Il giornale, dopo la sospensione, ha ripreso regolarmente le sue pubblicazioni nel 1946, ritornando nelle edicole con il nome «L'Ora del Popolo-Quotidiano del pomeriggio». Al timone del giornale è stato richiamato Nino Sofia che vi è rimasto fino al 1947.
Il suo incarico ha assunto i connotati simbolici di un ritorno alla vecchia libertà di stampa che era stata annichilita dalla dittatura fascista. La ristampa del quotidiano ha coinciso con un momento storico di cambiamento per l’Italia e soprattutto per la Sicilia nella quale imperversava, da un lato la situazione politica, economica e sociale critica del dopoguerra e dall’altro i numerosi scontri tra latifondisti e contadini che hanno interessato l’isola alla fine degli anni Quaranta. Ritornato ad essere il giornale battagliero di un tempo, ha acceso subito un dibattito sul Referendum Istituzionale che avrebbe fatto scegliere al popolo italiano tra Monarchia e Repubblica.
32 Lo Verde, ritornato proprietario del giornale, ha avallato e sostenuto l’intenzione del quotidiano di schierarsi fermamente con la Repubblica, scelta che sicuramente, in una terra come la Sicilia, risultava quantomeno controcorrente se non impavida.
Le grandi città dell’Isola, nella quale imperavano i notabili, i proprietari terrieri e i professionisti, sono state quelle che hanno portato maggior voti alla Monarchia, a differenza delle periferie e delle zone rurali. Questa dualità non deve stupire: nelle campagne, i partiti di massa avevano assunto velocemente un ruolo chiave all’interno delle nuove aspirazioni agrarie dei contadini e votare per la Repubblica avrebbe significato sostenere le direzioni dei partiti di sinistra, che promettevano il sovvertimento dei rapporti ancora feudali fra proprietari terrieri e contadini.
Riguardo le riforme agrarie, «L’Ora» ha riportato un discorso di Togliatti, il quale, cosi ha sintetizzato i propositi del governo sulla questione:
«vuole tendere ad estendere, rafforzare, difendere la piccola e media proprietà distruggendo i residui feudali dappertutto laddove esistono, questa riforma è nel cuore di tutti i contadini siciliani e di tutti i lavoratori siciliani»57
Per «L’Ora» era implicito quindi schierarsi a favore di un miglioramento delle condizioni dei lavoratori, a vantaggio di un cambiamento che avrebbe portato la Sicilia a sganciarsi dal costante isolamento in cui l’avevano costretta la realtà economica e sociale delle politiche fino ad allora susseguitosi. Il titolo che «L’Ora» ha proposto per il 1 Giugno del 1946 era quanto di più esplicito potesse esserci:
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Aldisio, De Gasperi e Togliatti riaffermano il diritto delle regioni all’autonomia, in L’Ora, 13 Maggio 1946
33 « Siciliani: nel referendum votate per la Repubblica e per la costituente votate per una lista repubblicana – date il voto di preferenza ai candidati sinceramente repubblicani e che si sono chiaramente espressi a favore della “vera” autonomia»58
Allo spoglio delle schede, tuttavia, la Sicilia è risultata la regione che maggiormente aveva favorito la Monarchia: per la classe dei notabili, la corona, rappresentava la conservazione dello status quo presente nell’Isola prima del fascismo, e non avrebbe mai rinunciato ai favori che la Monarchia avrebbe potuto portare loro, a favore dell’astratto ideale repubblicano di matrice comunista.
Nonostante tali promesse, il vecchio mondo, così caro ai gattopardi siciliani, si infrangeva con la proclamazione della Repubblica; dal quel momento iniziava un periodo storico particolare dal punto di vista storico, economico e politico dell’isola. La fine degli anni Quaranta, infatti, è coincisa con una ripresa delle agitazioni dei contadini e degli operai, ritrovatisi nelle stesse condizioni di miseria che avevano lasciato prima della guerra. Tali rivendicazioni e mutamenti sociali erano diventati l’argomento principale degli editoriali de «L’Ora», tanto da restituire al giornale palermitano quel seguito che era stato costretto a perdere con il fascismo. A questo ha contribuito, indubbiamente, anche la nuova direzione, passata da Nino Sofia a Pier Luigi Ingrassia, giornalista calabrese proveniente dalle file socialiste.
