «La Stampa» nel 1897 e contemporaneamente ha cominciato a scrivere anche per «La Tribuna». Il giornalista, si occupava soprattutto di notizie estere tanto che nel 1904 è inviato a New York. Dal suo soggiorno americano apprenderà nuove tecniche giornalistiche che influenzeranno moltissimo il modo di scrivere e di dirigere un quotidiano. Ritornato in Italia, dopo aver assunto la direzione de «La Tribuna» (1904-1910) e de «L’Ora» (1910-1912), ha continuato a tenere rapporti con il «New York Herald» come corrispondente estero. I suoi interessi politici, hanno portato Giordana a candidarsi più volte, non riuscendo mai ad essere eletto. Come giornalista ma anche come cittadino e amante della politica, Giordana ha partecipato agli eventi più importanti che costellarono gli anni compresi fra il 1921 e il 1947. Per ulteriori approfondimenti si veda F. Contorbia (a cura di), Giornalismo italiano, 2º vol. ("1901-1939"). Mondadori, Milano, 2007

39 Sul tema della guerra di Libia in relazione alla prima guerra mondiale si veda N. Labanca, La guerra

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24 senza possibilità di miglioramento.40 Crollavano, anno dopo anno, le speranze per un futuro che potesse mettere l’Isola nelle condizioni di misurarsi con le altre regioni del Paese; i gruppi finanziari e industriali siciliani, che avevano auspicato ricchezze e vantaggi nell’avventura libica, si erano ritrovati oberati dai debiti. I Florio, l’ultimo baluardo posto ad eterno ricordo di una gloria passata, erano stati costretti, alla fine della guerra in Libia, a cedere anche le ultime, sparute quote del giornale che passava interamente nelle mani di Pecoraino. E’ stato in questo contesto preoccupantemente precario che, nel 1914 scoppiava la Prima Guerra Mondiale.

Lo scoppio della guerra aveva colto impreparati gli Italiani sia dal punto di vista economico che politico che sociale: in questa situazione l’Italia non poteva far altro che essere prudente e dichiarare per almeno un anno la sua neutralità

Nonostante la condizione, filosofi, politologi e letterari italiani dell’epoca,-spinti dalla mobilitazione culturale che la guerra aveva aperto- erano soliti, intrattenere dibattiti sulla visione del conflitto, determinando altresì un ruolo cruciale nel pensiero delle masse. I giornalisti de «L’Ora», convinti che una possibile partecipazione al conflitto, avrebbe solo ingigantito la situazione di profondo disagio in cui le masse rurali erano già costretti a vivere, si erano schierati strenuamente per un non intervento.

Pur essendo incline a rimanere neutrali, il Governo di Giolitti, è stato costretto, in seguito ai patti segreti stipulati da Salandra e alle più turbolente “radiose giornate di Maggio”, a presentare la propria dichiarazione di guerra contro l’Austria nella primavera del 1915. Gli anni del conflitto, nonostante terribili, avevano contribuito a far maturare una coscienza di classe nella stragrande maggioranza di contadini e operai che stavano subendo una guerra, della quale erano stati gli ultimi sostenitori

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25 Il periodo del dopoguerra, era coinciso, pertanto, da violente tensioni sciali; La guerra totale, aveva lasciato profonde cicatrici non soltanto sui combattenti, ma sull’intero tessuto politico ed economico della Penisola. Difficile si era dimostrata la riconversione delle industrie e soprattutto la graduale ma inesorabile inflazione che aveva fatto perdere valore alla lira.

La produzione agricola, nel Mezzogiorno, aveva subito un brusco arresto determinando il conseguente aumento dei prezzi dei beni di consumo imposto dallo Stato. Tali enormi disagi avevano riempito le pagine de «L’Ora»; i redattori, infatti, sostenendo il danneggiamento- tramite l’introduzione dei calmieri- dei contadini e dei produttori agricoli, promuovevano contesti diversi nei quali fossero possibili evoluzioni nell'uso del latifondo e della produzione agricola.

