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Storia – laboratorio: “ Sulle tracce dell'argento spagnolo” . Classe 2E

La saga dell'argento spagnolo.

Nel corso del Cinquecento, le colonie riversarono sulla Spagna più di 16'000 tonnellate di argento. Nel secolo successivo oltre 26'000 tonnellate e nel XVIII secolo oltre 39'000 tonnellate. L'effetto di questa marea di argento che invase un paese dopo l'altro fu straordinario. La eccezionale liquidità creatasi sul mercato internazionale favorì uno sviluppo imponente del commercio intercontinentale.

(…) Nei primi tempi dell'avventura coloniale spagnuola nel Nuovo Mondo, l'oro di cui si impadronirono i conquistadores fu esclusivamente prodotto di ruberie, bottini e saccheggi. Il guaio di ogni attività parassitica è che non può durare all'infinito. Presto o tardi, a seconda della consistenza dei tesori accumulati dalle vittime e dall'efficienza dei predatori, le vittime sono spogliate di tutti i loro beni e per i ladroni non resta più nulla da fare. Questo fatale destino sarebbe accaduto anche agli spagnuoli se per un colpo di straordinaria fortuna non fossero stati scoperti, nei territori da loro conquistati, eccezionali giacimenti, auriferi e, specialmente, argentiferi. Con tutto quell'argento d'attorno a facile portata di mano, fu naturale che gli spagnuoli si buttassero, con tutta la loro passione ed il loro entusiasmo per l'oro e l'argento, nell'attività mineraria. Ebbe così inizio la saga dell'argento spagnuolo, di tesori ottenuti grazie ad un'intensa attività mineraria e poi trasportati in patria sfidando nemici, corsari e la furia degli elementi (…).

[Per capire quanto argento fluì dall'America alla Spagna] occorre rifarsi come prima cosa alla serie di dati pubblicati nel 1934 dal professor Earl J. Hamilton nel suo classico libro American Treasure and the Price Revolution in Spain, 1501-1650. La serie di dati si riferisce specificatamente alle importazioni di argento e di oro dalle Indie alla Spagna tra il 1503 e il 1660, ma è stata per parecchio tempo usata come pièce de résistance anche da tutti coloro che si sono occupati di storia della produzione di argento nelle Indie così come da tutti coloro che si sono occupati della cosiddetta “rivoluzione dei prezzi in Europa” nel corso del Cinquecento. Secondo questa serie, le importazioni di argento dalle Indie alla Spagna sarebbero state di appena 149 chilogrammi circa nel decennio 1521-1530, aumentando però decisamente e continuamente nei tre decenni successivi tanto da raggiungere il livello di circa 303 tonnellate nel decennio 1551-1560. A questo punto, la serie mostra una impennata che vede crescere le importazioni ad un totale di circa 943 tonnellate per il decennio 1561-1570. Da

quel momento, per tre decenni ancora, la curva continua a salire assai rapidamente, arrivando ad indicare per il decennio 1591-1600 import- azioni per ben 2'708 tonnellate.

La straordinaria crescita terminò nel corso degli anni 1620-1630; tra il 1601 e il 1630 la curva si stabilizzò su poco più di 2'100 tonnellate per decennio per poi entrare in una fase di declino che avrebbe visto le importazioni cadere al livello di appena 443 tonnellate nel decennio 1651-1660.

Nell'insieme, tra il 1503 e il

1660, secondo la serie hamiltoniana, sarebbero giunte in Spagna dalle Indie 16'887 tonnellate d'argento.

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Il professor Dominguez Ortiz scrisse che occorre stare attenti a non esagerare il volume di traffico atlantico nel secolo XVI e che per quanto riguarda le importazioni di argento dalle Indie alla Spagna le 16'887 tonnellate riportate da Hamilton rappresentano meno di due ani della produzione mondiale odierna di argento. (…) Le osservazioni di Dominguez Ortiz sono corrette, ma all'autore sfugge una cosa molto importante. Le importazioni di argento nella Spagna del Cinquecento vanno viste nel quadro dell'epoca. Come vedremo nei capitoli che segue, per tutto il Medioevo fino alla metà del Quattrocento, l'Europa aveva sofferto di una grave scarsità di metallo che l'aveva soffocata ostacolando molto i suoi commerci e, soprattutto, i suoi traffici internazionali per la mancanza di un'adeguata massa di mezzi di scambio e di pagamento. Gli arrivi di metallo prezioso [dalle Americhe] rappresentarono [dunque] per l'Europa una grossa novità, una novità a dir poco rivoluzionaria, tanto che i sistemi monetari ne vennero letteralmente stravolti. (…) Poiché l'argento era un bene dotato di illimitata liquidità sul mercato internazionale ed era strenuamente ricercato, grazie alle straordinarie quantità di argento ricevuto dalle Indie, da paese (Castiglia) per gran parte povero sia di risorse umane che di risorse materiale, la Spagna divenne dall'oggi al domani il paese più ricco del mondo. Il teologo Tomas de Mercado poteva con ragione scrivere nel 1569 che “Siviglia e la Spagna atlantica da estremo limite del mondo che erano ne sono divenute il centro” (…)

