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cipi di uguaglianza e di ragionevole durata del processo

La disamina dell’inquadramento costituzionale dei criteri di priorità impone di affrontare un versante critico ulteriore ma collegato a quello dell’art. 112 Cost., cioè quello inerente il rapporto con il

principio di uguaglianza ex art. 3 Cost., rispetto al quale il

principio di obbligatorietà dell’azione penale si pone in rapporto di sussidiarietà1. L’obbligo perentorio previsto in capo all’autorità

giudiziaria di agire per la repressione dei reati senza margini di

discrezionalità costituisce un importante presidio all’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, in quanto garantisce la parità di trattamento di ogni individuo rispetto all’esercizio dell’azione penale2.

I criteri di priorità introducono indubbiamente una differenzia- zione per quanto riguarda il profilo della tempistica di trattazione dei procedimenti penali, diversificandoli in base ad un’asserita necessità di disamina più o meno prioritaria. Sotto il profilo del- l’analisi della compatibilità tra art. 3 Cost. e criteri di priorità si pone come fondamentale discrimine tra legittimità e illegittimità la modalità di costruzione del sistema delle priorità, in particolar modo i profili inerenti l’organo devoluto alla loro individuazione e i canoni che devono ispirare l’ordine di priorità. Si pone come impre- scindibilmente necessario al fine della compatibilità con il principio di uguaglianza che i criteri che orientino l’ordine di trattazione degli affari penali siano:

• predeterminati e di applicazione generalizzata, in modo da consentirne un’attuazione omogenea sul territorio naziona- le, arginando il rischio di patenti disparità di trattamen- to processuale basate unicamente sulla diversa collocazione territoriale;

2In proposito, nell’ordinamento statunitense è previsto un apposito istituto,

denominato “equal protection clause”, previsto nel XIV emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America a presidio di un esercizio dell’azio- ne penale non discriminatorio. L’equal protection clause consente infatti di eccepire l’illegittimità dell’azione penale qualora sia stata effettuata secon- do modalità discriminatorie, vale a dire quando in situazioni analoghe altri individui non siano stati perseguiti e tale trattamento differenziato non sia stato giustificato da ragioni conformi all’impianto costituzionale. Sul punto, V. Vigoriti, Pubblico ministero e discrezionalità dell’azione penale negli Stati Uniti d’America, in Pubblico ministero e accusa penale, a cura di G. Conso,

• fondati su canoni oggettivi e tassativi, in modo tale da espun- gere dall’istituto profili di discrezionalità libera e potenzial- mente discriminatoria3.

Ulteriore profilo di compatibilità da analizzare è quello costi- tuito dal rapporto con il principio di ragionevole durata del

processo, sancito a livello sovranazionale dall’art. 6 della Con-

venzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata nel nostro ordinamento con legge n. 848 del 1955, in base alla quale «ogni persona ha diritto ad un’equa e

pubblica udienza entro un termine ragionevole». Nell’ordinamento

italiano il principio di ragionevole durata del processo è stato previ- sto esplicitamente4 all’interno della Carta Costituzionale all’art. 111

comma 2, in cui è sancita la ragionevole durata che il legislatore deve assicurare nell’ambito del giusto processo5:

«ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in con-

dizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata». In base a queste statuizioni è

riconosciuto il diritto in capo al singolo cittadino di ottenere una risposta giudiziaria con sufficiente livello di tempestività e si pone dunque come problematica la possibilità di rinviare la trattazione di alcuni processi alla luce dei criteri di priorità. Tuttavia, l’illegit- timità di questi criteri per quanto riguarda questo profilo sarebbe

3Ciò è stato già oggetto di osservazione nella disamina della compatibilità

dei criteri di priorità con l’art. 112 Cost. nel paragrafo 2.3 a pagina 25.

4Con intervento della legge di revisione costituzionale n. 2 del 23 novembre

1999.

