Dipartimento di Giurisprudenza
Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza
Tesi di Laurea
I CRITERI DI PRIORITÀ TRA ESIGENZE
ORGANIZZATIVE E DEFLAZIONE
PROCESSUALE
RELATORE
Chiar.ma Prof.ssa Valentina Bonini
CANDIDATA Grazia Casci
Indice
1 Introduzione 1
1.1 I criteri di priorità . . . 1 1.2 Ratio dell’istituto . . . . 3 1.3 Prospettive di soluzioni alternative . . . 7
2 Rapporto tra art. 112 Cost. e criteri di priorità 13
2.1 Il principio di obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale . . . 13 2.2 Operatività del principio nelle indagini preliminari . 19 2.3 Legittimità dei criteri alla luce dell’art. 112 Cost. . . 25 2.4 Art. 112 Cost.: un principio da abbandonare? . . . 33
3 Costruzione di un sistema di priorità conforme con
il quadro costituzionale 40
3.1 Compatibilità dei criteri con i principi di uguaglianza e di ragionevole durata del processo . . . 40 3.2 Legittimazione a porre i criteri di priorità . . . 44 3.3 Modalità di individuazione dei criteri di priorità . . 53
4 L’esperienza normativa italiana in tema di criteri di
priorità 66
4.1 L’art. 227 del d.lgs. n. 51/1998 . . . 67 4.2 L’art. 132-bis disp. att. c.p.p.: formazione dei ruoli
di udienza e trattazione dei processi . . . 74 4.3 Tentativi di disciplinare i criteri di priorità
nell’am-bito delle indagini preliminari . . . 94 4.4 Il codice rosso: una corsia preferenziale per i reati
di violenza domestica e di genere . . . 101
5 Le circolari adottate dagli uffici in tema di criteri
di priorità 110
5.1 I provvedimenti degli uffici giudiziari . . . 110 5.2 La posizione del Consiglio superiore della
magistra-tura rispetto all’adozione di criteri di priorità nella fase delle indagini preliminari . . . 115 5.3 I criteri di priorità nella prassi degli uffici inquirenti 121
5.3.1 Le prime esperienze: la circolare Pieri-Conti e la circolare Zagrebelsky . . . 121 5.3.2 La circolare Maddalena . . . 125 5.3.3 Linee guida delle Procure di Torino e Roma 130 5.4 Il rapporto tra criteri di priorità e potere di
avo-cazione dei Procuratori generali presso le Corti di appello . . . 139
Capitolo 1
Introduzione
1.1
I criteri di priorità
I criteri di priorità consistono in uno strumento organizzativo originato dalla prassi degli uffici giudiziari volto ad orientarne il lavoro. Questo istituto, accolto a livello pratico e in parte recepito anche sul piano normativo, consente di stabilire un ordine di precedenze cronologiche nella trattazione degli affari penali, fornendo parametri per la gestione tempistica delle notizie di reato e per la programmazione dello svolgimento dei processi. I criteri di priorità incidono dunque sul piano della trattazione temporale delle
notitiae criminis consentendo di prescindere dal criterio cronologico,
in base al quale l’ordine sarebbe invece sancito dalla data in cui le notizie di reato sono pervenute all’ufficio.
L’ambito applicativo dei criteri di priorità può coinvolgere due stadi del procedimento penale:
• la fase delle indagini preliminari, consentendo all’ufficio requi-rente di prediligere lo svolgimento di alcune indagini rispetto
ad altre;
• la fase di gestione dei ruoli di udienza, per quanto con-cerne l’attività degli uffici giudicanti successiva all’esercizio dell’azione penale.
Per quanto riguarda l’assunzione di criteri di priorità in fase processuale, il legislatore ha fornito una regolamentazione a livello normativo introducendo l’art. 132-bis delle disposizioni di attuazio-ne del codice di procedura penale, rubricato “formazioattuazio-ne dei ruoli
di udienza e trattazione dei processi” e introdotto con d. l. n. 341
del 24 novembre 2000.
Per quanto riguarda invece l’applicazione dei criteri di priorità nella fase delle indagini preliminari, la prassi degli uffici requirenti non è stata sussunta in alcuna fattispecie legislativa e risulta ancora scevra di regolamentazione normativa. La ritrosia del legislatore a recepire a livello legislativo i criteri di priorità per lo svolgimento delle indagini preliminari è principalmente da ricondursi:
• alla discussa compatibilità di suddetti criteri con il precetto costituzionale sancito dall’art. 112 Cost., che prevede in capo alla magistratura requirente l’obbligo di esercitare l’azione penale per tutte le notizie di reato pervenute senza alcun margine di discrezionalità;
• alla possibile natura selettiva che l’istituto è suscettibile di assumere in sede patologica.
Dal punto di vista della loro applicazione fisiologica, i criteri di priorità sono infatti unicamente volti a derogare al normale ordine di trattazione delle notizie di reato, senza determinare
alcuna esenzione rispetto all’obbligo di agire. Stabilire delle priorità non implica dunque una selezione delle notizie di reato volta ad escludere la trattazione di alcune di esse in favore di altre: i criteri di priorità consentono infatti soltanto una razionalizzazione organizzativa del lavoro delle procure e non anche un accantonamento definitivo dei procedimenti re-putati non prioritari. Tuttavia, nella realtà pratica connotata dalla scarsità di mezzi dell’amministrazione della giustizia in cui i criteri operano, è però latente il rischio di una deriva selettiva degli stessi in termini di potenziale prescrizione delle notizie postergate1. Laddove le risorse non siano sufficienti a consentire la trattazione tempestiva entro i termini pre-scrizionali di tutti i procedimenti, posticiparne la trattazione può indirettamente implicare la condanna all’estinzione dei reati reputati non prioritari.
1.2
Ratio dell’istituto
La ratio dell’istituto è ravvisabile nella necessità di fronteggiare l’incapacità oggettiva degli uffici giudiziari di decongestionare il carico di lavoro ad essi attribuito. L’esigenza alla base dell’elabo-razione dei criteri di priorità deriva infatti da un patente squilibrio nel settore della giustizia penale tra domanda e offerta, in quanto quest’ultima risulta connotata da una cronica mancanza di risorse personali e materiali: assumendo come costante l’insufficienza di mezzi, gli operatori del diritto hanno provveduto a dotarsi dei
1In questo senso, C. Cesari, L’inflazione delle notizie di reato e i filtri
criteri di priorità quali tecnica organizzativa per gestire l’ingente flusso di lavoro di cui sono destinatari. La predisposizione dei criteri permea dunque profondamente la realtà del sistema giudi-ziario italiano, costituendo una possibile risposta alle insufficienze strutturali insite nell’ordinamento. Gli operatori del diritto si sono resi infatti conto che applicare pedissequamente il criterio cronolo-gico in tale situazione di dissesto avrebbe comportato il rischio di prediligere lo svolgimento di procedimenti anteriori ma denotati da esigua rilevanza sociale a scapito di procedimenti posteriori ma concernenti reati connotati da elevata gravità e offensività, rispetto ai quali la risposta di giustizia sarebbe stata tardiva o, nelle ipotesi di massima patologia, totalmente assente. I criteri di priorità costituiscono dunque un tentativo di risoluzione di questa problematica, poiché consentono di trattare previamente i casi maggiormente rilevanti postergando gli altri e si pongono dunque come un possibile strumento di razionalizzazione delle insufficienti risorse spettanti all’apparato giudiziario.
L’annosa problematica a cui l’istituto tenta di ovviare, ovvero quella dello squilibrio tra la mole di lavoro e l’esiguità delle risorse che competono all’amministrazione della giustizia, è la risultante di diversi fattori che connotano il nostro sistema penale. Le principali cause del sovraccarico delle procure sono:
1. ipertrofia del diritto penale: l’ordinamento italiano è carat-terizzato da un ricorso sistematico all’istituto penalistico, anche rispetto a condotte di scarsa offensività. A ciò conse-gue l’obbligo di perseguire un ingente numero di fattispecie criminose, spesso concernenti condotte sostanzialmente
irrile-vanti. Concorrono alla crescita di nuove figure di reato anche le normative di carattere emergenziale, che hanno negli anni determinato un ampliamento del novero di reati rispetto a situazioni contingenti, e anche il progressivo incremento degli accordi internazionali, che hanno sovente implicato l’esten-sione del catalogo dei diritti tutelabili in sede giurisdizionale (quali, ad esempio, la privacy, l’ambiente, la concorrenza e
correttezza dei mercati finanziari)2.