[Tuttavia], sappiamo per certo che di tutto l'argento che affluì alla Spagna – argento in pani, argento coniato nelle colonie, argento coniato in Spagna – ben poco rimase in Spagna, e tutto o quasi uscì dal paese. In un'epoca in cui prevaleva il credo mercantilista questo continuo, inarrestabile stillicidio era giudicato con particolare apprensione. (…) Le Cortes del 1558-1593 dichiararono che “mentre i nostri regni potrebbero essere i più ricchi del mondo per l'abbondanza dell'oro e dell'argento che vi sono entrati e continuano ad entrare dalle Indie, essi finiscono per l'essere più poveri perché servono da ponte per far passare oro e argento in altri regni nostri nemici”. E commentando argutamente la situazione spagnuola, nel 1595 l'ambasciatore veneziano Vendramin scriveva: “Pare che non senza ragione gli spagnuoli dicano in proposito di questo tesoro che dalle Indie se ne viene in Spagna che faccia su di loro quell'effetto appunto che la pioggia fa sopra i tetti delle case, la quale se ben vi cade sopra discende poi tutta in basso senza che quelli che primi la ricevono ne abbiano beneficio alcuno”.

Teoria mercantilistica a parte, è un fatto innegabile che il dissanguamento di argento della Spagna fu uno degli aspetti ed una delle cause del declino del paese. Ma perché la Spagna perdette tutta quella massa di argento di cui le colonie l'avevano rifornita e continuavano ancora a rifornirla? La risposta a questa domanda non è difficile a darsi. Anzitutto, bisogna tener conto che circa il 75-80 per cento dei tesori che arrivarono in Spagna dalle Indie rappresentava il ricavato delle vendite fatte dai privati nelle colonie ed il rimanente 20-25 per cento rappresentava il reddito della corona (…). La Corona spagnuola però aveva la pessima abitudine di essere permanentemente indebitata. I tesori che arrivavano in Spagna pertinenti alla Corona erano normalmente spesi prima ancora di giungere a destinazione, e siccome l'indebitamento era soprattutto dovuto al mantenimento degli eserciti sui vari fronti, i tesori che la Corona spagnuola sborsava per pagare i suoi debiti uscivano di Spagna per riemergere nelle zone di guerra. (…)

D'altra parte, anche se la Corona era largamente responsabile della fuga dell'argento dalla Spagna, non fu certo l'unica responsabile. Supponiamo tre paesi A, B, C in stato di equilibrio economico. Supponiamo che ad un certo momento nel paese A l'equilibrio si rompa per una crescita abnorme di moneta. Se il sistema produttivo del paese in questione non è in grado di aumentare il prodotto lordo nella misura in cui è aumentata la moneta in circolazione, la teoria economica ci insegna che nel paese A si dovrebbe verificare un aumento dei prezzi ed una fuga di metallo prezioso verso i paesi B e C, e nel contempo un aumento delle esportazioni di beni e servizi dai paesi B e C verso il paese A. Quanto accadde in Spagna con il massiccio arrivo dell'argento dalle Indie si conformò 2

Storia – laboratorio: “ Sulle tracce dell'argento spagnolo” . Classe 2E pienamente al modello teorico.

Si è già accennato in precedenza al fatto che i primi coloni stanziatisi nelle Indie avevano bisogno di tutto, e per tutto dovevano dipendere dalle importazioni della madre patria. In un primo tempo le importazioni consistettero in beni necessari alla sopravvivenza, quali soprattutto vino, grano, aceto ed olio. La Spagna era in grado di fornire questi beni e quindi non sorsero particolari problemi. Ma la situazione non era statica e verso la fine del secolo XVI, e più marcatamente ancora con gli inizi del secolo XVII, le colonie riuscirono ad acquisire un certo livello di autonomia nonostante tutti i divieti e le difficoltà frapposte dalla madre patria. (…) Acquisita una certa autonomia per i prodotti fondamentali e raggiunti livelli di ricchezza più soddisfacenti, fu naturale che la domanda delle colonie si spostasse verso prodotti più vari e più costosi. Ma se la Spagna poteva fornire senza difficoltà farine, olio, aceto e vino, quando si trattò di fornire alle colonie pannilana, calzature, tappeti, mobilio, sete, velluti, orologi, il sistema produttivo spagnolo palesò tutta la sua debolezza. L'offerta non fu in grado di tener dietro al frenetico aumento della domanda (…) Di conseguenza i prezzi aumentarono e la Spagna dovette rivolgersi all'estero per procurarsi i beni che le sue colonie chiedevano (…) Secondo Jean Bodin, verso la fine degli anni 1570-80 la Spagna dipendeva largamente dalla Francia per l'importazione di tele, drappi, carta, libri, oggetti di falegnameria, che esportava largamente nelle sue colonie. Un vasto commercio ed un altrettanto vasto contrabbando si svilupparono così in Europa.