Le nuove proposte ideate, sono stati pubblicati sul giornale in cinque articoli scritti nel Febbraio del 1919 da Ghino Valenti41 e commentati dall’economista De Francisci Gerbino42 in altrettanti articoli nel Marzo dello stesso anno.

Tuttavia, la profondità della crisi economica e la progressiva sfiducia nel Governo liberale avevano determinato un giustificato malcontento sfociato in vere e propri scontri, a testimonianza dell’esasperazione delle masse popolari. Le tensioni,protratte per due anni, tra il 1919 e il 1920, hanna dato origine a quello che è stato definito

41 Valenti è stato docente universitario, esperto in economia agraria. Dato il suo grande acume per

questioni riguardanti l’economia è diventato Segretario Generale della Società degli Agricoltori Italiani e successivamente ha diretto l’Ufficio di Statistica Agraria dal 1907 al 1911.

Per approfondimenti si veda: G.Tamagnini, L' economia agraria negli studi di Ghino Valenti, in Rivista

Internazionale di Scienze Sociali e Discipline Ausiliarie, Vol. 88, Fasc. 336 (Dicembre 1920), Milano,

pp. 265-274;

G. Valenti, Il latifondo, in L’Ora, 8-9 / 10-11/12-13/14-15/ 16-17 Febbraio 1919

42 Giovanni De Francisci Gerbino, dopo una laurea in legge, è stato docente di scienze delle finanze e di

economia politica. Si è dedicato, in particolare ai problemi economici che attanagliavano la sua terra, la Sicilia. Temi importanti per le riflessioni del De Francisci Gerbino risultano essere le imposte patrimoniali, le modalità in cui i comuni siciliani avevano contratto debiti e soprattutto le questioni agrarie. Si rimanda a A. Li Donni, Giovanni De Francisci Gerbino tra protezionismo e liberismo: una

nota, in Il pensiero economico italiano, 2004, vol. I, pp 137-141; G. De Francisci Gerbino, Traformazioni di coltura e spartizione del latifondo, in L’Ora, 26-27 Febbraio 1919 e 5-6 Marzo 1919

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26 storicamente come «Biennio Rosso». Giolitti, designato nuovamente come capo del Governo, alla dine della guerra, si era ritrovato a dover affrontare una situazione oltremodo problematica: il malcontento sociale si era propagato a macchia d’olio partendo dalle città, con gli scioperi e le conseguenti occupazioni delle fabbriche da parte degli operai e dei sindacati, fino a raggiungere le campagne nelle quali i contadini protestavano affinché venisse attuata una riforma agraria con il raggiungimento di una ridistribuzione terriera. I contadini siciliani, infatti, ritornati dalla guerra, avevano reclamato l’occupazione dei terreni incolti, l’abbattimento di un’economia abbruttita dal persistere del latifondo e una più equa gestione dei rapporti tra lavoratori e imprese agricole. Sull’annosa questione de “la terra ai contadini” si era espresso Valente in uno degli speciali sul latifondo che aveva curato per «L’Ora». Egli riteneva l’attuazione di un tale proposito,

«Non rispondente alle intenzioni stesse dei proponenti e certo incapace di condurre a quell’incremento della produzione e miglioramento economico della classe agricola a cui deve mirare simultaneamente qualsiasi riforma»43

E ancora:

«La formula empirica invece, voglio dire “la terra ai contadini” fa pensare ad una elargizione gratuita e rivela un concetto errato alla funzione sociale delle proprietà, quasi che il riconoscimento del libero possesso di un pezzo di terra basti per dare al lavoratore l’indipendenza e il benessere»44

Il movimento, pur sfociando in episodi turbolenti come quello della città di Ribera45, non ha però avuto la stessa incisività che si era manifestata invece nel Nord del paese. Questo è imputabile da un lato all'utilizzo di metodi coercitivi da parte dei gruppi

43 G. Valenti, Il latifondo, in L’Ora, 12-13 Febbraio 1919 44 Ibid.

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27 dominanti locali tramite l’ausilio della mafia(gabellotti e campieri), dall’altro al governo giolittiano che ha ostacolato la radicalizzazione del movimento contadino durante il “Biennio Rosso”. Seguendo le regole dello “Stato Neutralista”, Giolitti ha quindi lasciato che le proteste si esaurissero in maniera spontanea, facendo dello Stato solo un mediatore che attuava concessioni, non definitive, ma che servivano a placare le pretese di entrambe le parti in contrasto.

