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L’esperienza normativa italiana in tema di criter

di priorità

Il legislatore è intervenuto a disciplinare i criteri di priorità, seb- bene trascurando la fase delle indagini preliminari e concentran- dosi unicamente sul frangente temporale successivo all’elevazione dell’imputazione, cioè quello della gestione dei ruoli di udienza.

Gli interventi legislativi effettuati in materia sono:

1. l’art. 227 del d. lgs. n. 51 del 19 febbraio 1998, intervenuto nell’ambito della riforma del giudice unico;

2. l’art. 132-bis disp. att. c.p.p., introdotto con d. l. n. 341 del 24 novembre 2000, convertito con modificazioni con l. n. 4 del 19 gennaio 2001 e più volte modificato fino alla legge n. 36 del 26 aprile 20191.

1La lettera a-ter dell’art. 132-bis disp.att. c.p.p. è stata introdotta dall’art. 9

Entrambi i disposti normativi sono volti a regolamentare l’or- dine di priorità che gli uffici giudiziari devono perseguire nella fissazione dei ruoli di udienza, mentre nessuna disposizione è stata emanata rispetto ai criteri di cui gli uffici della procura dovrebbero avvalersi nell’ambito della gestione delle notizie di reato nella fase delle indagini preliminari.

4.1

L’art. 227 del d.lgs. n. 51/1998

«Al fine di assicurare la rapida definizione dei processi pendenti

alla data di efficacia del presente decreto, nella trattazione dei procedimenti e nella formazione dei ruoli di udienza, anche indi- pendentemente dalla data del commesso reato o da quella delle iscrizioni del procedimento, si tiene conto della gravità e della concreta offensività del reato, del pregiudizio che puo’ derivare dal ritardo per la formazione della prova e per l’accertamento dei fatti, nonché dell’interesse della persona offesa.

Gli uffici comunicano tempestivamente al Consiglio superiore della magistratura i criteri di priorità ai quali si atterranno per la trattazione dei procedimenti e per la fissazione delle udienze.»

Il d.lgs. n. 51 del 19 febbraio 1998 è intervenuto a seguito della legge delega n. 254 del 16 luglio 1997 nell’ambito dell’istituzione del giudice unico di primo grado. La normativa si occupa solo marginalmente dei criteri di priorità all’interno dell’art. 227, fina- lizzato ad agevolare l’entrata a regime della riforma. L’articolo è infatti esplicitamente preordinato ad «assicurare la rapida defini-

e nella formazione dei ruoli di udienza», e tale obiettivo2 viene

perseguito tramite la legale predeterminazione di criteri di priorità per la gestione dei ruoli di udienza prescindendo dalla data di commissione del reato e dall’iscrizione del procedimento. La norma costituisce dunque un intervento transitorio preordinato alla rapida definizione dei processi pendenti alla data di entrata in vigore del decreto legislativo, in modo tale da consentire un avvio della nuova struttura degli uffici giudiziari senza l’aggravio dei carichi pendenti3. L’ambito applicativo della disposizione è circoscritto dunque ai procedimenti pendenti alla data di efficacia del decreto, cioè il 2 giugno 1997. Tuttavia, nonostante la portata applicativa sia stata temporalmente circoscritta, l’art.227, costituendo il primo intervento del legislatore in tema di criteri di priorità, ha fornito una base normativa suscettibile di perdurare oltre i limiti temporali prefissati4. I criteri determinati a livello legislativo hanno infatti

costituito un importante punto di riferimento volto ad orientare la discrezionalità degli uffici giudicanti nella gestione del carico di lavoro anche futuro5.

La disposizione ha dato luogo però a dubbi di carattere interpre-

2Tale finalità era esternata in maniera esplicita anche dalla “Relazione al

d.lgs. 19 febbraio 1998, n. 51 ”, in Gazz. Uff. 20 marzo 1998, suppl. ord., n. 2.

3L’applicazione puntuale della riforma avrebbe infatti dovuto affrontare la

problematica inerente la constatata penuria di risorse riservate all’amministra- zione della giustizia. Per quanto riguarda inoltre questo intervento normativo, era stato esplicitamente previsto che la riforma in questione avrebbe dovuto avvenire senza alcun onere per il bilancio dello stato. Così C. Castelli, Il giudice unico di primo grado: problemi e prospettive, in Questione Giustizia, 1997, p. 698.

4In questo senso, L. Bresciani, Commento all’art. 227 d.lg. 19 febbraio 1998,

n. 51 (Norme in materia di istituzione del giudice di primo grado. Titoli IV. Disposizioni sul processo penale. Capo XIII. Disposizioni transitorie e finali), in Legislazione penale, 1998, p. 475.