Le lotte contadine verificatesi nel dopoguerra, avevano avuto la loro matrice nel 1944. In un paese ancora diviso in due, il comunista Fausto Gullo, ministro dell'Agricoltura nel Secondo governo Badoglio, era riusciva a far approvare una serie di decreti (il D.L. del 19 Ottobre 1944, n. 279) che avevano come obiettivo il superamento del latifondo e la distribuzione dei terreni incolti o mal coltivati ai contadini con conseguente revisione
58 Siciliani: nel referendum votate per la Repubblica e per la costituente votate per una lista
34 dei patti agrari, in modo da garantire ai fittavoli almeno il 50% della produzione da dividere con il proprietario59. I decreti, hanno avuto come risultato, la costruzione una forza sindacale e contadina supportata dall’azione del Partito Comunista. Sono stati, in sintesi, come dice Paolo Cinanni, «dei formidabili cavalli di battaglia ed i più efficaci strumenti di aggregazione ed iniziativa»60. In effetti, il Movimento dei Contadini ha avuto in questi anni molta più incisività se lo si vuole comparare alle rivendicazioni che avevano preso luogo ad inizio secolo; ciò era dovuto sia ad un maggior numero di partecipanti e di forze connesse al movimento stesso, sia alla perseveranza dei contadini che a differenza delle prime manifestazione- in cui si ricercava di far valere i propri diritti al governo- agivano legittimati dalle leggi e dai Partiti di Massa. 61
Nelle campagne i segni di ripresa della attività politica erano più vivaci ed intensi: nella massa contadina già si potevano notare segni evidenti di fermenti dovuti alla generale miseria, ai soprusi, alla corruzione dilagante, che stimolavano la reazione della gente affamata. In questa situazione, e per quello che allora era dato prevedere, […]apparivano suscettibili di divenire forti partiti di massa: […] i comunisti, che già cominciavano a riorganizzarsi, e che avrebbero potuto certamente contare sull’adesione dei contadini, dei minatori e dei gruppi operai, poco numerosi ma molto attivi62
Per volere dei decreti, i latifondi erano stati scissi in appezzamenti minori e consegnati alle camere del lavoro e i ai sindacati che ne avrebbero guidato le assegnazioni. Tuttavia l’attuazione della normativa si è rivelata più perigliosa di quanto si potesse immaginare, soprattutto per l’ostilità che i notabili e i proprietari terrieri mostravano: occorreva, dunque, fare pressioni, manifestare e occupare. Nonostante i periodi non facili che il Movimento Contadino stava attraversando, la politica siciliana mostrava segni di cambiamento: nelle elezioni regionali del 20 Aprile 1947 il Fronte Democratico
59 F. Renda, Il movimento contadino in Sicilia. E la fine del blocco agrario nel mezzogiorno, De Donato
editore, Bari 1976
60 P. Cinanni, Lotte per la terra nel mezzogiorno 1943-1953, Marsilio editore, Milano, 1977, pag. 28 61 G.C. Marino, Socialismo nel latifondo, Palermo Esa, 1972
62 M. Pantaleone., Mafia e politica. All’origine di "cosa nostra". Edizioni Res Gestae, Milano, 2013. pp.
35 Popolare (FDP), che raggruppava le coalizioni del PCI e PSI, aveva avuto la meglio sulla Democrazia Cristiana, da sempre sostenuta dalla borghesia siciliana. Il particolare clima politico e sociale dell’Isola era culminato con i festeggiamenti del Primo Maggio, nella piana di Portella della Ginestra. Quel giorno, un gruppo di fuoco formato da alcuni membri della banda di Salvatore Giuliano, ex militanti della X Mas e mafiosi, ha sparato su di una folla di quasi duemila contadini- riunita per festeggiare la ricorrenza- facendo rimanere sul campo 11 morti, 56 feriti e una verità giudiziaria sulla strage, parziale e piena di molti punti oscuri.63
La redazione de «L’Ora», profondamente scossa, dedicava la sua prima pagina al massacro, titolando: «La festa del lavoro in Sicilia funestata da un barbaro massacro a Piano della Ginestra»64.
