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“Sulle tracce dell’argento spagnolo”: flussi mondiali, reti commerciali e dinamiche di scambio durante l’Età moderna: spunti per un percorso didattico

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Academic year: 2021

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LAVORO DI DIPLOMA DI

BERNARDI TOBIA

DIPLOMA DI INSEGNAMENTO PER LE SCUOLE DI MATURITÀ

ANNO ACCADEMICO 2016/2017

“SULLE TRACCE DELL’ARGENTO SPAGNOLO”

FLUSSI MONDIALI, RETI COMMERCIALI E DINAMICHE DI SCAMBIO

DURANTE L’ETÀ MODERNA: SPUNTI PER UN PERCORSO DIDATTICO.

RELATORE

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Il presente lavoro di diploma si colloca alla fine di un anno intenso, arricchente e difficile al tempo stesso. Si ringraziano dunque tutti coloro che l’hanno allietato, e in primo luogo i compagni del DFA di Locarno e i colleghi del Liceo di Mendrisio. Un sincero ringraziamento va al prof. Maurizio Binaghi, per la gentilezza dimostrata durante i colloqui effettuati e per i consigli che ha saputo fornirmi nel corso dell’anno accademico. Ringrazio anche mio padre, che ha riletto il lavoro con grande disponibilità. Il più speciale dei ringraziamenti va infine a Giulia e Sofia che, con infinita pazienza e sempre grande serenità, mi hanno permesso di portare a termine questo percorso.

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Sommario

1. “Per una storia di qui e di altrove”: la world history e la didattica della storia. ... 1

2. Perché l’argento? Scelte tematiche e obiettivi. ... 5

2.1. “Sulle tracce dell’argento spagnolo”: senso e obiettivi del progetto didattico. ... 5

2.2. L’allenamento all’alterità: le preconoscenze dei ragazzi e la programmazione annuale. .. 8

2.3. “Come spendere l’argento”? La scelta dei temi. ... 9

3. “La parte per il tutto, il tutto per la parte”: protoglobalizzazione e apprendimento cooperativo, un approccio di ricerca azione. ... 12

4. Il progetto nel concreto: fasi, materiali e tempistiche. ... 17

4.1. Il lancio dell’attività (due ore lezione). ... 17

4.2. Il lavoro di gruppo (quattro ore lezione). ... 18

4.2.1. Le letture selezionate e i materiali didattici. ... 18

4.2.1.1 L’arrivo dell’argento americano nell’Europa del Cinquecento. ... 18

4.2.1.2. “La spagna possiede la mucca, ma gli altri bevono il latte”: lo spostamento del baricentro economico europeo (1550-1650). ... 19

4.2.1.3. L’argento in Asia. ... 19

4.2.1.4. Esclusa dall’argento o esclusa dai flussi? L’Africa e il suo ruolo nell’economia atlantica. ... 20

4.2.1.5. “L’argento come emblema”: la protoglobalizzazione e il ruolo dell’Europa. ... 20

4.2.2. Il ruolo dell’insegnante. ... 21

4.3. Le presentazioni orali (sei ore lezione). ... 21

4.4. Il test finale (un’ora lezione) ... 22

5. Sperimentazione didattica e risultati. ... 24

5.1. “Tra il dire e il fare c’è di mezzo l’aula” la sperimentazione didattica, riflessioni e problemi. ... 24

5.2. Chi troppo stroppia: riflessioni critiche sui risultati raggiunti. ... 25

5.2.1. Il raggiungimento degli obiettivi disciplinari. ... 26

5.2.2. Apprendimento cooperativo e protoglobalizzazione: un bilancio critico. ... 28

6. Conclusioni. ... 31

7. Bibliografia. ... 33

8. Allegati. ... 36

8.1. L’allenamento all’alterità: i materiali usati nella prima parte dell’anno. ... 36

Allegato 1. Jack A. Goldstone, L’ingresso dei portoghesi nel commercio euroasiatico (ottobre 2016). ... 36

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Allegato 2. Un lavoro scritto: le differenze tra l’Asia e l’America. ... 37

Allegato 3. Perché non la Cina? ... 38

Allegato 4. Uno sguardo al “discorso colonialista”. ... 39

8.2. I materiali didattici del progetto. ... 43

Allegato 5. Programma, rimandi bibliografici, e consegne. ... 43

Allegato 6. C. Cipolla: La saga dell’argento spagnolo. ... 48

Allegato 7. La ricostruzione del percorso dell’argento. ... 52

Allegato 8. La griglia di valutazione finale per gli allievi. ... 53

Allegato 9. I materiali didattici. ... 54

Allegato 10. Gli strumenti per la presentazione. ... 54

Allegato 11. Il test finale. ... 60

8.3 Prodotti e processi. I risultati... 62

Allegato 12. Le “correzioni” di A.A. ... 62

Allegato 13. Le correzioni di M.C. ... 64

Allegato 14. Le cinque introduzioni ... 69

Allegato 15. Iter di correzione di un introduzione. ... 75

Allegato 16. Estratti di risposte alla terza domanda del test finale. ... 80

Allegato 18. Risultati relativi alla seconda parte del test finale, protoindustria e mercantilismo. . 91

Allegato 19 – Risultati relativi alla prima parte del test finale. ... 92

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1. “Per una storia di qui e di altrove”: la world history e

la didattica della storia.

Quale storia insegnare in un mondo globalizzato? L'interrogativo si pone oggi con particolare urgenza. L'accelerazione dei processi di integrazione planetaria non può in effetti lasciare indifferente il mondo della scuola, e ancor meno l'insegnamento della storia. Se rimane vero il principio per cui un popolo non può decidere consapevolmente del suo futuro se non conosce bene il proprio passato (Bergier, 2016, p. 21), ciò che risulta sempre meno chiaro in quest'epoca “globale” è a chi e a che cosa ci riferiamo quando parliamo di “popolo” e di “passato”. Uno sguardo alle nostre classi – sempre più popolate da quelle che Gruzinski definisce una “pluralità di presenti” e una “pluralità di memorie irreconciliabili” (2016, pp. 22-23) – è sufficiente per dimostrarcelo.