5Sul punto, I. Patrone, Le priorità nel processo penale: una scelta difficile,

tativo6. Il riferimento a “processi pendenti al momento dell’entrata

in vigore del decreto” sembrerebbe confermare una natura pro- cessuale della norma, volta a consentire una razionalizzazione del carico di lavoro degli uffici giudicanti nella fase successiva all’eser- cizio dell’azione penale. Tuttavia, questa circoscrizione dell’ambito applicativo è posta in dubbio dal tenore letterale successivo della norma, che fa riferimento ai “procedimenti” e ciò sembrerebbe con- sentire un’apertura verso la possibilità che i criteri fissati informino non solo l’attività degli uffici giudicanti nell’ambito della gestione dei ruoli d’udienza, ma anche degli uffici delle procure per quanto riguarda lo svolgimento delle indagini preliminari. A prescindere dalla menzione del termine “procedimenti”, in realtà la norma sembra essere indirizzata ad orientare soltanto l’attività degli uffici giudicanti. Se il fine perseguito è quello di consentire una definizio- ne dei processi pendenti, anticipare l’applicazione dei criteri alla fase delle indagini preliminari sarebbe incongruo rispetto a questa finalità, che esplicitamente circoscrive la necessità dei criteri di prio- rità ad un momento successivo alla formulazione dell’imputazione. Nonostante l’intento del legislatore però la norma ha costituito comunque dal punto di vista pratico un punto di riferimento anche per gli uffici inquirenti in quanto, in assenza di una normativa specifica, nella gestione della trattazione dei procedimenti hanno comunque attinto alla normativa dettata per la fase successiva a quella delle indagini preliminari.

I criteri richiamati dall’art. 227 volti a legittimare la prioritaria

6In questo senso vedi, I. Frioni, Le diverse forme di manifestazione della

discrezionalità nell’esercizio dell’azione penale, in Rivista italiana di diritto processuale penale, 2002, p. 557.

trattazione di alcuni processi rispetto ad altri sono: • gravità e concreta offensività del reato;

• pregiudizio che può derivarne dal ritardo per la formazione della prova e l’accertamento dei fatti;

• interesse della persona offesa.

I canoni fissati in base ai quali disciplinare l’ordine di trattazione dei processi sono informati da una parte ad esigenze di carattere sostanzialistico (la gravità del reato e l’interesse della persona offesa), dall’altra a necessità di carattere processuale (il pericolo per la formazione della prova e per l’accertamento dei fatti). Dal punto di vista dei criteri sostanziali il legislatore ha dunque aderito all’impostazione fondata sulla gravità del reato perorata a livello dottrinario7, ma ha anche fatto riferimento al criterio processuale

inerente al rischio per la formazione della prova, oggetto invece di posizioni contrastanti.

L’art. 227 delinea però un modello composito, fissando criteri di carattere generale e prevedendo il contestuale intervento degli uffici, incaricati di specificare criteri più determinati. L’assetto dell’articolo prevede dunque la determinazione dei criteri di priorità in via generale da parte del legislatore e la successiva necessaria concretizzazione e specificazione che deve essere effettuata dagli uffici giudiziari. Si prevede dunque da una parte la predetermi- nazione dei criteri a livello generale, in modo tale da garantirne l’applicazione omogenea sul territorio nazionale; dall’altra parte, la concretizzazione da parte degli uffici, che garantisce la maggiore

adesione alla realtà consentendo di effettuare una specificazione dei criteri sanciti a livello generale. Sotto questo profilo il Consiglio superiore della magistratura ha nello specifico stabilito8 che, per l’attuazione dei criteri di priorità, ogni distretto avrebbe dovuto organizzare una conferenza degli uffici con la partecipazione di tutti i dirigenti del distretto, convocata dal Presidente della Corte di Appello e preceduta da riunioni aperte ai magistrati assegnati a ciascun ufficio. Questo specifico itinerario procedurale previsto per l’adozione dei provvedimenti secondari attuativi dell’art. 227 in base alle valutazioni del Consiglio superiore della magistratura era il più idoneo ad assicurare l’elaborazione di soluzioni organiz- zative armonizzate ed omogenee nel contesto della specifica realtà territoriale distrettuale9.

L’intervento normativo è stato oggetto di critiche10 mosse in

merito all’indeterminatezza e all’eterogeneità dei criteri stabiliti, che farebbero residuare in capo agli uffici eccessivi margini di arbitrarietà. Il deficit di determinatezza sarebbe poi ulteriormente accentuato dalla mancata fissazione di un ordine gerarchico tra i parametri fissati che ne inficerebbe l’applicazione omogenea sul territorio, in quanto sarebbe rimesso ad ogni ufficio il compito di scegliere caso per caso quale criterio ritenere prevalente.