2. la vigenza nel nostro ordinamento del principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale ex art. 112 Cost., che postula l’obbligo per il pubblico ministero di proce-dere per ogni reato conosciuto. La sussistenza di tale obbligo in un ordinamento in cui il numero di fattispecie penalmente rilevanti è ingente implica un notevole incremento del la-voro delle procure, poiché esse non possono procedere ad una scrematura discrezionale delle notizie di reato dovendo ottemperare all’obbligo di procedere per ognuna di esse. 3. deficit strutturali dell’organizzazione dell’amministrazione
della giustizia: all’ampliamento dell’area di intervento del diritto penale non è però conseguito anche un proporzio-nale incremento delle risorse e delle strutture destinate ad occuparsi e a gestire l’amministrazione della giustizia penale. 4. inadeguatezza strutturale del modello del processo penale: il sistema processuale penale italiano risulta caratterizzato
2Sul punto, A. Spataro, Le priorità non sono più urgenti e comunque la
da estese tempistiche per la definizione dei procedimenti, in violazione dei principi in tema di ragionevole durata del processo sanciti a livello sia costituzionale che europeo3. Ai lunghi tempi processuali consegue un appesantimento del sistema che implica un impiego protratto delle limitate ri-sorse disponibili, sottraendole alle sopravvenute richieste di giustizia.
Da ciò deriva un’impossibilità oggettiva di trattare in maniera tempestiva tutte le notizie di reato e ciò ha richiesto l’elaborazione di criteri che razionalizzassero il sistema, consentendo una gestione efficiente delle (esigue) risorse disponibili. Tale esigenza fu esplicita-ta già a partire dall’anno successivo all’entraesplicita-ta in vigore del nuovo codice di rito nella circolare 8 marzo 1989, a firma del Presidente e del procuratore generale presso la Corte di appello di Torino4. Tale
circolare palesa il convincimento per cui «occorre (. . . ) evitare di
sprecare tempo, fatica e denaro dello Stato in attività praticamente inutili - quale la minuziosa e scrupolosa celebrazione di processi destinati ineluttabilmente alla prescrizione. Ciò richiede un filtro scrupoloso delle priorità da assegnare ai singoli processi, in modo da far procedere rapidamente i processi importanti e da non ingol-fare, al tempo stesso, uffici già strutturalmente troppo deboli con masse ingenti di lavoro inutile - perché destinato ineluttabilmente
3Nello specifico, le norme che statuiscono il principio della ragionevole
durata del processo sono l’art. 111 della Costituzione a livello nazionale e l’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Questo principio è stato ulteriormente disciplinato nell’ordinamento italiano con legge n. 89/2001, cosiddetta “legge Pinto”, emanata in seguito alle nume-rose condanne comminate da parte della Corte Europea per l’eccessiva durata per la definizione dei giudizi davanti alle autorità giudiziarie italiane.
ad essere del tutto vanificato».
Ciò che ha ispirato l’adozione dei criteri di priorità è stata dunque la consapevolezza degli uffici della loro strutturale inade-guatezza a gestire tempestivamente tutti i procedimenti e della connessa esigenza di adottare filtri idonei ad assicurare preliminar-mente la trattazione delle questioni connotate da maggiore gravità e offensività per le quali l’intervento della prescrizione risulterebbe maggiormente deleterio.
1.3
Prospettive di soluzioni
alternati-ve
La ratio dei criteri di priorità è dunque da ricercarsi nell’esigenza avvertita dagli uffici di dotarsi di strumenti idonei a fronteggiare problematiche a livello sistemico, nell’ottica di una razionalizzazio-ne dell’organizzaziorazionalizzazio-ne del lavoro. Tuttavia, analizzando le cause alla base dell’adozione dei criteri di priorità, è possibile constatare che gli approcci risolutori percorribili sono molteplici e non si li-mitano all’elaborazione di criteri alternativi a quello cronologico per la trattazione dei procedimenti. Per decongestionare il lavoro degli apparati giudiziari siffatti criteri costituiscono uno strumento limitato, volto a razionalizzare ma non a risolvere in via definiti-va le patologie ordinamentali, che richiedono invece interventi di carattere sinergico. I criteri di priorità infatti non consentono di colmare il divario cronico che intercorre tra domanda e offerta di giustizia, ma permettono unicamente di gestire le modiche risorse disponibili in maniera più razionale prediligendo la trattazione di
alcuni affari: ciò tuttavia non consente di ridurre il carico di lavoro, ma soltanto di effettuare un’allocazione temporale diversificata alla quale non consegue in linea di principio l’omessa trattazione di alcun procedimento.
Tecnicamente, dunque, stabilire delle priorità non significa sele-zionare i procedimenti. Tuttavia, in assenza di interventi idonei a dirimere le problematiche ordinamentali, il rischio che si insinua nel-l’applicazione dei criteri di priorità è quello dell’omessa trattazione dei procedimenti oggetto di postergazione, in quanto le insufficienti risorse dell’amministrazione della giustizia non ne consentirebbero la trattazione entro la decorrenza dei termini di prescrizione. Ciò richiede perciò un intervento generale volto a ridimensionare il carico di lavoro degli uffici, poiché tale obiettivo non può essere fisiologicamente assolto mediante l’istituto dei criteri di priorità.
Le soluzioni auspicate richiedono interventi sinergici principal-mente in tre ambiti:
1. effettuare un’opera di depenalizzazione per fronteggiare la situazione ipertrofica in cui versa il diritto penale, a cui l’or-dinamento dovrebbe ricorrere come extrema ratio5 rispetto
a fattispecie dotate di elevata gravità e offensività e non anche rispetto a reati minori, il cui perseguimento potreb-be essere più efficacemente conseguito a livello di illecito amministrativo.
5In questo senso anche la Corte Costituzionale sent. n. 409/1989, che ha
sancito il principio di “sussidiarietà” del diritto penale (inteso come extrema ratio) come principio di rango costituzionale. La Corte ha affermato che «il legislatore non è sostanzialmente arbitro delle sue scelte criminalizzatrici ma deve, oltre che ancorare ogni previsione di reato a una reale dannosità sociale, circoscrivere, per quanto possibile, tenuto conto del rango costituzionale della
Attuare un’opera di depenalizzazione dei reati minori in illeciti amministrativi consentirebbe:
• di ridurre il numero di fattispecie penalmente rilevanti da perseguire alleggerendo il carico di lavoro degli ap-parati della giustizia penale, i quali potrebbero dunque concentrarsi sulla repressione delle fattispecie connotate da maggiore gravità;
• di assicurare l’effettiva comminazione di una sanzione nei loro confronti. Infatti, se tramite i criteri di priorità generalmente si predilige la trattazione dei procedimenti aventi ad oggetto fatti connotati da elevata gravità e offensività6 e se l’esiguità delle risorse disponibili
tal-volta non consente la tempestiva trattazione dei pro-cedimenti postergati entro i termini di prescrizione, la conseguenza patologica che ne deriva è una sostanziale impunità di questi reati, che potrebbero essere allora più efficacemente perseguibili a livello amministrativo7. L’effettiva impossibilità del sistema giudiziario di fronteggiare la domanda di giustizia penale porta a concludere che risulti maggiormente efficiente propendere per la depenalizzazione degli illeciti minori in illeciti amministrativi.
2. incrementare le risorse devolute all’amministrazione della giustizia, integrando gli organici e i mezzi a sua disposizione in
6Conclusione oggetto di specifica analisi nel paragrafo 3.3 a pagina 53. 7In questo senso, G. D’Elia, I principi costituzionali di stretta legalità,
obbligatorietà dell’azione penale ed egualianza a proposito dei criteri di priorità nell’esercizio dell’azione penale, in Rivista di Giurisprudenza Costituzionale, 1998, p. 1880.
modo da consentire l’equiparazione dell’offerta di giustizia alla domanda. Dotare l’amministrazione delle risorse necessarie a svolgere in modo proficuo i compiti che le sono devoluti costituisce la precondizione indispensabile per il suo efficace ed effettivo funzionamento8.
Oltre a rimpinguare le risorse, sono auspicati anche interventi di carattere organizzativo, al fine di una più efficace e rapi-da trattazione degli affari penali predisponendo un impiego delle risorse disponibili maggiormente razionalizzato. Misure di questo genere possono esplicarsi in interventi di diversa natura, a partire dalla creazione di gruppi specializzati fino alla riorganizzazione e riqualificazione delle forze di polizia giudiziaria, col fine di incrementarne il perfezionamento e la specializzazione9.