Di fronte ad una tale conformazione del presente, l'impressione è che non sia più sufficiente limitarsi a “una sorta di timido antieurocentrismo politically correct” (Gozzini, 2004, p. 4): l'obiettivo a medio-lungo termine dovrebbe infatti essere quello della scrittura di una nuova narrazione condivisa, in grado di integrare, federare e cucire tra loro questi molteplici “presenti del mondo” (Gruzinski, 2016). A una storiografia incentrata sulla cosiddetta “biografia della nazione (o dell'Europa)” (Grazioli, 2012, p. 68), dovrebbe dunque sostituirsi – secondo autorevoli esperti di didattica della storia – una “storia mondiale”, una “storia di tutti” (Heimberg, 2005).

Contrariamente a quello che hanno sostenuto eminenti storici conservatori, questo tentativo di uscire dai ristretti confini del “romanzo nazionale (o europeo)” non è dettato né da un futile “risentimento” nei confronti dei moderni Stati nazione europei, né da una “militanza ideologica” in favore della globalizzazione contemporanea (Nora, 2013). Esso non intende nemmeno condurre alla scomparsa delle identità locali in nome di un'unica, indistinta e indifferenziata, “identità globale”. Si tratta bensì di riconoscere che i diversi paesi non sono isole, che essi sono inseriti in reti e contesti più ampi che concorrono a determinare il loro passato, il loro presente e il loro futuro, e che i meccanismi di riproduzione di quelle “identità verticali” sapientemente costruite ad arte durante i secoli scorsi non possono più (fortunatamente) funzionare come in passato, a causa di fenomeni profondi che alterano la composizione etnica e culturale del corpo cittadino e che determinano l'esistenza, all'interno di quest'ultimo, di altre identità verticali divergenti. Altrimenti detto, se

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bisogna insegnare il Mondo non è per moda o per sfizio, ma “perché il Mondo è il nostro presente e l'orizzonte dei nostri allievi” (Capdepuy, 2013).

Nell'esigenza di una nuova narrazione storica, la didattica della storia non si trova per fortuna isolata. Essa può sfruttare infatti la “convergenza” (Grazioli, 2012, p.69) che si registra con quelle “nuove rotte” della storiografia (Di Fiore & Meriggi, 2011) generalmente etichettate sotto il nome di world history.

Originata e sospinta da nuove sensibilità storiche determinate dall'accelerazione dei meccanismi di integrazione planetaria durante la seconda metà del Novecento – e per questo accusata, forse troppo frettolosamente, di teleologia – la world history non è certo esente da alcuni rilevanti problemi, primo tra tutti quello della sua definizione1. Figlia di una pluralità di orientamenti storiografici distinti, essa continua in effetti a costituire un insieme dai contorni assai fluidi, nel quale convivono ambiti ed approcci di ricerca estremamente disparati. Nell'impossibilità di entrare nei dettagli, limitiamoci a rilevare però come la gran parte degli studi dei cosiddetti worldhistorians si distingua per un tentativo di « decentramento prospettico » (Di Fiore & Meriggi, 2011, p.26): se è vero, come sostiene K. Pomeranz (2004), che « le moderne scienze sociali si sono in gran parte sviluppate in virtù degli sforzi fatti dagli Europei del XIX e XX secolo per capire che cosa abbia reso unico il percorso di sviluppo dell'Europa occidentale » (p.17), la world history ha profondamente contribuito a modificare i termini di questo interrogativo. Rinnovando un comparatismo sino a quel momento piuttosto sterile poiché basato su un'insufficiente conoscenza delle società extraeuropee, ed operando una profonda rivisitazione dei rapporti intrattenuti da queste ultime con l'Occidente (intesa soprattutto a ridare loro un ruolo attivo nei processi di interazione e di integrazione planetaria), la world history ha permesso di « ricollocare » (Stearns, 2005, p.108), per così dire, la parabola storica dell'Occidente all'interno della storia mondiale, cessando di considerarla come la matrice esclusiva del mondo moderno.

Superando l'eurocentrismo imperante fino a pochi decenni or sono, la world history ha dunque portato alla costruzione di una storia “policentrica” (Di Fiore & Meriggi, 2011, p. 33), che potrebbe essere di grande aiuto per risolvere i problemi che l'insegnamento della storia incontra nel mondo contemporaneo.

1 Per alcune definizioni e per l'individuazione di alcuni postulati chiave comuni a questo approccio storiografico

si vedano : Vanhaute, 2015 ; Capuzzo, Vezzosi, 2005 ; Di Fiore & Meriggi, 2011 ; Venegoni, 2013 ; Gozzini, 2004 ;

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Ma come sfruttare, in chiave didattica, gli innumerevoli spunti offerti dalla world history? La questione solleva diversi interrogativi.

La prima grande incognita riguarda il tipo di narrazione che si intende proporre agli studenti: come trasporre didatticamente una world history che, per ammissione dei suoi stessi promotori, non si è ancora (né forse potrà e vorrà mai farlo) trasformata in narrazione coerente (Capdepuy, 2013)? È chiaro, infatti, che questa narrazione “mondiale” non può essere il risultato di una semplice “sommatoria di tante storie nazionali” (Grazioli, 2012, p.70). Ma allora quali periodizzazioni, quali orizzonti geografici e quali processi storici privilegiare?