Il sistema dei criteri di priorità come delineato dunque dal

8Risoluzione consiliare del 13 novembre 2008, concernente l’applicazione

degli articoli 2-bis comma 1 e 2-ter comma 2 del d.l. n. 92 del 23 maggio 2008, convertito con legge n. 125 del 24 luglio 2008.

9Con delibera del 9 luglio 2014 il Consiglio superiore della magistratura ha

inoltre esteso la partecipazione alla conferenza distrettuale anche ai dirigenti amministrativi e ai presidenti degli ordini forensi territoriali.

10In questo senso, D. Vicoli, Scelte del p.m. nella trattazione delle notizie

di reato e art. 112 Cost.: un tentativo di razionalizzazione, in Rivista italiana di diritto processuale, 2003, p. 274.

d.lgs. n. 51 del 19 febbraio 1998 determinava, seppure in via transitoria, una gestione dei ruoli d’udienza articolata su tre livelli11:

1. i parametri-cornice dell’art. 227, fissati dal legislatore in via generale ed astratta;

2. le guide-lines adottate dagli uffici attuative dell’art. 227; 3. le individuazioni operative compiute dal singolo magistrato

nell’ambito di applicazione dei criteri, stante comunque un suo residuo margine di discrezionalità nell’attribuzione del coefficiente di precedenza specifico da applicare a ciascun affare.

La norma prevede inoltre l’intervento del Consiglio superiore della magistratura, a cui gli uffici devono tempestivamente comu- nicare «i criteri di priorità ai quali si atterranno per la trattazione

dei procedimenti e per la fissazione delle udienze». Questa soluzione

risulta12 non totalmente riconducibile a quella prevista nell’ambito dell’ordinamento giudiziario dall’art. 7-ter13, concernente i criteri

per l’assegnazione degli affari tra gli uffici giudicanti ove si prevede che:

«L’assegnazione degli affari alle singole sezioni ed ai singoli

collegi e giudici è effettuata, rispettivamente, dal dirigente dell’uf-

11Per questa ricostruzione, G. Fiandaca e G. D. Chiara, Un’introduzione al

sistema penale, Jovene, 2003, p. 257.

12Sul punto, L. Bresciani, Commento all’art. 227 d.lg. 19 febbraio 1998,

n. 51 (Norme in materia di istituzione del giudice di primo grado. Titoli IV. Disposizioni sul processo penale. Capo XIII. Disposizioni transitorie e finali), in Legislazione penale, 1998, p. 483.

13Regio Decreto 30 gennaio 1941 n. 12. L’articolo in questione è stato

ficio e dal presidente della sezione o dal magistrato che la dirige, secondo criteri obiettivi e predeterminati, indicati in via generale dal Consiglio superiore della magistratura ed approvati contestual- mente alle tabelle degli uffici e con la medesima procedura. Nel determinare i criteri per l’assegnazione degli affari penali al giudice per le indagini preliminari, il Consiglio superiore della magistra- tura stabilisce la concentrazione, ove possibile, in capo allo stesso giudice dei provvedimenti relativi al medesimo procedimento e la designazione di un giudice diverso per lo svolgimento delle funzioni di giudice dell’udienza preliminare. Qualora il dirigente dell’ufficio o il presidente della sezione revochino la precedente assegnazione ad una sezione o ad un collegio o ad un giudice, copia del relati- vo provvedimento motivato viene comunicata al presidente della sezione e al magistrato interessato.

Il Consiglio superiore della magistratura stabilisce altresì i criteri per la sostituzione del giudice astenuto, ricusato o impedito.»

Mentre l’art. 7-ter del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12 Ordinamen- to giudiziario prevede l’attuazione da parte degli uffici dei criteri stabiliti in via generale dal C.s.m., l’art. 227 stabilisce che a monte i criteri generali siano sanciti dal legislatore, la cui attuazione è devoluta poi ai singoli uffici. L’intervento del C.s.m. è previsto invece in funzione di controllo successivo: gli uffici dovranno infatti dargli comunicazione dei provvedimenti attuativi adottati consen- tendone la supervisione, affinché i criteri siano adottati in ossequio del principio di legalità e di trasparenza14.

14Da questo punto di vista è avvalorato (sebbene in assenza di specifiche

previsioni normative) il riconoscimento in capo al C.s.m. del ruolo di garante dell’amministrazione della giurisdizione.

In caso di violazione della normativa da parte dei singoli uffici, pare però che tale infrazione possa rilevare soltanto dal punto di vista della responsabilità disciplinare, cioè sul piano deontologico e della capacità professionale del singolo magistrato inadempien- te. Al Consiglio superiore della magistratura infatti, sebbene sia riconosciuta una funzione di controllo, non sono attribuiti poteri ulteriori volti a consentire la modifica dei provvedimenti adottati in violazione dei canoni dell’art. 227.

4.2

L’art. 132-bis disp. att. c.p.p.: for-

mazione dei ruoli di udienza e trat-