3. attività di deprocessualizzazione volte alla deflazione, in modo tale da esonerare, in alcuni ambiti predeterminati, il pubbli-co ministero dal dovere di promuovere l’azione penale. Le misure riconducibili all’alveo di questa tipologia di intervento sono molteplici: ricorso a strumenti conciliativi, incremento dei casi di punibilità a querela di parte, estensione dei casi di archiviazione condizionata a condotte riparatorie o
all’inoffen-8La rilevanza dell’organizzazione e del funzionamento dei servizi relativi alla
giustizia trova anche esplicitazione nella Costituzione, il cui art. 110 devolve la competenza ad assumere le determinazioni necessarie in tali ambiti al Ministro della giustizia (ferme le attribuzioni in capo al C.s.m.).
9Sul punto, A. Spataro, Le priorità non sono più urgenti e comunque la
sività del fatto10. Questa tipologia di istituti è riconducibile11
alla finalità di attuare una depenalizzazione non in astratto ma in concreto, consentendo l’esonero del pubblico ministero dall’obbligo di esercizio dell’azione penale in presenza di fat-tori predeterminati in base a criteri oggettivi da cui derivi la superfluità del processo12.
La situazione in cui vertono gli apparati giudiziari, oberati di lavoro e nell’impossibilità pratica di evadere il carico di impegni loro attribuiti, è sintomatico dunque di una serie di fattori che permeano l’ordinamento a livello generale e che richiedono inter-venti pregnanti che non possono risolversi unicamente nell’adozione di criteri di priorità. Questi rappresentano infatti un tentativo sperimentato dalla prassi per arginare ulteriori derive patologiche del sistema in una situazione di inerzia del legislatore, ma non
10In questo senso ha operato il d. lgs. n. 274 del 28 agosto 2000, in materia di
procedimento davanti al giudice di pace, il cui art. 34 ha introdotto l’ulteriore ipotesi di archiviazione nei casi di particolare tenuità del fatto.
11Sul punto, D. Vicoli, Scelte del p.m. nella trattazione delle notizie di reato
e art. 112 Cost.: un tentativo di razionalizzazione, in Rivista italiana di diritto processuale, 2003, p. 251.
12Interventi di questo genere si possono prestare nel nostro ordinamento a
critiche, in quanto passibili di porsi in posizione conflittuale rispetto all’art. 112 della Costituzione predisponendo una deroga all’obbligo di esercitare l’azione penale. La loro legittimità è però perorabile accogliendo un’interpretazione più flessibile del precetto costituzionale che consenta di ampliare il novero di situazioni in cui l’esercizio dell’azione penale non debba essere effettuato. Assumendo posizioni più elastiche rispetto al portato dell’art. 112 Cost. è possibile infatti interpretare l’obbligo ivi contenuto come condizionato alla sussistenza di determinati presupposti, rendendo legittimi gli interventi volti alla loro modifica e incremento (ovviamente purché ancorati a criteri di ra-zionalità e coerenza sistemica) ampliando i casi di archiviazione. In questo senso si è espressa anche la Corte Costituzionale nella pronuncia n. 88 del 15 febbraio 1991, in cui ha affermato il principio per cui «il limite implicito alla stessa obbligatorietà, razionalmente intesa, è che il processo non debba essere instaurato quando si appalesi oggettivamente superfluo». La Corte ha ritenuto che l’art. 112 Cost. non osti alla possibilità per il legislatore di effettuare le proprie valutazioni rispetto al principio di obbligatorietà, purché ottemperando al principio di ragionevolezza.
possono costituire l’unica forma di intervento in quanto inidonei a rimuovere le cause alla base della condizione di depauperamento in cui versa l’amministrazione della giustizia.
Capitolo 2
Rapporto tra art. 112 Cost.
e criteri di priorità
L’innesto dei criteri di priorità nell’assetto ordinamentale pone però la necessità di effettuarne il coordinamento con l’impianto costitu-zionale, in particolar modo con l’art. 112 Cost., con cui l’istituto è suscettibile di porsi in rapporto potenzialmente conflittuale.
2.1
Il principio di obbligatorietà
dell’e-sercizio dell’azione penale
Questa norma consacra come principio di rango costituzionale quello dell’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale:
«Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale». L’art. 112 Cost. veicola una statuizione perentoria e lapidaria, che postula l’obbligo per il pubblico ministero di esercitare l’azione penale, senza però precisare in cosa dovesse consistere questa attività. Su questo profilo dirimenti sono state le prescrizioni
introdotte dal codice di procedura penale nel 1988, in base alle quali è stato anzitutto possibile escludere che l’archiviazione potesse integrare una forma di esercizio dell’azione penale1. Gli articoli 50 comma 1 («Il pubblico ministero esercita l’azione penale quando non
sussistono i presupposti per l’archiviazione») e 405 comma 1 c.p.p.
(«Il pubblico ministero, quando non deve richiedere l’archiviazione,
esercita l’azione penale») pongono infatti le due attività come
alternative2.
L’art. 405 comma 1 c.p.p. ha consentito anche di fugare i dubbi concernenti le modalità di esercizio dell’azione penale, riconducen-dolo all’atto con cui viene effettuata la formulazione dell’imputa-zione e procedendo altresì anche ad una tipizzadell’imputa-zione dei diversi possibili atti imputativi3.
Il fondamento della previsione dell’art. 112 Cost. è quello di dare corpo a più generali principi di rango costituzionale: la stessa Corte Costituzionale ha rilevato l’importanza svolta da questo precetto quale strumento di tutela di interessi costituzionalmente
1Sul punto, E. Marzaduri, Considerazioni sui profili di rilevanza processuale
del principio di obbligatorietà dell’azione penale a vent’anni dalla riforma del codice di procedura penale, in Cassazione Penale, 2010, p. 388; In senso contrario, vedi autorevolmente A. Leone, Considerazioni sull’archiviazione, in Rivista italiana diritto penale, 1951, p. 487; V. Andrioli, Appunti di procedura penale, Jovene, 1965, p. 303; G. D. Pisapia, Presupposti e limiti del decreto di non doversi procedere, in Rivista italiana diritto penale, 1954, p. 178, pro-spetta invece una teorizzazione intermedia, in base alla quale la richiesta di archiviazione avrebbe integrato una forma di azione penale condizionata al mancato accoglimento della stessa da parte del giudice istruttore.
2In questo senso, F. Caprioli, L’archiviazione, Napoli, 1994, p. 328. 3Ciò ha fatto propendere per l’individuazione della natura dell’azione
penale nella domanda di emissione di un provvedimento giurisdizionale rivolta al giudice. In questo senso, Caprioli, ibid., p. 335. Gli atti con cui l’azione penale è esercitabile consistono nella richiesta di rinvio a giudizio, nel decreto di citazione diretta a giudizio, nella richiesta di giudizio immediato, di giudizio direttissimo, di emissione di decreto penale di condanna e di applicazione della pena su richiesta delle parti.
rilevanti, descrivendolo come «punto di convergenza di un complesso
di principi basilari del sistema costituzionale»4.
Le principali norme costituzionali alla cui tutela l’art. 112 Cost. è preordinato sono:
• principio di legalità sostanziale e processuale, ex art. 25 Co-st., in base al quale la repressione delle condotte integranti fattispecie penali è doverosa;
• indipendenza e imparzialità della magistratura, ex art. 101, art. 104 comma 1, art. 107, art. 111 comma 2 della Costi-tuzione: il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale costituisce un importante argine contro indebite ingerenze e coercizioni rispetto all’attività della magistratura inqui-rente5. La norma è stata infatti definita come «soluzione
formalmente perfetta»6 in quanto risulta in completo
equili-brio con il principio di indipendenza in un binomio a presidio
4Corte Costituzionale, sentenza n. 88 del 28 gennaio 1991, in Cass. pen.,
1992, p.249. La natura di norma strumentale dell’art. 112 Cost. era stata inoltre già rilevata nella sentenza n. 84 del 26 luglio 1979 in cui la Corte aveva precisato che «l’obbligatorietà dell’azione penale concorre a garantire da un lato l’indipendenza del pubblico ministero nell’esercizio della propria funzione, dall’altro l’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge penale».