Il primo editoriale ad esser pubblicato è stato quello del direttore. Oltre a manifestare spiccatamente il profondo rammarico per i morti, per una sempre più veloce e rivelata perdita della più semplice umanità, Ingrassia, dichiarava che i segni presenti nella strage erano cosi evidentemente assimilabili ad un delitto politico, da non poter per passare inosservati. Il pensiero che il massacro era stato il risultato di un “gioco" che intrecciava politica, baroni e braccio armato era evidente; il difficile sarebbe stato capire i legami e avere delle prove.
Noi ci rifiuteremmo di credere ad un delitto politico[…]ci rifiuteremmo, ripetiamo, di crederlo se i segni non fossero, purtroppo, chiari e palesi[…].chi ha ucciso? Chi ha armato e pagato i sicari? Chi ha gettato quest’ombra sullo stesso popolo siciliano?[…]Appellarsi al Governo, alle autorità, esigere immediata giustizia, si, è quello che facciamo anche noi.ma pensiamo che al di sopra di queste invocazioni, sia necessario chiedere agli italiani un più alto senso di umanità e di fratellanza. Basta con il sangue! Le
63 U. Santino, La democrazia bloccata. La strage di Portella della Ginestra e l’emarginazione
delle sinistre, Rubettino editore, Soveria Mannelli, 1997
Inoltre G. Casarrubea, Portella della Ginestra. Microstoria di una strage di Stato, Franco Angeli editore, Milano, 1997
64La festa del lavoro in Sicilia funestata da un barbaro massacro a Piano della Ginestra, in L’Ora, 3
36 idee non si spengono con gli eccidi. Essi anzi le rendono più belle e luminose[…]. Uniamoci, italiani, nel nome della Repubblica per difendere la Patria e la vita. Inchiniamoci difronte ai Morti di ieri e giuriamo ai loro figli, a noi stessi, che l’Italia non deve diventare terra delle bare.65
L’editoriale, non era di certo il primo e non sarebbe stato l’ultimo dei numerosi reportage, che il giornale ha scritto, elencando i morti caduti per la “primavera” contadina; basti pensare che ha redatto puntualmente, dal 1945 al 1949, tutti i sindacalisti uccisi - 36 uomini impegnati nelle camere del lavoro e nell’organizzazione dei lotti, tra i quali Accursio Miraglia, Placido Rizzotto e Salvatore Carnevale66- mettendo in rilievo le connessioni tra il loro operato e la loro morte, sottintendendo, a volte non troppo velatamente, la mano dietro gli omicidi.
La gente del feudo vive sotto il terrore del suo padrone assoluto che intanto accumula ricchezze custodendole gelosamente con un’amministrazione cavillosa. Chi ne fa le spese è il contadino che non riesce a liberarsi dal giogo[…]. Come se non bastasse, in questo edificante ambiente vive e prospera la mafia, prodotto di una situazione sociale che trova le sue radici nel passato: essa è al servizio della classe dirigente contro i diritti dei minatori ecc. La mafia grava soffocatrice sulle energie produttive del popolo, impedendone ogni sviluppo[…].I mitra non potranno fermare la marcia proletaria, lo sappiano i nobili, lo sappiano i mafiosi[…]67
L’intensa campagna intrapresa dal giornale a favore degli sforzi del sindacato e dei bisogni del proletariato, cozzanti con gli interessi dei baroni e della mafia, ha avuto il suo riscontro in una lettera giunta in redazione il 29 Giugno 1947.