La Spagna pagava le sue importazioni con l'argento delle Indie, in pani o monetato, e una vera e propria fiumana d'argento travolse l'Europa. (…)

I reales de a ocho esportati dalla Spagna non erano [però] destinati a rimanere a lungo nei vari paesi europei. Possenti forze li calamitavano verso l'Oriente. I reali comparvero nei Balcani verso il 1530. Circa cinquanta anni dopo li ritroviamo in massa ca Costantinopoli e negli altri centri commerciali dell'impero turco. (…) Come scrive il professor Sahillioglu, per tutto il secolo XVII e parte del XVIII l'impero ottomano servì come terra di transito per le monete e l'argento ibero- americano che muovevano verso Oriente. Il fatto è che tanti reali entravano nell'impero turco tanti ne uscivano, diretti soprattutto verso la Persia e l'India, due paesi con i quali l'impero turco intratteneva una bilancia commerciale pesantemente negativa (..)

Ma la marcia verso Oriente dei reales de a ocho non si fermò in Persia. Nel primo decennio del secolo XVII la marea dei reales de a ocho era giunta ad invadere anche l'India e la Cina. Punto di partenza di questo ultimo capitolo della storia del movimento dei reali verso Oriente era il fatto che gli europei, avidi di prodotti orientali, non avevano nulla però da offrire in cambio, perché né l'India né la Cina avevano interesse ai prodotti dell'Europa. I tentativi per migliorare la situazione non si contano. In Inghilterra il governo ordinò che almeno un decimo del carico di ogni nave diretta alle Indie fosse composto di “derrate, prodotti o manufatti del regno”. La Compagnia inglese delle Indie orientali fece di tutto “per inserirsi nel commercio di Nanchino” e di altre città della Cina settentrionale, nella speranza che la rigidità del clima nordico potesse favorire “uno spaccio considerevole dei manufatti inglesi di lana”. Tuttavia, questi e simili tentativi fallirono miseramente. I mercanti europei esaminarono anche l'eventualità di esportare quadri e objets d'arts, ma l'arte occidentale era fortemente legata ai soggetti religiosi, e come Richard Cocke scrisse dal Giappone, i popoli asiatici non avevano alcun interesse per le scene bibliche. (…) Dopo aver tentato senza successo di vendere quadri tradizionali, la Compagnia olandese delle Indie cercò di vendere stampe che avessero “un richiamo umano più generale, come una collezione di nudi o altre illustrazioni poco decenti”, ma anche questi sforzi d'immaginazione non riuscirono ad ottenere risultati apprezzabili. Se gli europei volevano commerciare con l'India e con la Cina non avevano altra scelta che offrire a questi due paesi dell'argento e soprattutto reales de a ocho. (…)

L'esportazione di argento in Oriente, così come il commercio con l'Oriente in genere, furono

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facilitati e di gran lunga ampliati grazie alla creazione delle due compagnie; la Compagnia inglese delle Indie orientali, autorizzata nel dicembre del 1600 dalla regina Elisabetta col nome di “The Governor and Merchants of London Trading into the East Indies” e la Compagnia olandese, nata nel 1602 col nome di “Vereenigde Oest-Indische Companie”. Queste due compagnie furono i colossi dell'economia del tempo, mobilitarono ricchezze che nessun'altra compagnia aveva trattato prima, introdussero nuove tecniche d'affari. Last but not least, le due compagnie ottennero dai rispettivi governi notevoli privilegi, tra i quali il monopolio del commercio con le Indie orientali ed il permesso di esportare dai rispettivi paesi tutto l'argento che desideravano. (…) Intanto con lo stringersi ed intensificarsi dei rapporti tra i paesi dell'Estremo Oriente e l'Europa, quest'ultima venne a conoscere prodotti orientali che prima non conosceva. Esempio classico il tè, che venne portato in Inghilterra per la prima volta nel 1664 in un pacchetto del peso di sole 2 libbre e 4 once e che nel 1720 arrivò a soppiantare decisamente la seta come principale merce di importazione della Compagnia.

Fonte: Carlo Cipolla, Conquistadores, pirati, mercatanti. La saga

dell'argento spagnuolo, Il Mulino, Bologna, 1996, pp.7-63.

Consegne

1. Traccia sulla cartina (del 1650) il percorso dell'argento spagnolo.

2. Per ogni tappa del percorso annota, su un foglio a parte, i motivi dell'arrivo dell'argento e le sue ripercussioni.

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Carta del mondo (1650).