5Necessaria menzione su questo tema è da effettuarsi nei confronti della

legge Pinto, legge n. 89 del 24 marzo 2001, varata al fine di garantire l’effettività del diritto al risarcimento del danno dovuto alla lesione del diritto alla durata ragionevole del processo.

integrata soltanto qualora essi incidessero in maniera negativa sulla capacità dell’ordinamento di rendere giustizia in tempi “ragionevo- li”. Occorre a tal fine necessariamente sottolineare che il principio sancito dall’art. 111 comma 2 Cost. debba essere interpretato alla luce del quadro costituzionale complessivo, in particolar modo considerando le garanzie difensive riconosciute dall’art. 24 Cost. In questo senso dunque la ragionevolezza della durata non coincide totalmente con la brevità del processo, ma con una risposta da parte della giustizia che sia contestualmente sia tempestiva che completa dal punto di vista delle garanzie processuali. Per durata ragionevole deve dunque essere inteso un arco temporale idoneo dal punto di vista sia della tempestività sia dell’adeguatezza delle ga- ranzie assicurate. In questo senso criteri di priorità che determinino una postergazione nel tempo della trattazione di alcuni processi non costituiscono una lesione del principio di ragionevole durata del processo, intervenendo essi come criteri di razionalizzazione del sistema nell’ottica di una gestione maggiormente efficiente del carico di lavoro. Se il diritto alla durata ragionevole del processo subisce lesioni6, la causa è da imputarsi non all’adozione di criteri

di gestione del carico di lavoro, ma alla mole del lavoro stesso e all’incapacità del sistema processuale di fronteggiarlo efficiente- mente. Una conferma in questo senso è pervenuta dal Consiglio

6Ciò è appurato dalle numerose condanne comminate dalla Corte europea

dei diritti dell’uomo nei confronti dello stato italiano, quale ad esempio la sentenza del 28/7/1999, caso Bottazzi c. Italia, n. 34884/97.

superiore della magistratura7 , il quale ha sottolineato come i criteri

di priorità costituiscano un modello organizzativo virtuoso anche alla luce del principio di ragionevole durata del processo. Il C.s.m. ha infatti riconosciuto in capo al procuratore della Repubblica nell’ambito dell’organizzazione dell’ufficio il dovere di perseguire anche l’obiettivo della ragionevole durata del processo8 e a tal fine

lo ha invitato ad elaborare criteri di priorità9:

«Allo scopo di garantire la ragionevole durata del processo, il

Procuratore della Repubblica assicura un’attenta e particolareggia- ta analisi dei flussi e delle pendenze dei procedimenti ed il loro costante monitoraggio e [. . . ] nel rispetto del principio di obbli- gatorietà dell’azione penale e dei parametri fissati dall’art.132-bis disp.att. c.p.p. e delle altre disposizioni in materia, può elaborare criteri di priorità nella trattazione dei procedimenti».

3.2

Legittimazione a porre i criteri di

priorità

Interrogativo preliminare si pone dunque rispetto alla necessità di individuare l’organo incaricato di definire i criteri di priorità, poiché il loro ambito di applicazione avrà un’ampiezza più o meno estesa a seconda della sfera di competenza del soggetto individuato, con dirette ricadute sul principio di uguaglianza. Quanto minore

7Circolare C.s.m., 16 novembre 2017 “Elaborazione di una risolu-

zione unitaria in materia di organizzazione degli Uffici del Pubblico Ministero”, in www.csm.it/web/csm-internet/-/elaborazione-di-una- risoluzione-unitaria-in-materia-di-organizzazione-degli-uffici- del-pubblico-ministero.

8Art. 2 comma 1, circolare C.s.m., 16/11/17. 9Circolare C.s.m. 16/11/17, art. 3.

sarà l’estensione applicativa dei principi dal punto di vista terri- toriale, tanto maggiore sarà il numero di sistemi di priorità posti sul territorio nazionale, con parallelo incremento di situazioni di disomogeneità tra zona e zona. Dalla diversificazione del trattamen- to processuale conseguirebbe un «fenomeno di opaco federalismo

giudiziario»10 del tutto incompatibile con il sistema costituzionale.

Il diverso trattamento processuale rispetto alle medesime con- dotte di reato, oltre a costituire un’illegittima discriminazione alla luce del principio di uguaglianza, genererebbe anche ulteriori delete- rie ricadute, quale ad esempio il rischio di “set crime shopping” per le fattispecie di reato rispetto alle quali sia consentita una diversa dislocazione territoriale (quali i reati in tema di criminalità econo- mica). Sussiste infatti il pericolo che venga appositamente scelto il locus commissi delicti in base a considerazioni di convenienza “processuale” improntate alla trattazione più o meno prioritaria dei processi concernenti quei determinati reati. In questo senso stabilire una scala di priorità avrebbe effetti di carattere potenzial- mente criminogeno rispetto alle fattispecie di reato reputate non prioritarie, in quanto la prospettiva di una possibile impunità in base alla previsione di una non tempestiva investitura processuale potrebbe vanificare l’efficacia deterrente perseguita dalla norma penale.