Di questo caotico periodo nel quale versava la Penisola, ha saputo abilmente approfittare Benito Mussolini, che dopo la creazione dei Fasci di Combattimento, è riuscito nel 1922 a prendere il potere a Roma.

I primi anni del fascismo sono stati anni importanti anche per la redazione de «L’Ora», alla cui guida era giunto Salvatore Tessitore. Questi, direttore dal 1922, era stato docente di diritto canonico presso l’università di Torino; era ricordato oltre che per i suoi editoriali- sempre attenti a far sviluppare senso critico ai propri lettori- soprattutto per la sua personalità eversiva e idealista che, nei primi anni del fascismo, lo hanno portato a scontrarsi apertamente con il regime mussoliniano.

Il giornale, pur non abbandonando le varie rubriche di taglio economico come quelle tenute da Vilfredo Pareto, Giorgio Mortara46 ed Enrico La Loggia, ha cominciato a

46 Vilfedo Pareto, è nato a Parigi da padre italiano; ha primeggiato in materie scientifiche quali

l’ingegneria e l’economia politica, ma anche nelle scienze sociali. Pareto, travolto dai cambiamenti che politicamente si stavano attuando alla fine dell’Ottocento, ha sostenuto il revisionismo marxista, legandosi a personaggi come Sorel. Egli è stato uno dei maggiori portavoce del marginalismo economico(valore dei beni non legati a fattori oggettivi, ma a fattori soggettivi che determinano L’utilità marginale); tale teoria economica si legava al concetto di elitismo che egli stesso sviluppo in quegli anni. Per approfondimenti si rimanda a N. Bobbio, Pareto e il sistema sociale, Firenze, Sansoni, 1973

Giorgio Mortara, figlio e nipote di illustri personalità(lo zio era il matematico Giulio Vivanti) dopo la laurea in legge, ha mostrato particolare interesse verso l’economia, la statistica e la demografia; ha affinato questi studi presso l’università di Berlino, dove si è distinto per i suoi studi sulla teoria della probabilità Poissoniana. Ritornato in Italia, gli è stata affidata la docenza universitaria prima a Messina, poi a Roma e infine a Milano; nel 1910 ha acquistato-in proprietà condivisa- il «Giornale degli economisti». Scappato durante il regime fascista, 1939 ha redatto il primo censimento in Brasile. Per ulteriori riferimenti si legga L. Lenti , Giorgio Mortara, in Massimo Finoia, Il pensiero economico

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28 contrastare apertamente il neonato regime fascista, sottolineando come l’autarchia imposta dal Mussolini non avrebbe portato alcun giovamento alle casse meridionali. Gli editoriali che venivano pubblicati da Tessitore, hanno generato ovviamente sdegno e indignazione da parte delle squadre fasciste, che non hanno esitato a minacciare il direttore e l'organico del giornale.

La situazione interna del paese si riassume fondamentalmente nel problema del fascismo che attraverso il suo capo, le sue organizzazioni, in suoi poteri, le sue armi, domina la vita nazionale[…]. Il fascismo non ha realizzato la pacificazione che il popolo anelava. E la riconciliazione nazionale non fu raggiunta anzitutto perché il fascismo dopo la marcia su Roma volle mantenere la sua forza armata di partito anziché deporla.47