Allargare il campo di indagine, inoltre, pone diversi problemi per chi dispone di poche ore settimanali di insegnamento. Il rischio di un racconto di respiro troppo ampio è infatti quello di acuire alcuni problemi che già si registrano con la didattica “tradizionale”: la predilezione della “scala macro”, tipica della world history, rischia ad esempio di cancellare quelle acquisizioni di microstoria e di “storia dal basso” che alcuni insegnanti sono riusciti, a prezzo di tanti sforzi, a inserire nei curricula scolastici, e potrebbe rischiare di diventare dunque “un trampolino di rilancio della storia di vertice” che tanto ci si è impegnati a contrastare (Di Fiore & Meriggi, 2011, p. 144). Si tratta di critiche tutt'altro che banali, ed è dunque tenendone conto che va affrontato il problema di quale world history insegnare in classe. Grazioli (2012) ci sembra a questo proposito elaborare una soluzione soddisfacente: la ricerca di una storia di respiro mondiale non va intesa come una rinuncia alle storie locali, alle storie dal basso o alle microstorie. Si tratta bensì di “individuare temi di diversa scala spaziale (mondiale, di grandi aree, nazionale, locale) e temporale” e di avere cura, in fase di “montaggio” che il “tema di dimensione mondiale e di lungo periodo sia il contenitore degli altri, la 'mappa' più ampia che fissa le coordinate generali e che consente poi le esplorazioni più fini, cioè su scale spazio-temporali più circoscritte” (pp. 70-71). Orientandosi su un approccio di questo tipo, si otterrebbe così il risultato di ampliare considerevolmente la narrazione storica, avvalendosi delle più recenti acquisizioni storiografiche, mantenendo però al tempo stesso la possibilità di spaziare su scale più ridotte, compresa quella nazionale. La storia nazionale, in questo modo, non verrebbe così ignorata – in tempi come questi il rischio è che se ne approprino coloro che, appellandosi ad una visione nazionalista, hanno interesse a strumentalizzare la memoria collettiva in funzione di scelte politiche conservatrici (cfr. Genasci, Talarico & Tavarini, 2011) – ma inserita in una cornice più ampia che concorra sia a una decostruzione del “romanzo nazionale” sia a una migliore comprensione dei processi storici analizzati.

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É chiaro che, nel senso auspicato da Grazioli, la storia mondiale non viene intesa come una narrazione coerente della storia dell'umanità, con le sue date e le sue figure illustri, come invece preconizzano altri cultori della world history (Capdepuy, 2013). Essa è piuttosto una cornice, una grande griglia di analisi, che permette però all'allievo di capire che “risulta impossibile comprendere la parte senza focalizzare la propria attenzione sul tutto” (Toynbee, 1934, citato in: Grazioli, 2012, p. 71). Si tratta di un brusco ridimensionamento, rispetto alle ambizioni con le quali si è aperto il presente capitolo? Può darsi. Di fronte, tuttavia, ai pericoli del “tutto e niente” e della cosiddetta “storia dall'alto”, ci sembra la soluzione più plausibile: forse l'importante non è tanto il “non dividere”, quanto – come già sosteneva Braudel – il “dividere mantenendo una visione globalizzante” (citato in: Beaujard, Berger, Norel, 2009).

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2. Perché l’argento? Scelte tematiche e obiettivi.

2.1. “Sulle tracce dell’argento spagnolo”: senso e obiettivi del progetto didattico.

Nell’ambito del presente lavoro di diploma si è cercato di applicare – in un quadro più ristretto e limitato ad una singola unità didattica (UD) – il suggerimento di Grazioli: l'idea che ha guidato il presente progetto didattico è stata dunque quella di offrire agli allievi un “contenitore tematico” di respiro mondiale nel quale inserire, in seguito, “esplorazioni più fini” relative a spazi decisamente più ristretti, mantenendo però sempre – nel limite del possibile – una visione “globalizzante”, in grado di illustrare le mutue connessioni che intercorrono tra le diverse “parti del tutto”.

A questo proposito particolarmente interessante ci è sembrato lavorare – con una classe di seconda liceo2 – sui flussi dell'argento spagnolo durante l'Età moderna (XVI-XVIII secolo).

L'idea nasce in seguito alla consultazione del nuovo libro di S. Beckert, L'impero del cotone (2016): lungi dal limitarsi a una semplice storia delle dinamiche di produzione, lavorazione e commercializzazione del cotone e dei suoi derivati in epoca contemporanea, l'analisi di queste ultime permette a Beckert di esaminare, “per via della centralità del cotone, (…) la storia dei corsi e ricorsi del capitalismo globale e, con esso, del mondo moderno” (Beckert, 2016, p. XVIII).

Pur con molte differenze – relative agli spazi, ai tempi e alle dinamiche considerate – la “saga dell'argento spagnolo” (Cipolla, 1996) presenta con la parabola del cotone una grande similitudine: l'essere un ottimo “punto di osservazione” attraverso il quale analizzare alcune delle dinamiche cruciali che determinano il corso della storia mondiale durante l'Età moderna.

In primis, essa testimonia efficacemente dell'accelerazione dei meccanismi di integrazione planetaria che si realizza durante i primi secoli dell'Età Moderna. Sulle origini della globalizzazione contemporanea si è discusso a lungo, sposando spesso punti di vista divergenti: è difficile però negare, sulla scorta di Osterhammel e Petersson (2003), il valore periodizzante del XVI secolo. Comunque si voglia definirla – alcuni storici parlano infatti di “globalizzazione arcaica” (Bayly, 2007), altri di “protoglobalizzazione” (Fusaro, 2008) – la fase storica che si apre con l'arrivo di

2 La classe scelta per la sperimentazione è la classe 2E del Liceo cantonale di Mendrisio, composta da 22 studenti (14 ragazzi e 8 ragazze).