Per quanto riguarda l’attribuzione della competenza a porre i criteri di priorità si pone l’ulteriore problematica della legittimazio- ne democratica. Le scelte riguardanti le priorità sono riconducibili

10Per questa formula, G. Fiandaca e G. D. Chiara, Un’introduzione al sistema

all’alveo delle decisioni in tema di politica criminale, poiché de- terminano in ultima istanza la creazione di una gerarchia di reati da perseguire in ordine ai tempi del procedere. Nell’ambito degli ordinamenti democratici le scelte in tema di politica criminale sono generalmente riservate ad organi aventi legittimazione democra- tica11 e dotati di responsabilità politica, quale il Parlamento, e

si pone dunque come problematica la loro attribuzione alla ma- gistratura, cioè un organo scevro di legittimazione democratica (in quanto i suoi componenti sono reclutati tramite concorso) e

irresponsabile dal punto di vista politico12.

Parallelamente, ulteriore problematica si rileva considerando il tema dell’indipendenza esterna dell’organo della magistratura, che osta ad una costruzione del sistema delle priorità che implichi indebite interferenze volte ad orientare l’attività del magistrato13.

La tematica concernente l’attribuzione della competenza a porre i criteri di priorità richiede dunque di garantire principi diversi: quello di uguaglianza da un lato, quelli inerenti l’indipendenza e la

11Per esempio, nell’ordinamento statunitense il sistema di selezione dei

procuratori distrettuali avviene tramite elezione politica e di conseguenza in questo ordinamento a differenza di quello italiano i procuratori sono soggetti dotati di responsabilità politica. In questo caso è dunque consentita l’adozione da parte dei district attorney di provvedimenti in tema di politica criminale, come avviene nel caso dell’adozione delle guidelines (l’analogo dei criteri priorità, adottate in base alle esigenze specifiche del distretto di competenza).

12Sul punto, D. Vicoli, Scelte del p.m. nella trattazione delle notizie di reato

e art. 112 Cost.: un tentativo di razionalizzazione, in Rivista italiana di diritto processuale, 2003, p. 280.

13Un tentativo in questo senso era stato operato in seno al Consiglio dei Mi-

nistri, nella riunione del 25 ottobre 1991, in cui era stato approvato un decreto legislativo in cui veniva sancita la possibilità per il Governo e il Parlamento di dare istruzioni al Procuratore nazionale antimafia, per quanto concerneva i reati di criminalità organizzata. Le opposizioni mosse (in particolar modo dall’Associazione Nazionale Magistrati) a causa delle prospettata lesione del principio di indipendenza esterna indussero il Governo alla modifica del testo approvato.

legittimazione democratica dall’altro.

L’affermato principio di indipendenza esterna della magistra- tura induce ad escludere la possibilità di ricondurre il potere di adottare i criteri di priorità in capo ad un organo del potere esecu- tivo, quale il Ministro della Giustizia14. Consentire ad un organo

del Governo di predisporre criteri per indirizzare l’attività della magistratura costituirebbe un’ingerenza illegittima alla luce del sistema costituzionale15.

Alla luce di queste considerazioni, il novero dei soggetti poten- zialmente destinatari di questa attribuzione consiste in:

1. il Consiglio superiore della magistratura;

2. il singolo magistrato, a livello individuale nell’organizzazione del proprio lavoro;

3. il capo ufficio, a livello del singolo ufficio; 4. il legislatore a livello centrale.

Per quanto concerne il Consiglio superiore della magistratura, in quanto organo di autogoverno unico e centrale, avrebbe potuto assicurare una statuizione di criteri di priorità in via generalizza-

14In merito, il disegno di legge costituzionale S. 1890, XVI legislatura, “Modi-

fica dell’art. 112 della Costituzione in materia di abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale”, a firma dei senatori Perduca e Poretti, in base al quale il Ministro della giustizia avrebbe avuto il compito di definire «linee guida» in base alle quali i Procuratori generali presso la Corte di Appello avrebbero stabilito nel rispettivo distretto di competenza le priorità in ordine all’esercizio dell’azione penale.