Nonostante ciò, il lavoro del quotidiano è proseguito e nel 1924 per volontà di Tessitore, è stato pubblicato il “Memoriale Rossi”48: nel quale si citava il Duce come mandante dell’omicidio dell’onorevole Giacomo Matteotti, colpevole di aver denunciato i brogli elettorali. Così dunque titolava «L’Ora»:

«Gravissime accuse di Cesare Rossi contro Mussolini: “tutto quanto è successo è avvenuto sempre per volontà diretta o per approvazione o per complicità del Duce”»49

Tale atto di denuncia è stato possibile grazie anche al supporto della famiglia Pecoraino, che dopo aver rilevato le quote del giornale palermitano dai Florio, aveva fondato il quotidiano «Il Mondo» nella città di Roma, ponendovi come direttore Giovanni

Roma La Sapienza, Facoltà di Scienze statistiche e attuariali, Dipartimento di scienze demografiche,

Omaggio a Giorgio Mortara - vita e opere, 1985

47

L’atteso discorso dell’onorevole Saleri contro la politica del governo, in L’Ora 21-22 Novembre 1924

48 Cesare Rossi: dopo essere stato redattore in varie testate socialiste, con l’avvento del fascismo è

diventato redattore capo dell’ufficio stampa del Gran consiglio. Dopo la scomparsa di Matteotti, è stato accusato di concorso e favoreggiamento nell’omicidio del parlamentare; da latitante ha scritto un memoriale in cui oltre a dichiarare la propria estraneità nei fatti, accusava Mussolini di aver avuto piena responsabilità nell’omicidio di Matteotti. Il memoriale, formato da diciotto cartelle di appunti, è stato reso noto solo dopo che Rossi si è costituito. Per approfondimenti si veda C. Rossi, Il delitto Matteotti nei

procedimenti giudiziari e nelle polemiche giornalistiche, Milano, Ceschina, 1965.

49 Gravissime accuse di Cesare Rossi contro Mussolini: “tutto quanto è successo è avvenuto sempre per

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29 Amendola50. I due giornali sono stati così i primi a pubblicare il memoriale di Cesare Rossi quale atto di dissenso alla condotta di Mussoline e delle sue “camice nere”.

Io non posso essere considerato uno squadrista qualunque irresponsabile e senza credito[…] per vendetta, per calcolo, o per paura tendono ad attribuire a me l’organizzazione dei vari casi di violenza illegalista accadute dalla marcia su Roma in qua[…] voglio subito dire che tutto quanto p successo, è avvenuto sempre per volontà diretta o per approvazione o per complicità del Duce51.

La risposta del Regime non si è fatta attendere: nel 1926 sia «L’Ora» che «Il Mondo» sono stati costretti a chiudere e le proprietà del loro patron sequestrate, controllate dalla Banca Commerciale52.

Il mite consenso che, fino al 1925, aveva avuto la Sicilia nei confronti del fascismo, è mutato durante le elezioni amministrative di quello stesso anno. Artefice di tale cambiamento è stato Ignazio Florio, che nonostante avesse perduto tutte le sue ricchezze, era riuscito a conservare un forte ascendente sull’opinione pubblica. Fino a quel momento, la classe dirigenziale palermitana sembrava propensa a supportare la lista elettorale di stampo liberale di Vittorio Emanuele Orlando; tuttavia, l’ ex armatore aveva fatto notare il cambio repentino della situazione politica italiana, sottolineando come il fascismo potesse essere lo strumento di tutela e di garanzia dei loro privilegi. L’adeguamento elettorale della classe dirigente, era ormai cosa fatta: nelle elezioni del 1925 la Sicilia diventava fascista.

Una delle conseguenze di tale scelta politica, è stata l’attuazione delle “Leggi Fascistissime”; in seguito alle quali, tra le altre cose, veniva applicata a tutti i giornali

50

Giovanni Amendola, dopo una breve parentesi come accademico, ha seguito la sua vera vocazione di giornalista e politico; candidatosi è stato eletto nel 1919 con il partito «Democrazia Liberale». Nel giugno 1922 ha fondato il «Partito democratico italiano», insieme al leader radicale Francesco Saverio Nitti, con il quale è rimasto in contatto fino alla morte. Dopo la marcia su Roma, si è schierato apertamente contro Mussolini sia in parlamento che sui suoi editoriali, tanto da essere oggetto di intimidazioni e pestaggi che ne causeranno la morte. Per approfondimenti si veda G. Carocci, Giovanni Amendola nella crisi dello

stato italiano (1911-1925), Milano, Feltrinelli, 1956.