5Per quanto riguarda il profilo dell’indipendenza esterna, occorre rilevare in
particolar modo l’urgenza avvertita dai Costituenti di discostarsi dall’esperienza del previgente sistema fascista, in cui il pubblico ministero risultava in una posizione di fattuale soggezione rispetto al Ministro della Giustizia, sebbene il principio di obbligatorietà fosse comunque desumibile in via interpretativa dagli artt. 1, 74 e 75 cod. proc. pen. Sul punto, A. Peri, Obbligatorietà dell’azione penale e criteri di priorità. La modellistica delle fonti tra esperienze recenti e prospettive de iure condendo: un quadro ricognitivo, 2010, in hdl.handle.
net/10447/72677, p. 1.
6Per questa formula, Atti Parlamentari, XVI Legislatura, Senato della
Repubblica, Disegno di legge recante “delega al governo in materia di deter-minazione dei criteri di priorità nell’esercizio dell’azione penale”, a firma di Cossiga, 29 Aprile 2008.
del principio di uguaglianza dei cittadini7. Sancita infatti
l’indipendenza della magistratura dal potere esecutivo fu necessario operare un bilanciamento, poiché l’azione penale sarebbe stata esercitata da un organo scevro di qualsiasi legittimazione democratica, essendo i magistrati selezionati mediante concorso pubblico e non tramite elezioni. Il prin-cipio di obbligatorietà consentiva dunque di stemperare il problema della responsabilità politica del pubblico ministero, il quale sarebbe stato obbligato a perseguire indistintamente tutti i reati.
• uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, ex art. 3 Cost., in quanto l’art. 112 Cost. impedisce valutazioni di caratte-re arbitrario e opportunistico rispetto l’esercizio dell’azione penale.
Da un esercizio discriminatorio dell’azione penale discende-rebbe inoltre anche la violazione del combinato disposto degli artt. 27 (che sancisce la finalità rieducativa della pena) e 13 Cost. (in tema di libertà personale), in virtù del quale la restrizione della libertà individuale è consentita nella misura in cui funzionale al conseguimento dell’obiettivo rieducativo. Si osserva8 infatti come all’esercizio dell’azione penale secon-do modalità discriminatorie conseguirebbe una lesione della
7In questo senso, A. Peri, Obbligatorietà dell’azione penale e criteri di
priorità. La modellistica delle fonti tra esperienze recenti e prospettive de iure condendo: un quadro ricognitivo, 2010, in hdl.handle.net/10447/72677,
p. 1.
8Sul punto, G. D’Elia, I principi costituzionali di stretta legalità,
obbli-gatorietà dell’azione penale ed egualianza a proposito dei criteri di priorità nell’esercizio dell’azione penale, in Rivista di Giurisprudenza Costituzionale, 1998, p. 1884.
finalità sancita dall’art. 27 Cost. e di conseguenza un’inde-bita restrizione della libertà personale. Il mancato esercizio dell’azione penale per fatti analoghi creerebbe situazioni di “impunità legalizzate”9 che inficerebbero la possibilità per il
soggetto destinatario della sanzione di percepire l’effettivo disvalore del fatto commesso, rispetto al quale in alcuni casi sarebbe infatti legittimata l’omessa persecuzione.
La pregnante rilevanza del principio di cui all’art. 112 Cost. emerge anche dall’analisi dei lavori preparatori alla Costituzio-ne10. In seno all’Assemblea Costituente infatti il ruolo cardine del principio di obbligatorietà dell’azione penale non fu posto in discussione e venne anzi confermato con unanimità di consensi11.
Questo principio venne elevato a «principio fondamentale dello
Stato moderno» per cui «il pubblico ministero non può esercitare un’attività discrezionale circa il promuovimento dell’azione penale. Il pubblico ministero quando viene a cognizione della notitia cri-minis non ha un potere discrezionale, ma deve investire l’organo della giurisdizione dell’esame del contenuto dell’azione penale»12.
L’art. 112 Cost. individua il pubblico ministero come il titolare
9Per questa formula, G. D’Elia, Richiesta di procedimento del
comandan-te di corpo e obbligatorietà dell’azione penale, in Rivista di Giurisprudenza Costituzionale, 1997, p. 1878.
10In questo senso, G. Fiandaca e G. D. Chiara, Un’introduzione al sistema
penale, Jovene, 2003, p. 239.
11Oggetto di controversia furono i profili inerenti il divieto espresso di
sospensione o ritardo nell’esercizio dell’azione penale e il carattere pubblico dell’azione. Il testo originario dell’articolo era infatti il seguente: «L’azione penale è pubblica, e il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitarla in conformità della legge, senza poterne sospendere o ritardare l’esercizio per ragioni di convenienza».
12Onorevole Leone, Assemblea costituzionale, adunanza plenaria, 27
novem-bre 1947. In senso analogo, anche l’on. Bettiol che rilevò il valore di «principio che si adegua ad un ordine democratico nell’ambito di uno stato di diritto».
del potere di esercizio della pretesa punitiva pubblica, sorta a segui-to della commissione di un fatsegui-to di reasegui-to. Il precetsegui-to costituzionale statuisce perentoriamente un obbligo in capo all’organo inquirente, senza però precisare i presupposti e le condizioni che renderebbe-ro operativo questo dovere. Tale “assolutezza espressiva”13 della
formula non deve tuttavia essere confusa con un meccanismo di rigido automatismo, in virtù del quale ad ogni notizia di reato recepita conseguirebbe in automatico l’esercizio dell’azione penale. In questo senso si è esplicitamente espressa la Corte Costituzionale, che ha precisato che «azione penale obbligatoria non significa (. . . )
consequenzialità automatica tra notizia di reato e processo, né do-vere del p.m. di iniziare il processo per qualsiasi notitia criminis poiché sussiste un limite implicito alla stessa obbligatorietà, razio-nalmente intesa, nella regola per cui il processo non debba essere instaurato quando si appalesi oggettivamente superfluo»14.
L’art. 112 Cost. richiede dunque che l’azione penale sia esercita-ta solo quando effettivamente sussisesercita-tano determinati presupposti, in assenza dei quali il pubblico ministero dovrà invece optare per la richiesta di archiviazione. Il presupposto volto ad orientare l’esito delle indagini preliminari è sancito dall’art. 408 c.p.p., che stabilisce che il pubblico ministero dovrà percorrere l’opzione archiviativa in caso di infondatezza della notizia di reato. Ulteriore precisazio-ne è fornita dall’art. 125 disp.att. c.p.p. che specifica il contenuto dell’art. 408 c.p.p. riconducendo l’infondatezza della notizia di reato
13Per questa formula, M. Chiavario, L’obbligatorietà dell’azione penale: il
principio e la realtà, in Il pubblico ministero oggi (Atti del convegno di studi «Enrico de Nicola», Saint Vincent 3-4 giugno 1993), Milano, 1994, p. 2658.
all’inidoneità degli elementi raccolti durante le indagini preliminari a sostenere l’accusa in giudizio15. L’esercizio dell’azione penale appartiene dunque al novero dei poteri vincolati del pubblico mi-nistero, poichè in caso di sussistenza dei presupposti determinati non è consentita alcuna opzione alternativa ma bensì un solo esito decisorio16.
2.2
Operatività del principio nelle
in-dagini preliminari
Occorre tuttavia necessariamente ponderare tale declamata vincola-tività con la fattuale discrezionalità che l’esercizio dell’azione penale in concreto implica, non consistendo più (come invece avveniva sot-to la vigenza del Codice Rocco) in una sommaria delibazione sulla manifesta infondatezza della notitia criminis ma in una verifica in concreto. L’obbligatorietà di cui all’art. 112 Cost. sorge in caso di sussistenza di determinati presupposti, la cui verifica è però rimessa all’organo inquirente nell’ambito dello svolgimento delle indagini preliminari. La perentorietà del vincolo costituzionale è dunque innescata a seguito di una valutazione di carattere discrezionale, volta a rilevare, a partire dal materiale probatorio esistente, la
15Il codice di procedura penale del 1988 ha collocato l’esercizio dell’azione
penale all’esito dell’indagini preliminari, consentendone l’effettuazione non in astratto ma in concreto, poiché effettuata in base agli elementi raccolti durante le indagini.
16In questo senso, D. Vicoli, Scelte del p.m. nella trattazione delle notizie
di reato e art. 112 Cost.: un tentativo di razionalizzazione, in Rivista italiana di diritto processuale, 2003, p. 263.
sussistenza dei presupposti per l’esercizio dell’azione penale17.
Tuttavia ciò non implica un’attività di carattere arbitrario del pubblico ministero ispirata a canoni di opportunità, poiché occorre riconoscere all’organo dell’accusa una discrezionalità non libera ma vincolata, ancorata a parametri predeterminati e oggettivi18.