15Ulteriore conferma è ravvisabile nel fatto che la Costituzione individua

rigidamente le materie concernenti le funzioni del pubblico ministero in cui il potere esecutivo ha margini di intervento, come avviene nel caso dell’art. 107 comma 2 Cost., che sancisce la facoltà per il Ministro della giustizia di pro- muovere l’azione disciplinare, e dell’art. 110 Cost., in tema di organizzazione dei servizi relativi alla giustizia.

ta16. Tuttavia tale attribuzione non avrebbe comunque consentito

di risolvere la problematica inerente il deficit di legittimazione democratica, in quanto il Consiglio superiore della magistratura non è in base agli attuali meccanismi elettivi un organo espres- sione della sovranità popolare17. Ulteriore critica18 è stata mossa

a partire dalla considerazione del fatto che il C.s.m. costituisce l’organo di autogoverno della magistratura, ma non assurge anche a vertice gerarchico della struttura e di conseguenza ad esso non sarebbe riconducibile il potere di vincolarne i componenti tramite direttive inderogabili. La previsione costituzionale dell’indipen- denza dei singoli magistrati sembra volta ad escludere qualsiasi interferenza esterna, quindi anche quella proveniente dall’organo di autogoverno19.

Escludendo soggetti esterni quali il Ministro della Giustizia e il Consiglio superiore della magistratura, il principio di indipendenza richiederebbe dunque di ricondurre la competenza a porre criteri di priorità agli stessi organi della magistratura, cioè o al singolo magistrato o al capo ufficio, con buona pace della problematica

16In questo senso, M. Chiavario, L’obbligatorietà dell’azione penale: il

principio e la realtà, in Il pubblico ministero oggi (Atti del convegno di studi «Enrico de Nicola», Saint Vincent 3-4 giugno 1993), Milano, 1994, p. 95.

17Il Consiglio superiore della magistratura è infatti costituito da 27 membri

ed è presieduto dal Presidente della Repubblica. Escludendo i membri di diritto (quali il Primo Presidente della Corte di Cassazione e il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione), i restanti 24 componenti sono eletti soltanto per 1/3 dal Parlamento in seduta comune, mentre la parte maggiore di essi (i rimanenti 2/3) sono eletti da magistrati ordinari: ciò implica che i membri di nomina parlamentare costituiscano una minoranza all’interno dell’organo tale da non consentire di ritenerlo espressione della volontà popolare. In questo senso, N. Zanon, Pubblico ministero e Costituzione, Padova, 1996, p. 246.

18Sul punto, V. Onida, La posizione costituzionale del C.S.M. e i rapporti

con gli altri poteri, in Magistratura, C.S.M. e principi costituzionali, a cura di B. Caravita, Roma e Bari, 1994, p. 18.

19In questo senso vedi V. Zagrebelsky, Magistratura, la gerarchia da

inerente la legittimazione democratica richiesta per le scelte in tema di politica criminale.

Ricondurre però in capo ad ogni singolo magistrato (il singolo sostituto procuratore nell’ambito delle priorità in tema di svolgi- mento delle indagini preliminari, il singolo giudice nell’ambito della gestione dei ruoli di udienza) il compito di stabilire liberamente un ordine di priorità rispetto all’organizzazione del proprio lavoro comporterebbe una situazione di disomogeneità generalizzata in patente contrasto con l’art. 3 Cost., in quanto la gestione dei proce- dimenti sarebbe rimessa alla libera scelta del singolo non vincolata ad alcun criterio di carattere oggettivo. Infatti la possibilità per ogni magistrato di gestire in maniera libera e svincolata l’ordine di trattazione dei procedimenti secondo la sua discrezionalità com- porterebbe una gestione del tutto aleatoria dei procedimenti e, di conseguenza, un terreno fertile per l’insorgere di discriminazioni. Infatti, già assumendo il punto di vista del singolo ufficio se la scelta fosse rimessa ad ogni suo singolo componente la gestione tempistica dei processi risulterebbe profondamente disomogenea; questo risultato sarebbe poi ulteriormente amplificato assumen- do il punto di vista dell’intero territorio nazionale, in quanto ai trattamenti differenziati effettuati all’interno del singolo ufficio si aggiungerebbero quelli intercorrenti in tutti i diversi uffici, creando una situazione di profonda disomogeneità.

In assenza di un’elaborazione organica di criteri di priorità e stante l’oggettiva impossibilità di gestire tempestivamente il carico di lavoro, è proprio ogni singolo magistrato a dover di fatto adottare delle priorità come tecniche di organizzazione e di gestione. Questo

pone dunque come evidente la necessità di una regolamentazione del fenomeno a livello superiore.

