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Al fine di consentire la costruzione di un sistema delle priorità conforme all’impianto costituzionale come delineato in particolar modo dall’art. 112 Cost. e dall’art. 3 Cost. è necessario analizzare anche la problematica relativa ai canoni in base ai quali organizzare la scala gerarchica delle priorità. L’urgenza di una trattazione più o meno prioritaria può essere astrattamente parametrata sulla base di canoni molteplici, volti a valorizzare esigenze differenti e non sempre costituzionalmente compatibili.

Per esempio, basando la diversa trattazione temporale dei proce- dimenti su criteri informati ai principi di opportunità e convenienza si avrebbe la contestuale lesione:

1. del principio di obbligatorietà dell’azione penale ex art. 112 Cost., che risulterebbe vanificato in caso di riconoscimento di

ampi margini di discrezionalità in capo al soggetto incaricato di esercitare l’azione penale;

2. del principio di uguaglianza ex art. 3 Cost., in quanto le valutazioni informate ai canoni della mera opportunità po- trebbero creare situazioni ingiustamente discriminatorie e difficilmente controllabili.

L’esigenza che si pone è dunque quella di fondare il sistema su criteri predeterminati in via generale ed astratta (per consentire l’applicazione omogenea non rimessa alle singole inclinazioni del soggetto chiamato ad applicare il sistema delle priorità) ma anche oggettivi e compatibili con gli standard di ragionevolezza che l’art. 3 Cost. richiede.

Il criterio basale a cui i criteri di priorità intendono sostituirsi è quello cronologico, in base al quale l’ordine di trattazione dei procedimenti dipenderebbe dalla tempistica di pervenimento della

notitia criminis all’ufficio della procura. Questo criterio presenta

un carattere sicuramente oggettivo, ma è percepito come inidoneo nel contesto in cui è collocato, ove l’amministrazione della giusti- zia non è capace di offrire una persecuzione tempestiva e totale di tutte le vicende criminose. Seguire esclusivamente il criterio cronologico implicherebbe l’impiego di risorse nella persecuzione di reati anteriori a scapito di altri successivi rispetto ai quali però l’interesse alla repressione da parte dell’ordinamento è maggior- mente pregnante. I canoni in base ai quali informare la costruzione del sistema delle priorità dipendono dunque dalla percezione (che deve essere oggettiva) della necessità che taluni procedimenti siano affrontati in via prioritaria a scapito di altri rispetto ai quali le

esigenze repressive sono avvertite come meno urgenti. In questo senso il canone principale su cui fondare il discrimine tra trattazio- ne prioritaria o postergata risulterebbe essere quello relativo alla gravità del fatto di reato.

A questa costruzione si contrappone quella che propende invece per orientare il sistema delle priorità sulla base del criterio di semplicità26, in virtù del quale sarebbe da prediligersi la trattazione

prioritaria dei procedimenti più semplici, rispetto ai quali si prevede una più rapida definizione. In base a questa impostazione si ritiene maggiormente conveniente destinare prioritariamente le risorse dell’amministrazione della giustizia all’esaurimento delle bagatelle, in quanto rispetto ad esse si prospettano tempistiche di definizione dei procedimenti connotate da maggiore brevità.

Effettuando una valutazione sulla base di questo criterio è possibile distinguere tra27:

• notizie di reato frequenti e a cui conseguono indagini prelimi- nari connotate da particolare semplicità;

• notizie di reato frequenti e a cui conseguono indagini preli- minari brevi, ma rispetto alle quali si registrano tempistiche in sede dibattimentale di maggiore durata, con il rischio di congestionamenti a livello di celebrazione delle udienze; • notizie di reato che richiedono complesse e approfondite in-

dagini preliminari e diffusa istruzione dibattimentale. In

26In questo senso, C. Cesari, L’inflazione delle notizie di reato e i filtri

selettivi ai fini del processo, in Rivista di diritto processuale, 2011, p. 1407.

27Per questa ricostruzione, V. Zagrebelsky, Una filosofia dell’organizzazione

del lavoro per la trattazione degli affari penali, in Cassazione penale, 1989, p. 365.

quest’ultima categoria sono solitamente ricompresi proprio i fatti di reato più gravi e a cui sono sottesi gli interessi valutati come preminenti dall’ordinamento.