51 Gravissime accuse di Cesare Rossi contro Mussolini: “tutto quanto è successo è avvenuto sempre per

volontà diretta o per approvazione o per complicità del Duce”, in “L’Ora”, 28-29 Dicembre 1924

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30 del Regno una pesante censura e un rigido controllo per quanto riguardava i direttori. Medesima sorte toccava alla redazione de «L’Ora» che, dopo un anno di chiusura, riprendeva le pubblicazioni con il sottotitolo “Quotidiano Fascista del Mediterraneo”. Primo direttore del neonato giornale fascista è stato uno storico redattore del quotidiano, Nino Sofia53.

I gerarchi nuovi padroni per premunirsi contro futuri fastidi lo nominarono direttore, ritenendolo, in quanto ‘sportivo’, politicamente incolore. Ma come per una rivincita o la beffa di uno ‘spiritello’ indomito, si accorsero a un certo momento che attorno a Sofia si erano venuti raccogliendo ultimi superstiti e prime nuove reclute della cultura antifascista, e che «L’Ora» anziché obbedienza trasudava ‘fronda’ da ogni poro. L’inaffidabile direttore fu all’istante estromesso, perdette giornale e poltrona; era il 1936, anno della guerra d’Africa e del più ampio consenso al regime 54

Un acceso scontro con il direttore dell’«Ottobre» Asvero Gravelli55

, giornalista e stretto collaboratore del Duce, è stato dunque il pretesto dell’allontanamento di Sofia dal giornale palermitano. Il Gravelli, dalle pagine del suo quotidiano, accusava, infatti, la redazione de «L’Ora » di essere un covo di antifascisti e di aver preso parte alla «sottoscrizione per una targa in memoria di Giacomo Matteotti»56

La polemica giornalistica si è conclusa ovviamente con il licenziamento non soltanto di Sofia e del suo braccio destro Giovanni Filippone, ma di tutti quei giornalisti che non erano disposti a tesserarsi, continuando la loro campagna denigratoria del fascismo.

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Antonino Sofia palermitano di nascita, ha dedicato i suoi anni giovanili allo sport, diventando in pochi anni l’asso del ciclismo siciliano; la sua passione per lo sport l’ ha fatto approdare alla redazione de «L’Ora» nella quale ha tenuto una pagina interamente dedicata allo sport. Questo, tuttavia, non rendeva Sofia un giornalista di seconda categoria rispetto ai suoi colleghi; tanto che divenuto direttore del quotidiano, ha cercato fino all’ultimo di tenere lontane le logiche fasciste dalla redazione. Si faccia riferimento a https://www.comune.palermo.it/archivio_biografico.php?sel=1&asel=704 consultato il 25 Gennaio 2017

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V. Nisticò in Accadeva in Sicilia. Gli anni ruggenti dell'«Ora» di Palermo. Palermo, Sellerio, 2001 p 34

55 Asvero Gravelli è stato uno dei più importanti gerarchi fascisti. Ha aderito fin da subito alle idee

mussoliniane, partecipando attivamente alla marcia su Roma; da quel momento, oltre che occuparsi dei suoi incarichi per conto del Duce, si è dedicato attivamente alla carriera giornalistica acquistando il quotidiano «Ottobre» che avrebbe pubblicato gli interi dettami della campagna razzista iniziata nel 1938. Dopo la guerra, venne arrestato, ma godendo dell’amnistia, è stato rilasciato nel 1947. Per approfondimenti M.A. Ledeen, L'internazionale fascista, Roma-Bari, 1973