Altro soggetto potenzialmente20 incaricabile di emanare i cri- teri di priorità sono i dirigenti degli uffici, a livello del singolo ufficio. Rispetto all’ipotesi ricostruttiva precedentemente disami- nata questa impostazione consentirebbe una maggiore omogeneità di trattamento all’interno del singolo ufficio, in quanto i soggetti in esso operanti sarebbero vincolati alle direttive poste dai capi degli uffici. Tuttavia, senza regole certe e predeterminate volte ad informare l’emanazione di criteri specifici, la discrezionalità in capo alle procure nella gestione del loro lavoro sarebbe comunque eccessiva21 e comporterebbe comunque un’accentuata eterogeneità

in ordine all’esercizio dell’azione penale sul territorio nazionale, essendo i criteri stabiliti soltanto a livello del singolo ufficio.

Si rende dunque indispensabile un intervento a livello centrale che regoli il fenomeno dei criteri di priorità sottraendolo alla di- screzionalità dei singoli uffici, per arginare il rischio di disparità di trattamento in ordine alla trattazione dei processi per le medesime fattispecie criminose. Riconoscendo la libertà ad ogni singola pro- cura di stabilire la scala di priorità da seguire nella celebrazione

20Supporto normativo a questa impostazione è costituito dal d. lg. 20 febbraio

2006, n. 106, in tema di organizzazione dell’ufficio delle procure, il cui art. 1 comma 1 attribuisce al procuratore della Repubblica «la titolarità esclusiva dell’azione penale». Tuttavia, sebbene il ruolo organizzativo riconosciuto a questo soggetto sia stato rafforzato, ciò non ha anche implicato una sua sovraordinazione gerarchica assoluta rispetto ai componenti dell’ufficio.

21In questo senso, C. Cesari, L’inflazione delle notizie di reato e i filtri

selettivi ai fini del processo, in Rivista di diritto processuale, 2011, 1413. Occorre comunque tenere presente che nell’attività delle procure sarà sempre comunque ineludibile un certo margine di discrezionalità nella gestione del lavoro dell’ufficio da parte del capo ufficio, in ordine all’allocazione delle risorse finanziarie e di polizia, alla distribuzione degli affari e all’organizzazione in gruppi di lavoro.

dei procedimenti si creerebbe una situazione fortemente diversi- ficata sul territorio nazionale. Ogni ufficio, infatti, senza alcun canone a monte a cui uniformarsi, informerebbe le proprie scelte in tema di priorità sulla base delle esigenze maggiormente avvertite in quel peculiare territorio e dunque i criteri sarebbero localmente predisposti sulla base dei dati concernenti il tasso di criminalità e l’allarme sociale destato da determinate fattispecie criminose.

Al fine di assicurare i principi di rango costituzionale della parità di trattamento e della legalità, i criteri di priorità necessitano dunque di una predeterminazione fondata sulla fonte legislativa, in modo tale da consentire un loro operare omogeneo sul territorio nazionale22. Questa impostazione indubbiamente garantisce che

l’esercizio dell’azione penale sia effettuato in maniera uniforme sul territorio nazionale e che le scelte in tema di politica criminale siano assunte da un soggetto avente legittimazione democratica.

A ciò si aggiunge però l’esigenza ulteriore di consentire comun- que un’applicazione di tali criteri idonea alla specificità dei casi

22In questo senso, G. N. Modona, Principio di legalità e nuovo processo

penale, in Il pubblico ministero oggi, Milano, 1994, p. 123; M. Chiavario, Obbligatorietà dell’azione penale: il principio e la realtà, in L’azione penale tra diritto e politica, Padova, 1995, p. 95; V. Zagrebelsky, Stabilire le priorità nell’esercizio obbligatorio dell’azione penale, in Il pubblico ministero oggi, Milano, 1994, p. 115, In questa direzione si sono mossi diversi progetti di riforma: quali il disegno di riforma costituzionale S. 1935, XVI legislatura, «Nuove norme costituzionali sulla magistratura» a firma del senatore Pera, che

prevedeva che il Parlamento avrebbe approvato - sentito il Ministro dell’interno - la proposta triennale rassegnata dal Ministro della giustizia riguardo «i criteri e le priorità ai fini dell’esercizio dell’azione penale» e la proposta di legge costituzionale C. 3278, XVI legislatura, a firma del deputato Versace, recante «Modifica dell’art. 112 della Costituzione in materia di abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale» in base alla quale le Camere avrebbero annualmente approvato la proposta del Ministro della Giustizia - sentito il