La lettera, che in un italiano non tipico dei contadini di quegli anni, intimava il direttore di tenere a freno le speculazioni giornalistiche fatte dai suoi redattori; la missiva che
65 P. Ingrassia, Basta con il sangue!,in L’Ora, 3 Maggio 1947
66 Miraglia, Rizzotto e Carnevale sono stati tre sindacalisti uccisi dalla mafia rispettivamente nel 1947,
1948 e 1955 a causa della loro ardita lotta per l’attuazione dei decreti Gullo e la distribuzione dei feudi dei baroni. Per approfondimenti si veda: U. Ursetta, Salvatore Carnevale, la mafia uccise un angelo senza
ali, Nuova Iniziativa Editoriale dell’Unità, Roma, 2005; U. Ursetta, Le foibe della mafia. Accursio Miraglia e Placido Rizzotto, sindacalisti, Nuova Iniziativa Editoriale dell’Unità, Roma, 2005;
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37 minacciava i giornalisti de «L’Ora» di “rimetterci la pelle”, era del bandito Salvatore Giuliano68.
«Egregio Direttore, in clima democratico ed in regime di libertà[...]deve essere data la possibilità di far sentire la mia parola e specialmente rispondere a certi signori che spesso e volentieri si prendono il lusso di parlare, con uno strano menefreghismo, di me[…]»69
Il messaggio era una risposta del bandito ad un articolo, che un corrispondente romano de «L’Ora», Leonardo Salemi, aveva scritto; in questo si affermava che Giuliano, «Non è altro che un volgare predone della strada al servizio di alcuni registi che lo guidano in maniera diabolica volendo rendere un mito colui che è solo un volgare bandito»70.
Giuliano, di contro, scriveva che
Nella vita di noi banditi c’è tanta dignità e tanto rispetto che quando si fa un’asserzione del genere o si dimostra con elementi inconfutabili di aver detto la verità o ci si rimette la pelle per lavare l’onta. In queste condizioni si è venuto a trovarsi il Sig. Salemi, il quale credendo in un momento di foga giornalistica di essere troppo sicuro, ha voluto far credere di essere coraggioso facendo credere che sa anche insultarmi. Non gli spetta che dimostrare ciò e mettere in prova il suo coraggio[…]per evitare spiacevolissimi inconvenienti, La esorto a pubblicare la lettera e gliene sarò tanto grato diversamente ho i mezzi e la disponibilità per farmi rispettare e temere anche da lei71 .
La risposta arguta e poi passata alla storia, del direttore Ingrassia non si è fatta attendere e nell’editoriale intitolato “Risposta a Giuliano se la lettera è sua…” ha scritto:
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Salvatore Giuliano è diventato ufficialmente bandito nel 1943 dopo l’uccisione di una carabiniere. Organizzato il primo gruppo della sua banda, formata da una dozzina di latitanti, si unisce al Movimento Separatista dal 1945 fino al 1947 anno in cui il movimento è stato sciolto. Entrata in relazione con la mafia, la banda Giuliano ha operato l’eccidio di Portella della Ginestra, nella quale sono state uccise undici persone. Diventato scomodo per molti, il bandito è stato ritrovato, morto, a Castelvetrano, nel 1950. Per approfondimenti si rimanda a F. Renda Salvatore Giuliano. Una biografia storica, Sellerio, Palermo 2002
69 P. Ingrassia, Risposta a Giuliano se la lettera è sua…, in L’Ora, 2 luglio 1947 70 Ibid.
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38 Noi non abbiamo paura di “rimetterci la pelle”; la pelle è un tessuto- caro Giuliano- che ha un valore se sotto ci sono tanti organi fra i quali il cervello e il cuore e quindi un'idea e una passione. Se per paura dovessimo rinunciare all'idea, a che ci servirebbe la pelle? Sarebbe meglio portartela a Montelepre, per evitarti il disturbo di venirla a prendere a Palermo? Cerca anche tu di avere un’idea; la tua e non quella degli altri72
.
La minaccia di Giuliano rappresentava il sintomo che il giornale, pur avendo da sempre mantenuto una limitata tiratura, riusciva ad essere un fastidio per tutti quelli che venivano messi in relazione con fatti e logiche di cui scriveva. Mal sopportato dalla maggior parte dei notabili palermitani, agli inizi degli anni Cinquanta il giornale è stato costretto a subire l’ennesimo cambiamento al suo interno.