Ciò è quanto è stato ribadito anche dalla Corte Costituzionale19,
che ha sottolineato l’esigenza che la regola di giudizio prevista per l’archiviazione fosse improntata sull’oggettiva superfluità del processo e non su valutazioni di mera opportunità, rilevando come entro tali limiti non contrasti con l’art. 112 Cost. la circostanza che il p.m. abbia margini di discrezionalità rispetto alla valutazione dell’idoneità degli elementi acquisiti a sostenere l’accusa in giudizio
ex art. 125 disp. att. c.p.p.20 Sebbene dunque la prognosi rispetto
all’esistenza delle condizioni che rendono doverosa l’azione penale sia rimessa alla valutazione del pubblico ministero, questa non potrà essere informata ad apprezzamenti di carattere opportunistico e arbitrario. Valutata la fondatezza della notizia di reato, il pubblico ministero non godrà poi di margini valutativi ulteriori rispetto all’esercizio dell’azione penale, a cui sarà vincolato ex art. 112
17In questo senso, I. Frioni, Le diverse forme di manifestazione della
di-screzionalità nell’esercizio dell’azione penale, in Rivista italiana di diritto processuale penale, 2002, p. 542.
Lo stesso art. 125 disp. att. c.p.p. sembra confermare questo margine valutativo riservato al pubblico ministero, stabilendo che il «il pubblico ministero presenta al giudice richiesta di archiviazione quando ritiene l’infondatezza della notizia di reato».
18Sul punto, D. Vicoli, Scelte del p.m. nella trattazione delle notizie di reato
e art. 112 Cost.: un tentativo di razionalizzazione, in Rivista italiana di diritto processuale, 2003, p. 264.
19Corte Costituzionale, sentenza n. 88/1991, in Giur. Cost., 1991, p.586. 20Sul punto, V. Grevi, L’archiviazione per "inidoneità probatoria" ed
ob-bligatorietà dell’azione penale, in Rivista italiana di diritto processuale, 1990, p. 1295.
Cost.
Oggetto di dibattiti è stata anche la collocazione temporale dell’insorgere dell’obbligo di cui all’art. 112 Cost. La vincolatività è infatti ricollegata dal precetto costituzionale al momento dell’eser-cizio dell’azione penale, relegato dal codice di rito del 1988 alla fase conclusiva delle indagini preliminari, all’esito delle quali il pubblico ministero è chiamato ad effettuare la scelta tra archiviazione ed elevazione dell’imputazione.
Discussa è stata dunque la possibilità per il principio di obbli-gatorietà di estendersi oltre il mero momento di scelta dell’esercizio dell’azione penale, retroagendo anche alla fase precedente delle indagini preliminari. Secondo una parte della dottrina21 la vigenza
dell’art. 112 Cost. dovrebbe riferirsi solo al momento conclusivo delle indagini preliminari e non anche all’acquisizione della
noti-tia criminis. Dunque, secondo questa impostazione, soltanto la
formulazione dell’imputazione costituirebbe un atto obbligato ex art. 112 Cost.22, mentre la fase investigativa dovrebbe essere invece orientata dall’art. 97 comma 1 Cost. I canoni che presiederebbero la discrezionalità del p.m. sarebbero dunque quelli di imparzialità e buon andamento, che consentirebbero comunque di scongiurare il
ri-21In questo senso, I. Frioni, Le diverse forme di manifestazione della
di-screzionalità nell’esercizio dell’azione penale, in Rivista italiana di diritto processuale penale, 2002, p. 545; B. Caravita, Obbligatorietà dell’azione penale e collocazione del pubblico ministero: profili costituzionali, in Il pubblico mini-stero oggi (Atti del convegno di studi «Enrico de Nicola», Saint Vincent 3-4 giugno 1993), Milano, 1994, p. 299.
22A sostegno di questa teorizzazione sono richiamati gli articoli numero
326 c.p.p. (che segnerebbe lo iato tra indagini e esercizio dell’azione penale, plasmando la prima attività come propedeuticamente preordinata alla seconda) e numero 405 c.p.p. (che ricollega azione penale alla formulazione dell’impu-tazione). Sul punto, vedi I. Frioni, Le diverse forme di manifestazione della discrezionalità nell’esercizio dell’azione penale, in Rivista italiana di diritto
schio di potenziali derive arbitrarie ed opportunistiche dell’attività del pubblico ministero.
La dottrina maggioritaria23 e la giurisprudenza24 hanno invece ritenuto che questa perimetrazione dell’operatività del principio costituzionale nel frangente temporale successivo alla chiusura delle indagini preliminari sia da rigettarsi in quanto vanificherebbe di fatto la portata garantista dell’art. 112 Cost. Il rischio che si cela nella ricostruzione che relega l’efficacia del principio costituzionale al momento conclusivo delle indagini preliminari è quello di una possibile elusione della norma, poiché la scelta in tema di eserci-zio dell’aeserci-zione penale costituirebbe l’esito di un attività rimessa totalmente alla discrezionalità del pubblico ministero. La negata vigenza del principio di obbligatorietà come limite alle scelte di-screzionali dell’organo inquirente rispetto allo svolgimento delle indagini preliminari si riverbera necessariamente anche sul suc-cessivo momento della decisione rispetto all’esercizio dell’azione penale, che di tale fase costituisce l’approdo finale. Sebbene dunque l’art. 112 Cost. non si riferisca in maniera esplicita alle modalità e ai termini delle indagini preliminari, la ratio della norma ne impone un’interpretazione tale da consentire il suo esplicarsi anche nella fase investigativa25. Consentendo la retroazione
dell’effica-23In questo senso, D. Vicoli, Scelte del p.m. nella trattazione delle notizie
di reato e art. 112 Cost.: un tentativo di razionalizzazione, in Rivista italiana di diritto processuale, 2003, p. 266; F. Caprioli, L’archiviazione, Napoli, 1994, p. 534; E. Marzaduri, Sul principio di obbligatorietà dell’azione penale, in Il Ponte, 1998, p. 89; F. Mencarelli, in Procedimento probatorio e archiviazione, Napoli, 1993, p. 105.
24In questo senso, Corte Costituzionale sentenza n.88/1991 e sentenza
n. 420/1995, in cui l’art. 112 Cost. viene esplicitamente riferito con riferimento all’intera fase delle indagini preliminari.
25Sul punto, E. Marzaduri, voce "Azione" IV) diritto processuale penale, in
cia dell’art. 112 Cost. anche alla fase delle indagini preliminari, è possibile desumere la vigenza in questa fase (come corollario) del principio di obbligatorietà dello svolgimento delle indagini in pre-senza di una notizia di reato26. Dalla sussistenza di una notizia di
reato l’art. 112 Cost. esplicherebbe la sua forza imperativa facendo sorgere in capo al pubblico ministero il dovere di iscrizione nel registro ex art. 335 c.p.p. e consequenzialmente l’obbligo di svolgere le indagini necessarie ad individuare la fondatezza della notitia
criminis27.
In stretta correlazione con il principio di obbligatorietà nell’am-bito delle indagini preliminari è anche il principio di
completez-za delle indagini, desunto dal combinato disposto degli articoli
326 e 358 del codice di rito28. La stessa Corte Costituzionale29,
26Per questa impostazione vedi D. Vicoli, Scelte del p.m. nella trattazione
delle notizie di reato e art. 112 Cost.: un tentativo di razionalizzazione, in Rivista italiana di diritto processuale, 2003, p. 266.
27In proposito era stato approvata (ma non successivamente confermata)
dalla Commissione Bicamerale, nell’ambito di un progetto di revisione co-stituzionale, una modifica dell’art. 132 Cost., volta a chiarificare il rapporto tra indagini preliminari e l’art. 112 Cost. Il testo modificato prevedeva: «il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale, e a tal fine avvia le indagini quando ha notizia di un reato». Tale formulazione esplicitava il carattere di obbligatorietà che connota l’attività del pubblico ministero anche nella fase delle indagini preliminari.