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Colombo a Guanahani si caratterizza per una profonda modifica della natura e dell'intensità delle relazioni globali: lungi dal negare le interazioni preesistenti nello spazio eurafrasiatico, questa prospettiva si limita a sottolineare la differenza tra quella che Di Fiore e Meriggi definiscono come una “mondializzazione per pochi” (2011, p.103) (esemplificata dalla figura di Marco Polo, la cui fama è dovuta soprattutto all'eccezionalità della sua esperienza) e i meccanismi di interazione globale che si vengono invece a creare in seguito alla scoperta della “quarta parte del mondo” (Gruzinski, 2004) e all'intensificazione, grazie all'apertura delle nuove rotte oceaniche, dei rapporti tra l'Europa, l'Africa e l'Oriente asiatico.

Definito da alcuni “la prima rete commerciale che trasformò davvero il mondo” (Osterhammel & Petersson, 2003), il flusso dell'argento spagnolo – estratto nelle colonie americane e trasportato in seguito in Europa e in Asia – fornisce in questo senso un ottimo spunto per approcciare questa nuova dimensione “globale” della storia, caratterizzata da un'intensificazione degli scambi – economici, culturali e biologici – tra i diversi continenti.

In secundis, il ricorso al flusso dell'argento spagnolo permette di analizzare in modo abbastanza fecondo quelle che sono le strutture gerarchiche di questa protoglobalizzazione. Il circuito dell'argento risponde infatti a precise logiche politiche ed economiche: se la sua estrazione, realizzata nelle Americhe grazie al lavoro forzato di indios e schiavi africani, ci fornisce uno spaccato di un continente sottomesso – in ragione del collasso delle civiltà precolombiane – agli imperativi dell'economia coloniale europea; la sua corsa per mari, terre ed oceani ci permette invece di osservare la prodigiosa forza di attrazione esercitata dalle economie asiatiche nei confronti dei metalli preziosi detenuti dagli Europei.

Se dunque il circuito dell'argento – come la maggior parte delle reti commerciali, culturali e biologiche che si instaurano durante l'Età moderna – è caratterizzato da una “regia operativa” di stampo europeo, il fatto che circa il 60% dell'argento estratto nelle Americhe termini la sua corsa in India e in Cina (Norel, 2011) – con le quali la “ricca” Europa intrattiene una bilancia commerciale deficitaria – permette di interrogarsi seriamente su quale regione del mondo, all'interno di questa protoglobalizzazione, detenga effettivamente la “posizione più redditizia negli equilibri generali del sistema” (Di Fiore & Meriggi, 2011, p. 109). I flussi dell'argento spagnolo, in altri termini, esemplificano in modo abbastanza calzante le due caratteristiche fondanti di questa protoglobalizzazione: da un lato, la “primazia logistica” dell'Europa (Di Fiore & Meriggi, 2011, p. 103), principale “vettore” degli scambi intercontinentali (non solo di quelli commerciali, ma anche di quelli culturali e biologici (Parker, 2012, pp. 157-172)); dall'altro, il suo carattere ancora “policentrico”: soprattutto nei confronti di molte economie asiatiche (Cina, India e Giappone) ma

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anche, sotto certi aspetti, di alcune realtà africane (si veda: Thornton, 2010), l'Europa non ebbe dunque – fino al prodursi della “grande divergenza” alla fine del Settecento (Pomeranz, 2004) – nessun vantaggio significativo. Altrimenti detto, l'analisi del percorso dell'argento ci permetterebbe di approcciare la “protoglobalizzazione” apertasi alla fine del XV secolo uscendo dal paradigma dell'“espansione europea”. Quest'ultimo, celando la grande diversità esistente tra le diverse traiettorie di incontro/scontro tra gli Europei e i popoli extraeuropei (Osterhammel & Petersson, 2005), ha infatti contribuito a veicolare la visione di una lunga, prolungata e irresistibile ascesa dell'Occidente durante il periodo considerato. Ribaltando questa narrazione, l'immagine che si intende presentare è invece quella di un'interazione policentrica, nel quale l'attivismo commerciale europeo non è per forza accompagnato da una posizione egemonica all'interno dello scacchiere geopolitico mondiale.

Il percorso didattico incentrato sull'argento spagnolo ha infine un ultimo grande pregio: conformemente alle indicazioni di Grazioli, esso permette infatti delle esplorazioni più fini su scale geografiche più ridotte, riuscendo però a mantenere queste esplorazioni all'interno di un'unica grande cornice di senso. In particolare, il flusso dell'argento ci consente di analizzare alcune delle dinamiche più importanti della storia economica europea tra il XVI e il XVII secolo: innanzitutto, la cosiddetta “rivoluzione dei prezzi” cinquecentesca, le sue ripercussioni e la fioritura del capitalismo commerciale e finanziario durante il “lungo XVI secolo”, argomenti che – indipendentemente dal ruolo causale che si intende assegnare ai metalli americani – sono stati più volte messi in relazione con i flussi di questi ultimi (Braudel, 1999, pp.52-57 ). In secondo luogo, il “ribaltamento degli equilibri economici europei” (Cipolla, 1974), determinato dal declino della potenza spagnola e dall'irresistibile ascesa della potenza olandese e inglese e rappresentato, simbolicamente, dal flusso di argento che dalla Spagna si dirige verso Nord a causa dell'incapacità dell'apparato produttivo spagnolo di far fronte all'accresciuta domanda interna e coloniale. Il percorso sull'argento spagnolo permette dunque, in qualche modo, di evitare di inserire all'interno di una programmazione annuale globalmente incentrata sull'Europa un'UD consacrata ad altri orizzonti geografici, che correrebbe infatti il rischio di risultare completamente sconnessa dal resto del programma, sul modello di ciò che fanno numerosi manuali italiani che, a lato di centinaia e centinaia di pagine consacrate alla storia europea, inseriscono in modo “politicamente corretto” alcune brevi digressioni sulla storia degli Aztechi, dei Maya o delle civiltà africane, senza che il lettore capisca esattamente che cosa farsene. L'obiettivo, forse ambizioso, che mi sono invece posto tramite il percorso sull'argento è di far interagire “storia mondiale” e “storia europea” all'interno di un unico racconto, di un'unica

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grande cornice di senso, e di mostrare in questo modo i reciproci condizionamenti che intercorrono tra le due.