Accogliendo unicamente come criterio da seguire quello fondato sulla semplicità della fase di indagini o di quella dibattimentale, sarebbe da escludersi la trattazione prioritaria delle notizie di reato per ultime citate, con il rischio di destinarle a possibili esiti prescrittivi. L’esigenza avvertita è invece quella di assicurare la trattazione dei procedimenti concernenti le fattispecie di reato qualificate da una pregnante gravità, poiché è prevalentemente rispetto ad esse che l’ordinamento richiede che la domanda di giustizia sia soddisfatta. L’ottica in cui si pongono i criteri di priorità non è quella di selezionare i procedimenti al fine di escludere la trattazione di alcuni di essi; tuttavia, le risorse e gli apparati attualmente a disposizione della giustizia non sempre assicurano la possibilità che sia fornita una risposta di giustizia tempestiva entro i termini di prescrizione. Nell’incertezza della possibile estinzione del reato si avverte come prioritario intervenire in modo certo e tempestivo nei procedimenti concernenti le fattispecie di reato dotate di elevata gravità, postergando la trattazione di quelli aventi ad oggetto le fattispecie connotate da minore offensività.

Tuttavia occorre considerare che ai reati meno gravi general- mente si accompagnano tempistiche di prescrizione più ridotte e di conseguenza rispetto ad essi la postergazione determinata dai criteri di priorità avrà maggiori probabilità di causarne l’estinzione per intervenuta prescrizione. Si ripropone dunque la necessità che ai criteri di priorità si accompagnino anche interventi volti

a rimpinguare gli apparati dell’amministrazione della giustizia in modo tale da assicurare la trattazione di tutti i procedimenti entro i termini di prescrizione, evitando di ingenerare rispetto ai reati postergati un’aspettativa di impunità non condivisibile28.

Per la medesima ragione si esclude l’opportunità di basare la creazione del sistema di priorità sull’esplicitazione specifica di ti- toli di reato: la loro collocazione in una posizione terminale nella gerarchia sarebbe infatti foriera di ingenerare la percezione di una generalizzata ed anticipata rinuncia dell’ordinamento alla loro per- secuzione. Sebbene infatti i criteri di priorità non si prefiggano di omettere la trattazione dei procedimenti reputati non priorita- ri, la manifestazione palese della non preminenza di determinate fattispecie è suscettibile di veicolare il messaggio di un relativo disinteresse alla loro repressione, con il conseguente decremento dell’efficacia deterrente della norma incriminatrice.

A sostegno dell’impostazione in virtù della quale deve conside- rarsi prioritaria la trattazione di procedimenti concernenti reati denotati da maggiore gravità sembrano essere anche alcune norme generali del sistema, da cui si evince l’attenzione che l’ordinamento riserva alla rilevanza della maggiore gravità dei fatti di reato:

• a livello costituzionale, l’art. 27 comma 3 Cost. sancisce la finalità rieducativa della pena e relativamente ad essa la ne- cessità di una rieducazione appare tanto più pregnante tanto è maggiore la gravità della lesione cagionata e la conseguente

28In questo senso, S. Morisco e C. Papagno, Dall’obbligatorietà alla

pericolosità del soggetto agente29;

• anche l’art. 49 comma 2 c.p., stabilendo la non punibilità del fatto che pur integrando la fattispecie penale non sia connota- to da alcuna lesività, e le circostanze attenuanti e aggravanti previste (quali quelle previste agli articoli 61 commi 7 e 8 e 62 commi 4 e 6 c.p.) veicolano l’importanza riconosciuta dall’ordinamento al criterio della gravità.

Una critica all’adozione di criteri di priorità informati al canone della gravità venne posta30 rilevandone il contrasto con il principio di ragionevole durata del processo, che non sembrerebbe essere suscettibile di una diversa valorizzazione alla luce del parametro della gravità del fatto di reato. Il principio sancito dall’art. 111 comma 2 Cost. infatti veicola la necessità che la legge assicuri ai procedimenti una durata “ragionevole”, cioè una durata congrua ed idonea ad assicurare contestualmente sia le garanzie processuali riconosciute a livello ordinamentale, sia la tempestività della riso- luzione della controversia. Sulla base di siffatto principio dunque quello che dovrebbe ispirare la diversa parametrazione della durata del processo dovrebbe essere la complessità degli accertamenti da compiere e non la gravità del reato oggetto di trattazione.