28A garanzia di questo principio sono posti gli artt. 409 comma 4 c.p.p. - in
forza del quale in seguito alla richiesta di archiviazione il giudice per le indagini preliminari può indicare al pubblico ministero ulteriori indagini considerate necessarie - e 410 comma 1 c.p.p. - che sancisce la facoltà riservata alla persona offesa di opporsi alla richiesta di archiviazione per ottenere la prosecuzione delle indagini, indicando a pena di inammissibilità l’oggetto delle investigazioni suppletive e i relativi elementi di prova. Gli articoli 412 e 413 c.p.p. preve-dono inoltre il potere di avocazione in capo al procuratore generale presso la Corte di appello come strumento di reazione contro l’inerzia del pubblico ministero. Sul punto, E. Marzaduri, voce "Azione" IV) diritto processuale penale, in Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1996, p.12. Anche la Corte Costituzionale - sentenza n. 88/1991 - ha precisato che nell’ordinamento sono appositamente predisposti gli strumenti volti a «contrastare le inerzie e le lacune investigative ed evitare che le scelte del pubblico ministero si traducano in esercizio discriminatorio dell’azione penale».
basandosi sull’affermazione della necessaria completezza delle inda-gini, ha escluso le tesi riduttive rispetto all’ambito di applicazione dell’art. 112 Cost. Il precetto costituzionale risulterebbe infatti elu-so se l’attività svolta dall’organo inquirente nella fase investigativa fosse lacunosa e manchevole, poiché tale attività è devoluta alla verifica della sussistenza dei presupposti da cui scaturisce l’obbligo di cui all’art. 112 Cost. Il principio di completezza delle indagini preliminari e il principio di obbligatorietà dell’azione penale sono dunque strettamente collegati, in quanto «il dovere di
investiga-re non è che una scontata estensione del doveinvestiga-re di agiinvestiga-re»30. Sul pubblico ministero grava dunque l’obbligo di iscrivere la notizia di reato e consequenzialmente di svolgere in maniera diligente e completa le indagini necessarie a verificarne la fondatezza; se i presupposti per l’esercizio dell’azione penale saranno integrati, egli sarà successivamente obbligato ad esercitare l’azione penale ex art. 112 Cost. Nella fase delle indagini preliminari è imprescindi-bilmente insito un certo margine di discrezionalità di cui gode il pubblico ministero31. Tuttavia, tale discrezionalità sarà vincolata dal principio di completezza delle indagini preliminari, per cui egli dovrà svolgere tutte le attività necessarie a effettuare la decisione rispetto all’esercizio dell’azione penale in modo consapevole32.
30Come rileva F. Caprioli, L’archiviazione, Napoli, 1994, p. 534.
31Nel fisiologico svolgimento delle indagini preliminari, il pubblico ministero
è necessitato ad operare scelte discrezionali, per esempio in tema di decisioni in ordine all’orientamento investigativo da imprimere alle indagini e in tema probatorio.
32Sul punto, D. Vicoli, Scelte del p.m. nella trattazione delle notizie di reato
e art. 112 Cost.: un tentativo di razionalizzazione, in Rivista italiana di diritto processuale, 2003, p. 267.
2.3
Legittimità dei criteri alla luce
del-l’art. 112 Cost.
Considerando il principio di obbligatorietà come operativo anche nella fase delle indagini preliminari, occorre valutare la compatibi-lità dei criteri di priorità nella trattazione delle notizie di reato con l’art. 112 Cost.33 La compatibilità con l’impianto costituzionale di criteri che consentano di postergare la trattazione di alcune notizie di reato in deroga al criterio cronologico è stata posta in discussione poiché dall’art. 112 Cost. sembra possibile desumere che al pubblico ministero non sia riconosciuta in linea di principio alcuna discrezionalità in ordine alla tempistica della trattazione delle notizie di reato pervenute34. Ritenendo il principio di obbli-gatorietà come vigente a partire dal momento della ricezione della notizia di reato, ogni inerzia del pubblico ministero dovrebbe essere considerata illegittima.
Per quanto riguarda l’attuale esperienza normativa italiana
33In base alla impostazione minoritaria analizzata nel precedente
paragra-fo 2.2 a pagina 19 invece l’art. 112 Cost. non esplicherebbe i propri effetti nella fase delle indagini preliminari, che sarebbe dunque unicamente regolata dall’art. 97 Cost. In questo senso l’attività del pubblico ministero sarebbe ispirata ai principi di buon andamento e imparzialità, che non osterebbero in via generale a criteri concernenti l’organizzazione del lavoro delle procure volti a garantirne la razionalità. Il principio di buon andamento sembrerebbe inoltre legittimare non solo criteri per un diverso ordine di trattazione cronologica delle notizie di reato, ma anche criteri che selezionino quali notizie di reato trat-tare e di quali omettere la trattazione, con conseguenti ripercussioni negative rispetto al principio di obbligatorietà dell’azione penale. Sul punto, D. Vicoli, Scelte del p.m. nella trattazione delle notizie di reato e art. 112 Cost.: un tentativo di razionalizzazione, in Rivista italiana di diritto processuale, 2003,
p. 266.
occorre sottolineare come le disposizioni35 che hanno fornito una
regolamentazione dei criteri di priorità nell’ordinamento italiano in realtà non abbiano avuto riguardo a criteri volti a disciplina-re la trattazione delle notizie di disciplina-reato nell’ambito delle indagini preliminari, ma a criteri per la gestione dei ruoli in udienza, in una fase dunque successiva all’esercizio dell’azione penale. La nor-ma dell’art. 112 Cost. si riferisce in prinor-ma istanza alle prerogative del magistrato del pubblico ministero, cioè il titolare dell’azione penale del cui esercizio è sancita l’obbligatorietà. Tuttavia, la por-tata dell’art. 112 Cost. all’interno del quadro costituzionale impone di considerarne l’efficacia nei confronti dell’autorità giudiziaria complessivamente intesa, in modo tale da consentire un’effettiva garanzia dei principi di legalità, uguaglianza e indipendenza esterna. L’esercizio dell’azione penale obbligatorio risulterebbe ineffettivo se le fasi successive alla formulazione dell’imputazione fossero rimesse alla libera discrezionalità del giudice, dunque il principio di legalità che l’art. 112 Cost. veicola deve necessariamente informare tutte le attività procedimentali, impedendo che tra la formulazione del-l’imputazione effettuata dal pubblico ministero e la trattazione del processo possano inserirsi scelte discrezionali del singolo giudice.
I principi generali costituzionali trovano tuttavia ineludibile limite nella realtà e nell’effettiva possibilità di trovare concreta applicazione. I problemi già analizzati36 ostano ad un’effettiva concretizzazione del principio di cui all’art. 112 Cost. Il puntuale
35Disposizioni che saranno oggetto di approfondita analisi nel paragrafo 4.1
a pagina 67 e 4.2 a pagina 74. Nello specifico tali disposizioni consistono nell’art. 132-bis disp. att. c.p.p. introdotto con legge n. 4 del 19 gennaio 2001 e l’art. 227 del d. leg. n. 51 del 19 febbraio 1998.
ossequio di questo precetto richiederebbe infatti risorse ed apparati idonei ad evadere il carico di notizie di reato di cui le procure sono destinatarie ed è dunque dalla loro organizzazione che dipenderebbe l’effettività del principio di obbligatorietà dell’esercizio dell’azio-ne penale. Il rigore dell’art. 112 Cost. richiede dunque di essere contemperato con la realtà dei fatti e con le possibilità concrete di trovare traduzione nella realtà. Come affermato dalla Sezione disciplinare del C.s.m.37 «nell’impossibilità oggettiva di esaurire
tempestivamente la trattazione di tutte le notizie di reato, è com-pito del Procuratore della Repubblica -e in difetto, del sostituto procuratore- di elaborare criteri di priorità di selezione dei procedi-menti penali da trattare». Nello stesso senso anche le affermazioni
esternate in seno alla Commissione di riforma dell’ordinamento giudiziario del 1993, in cui venne appunto dichiarata l’impossibilità oggettiva di perseguire tutti i reati, affermando parallelamente la necessità di stabilire un sistema di priorità per l’esercizio dell’azione penale38.
In questa situazione pratica di oggettiva difficoltà di applica-zione del principio di obbligatorietà dell’aapplica-zione penale si innesta la disputa riguardo la legittimità dei criteri di priorità, in quanto l’art. 112 Cost. sembrerebbe ostare alla possibilità di stabilire criteri in base ai quali porre una gerarchia trai procedimenti, scandendone la trattazione in deroga al criterio cronologico.
37Decisione del 20 giugno 1997, Sezione disciplinare C.s.m., in Cass. pen.,
1998, pp. 1489s.