In sintesi, l'obiettivo didattico-disciplinare che mi sono posto è dunque triplice:

(1) Far cogliere agli allievi l'accelerazione dei meccanismi di interazione e di integrazione planetaria e i molteplici scambi – economici culturali ed ecologici – intrattenuti tra le varie parti del globo durante il periodo considerato.

(2) Spingere gli allievi a riflettere in modo approfondito sulla struttura gerarchica di questa proto-globalizzazione e sul carattere policentrico che la caratterizza durante i secoli XVI-XVIII.

(3) Infine, permettere agli allievi di avvicinarsi a questa nuova dimensione globale della storia senza però perdere di vista la storia europea dei secoli XVI-XVII. Altrimenti detto, riuscire ad allargare i loro orizzonti geostorici sul “tutto” senza però che questo nuoccia alla comprensione delle “parti” (di una delle sue parti, nel caso specifico).

2.2. L’allenamento all’alterità: le preconoscenze dei ragazzi e la programmazione annuale. Spostandoci dal piano degli obiettivi a quello della loro realizzazione, è necessario puntualizzare a quale punto della programmazione annuale interviene l'UD, e capire così quali sono le preconoscenze dei ragazzi. Conformemente alle indicazioni del Piano di studio del Liceo di Mendrisio (2010), l'anno scolastico in corso si è aperto infatti con il tema denominato “L'Europa alla scoperta e alla conquista del mondo”. Nonostante il titolo palesemente eurocentrico, nel quadro di questo modulo si è cercato di uscire da una prospettiva di tipo “tradizionale”: innanzitutto, si è insistito molto sulla differenza registratasi tra la penetrazione europea in Asia – nella quale le strutture economiche, politiche e demografiche rimasero solide, e nella quale i Portoghesi non furono che “pulci sopra un cammello” (Goldstone, 2010, p.85) – e la parabola colonizzatrice messa invece in atto nel continente americano. A questo proposito, è stato letto in classe il testo di J. Goldstone (Allegato 1) ed è stato inoltre chiesto agli allievi di esplicitare questa differenza nel quadro di un lavoro scritto (Allegato 2). Si è in seguito voluto illustrare ai ragazzi il carattere estremamente evoluto della navigazione cinese nella prima metà del XV secolo (Allegato 3), di modo da far prendere loro coscienza del perdurante eurocentrismo che continua a caratterizzare la nostra analisi storiografica. Infine, nel quadro dell'ormai classico capitolo relativo al “rapporto con l'altro” durante la conquista del continente americano, si è cercato di sfruttare l'occasione per uscire dal caso specifico e impostare riflessioni di carattere più generale relative a ciò che potremmo

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definire, sulla scorta di Todorov e Saïd (2005), come il “discorso colonialista”, un discorso che – trasformando automaticamente l'alterità in inferiorità – contribuisce a legittimare e ad alimentare il dominio coloniale (Allegato 4). Durante questa prima parte dell'anno, gli allievi hanno dunque acquisito determinate preconoscenze indispensabili per il presente progetto didattico (l'arrivo dei portoghesi in Asia, la solidità delle strutture economiche e politiche del mondo asiatico, la conquista e la colonizzazione delle Americhe), ma hanno anche familiarizzato con un approccio storiografico capace di tenere in considerazione anche l'altrove, sia esso geografico o culturale.

2.3. “Come spendere l’argento”? La scelta dei temi.

Come impostare il percorso didattico? Innanzitutto, mi sembrava imprescindibile toccare almeno tre grandi aree: l'America – nella quale l'argento veniva estratto; l'Europa – verso la quale veleggiavano i galeoni spagnoli della Carrera de Indias; e l'Asia – terminale ultimo del circuito. Al fine di impostare un percorso il più possibile lineare, ho scelto in seguito di considerare il tragitto dell'argento come un flusso “Ovest-Est”, e di escludere dunque dalla mia analisi il pur interessantissimo “Galeone di Manila”, nonostante quest'ultimo mi avrebbe permesso di abbordare un tema spesso ignorato dalla storiografia come le relazioni transpacifiche durante l'Età moderna (si veda Di Fiore & Meriggi, pp.119-120).

In secondo luogo, in ragione del tempo speso, durante la prima parte dell'anno, sulla conquista e la colonizzazione del continente americano mi sembrava inutile concentrarsi nuovamente sulla fase di estrazione dell'argento.

Rimanevano dunque l'Europa e l'Asia, e restava inoltre da capire come limitare il focus di analisi. Dopo lunghe riflessioni, si è operata una doppia scelta: per l'Europa del XVI e del XVII secolo si è scelto, come già anticipato, di concentrarsi esclusivamente sulle dinamiche di storia economica e sociale menzionate nel capitolo precedente (a parte qualche indispensabile rimando alla storia politica). Riguardo all'oriente asiatico, il problema della delimitazione si poneva in termini diversi: pur avendo introdotto l'Asia orientale nel corso della prima parte dell'anno, è chiaro infatti che gli allievi disponevano di preconoscenze ridotte sullo sterminato universo asiatico. Data la vastità e la complessità della sua storia, un'esplorazione troppo fine sarebbe stata evidentemente impossibile. Se l'approfondimento sulla storia europea doveva dunque servire per raggiungere l'obiettivo tre e verificare la validità dell'idea di Grazioli (studiare e capire la “parte” senza perdere di vista il “tutto”), si è scelto invece di affrontare la parte relativa all'Oriente asiatico in funzione dell'obiettivo