Il canone della gravità nei criteri di priorità è tuttavia da consi- derarsi come un parametro per la gestione tempistica del rapporto tra i diversi procedimenti, non come il criterio in base al quale ponderare la ragionevolezza della durata del singolo procedimen-

29Sul punto vedi V. Zagrebelsky, Una filosofia dell’organizzazione del lavoro

per la trattazione degli affari penali, in Cassazione penale, 1989, p. 366.

30Sul punto, S. Morisco e C. Papagno, Dall’obbligatorietà alla discrezionalità

to. Stante la constatata impossibilità di assicurare la trattazione tempestiva di tutti i procedimenti, costruire una scala di priorità informata al criterio della gravità significa prediligere la trattazione dei procedimenti concernenti i fatti di reato connotati da maggiore gravità e offensività rispetto ad altri, non anche legittimare la maggiore durata interna del singolo procedimento.

Fondare dunque la scala della priorità nella gestione tempisti- ca dei procedimenti sul criterio della gravità ed offensività della fattispecie criminosa sembra essere dunque la scelta più condivi- sibile. In merito è stata prospettata la possibilità31 di ricavare indici di priorità dallo stesso codice penale, ponderandoli sulla base della graduazione dell’entità delle pene edittali delle fattispecie di reato32. Infatti, è lo stesso legislatore ad operare una valutazione

preliminare in ordine all’offensività sociale dei reati e l’esito di siffatta stima emerge nella determinazione della pena edittale33.

Alla gravità ponderata in astratto sulla base della pena edittale sancita a livello normativo occorre però accompagnare anche una valutazione in concreto della rilevanza degli interessi tutelati dalla norma incriminatrice e della lesione da essi effettivamente subita a causa della condotta di reato. In questo senso la scala delle

31In questo senso, A. Spataro, Le priorità non sono più urgenti e comunque

la scelta spetta ai giudici, in Cassazione penale, 2015, p. 3410.

32Sul punto, V. Zagrebelsky, Una filosofia dell’organizzazione del lavoro per

la trattazione degli affari penali, in Cassazione penale, 1989, 366, rileva inoltre la necessità di tenere in considerazione anche le pene che concretamente vengono inflitte dai giudici per i reati considerati, stante la rilevanza riconosciuta al diritto vivente.

33La stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 333 del 11 luglio 1991,

ha sottolineato che «la discrezionalità del legislatore di perseguire penalmente condotte segnate da un giudizio di disvalore» incontra nel principio di necessaria offensività del reato un «limite di rango costituzionale», in virtù del quale la condotta ritenuta penalmente rilevante deve essere idonea a pregiudicare un bene giuridicamente significativo.

priorità dovrà tenere conto anche del fattuale pregiudizio arrecato all’interesse giuridicamente rilevante, la cui significatività dovrà essere desunta effettuando un’analisi complessiva dell’ordinamento: 1. in primo luogo dovrà essere considerata come preminente la

tutela a livello costituzionale riconosciuta a quel determinato bene giuridico;

2. in subordine, la rilevanza potrà essere desunta dalla fonte legislativa primaria. Siffatta valutazione dovrà essere effet- tuata non soltanto sulla base dell’entità della pena edittale, ma considerando anche l’attenzione che in generale è riserva- ta dal legislatore a quella determinata tematica, in quanto interventi frequenti e oculati a tutela di un determinato bene giuridico ne esplicano la rilevanza a livello ordinamentale. Il pregiudizio subito dal bene giuridico dovrà poi essere anche valutato sotto il profilo della sua effettiva offensività, in quanto la ponderazione della gravità della condotta criminosa non può prescindere dall’analisi della lesione in concreto arrecata.

La gravità del fatto di reato può essere valutata anche sotto il profilo delle conseguenze patrimoniali arrecate, la cui entità è indice della maggiore o minore lesione della sfera giuridica della persona offesa. In questo senso potrebbe contribuire a determinare una postergazione del procedimento la circostanza che sia stato effettuato integralmente il risarcimento del danno o, sul piano non patrimoniale del danno, che siano state eliminate le condizioni di pericolosità per l’interesse tutelato. In questi casi infatti la trattazione del procedimento sarà avvertita come meno urgente,

essendo le conseguenze dannose derivanti dal fatto di reato già parzialmente reintegrate.