38Commissione nominata dal ministro Conso con decreto ministeriale 8
feb-braio 1993. Per questa ricostruzione vedi Atti Parlamentari, XVI Legislatura, Senato della Repubblica, Disegno di legge recante “delega al governo in materia di determinazione dei criteri di priorità nell’esercizio dell’azione penale”, a
L’analisi della legittimità dei criteri di priorità impone in via preliminare di considerarne il profilo contenutistico. Infatti è ge-neralmente inopinata la violazione dell’art. 112 Cost. in caso di criteri fondati su ragioni di opportunità e rimessi al totale arbitrio del pubblico ministero39. Consentire la gestione della trattazione
delle notizie di reato in base a singole valutazioni di convenienza costituirebbe una macroscopica violazione dei principi di obbliga-torietà e di uguaglianza, in quanto si realizzerebbe una situazione di totale aleatorietà rispetto all’esercizio dell’azione penale.
Oggetto di discussione e di posizioni discordanti è stata invece la possibile compatibilità con il sistema costituzionale di criteri fondati su canoni oggettivi e predeterminati, che configurerebbero una discrezionalità di carattere tecnico in capo al pubblico ministero. Una parte della dottrina40 assume una posizione critica rispetto
alla legittimità dei criteri di priorità, ritenendoli incompatibili con il quadro costituzionale. Si è infatti osservato41 che questo istituto
39In questo senso, D. Vicoli, Scelte del p.m. nella trattazione delle notizie
di reato e art. 112 Cost.: un tentativo di razionalizzazione, in Rivista italiana di diritto processuale, 2003, p. 271.
40Rilievi critici di M. Cicala, Il pubblico ministero e l’azione penale, in
Documenti giustizia, 1997, p. 1524; G. D’Elia, I principi costituzionali di stretta legalità, obbligatorietà dell’azione penale ed egualianza a proposito dei criteri di priorità nell’esercizio dell’azione penale, in Rivista di Giurisprudenza Costituzionale, 1998, p. 1878; P. Ferrua, Primi appunti critici sul giudice unico in materia penale, in Critica del diritto, 1998, p. 27; M. Devoto, Obbligatorietà-discrezionalità dell’azione penale, Ruolo del pubblico ministero, in Cassazione penale, 1996, p. 2049; U. Nannucci, Flusso delle notizie di reato, organizzazione delle risorse, obbligatorietà dell’azione penale, in Quaderni e pubblicazioni C.s.m. 1991, p. 183; M. Nobili, Nuovi modelli e connessioni: processo -teoria dello stato- epistemologia, in L’Indice penale, 1999, p. 33; F. Pinto, Obbligatorietà dell’azione penale e organizzazione delle Preture circondariali, in Questione Giustizia, 1991, p. 427; N. Zanon, Pubblico ministero e Costituzione,
Padova, 1996.
41In questo senso, G. D’Elia, I principi costituzionali di stretta legalità,
obbligatorietà dell’azione penale ed egualianza a proposito dei criteri di priorità nell’esercizio dell’azione penale, in Rivista di Giurisprudenza Costituzionale, 1998, p. 1884.
inficerebbe il nesso di consequenzialità (imposto dall’art. 112 Cost.) che intercorre tra ricezione della notitia criminis e l’obbligo di procedere per la repressione del fatto di reato. Secondo questa impostazione dunque la teorizzazione di criteri di priorità sarebbe incompatibile con il nostro sistema costituzionale stante la vigenza del principio di obbligatorietà dell’azione penale, essendo dunque prospettabili solo in ordinamenti fondati sul sistema di facoltatività dell’azione penale.
Sotto questo profilo la critica ai criteri di priorità è stata oggetto di confutazioni, fondate su una necessaria precisazione rispetto al funzionamento di tali criteri. Fisiologicamente questi sono volti a stabilire una scansione temporale della trattazione dei procedimenti derogatoria rispetto al criterio cronologico, ma che comunque non si risolve in una selezione. Il nesso che intercorre tra notizia di reato e obbligo di procedere e tra formulazione dell’imputazione e celebrazione del processo non sarebbe dunque interrotto, poiché i criteri di priorità non implicano il venir meno dell’obbligo di proce-dere rispetto a talune notizie di reato, ma determinano unicamente una postergazione della loro trattazione che non si risolve in un esonero42. Diversamente, un sistema di criteri che consentissero al
pubblico ministero e al giudice di effettuare una selezione a priori dei procedimenti da instaurare e di quelli di cui omettere invece totalmente la trattazione costituirebbe una patente violazione del sistema costituzionale. L’illegittimità di criteri che si traducono in un’anticipata rinuncia alla persecuzione di determinate fattispecie
42Sul punto, D. Vicoli, Scelte del p.m. nella trattazione delle notizie di reato
e art. 112 Cost.: un tentativo di razionalizzazione, in Rivista italiana di diritto processuale, 2003, p. 273.
criminose43 è dunque generalemente riconosciuta, mentre è
prospet-tata la possibile compatibilità di criteri di priorità che, alterando la trattazione dei procedimenti soltanto sotto il profilo temporale, non esonererebbero il pubblico ministero dall’obbligo di procedere per ogni notizia di reato pervenuta o il giudice dall’obbligo di istruire il processo per ogni imputazione formulata. L’articolo 112 Cost. infatti non sembra imporre un obbligo di rigorosa trattazione in ordine cronologico delle notizie di reato ed in questo senso in esso non sembra riscontrabile un esplicito divieto ai criteri di priorità. Sul punto infatti un’autorevole letteratura penal-processualistica44 ha ritenuto di poter affermare la legittimità dei criteri di priorità poiché non direttamente incidenti sull’obbligo di esercitare l’azio-ne penale, ma soltanto sulle tempistiche concerl’azio-nenti tale obbligo. L’elaborazione di criteri che consentano una razionalizzazione del lavoro delle procure è stata infatti considerata come necessitata, stante l’impossibilità oggettiva di assicurare una tempestiva tratta-zione di tutte le notizie di reato. I criteri di priorità in sé per sé considerati non integrano una lesione del principio di obbligatorie-tà dell’azione penale, il cui omesso tempestivo esercizio sarebbe derivante non da considerazioni di opportunità relative alla singola
43Per questa impostazione vedi M. Chiavario, L’obbligatorietà dell’azione
penale: il principio e la realtà, in Il pubblico ministero oggi (Atti del convegno di studi «Enrico de Nicola», Saint Vincent 3-4 giugno 1993), Milano, 1994,
p. 67.
44In questo senso, D. Vicoli, Scelte del p.m. nella trattazione delle notizie di
reato e art. 112 Cost.: un tentativo di razionalizzazione, in Rivista italiana di diritto processuale, 2003, p. 275; V. Zagrebelsky, L’obbligatorietà dell’azione penale: un punto fermo, una discussione mancata, un problema attuale, in Cassazione Penale, 1992, p. 105; G. N. Modona, Principio di legalità e nuovo processo penale, in Il pubblico ministero oggi, Milano, 1994, p. 124; M. Chiavario, L’obbligatorietà dell’azione penale: il principio e la realtà, in Il pubblico ministero oggi (Atti del convegno di studi «Enrico de Nicola», Saint Vincent 3-4 giugno 1993), Milano, 1994, p. 95.
notizia di reato, ma dal limite oggettivo consistente nell’impossibi-lità di trattazione di tutte le notitiae criminis, impossibinell’impossibi-lità che permane a prescindere dall’adozione di criteri di priorità45.
In questo senso è stata invece fortemente auspicata l’adozione di criteri di priorità proprio come strumento di organizzazione e gestio-ne del carico di lavoro degli uffici. L’elaboraziogestio-ne di questi criteri assolverebbe infatti alla funzione di garantire i principi di razionali-tà ed economicirazionali-tà del sistema, valori tutelati a livello costituzionale dall’art. 97 comma 1 Cost.46, che risulterebbero pregiudicati da una causalità nell’organizzazione del lavoro e da una discreziona-lità affidata al singolo magistrato47. In questo senso i criteri di priorità assolverebbero alla primaria funzione di assicurare una gestione organizzata e non aleatoria del lavoro, in ottemperanza ai principi costituzionali concernenti l’amministrazione della giustizia. Essendo dunque i criteri di priorità preposti a presidio di valori
45In questo senso, V. Zagrebelsky, Stabilire le priorità nell’esercizio
obbliga-torio dell’azione penale, in Il pubblico ministero oggi, Milano, 1994, p. 104; sul punto anche M. Vannucci, Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura n. 936 del 20 giugno 1997, in Cassazione penale, 1998, p. 1490, che ha riconosciuto che «ciò non suona offesa all’obbligatorietà dell’azione penale nei limiti in cui [. . .] tale soluzione non deriva da considerazioni di opportunità relative alla singola notizia di reato, ma trova causa nel limite oggettivo alla capacità di smaltimento del lavoro dell’organismo giudiziario nel suo complesso e della procura della Repubblica in particolare»; per una critica di questa giustificazione invece I. Frioni, Le diverse forme di manifestazione della discrezionalità nell’esercizio dell’azione penale, in Rivista italiana di diritto processuale penale, 2002, p. 552, per cui se l’oggettiva impossibilità di una trattazione tempestiva e completa di tutte le notizie di reato viene ritenuta sufficiente a giustificare l’adozione di criteri di priorità in egual modo dovrebbe legittimare la prassi per cui i pubblici ministeri operano una scelta dei procedimenti a cui dare precedenza, poiché sempre determinate da contingenze esterne alla volontà del singolo magistrato.