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numero due (mostrare il carattere policentrico delle relazioni globali durante l'Età moderna): rimanendo a “metà strada” tra il paradigma dell'espansione europea e le nuove acquisizioni storiografiche sulle società orientali, l'accento è stato dunque posto sull'arrivo dei nuovi attori europei (olandesi e inglesi) nei circuiti commerciali asiatici, nel tentativo di mostrare però come questi ultimi – pur imponendo “nuove e più sostanziali forme di presenza” (Abbattista, 2002, p.64) in alcune zone insulari o periferiche – continuarono a trovarsi di fronte dei veri e propri colossi economici e politici come l'India moghul o la Cina dei Qing. In questo modo si delimitava il quadro di analisi concentrandosi sulle relazioni eurasiatiche, mantenendo però una prospettiva in grado di far cogliere agli allievi la prosperità e la solidità di alcune realtà asiatiche durante l'Età moderna. A questo punto, mi restava da approfondire soprattutto il primo obiettivo, relativo all'accelerazione degli scambi e dei meccanismi di integrazione planetaria durante l'Età moderna. Certo, già l'intensificazione dei commerci eurasiatici ne offriva un interessante spaccato, ma non potevo ritenermi soddisfatto: l'immagine tricontinentale che usciva da questo percorso America-Europa-Asia non teneva infatti in considerazione il continente africano, la cui partecipazione all'economia atlantica e, di riflesso, all'economia mondiale fu tutt'altro che marginale. Basti pensare – per tornare al percorso dell'argento – al fondamentale ruolo della manodopera africana nel funzionamento dell'economia coloniale americana, di cui l'argento rappresenta una feconda sineddoche. Proprio in quest'ottica, mi sembrava interessante approfondire il contributo offerto dall'Africa alla storia del mondo moderno, un contributo che – se certo si articola fondamentalmente intorno alla tratta atlantica – è però tutt'altro che “passivo”: ribaltando una storiografia eccessivamente concentrata sul ruolo dei paesi europei nel cosiddetto “commercio triangolare”, e che tendeva a relegare i popoli africani al ruolo di “vittime passive” dell'esclusiva agency europea, le più recenti acquisizioni storiografiche hanno infatti messo in luce il ruolo attivo svolto dalle società africane nella formazione del mondo atlantico (Thornton, 2010).

In primo luogo, senza voler per questo minimizzare le responsabilità dell'Occidente, numerosi storici hanno rivalutato la capacità di resistenza delle società africane nei confronti delle potenze europee, sottolineando di riflesso la volontaria partecipazione delle élites africane alla tratta atlantica (Klein, 1996; Thornton, 2010; Pétré-Grenouilleau, 2006; Lindsay, 2011). Benché foriera di nefaste conseguenze, questa partecipazione non era però dettata né da “stupidità” né da una presunta “inferiorità commerciale”, anzi: erano spesso le classi dirigenti africane a dettare i termini dello scambio sulla base di precise logiche economiche, politiche e sociali (Thornton, 2010). Senza negare il ruolo cruciale dell'Europa nella messa in piedi del “meccanismo negriero” (Pétré-Grenouilleau, 2006), l'obiettivo è dunque quello di uscire da una narrazione storica nella quale,

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indipendentemente dall'epoca e dai processi considerati, l'Africa appare sempre come una “vittima” in ragione del suo perenne “sottosviluppo”, e di mostrare invece come durante l’Età moderna, sotto molti aspetti, le civiltà africane fossero decisamente in grado di competere con i commercianti europei.

In secondo luogo, gli studi di Thornton hanno l'indiscusso merito di rivalutare il contributo attivo apportato dagli schiavi africani nella formazione della cultura e della società americana. Lo storico statunitense ha in effetti dimostrato come il trattamento brutale al quale furono sottomessi gli schiavi africani non ha impedito a questi ultimi di partecipare in modo decisivo alla vita culturale del Nuovo Mondo, e ha inoltre attirato l'attenzione degli storici su un aspetto spesso passato sotto silenzio: lungi dal realizzarsi unicamente in seguito alla deportazione forzata nel continente americano, l'incontro e l'ibridazione tra la cultura europea e le culture africane iniziò dapprima sulle coste dell'Africa (Thornton, 2010, p.18, 308-310). L'assimilazione della cultura europea e la sua integrazione negli schemi estetici locali non furono dunque unicamente “subite” dalle popolazioni africane: queste ultime parteciparono al processo di ibridazione in quanto componenti attive, dotate di uno straordinario “dinamismo” (Thornton, 2010, p.18) e di una straordinaria capacità di ricezione e rielaborazione culturale.

Oltre all'analisi del contributo attivo portato dall'Africa alla costruzione del mondo moderno, quest'ultimo punto introduce un ultimo aspetto che mi sarebbe piaciuto toccare con gli allievi: come già sottolineato, il percorso dell'argento esemplifica in modo emblematico l'esistenza di una nuova rete di scambi di dimensioni pressoché globali. Tuttavia, questi scambi non furono unicamente degli scambi di merci e metalli preziosi: attraverso gli oceani si diffusero infatti concezioni culturali (estetiche, linguistiche e religiose), stili di vita e modelli di consumo, microbi, piante e animali. Altrimenti detto, l'accelerazione dei meccanismi di integrazione planetaria non consistette semplicemente in un'intensificazione degli scambi commerciali, ma anche delle interazioni culturali ed ecologiche tra le diverse parti del mondo.