56 AA.VV. Enciclopedia dell’antifascismo e della Resistenza vol VI Milano - Roma La Pietra 1968-1969

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31 Neanche la famiglia Pecoraino, era riuscita in alcun modo salvare l’indipendenza giornalistica de «L’Ora» poiché, dopo aver avuto sequestrato gran parte del loro patrimonio, erano costretti a perdere anche le ultime imprese. Le loro quote sono state rilevate da Virga, un imprenditore fascista che man mano, aveva fatto assorbire la gestione del quotidiano alla Federazione fascista di Palermo, concludendo in questa maniera l’ultimo sussulto di autonomia del giornale.

Nel 1940 Sebastiano Lo Verde, genero di Filippo Pecoraino, ha cercato di riportare sotto l’egida della famiglia parte delle quote azionarie de «L’Ora», che tuttavia, ha continuato la sua attività al servizio del regime fascista fino al 28 Agosto nel 1943, anno in cui tutte le pubblicazioni giornalistiche di ispirazione fascista venivano poste sotto il controllo del comando alleato e interrotte.

1.2 La nascita della Repubblica e le lotte contadine

Il giornale, dopo la sospensione, ha ripreso regolarmente le sue pubblicazioni nel 1946, ritornando nelle edicole con il nome «L'Ora del Popolo-Quotidiano del pomeriggio». Al timone del giornale è stato richiamato Nino Sofia che vi è rimasto fino al 1947.

Il suo incarico ha assunto i connotati simbolici di un ritorno alla vecchia libertà di stampa che era stata annichilita dalla dittatura fascista. La ristampa del quotidiano ha coinciso con un momento storico di cambiamento per l’Italia e soprattutto per la Sicilia nella quale imperversava, da un lato la situazione politica, economica e sociale critica del dopoguerra e dall’altro i numerosi scontri tra latifondisti e contadini che hanno interessato l’isola alla fine degli anni Quaranta. Ritornato ad essere il giornale battagliero di un tempo, ha acceso subito un dibattito sul Referendum Istituzionale che avrebbe fatto scegliere al popolo italiano tra Monarchia e Repubblica.

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32 Lo Verde, ritornato proprietario del giornale, ha avallato e sostenuto l’intenzione del quotidiano di schierarsi fermamente con la Repubblica, scelta che sicuramente, in una terra come la Sicilia, risultava quantomeno controcorrente se non impavida.

Le grandi città dell’Isola, nella quale imperavano i notabili, i proprietari terrieri e i professionisti, sono state quelle che hanno portato maggior voti alla Monarchia, a differenza delle periferie e delle zone rurali. Questa dualità non deve stupire: nelle campagne, i partiti di massa avevano assunto velocemente un ruolo chiave all’interno delle nuove aspirazioni agrarie dei contadini e votare per la Repubblica avrebbe significato sostenere le direzioni dei partiti di sinistra, che promettevano il sovvertimento dei rapporti ancora feudali fra proprietari terrieri e contadini.

Riguardo le riforme agrarie, «L’Ora» ha riportato un discorso di Togliatti, il quale, cosi ha sintetizzato i propositi del governo sulla questione:

«vuole tendere ad estendere, rafforzare, difendere la piccola e media proprietà distruggendo i residui feudali dappertutto laddove esistono, questa riforma è nel cuore di tutti i contadini siciliani e di tutti i lavoratori siciliani»57

Per «L’Ora» era implicito quindi schierarsi a favore di un miglioramento delle condizioni dei lavoratori, a vantaggio di un cambiamento che avrebbe portato la Sicilia a sganciarsi dal costante isolamento in cui l’avevano costretta la realtà economica e sociale delle politiche fino ad allora susseguitosi. Il titolo che «L’Ora» ha proposto per il 1 Giugno del 1946 era quanto di più esplicito potesse esserci:

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Aldisio, De Gasperi e Togliatti riaffermano il diritto delle regioni all’autonomia, in L’Ora, 13 Maggio 1946

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