Alla gravità del fatto di reato si affianca un ulteriore indice da cui desumere l’esigenza di una trattazione più o meno prioritaria, cioè quello costituito dall’esistenza di una persona offesa e dal suo interesse a veder perseguito il fatto. La sussistenza di una persona offesa la cui sfera giuridica abbia subito una lesione in seguito alla condotta di reato deve essere infatti considerata come un parametro da cui desumere l’esigenza di una trattazione mag- giormente prioritaria, soprattutto se questo soggetto ha palesato tramite istanza la sua intenzione affinché quella condotta criminosa fosse perseguita.

Al criterio di gravità nella costruzione del sistema delle priorità si affiancano però anche esigenze ulteriori riconducibili all’alveo del- le condizioni soggettive in cui verte il soggetto indagato/imputato. Infatti, a prescindere dall’offensività del fatto per cui si procede, si avverte l’esigenza di escludere la possibilità di postergare i proce- dimenti a carico di soggetti che siano sottoposti a misure cautelari personali, coercitive o interdittive, per l’esigenza di impedire l’ecces- sivo protrarsi nel tempo della durata del pregiudizio che le esigenze cautelari provocano in capo al soggetto. Nel caso dunque in cui il soggetto contro cui si procede subisca un’attuale restrizione della propria libertà personale, l’esigenza garantistica avvertita è quella di consentire una più rapida definizione del procedimento a suo carico.

La necessità di garantire una trattazione prioritaria è avvertita anche nel caso in cui il procedimento sia instaurato a carico di

un soggetto recidivo ex art. 99 c.p.: in questo caso però l’urgenza percepita non è da ricondursi ad esigenze di carattere garantistico ma a pretese special e general preventive, al fine cioè di assicurare la tempestiva valutazione della responsabilità penale dei soggetti già destinatari di una precedente condanna per uno o più reati.

Tra gli indici prospettati per la costruzione di una sistema delle priorità sono stati proposti anche criteri di carattere procedurale, volti a ponderare l’indice di prioritarizzazione sulla base di esigenze inerenti agli istituti del processo. Un esempio di siffatta tipologia di criteri è quello relativo al pregiudizio per la formazione della prova, in base al quale dovrebbe essere assicurata la trattazione prioritaria ai procedimenti rispetto ai quali la decorrenza del tempo costituisce un pericolo per la formazione degli elementi di prova. Secondo una parte della dottrina34 la ragionevolezza dell’adozione

di criteri processuali non può essere rigettata a priori, ma richiede che siffatti parametri soddisfino determinate condizioni:

• devono essere fondati su situazioni predeterminate ex ante in maniera esplicita;

• deve sussistere un effettivo rischio di compromissione della prova derivante dalla protrazione dei tempi processuali. Il ricorso a criteri processuali è tuttavia oggetto di numerose critiche35, in quanto ancorare il sistema delle priorità a parametri

34In questo senso, C. Cesari, L’inflazione delle notizie di reato e i filtri

selettivi ai fini del processo, in Rivista di diritto processuale, 2011, p. 1415; E. Marzaduri, Considerazioni sui profili di rilevanza processuale del principio di obbligatorietà dell’azione penale a vent’anni dalla riforma del codice di

procedura penale, in Cassazione Penale, 2010, p. 403.

35In questo senso, D. Vicoli, L’esperienza dei criteri di priorità nell’esercizio

dell’azione penale: realtà e prospettive, in Il processo penale tra politiche della sicurezza e nuovi garantismi, a cura di G. D. Chiara, Torino, 2003, p. 246.

di questo genere, implicandone la dipendenza dall’andamento del singolo iter procedimentale, inficerebbe la possibilità di un’effettiva predeterminazione a priori della scala delle priorità. Sebbene sia generalmente avvertita l’esigenza di assicurare una certa flessibilità applicativa dei criteri di priorità, condizionarli alle peculiarità del singolo procedimento sarebbe sintomo di un eccessivo pragmatismo che impedirebbe la costruzione di un sistema di priorità generale ed astratto come richiesto dal sistema costituzionale, poiché si ancorerebbe a situazioni casuali e di conseguenza imprevedibili.