In ragione di quanto esposto, il percorso didattico elaborato comporta dunque cinque grandi articolazioni tematiche, tutte legate – in un modo o nell'altro – al flusso dell'argento spagnolo: (1) lo sviluppo economico dell'Europa cinquecentesca; (2) il ribaltamento degli equilibri economici europei tra il 1550 e il 1650; (3) gli scambi commerciali euroasiatici; (4) l'Africa e il suo contributo all'economia atlantica; (5) la nozione di protoglobalizzazione, vista non solo in termini economici ma anche culturali ed ecologici.

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3. “La parte per il tutto, il tutto per la parte”:

protoglobalizzazione e apprendimento cooperativo, un

approccio di ricerca azione.

Una volta stabilito “cosa” affrontare, rimaneva da capire “come” affrontarlo. É proprio su questo aspetto che ho rilevato un'interessante analogia tra i caratteri di fondo del periodo studiato e le modalità pedagogico-didattiche generalmente etichettate sotto il nome di “apprendimento cooperativo”.

Si è in effetti sottolineato in precedenza come uno degli obiettivi del percorso sia quello di far capire agli allievi l'accresciuta interdipendenza che si viene a creare a partire dal XVI secolo tra le traiettorie e i destini dei diversi continenti. Quest'accresciuta interdipendenza presuppone, come già sottolineato, l'impossibilità di scrivere la storia delle parti senza prendere in considerazione la storia del tutto: per non fare che un esempio estremamente banale, risulta impossibile scrivere la storia dell'Africa occidentale durante l'Età moderna senza ricorrere al colonialismo europeo nelle Americhe o ai commerci euroasiatici (che permettono agli europei di disporre dei tessuti asiatici usati come merce di scambio nella compravendita di schiavi africani).

Similmente, la storia del tutto rimane poco comprensibile se non si presta la necessaria attenzione a tutte le parti che compongono l'insieme, anche a quelle solitamente ignorate dalla storiografia eurocentrica otto e novecentesca: citando un altro esempio, Pomeranz (2004) sottolinea come il passaggio della Cina ad una monetazione argentea (una decisione presa durante il Quattrocento in totale autonomia) fu probabilmente determinante nel rendere economicamente sostenibile sul lungo periodo l'impero coloniale spagnolo.

Interrogandomi su quale fosse il modo migliore per far cogliere agli allievi questo nuovo carattere connesso della storia mondiale, mi sono reso conto che vi erano alcune modalità didattiche particolarmente interessanti. Nella fattispecie, la mia attenzione si è rivolta al cosiddetto “apprendimento cooperativo”. Indipendentemente dalle varie tecniche impiegate per la sua realizzazione – jigsaw, learning circles, group investigation, reciprocal teaching (si veda: Cacciamani & Giannandrea, 2004, pp. 47-65) – l'apprendimento cooperativo annovera infatti tra le sue caratteristiche fondanti il principio chiave dell'interdipendenza (Negri, 2005, pp. 13-14, 86), ossia la consapevolezza, da parte dei membri di un gruppo, che “il successo individuale dipende dal

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successo collettivo” (Negri, 2005, p.14) e che il successo collettivo dipende dal successo individuale.

Diversamente dall'apprendimento collaborativo, in effetti, l'apprendimento cooperativo non presuppone la condivisione, da parte di ciascun membro del gruppo “di tutto il piano di lavoro e (…) [di tutto il] processo di apprendimento, dalla progettazione alla valutazione” (Ligorio, 2003, p.48). In un'ottica cooperativa i vari membri del gruppo eseguono infatti individualmente alcune parti del lavoro, assemblandole però successivamente, “come pezzi di un puzzle”, in un prodotto unico, “senza escludere che a volte, per adattarsi l'una all'altra, [queste parti] possano anche modificarsi” (Ibid). Prevedendo delle fasi di lavoro individuale, la cooperazione ha dunque lo svantaggio – rispetto alla collaborazione – di limitare le occasioni di confronto e di lavoro collettivo, ma ha però il vantaggio di aumentare la responsabilità degli allievi, i quali diventano consapevoli che il loro lavoro individuale risulta indispensabile per la riuscita del lavoro collettivo. In questo modo si eviterà, nelle fasi di confronto, la classica propensione alla delega che caratterizza sovente il lavoro di gruppo. Dall'altra parte, siccome il prodotto finale richiesto (e valutato) è (anche) un prodotto di natura collettiva, gli studenti comprendono che la collaborazione con gli altri membri del gruppo è indispensabile per la loro riuscita individuale. In breve, mantenendo al tempo stesso momenti di lavoro individuale e di lavoro collettivo e fondandosi sull'interdipendenza reciproca dei singoli membri del gruppo, l'apprendimento cooperativo permette di veder realizzato, all'interno di una comunità di apprendimento, il motto “uno per tutti, tutti per uno”.

“Tutti per uno, uno per tutti”, il “tutto per la parte, la parte per il tutto”: è dunque rilevando come la nozione di interdipendenza si registri sia nell'apprendimento cooperativo sia nella storia del mondo moderno che mi sono deciso a strutturare il percorso sull'argento spagnolo sulla base di questa modalità didattica.

Dividendo la classe in cinque grandi gruppi (ai quali sono state affidate le cinque grandi articolazioni tematiche menzionate in precedenza), e strutturando il lavoro – all'interno dei vari gruppi – sulla base dell'apprendimento cooperativo (ogni allievi si occupa di un “sottotema” e poi si redige un'introduzione comune), quest'ultimo ha trovato dunque un “doppio livello di realizzazione”: quello interno al gruppo di lavoro e, in seguito alle presentazioni orali, quello a livello dell'intero gruppo-classe, che acquisiva grazie al lavoro dei vari gruppi una visione di insieme del periodo studiato (per maggiori ragguagli sul funzionamento “concreto” del lavoro, si veda: Allegato 5).