46Per questa impostazione, V. Zagrebelsky, Una filosofia dell’organizzazione
del lavoro per la trattazione degli affari penali, in Cassazione penale, 1989, p. 315.
47Sul punto, G. Ichino, Obbligatorietà e discrezionalità dell’azione penale,
costituzionalmente rilevanti, la tutela dei valori sottesi all’art. 112 Cost. (con cui il contrasto dei criteri è ipotizzato) dovrebbe subire legittimo contemperamento alla luce della necessità di tutelare altri beni di rango costituzionale.
Sebbene dunque dal punto di vista teorico i criteri di priorità non implichino una selezione dei procedimenti da instaurare, i profili critici che essi riscontrano nella loro applicazione pratica non possono essere ignorati. Infatti, stante l’impossibilità per gli uffici di affrontare tempestivamente tutto il carico di lavoro, variare l’ordine cronologico e dare precedenza ad alcuni procedimenti a scapito di altri implica in ultima istanza una selezione, considerando il rischio di estinzione per prescrizione a cui sembrano destinati i procedimenti non valorizzati dai criteri di priorità48. Questa
deriva patologica dell’istituto non è però ad esso imputabile, ma è invece originata dalle disfunzioni sistemiche dell’ordinamento49.
Dal punto di vista fisiologico i criteri di priorità non hanno alcuna natura selettiva, natura che essi invece sembrerebbero assumere per cause ultronee in ambito patologico. I criteri di priorità non svolgono una funzione di filtro delle notizie di reato ed essi non hanno dunque alcuna incidenza deflattiva sul sistema, poiché non sfoltirebbero il carico di lavoro di cui gli uffici sono destinatari ma ne effettuerebbero soltanto una razionalizzazione. L’utilità dell’istituto non deve essere dunque valutata sotto il profilo della deflazione, in quanto da questo punto di vista i criteri di priorità non hanno
48Sul punto, G. D’Elia, I principi costituzionali di stretta legalità,
obbli-gatorietà dell’azione penale ed egualianza a proposito dei criteri di priorità nell’esercizio dell’azione penale, in Rivista di Giurisprudenza Costituzionale, 1998, p. 1885.
alcuna rilevanza e dovrebbero essere dunque considerati superflui. L’opportunità di adoperare criteri di priorità è invece apprezzabile sotto il profilo della razionalizzazione dell’organizzazione del lavoro, poiché consentono di convertire la discrezionalità libera di cui altrimenti godrebbero i singoli magistrati in vincolata, ancorandola a criteri di carattere oggettivo e predeterminato50. In assenza di
criteri di priorità il numero di notizie di reato continuerebbe in ogni caso ad essere in esubero rispetto alle capacità di smaltimento dell’ufficio e ciò rimetterebbe alla discrezionalità del magistrato il compito di organizzare la gestione del lavoro, con il rischio di scelte arbitrarie ed opportunistiche che costituirebbero una ancor più macroscopica violazione dei precetti costituzionali. L’adozione di criteri di priorità espliciti garantirebbe invece una maggiore trasparenza rispetto a ciò che comunque nella prassi gli uffici sono indotti a fare per affrontare il carico di lavoro di cui sono destinatari e consentirebbe di razionalizzare il sistema evitando una gestione del tutto casuale del lavoro.
2.4
Art. 112 Cost.: un principio da
ab-bandonare?
Stante la constatata51inapplicabilità del principio di obbligatorietà
dell’esercizio dell’azione penale, è stata posta in dubbio
l’oppor-50Sul punto, D. Vicoli, Scelte del p.m. nella trattazione delle notizie di reato
e art. 112 Cost.: un tentativo di razionalizzazione, in Rivista italiana di diritto processuale, 2003, p. 276.
51In questo senso si è esplicitamente espressa la Commissione ministeriale
per la riforma dell’ordinamento giudiziario, la cui posizione è riportata in Documenti Giustizia, 1994.
tunità di mantenere siffatto precetto all’interno dell’ordinamento italiano. L’impossibilità materiale di perseguire tutti i reati di fatto impedisce l’effettiva applicazione del principio di obbligatorietà: all’enunciazione sulla carta della norma di cui all’art. 112 Cost. non si accompagna dunque una sua puntuale traduzione nella realtà, in cui sono invece fermentate prassi discrezionali occulte. I margini di discrezionalità de facto esistenti in tema di selezione delle notizie di reato ha indotto a prospettare una riforma del sistema volta a con-sentire una maggiore trasparenza e un maggior controllo di scelte che, purché formalmente vietate, risultano comunque celatamente compiute.
Questa problematica è avvertita non solo all’interno dell’or-dinamento italiano, ma anche a livello sovranazionale. A titolo esemplificativo, nell’ordinamento francese52 venne prospettata53 la
possibilità di introdurre il principio di obbligatorietà dell’azione penale e contestualmente riconoscere l’indipendenza del pubblico ministero dal potere esecutivo. In questa sede la Commissione assunse relativamente a tali prospettive una posizione nettamente ostativa, fondando il suo diniego all’introduzione del principio di obbligatorietà sulla convinzione per cui nessun paese avrebbe mai potuto essere in grado di perseguire tutti i reati e ciò avrebbe
52Il sistema francese in tema di esercizio dell’azione penale è informato
al principio di discrezionalità, in virtù del quale l’atto di elevazione dell’im-putazione configura un atto discrezionale di natura amministrativa. Inoltre nell’ordinamento francese (a differenza di quello italiano) l’ordine dei magistra-ti è ricompreso all’interno di una struttura gerarchica facente capo al Ministro della Giustizia: ciò comporta che la discrezionalità riconosciuta al pubblico ministero in tema di esercizio dell’azione penale sia sottoposta al controllo governativo e sia dunque limitata.
53Ciò avvenne nel 1997, quando il Presidente francese Chirac istituì la
comunque implicato, nonostante l’affermata vigenza del principio di obbligatorietà, il compimento di scelte discrezionali da parte dell’organo requirente.
Anche la posizione comunitaria rispetto a questa tematica sem-bra propendere per un sistema dell’esercizio dell’azione penale informato al principio di discrezionalità, in virtù del suo più reali-stico potenziale applicativo. Esplicitamente in questo senso è stata la Raccomandazione del Comitato dei ministri della giustizia del Consiglio d’Europa54, in cui fu auspicata l’adozione di sistemi di discrezionalità in ordine all’esercizio dell’azione penale. Relativa-mente agli Stati membri in cui fosse invece vigente il principio di obbligatorietà55 fu invece raccomandata l’adozione delle misure
idonee a consentire l’effettiva applicazione del principio e in ogni caso ad assicurare standard adeguati in termini di efficienza della giustizia penale. La posizione della comunità scientifica a livello sovranazionale rispetto alla questione non è però unanime: a titolo esemplificativo, nelle “Risoluzioni di Rio”56 fu propugnata l’idonei-tà del principio di obbligatoriel’idonei-tà dell’esercizio dell’azione penale ad assurgere a garanzia contro attività di carattere arbitrario e discriminatorio. Anche lo stesso Comitato dei ministri della giusti-zia del Consiglio d’Europa ha successivamente57 manifestato segni
54Raccomandazione 17/9/87, n. R 87, 18, in tema di efficienza della giustizia
penale.
55In realtà soltanto nell’ordinamento italiano il principio di obbligatorietà
trova riconoscimento all’interno della fonte di rango costituzionale. Sul punto, M. N. Miletti, Il principio di obbligatorietà dell’azione penale oggi: confini e prospettive, Premessa storica, in Criminalia, 2010, p. 304.
56Résolutions du XVème Congrès International de droit pénal in Rev. intern.
dr. pén. 1995, redatte in seno al XV Congresso dell’Associazione internazionale di diritto penale svoltosi nel settembre del 1994.
57Raccomandazione n. 19/2000, “Sul ruolo del pubblico ministero nel sistema