Le esigenze che si pongono alla base dell’elaborazione dei criteri di priorità sono dunque molteplici e fortemente diversificate, tali da richiedere un contemperamento non agevole e da cui derivano risultati non sempre unanimi. Le proposte teoriche concernenti il contenuto dei criteri di priorità sono infatti variegate e diversificate, a seconda della maggiore o minore valorizzazione di un interesse a scapito di altri.

Una soluzione prospettata36 consisterebbe nella distribuzione del carico di lavoro in diversi classi sulla base della pena edittale prevista, collocando a livello apicale i procedimenti aventi ad og- getto i reati per i quali la pena edittale è più elevata; per quanto riguarda l’organizzazione interna di ogni singola classe invece il criterio da applicare sarebbe quello cronologico.

Tale impostazione ha il pregio di eludere ogni margine di discre- zionalità tecnica in capo al singolo magistrato, ancorando il sistema

36In questo senso, G. D’Elia, I principi costituzionali di stretta legalità,

obbligatorietà dell’azione penale ed egualianza a proposito dei criteri di priorità nell’esercizio dell’azione penale, in Rivista di Giurisprudenza Costituzionale, 1998, p. 1883.

soltanto a canoni oggettivi: in primo luogo alla pena edittale che è stabilita a livello normativo, successivamente al criterio cronologico. Tuttavia l’adozione di parametri da cui non residui alcun margine di manovra nella pratica impedisce di considerare l’effettiva rilevanza sociale del fatto criminoso, poiché le pene edittali previste a monte dal legislatore non sempre sono sufficientemente rappresentative dell’offensività sociale delle fattispecie di reato37.

Un’altra ipotesi classificatoria38 prospetta invece:

1. la trattazione prioritaria dei procedimenti rispetto ai quali l’indagato/imputato sia soggetto a misure cautelari personali, al fine di ridurre il protrarsi della pendenza di queste misure prima della definizione del procedimento;

2. a seguire, i procedimenti rispetto alle fattispecie di reato connotate da maggiore gravità parametrata non solo sulla base della pena edittale, ma anche della lesione in concreto causata, della reiterazione, del danno patrimoniale o non patrimoniale cagionato e non rimosso;

3. infine i procedimenti residui.

Quello che è possibile desumere dall’analisi delle esigenze sotte- se all’adozione dei criteri di priorità è che sia necessario stabilire

37In questo caso sussisterebbe un’illegittimità costituzionale del reato, perché

dotato di una pena sproporzionata rispetto al suo disvalore sociale. La Corte Costituzionale ha avuto modo più volte di precisare che il legislatore deve commisurare la pena in modo ragionevolmente proporzionale e sanzionare con pene diversamente graduate i fatti illeciti che esprimono diversi gradi di offensività. Tra le diverse decisioni della Corte in merito, sent. n. 26 del 1979, sent. n. 103 del 1982, sent. n. 173 del 1984.

38Per questa ricostruzione vedi V. Zagrebelsky, Una filosofia dell’organiz-

zazione del lavoro per la trattazione degli affari penali, in Cassazione penale, 1989, p. 368.

una scala di priorità senza operare gerarchizzazioni rigide che non consentano di tenere in considerazione fattori diversi. La scelta che appare più condivisibile alla luce dei precetti costituzionali è dunque quella di porre al vertice dell’ordine organizzativo degli affari penali i procedimenti a carico di soggetti in condizione di ristretta libertà ed i fatti più offensivi, e porre ai livelli inferiori in modalità decrescente quelli meno offensivi, in base ad una valuta- zione che tenga conto della gravità non solo in astratto ma anche in concreto.

Alla base della collocazione di un determinato procedimento all’interno della gerarchia delle priorità potrebbe essere auspicabile anche una valutazione effettuata non solo sulla base della presenza di un unico parametro, bensì anche sul cumulo di più criteri, con- sentendo di attingere alla scala di parametri anche trasversalmente. La contestuale sussistenza di molteplici criteri indicherebbe dunque un incremento dell’esigenza di assicurare la trattazione prioritaria a quel procedimento.

Capitolo 4

L’esperienza normativa