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É proprio intorno a questa specifica modalità di lavoro e al parallelismo evidenziato in precedenza che ho voluto strutturare il mio progetto di ricerca-azione: l'obiettivo fondamentale di quest'ultimo (la cosiddetta domanda di ricerca) consiste dunque nel capire se l'applicazione di metodi didattici riconducibili all'apprendimento cooperativo possa essere un efficace strumento per far cogliere agli allievi il carattere “connesso” della storia mondiale durante l'Età moderna.

La mia ipotesi di ricerca è infatti che l'interdipendenza che si registra tra gli alunni nell'ambito dell'apprendimento cooperativo possa aiutare questi ultimi a cogliere e a capire l'interdipendenza che caratterizza la storia delle varie parti del globo durante l'Età moderna.

Verificare una tale ipotesi di ricerca è però tutt'altro che evidente. Non disponendo della possibilità di effettuare una controprova ricorrendo ad un'altra modalità didattica, è chiaro che la sua verifica sarà inevitabilmente parziale. Da un punto di vista generale, ritengo che l'ipotesi sarà da considerarsi valida se la presente modalità didattica sarà efficace, e se gli studenti capiranno dunque, nel quadro del percorso, che i vari argomenti trattati dai singoli allievi e dai singoli gruppi sono davvero spiegabili unicamente prendendo in considerazione l'insieme degli argomenti trattati. I fattori chiave presenti nell'ipotesi sono dunque due:

 In primis, la comprensione dei singoli argomenti. Se il lavoro dei compagni – o, peggio ancora, il proprio lavoro – non dovesse essere capito, è ovvio che l'allievo si ritroverebbe a conoscere solo alcune delle diverse parti e verrebbe meno, in questo modo, qualsiasi idea di interdipendenza.

 In secundis, la capacità di tessere dei legami tra i vari lavori, e di federare così i diversi approfondimenti in un quadro di insieme coerente. Solo operando questi legami ed acquisendo così una visione generale che vada al di là dei singoli temi affrontati l'allievo potrà rendersi conto dell'interdipendenza che li caratterizza.

Si tratta di fattori che non sono direttamente osservabili. Il docente-ricercatore deve dunque chiedersi come verificarli e come operare una “discriminazione” tra coloro che hanno “capito e legato” e coloro che invece non ci sono riusciti. Per fare ciò, è indispensabile dotarsi di indicatori verificabili e osservabili. Nella scelta di questi indicatori, ho voluto privilegiare l'analisi dei tre “prodotti” del mio percorso didattico: la relazione scritta consegnata dagli allievi, la presentazione orale e, infine, un test finale della durata di un'ora che verrà proposto alla fine del percorso, nel tentativo di valutare la conoscenza degli allievi sui singoli approfondimenti ma, soprattutto, sull'insieme del periodo considerato.

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Nella tabella che segue sono dunque riassunti gli indicatori “osservabili” che mi permetteranno di operare la discriminazione summenzionata e, di riflesso, di validare o smentire la mia ipotesi.

Comprensione dei singoli argomenti.

L'allievo capisce gli argomenti presentati dai compagni.

Durante la presentazione, quante e quali domande sono state poste ai relatori?

Alla fine della presentazione, i compagni sono in grado di riassumere i concetti chiave della presentazione appena ascoltata?

Nel test finale, le risposte alle domande relative ai singoli lavori sono globalmente corrette?

L'allievo capisce il proprio argomento.

Nel quadro della presentazione, il relatore è capace di rispondere alle sollecitazioni e alle domande dei compagni e

dell'insegnante? Costruzione di legami e comprensione del quadro di insieme. L'allievo acquisisce una visione globale del periodo studiato.

Nel test finale, la risposta fornita al quesito “generale” sull'insieme del percorso svolto è sufficiente?

L'allievo si rende conto del carattere “parziale” del proprio approfondimento e della necessità di legare quest'ultimo al lavoro dei compagni.

Nel quadro della stesura del lavoro e della presentazione, quanti e quali rimandi ad altri lavori sono stati effettuati?

Nel quadro della pagina introduttiva, il gruppo è riuscito a legare tra loro in modo efficace i vari approfondimenti?

Nel quadro della pagina introduttiva, il gruppo è riuscito a legare il proprio tema all'interno del percorso globale dell'argento spagnolo?

L'allievo è cosciente dell'importanza del proprio lavoro nella riuscita e nella comprensione del percorso comune.

L'allievo ha cercato, durante la presentazione, di fare in modo che i compagni capissero quanto andava presentando? L'allievo ha apportato con la necessaria cura e il necessario impegno le correzioni applicate dall'insegnante alla propria bozza?

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In sede di bilancio (cfr. Capitolo 5.2.2), si cercherà di valutare attentamente questi indicatori e di verificare, in questo modo, se la modalità didattica dell'apprendimento cooperativo possa risultare efficace per l'apprensione delle numerose interconnessioni che si registrano tra i vari continenti durante l'Età moderna.

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4. Il progetto nel concreto: fasi, materiali e tempistiche.

Il presente percorso didattico è stato articolato sulla base di quattro momenti distinti, ed è stato effettuato su un totale di tredici ore lezione (quarantacinque minuti l'una).

4.1. Il lancio dell’attività (due ore lezione).

L'obiettivo della prima fase era evidentemente quello di “lanciare l'attività” (Negri, 2005, p.112): bisognava dunque “tracciare la cornice entro la quale si [sarebbero svolti] i lavori di gruppo, esplicit[are gli] obiettivi, richiama[re] competenze e conoscenze già acquisite e necessarie, ricord[are] regole e aspetti organizzativi, esplicit[are] i criteri e la modalità di valutazione” (Negri, 2005, p.112).

Per fare ciò, si è fatto ricorso al testo di C. Cipolla (Allegato 6), estratto dal suo Conquistadores, pirati, mercatanti. La saga dell'argento spagnuolo (1996): il testo, rimaneggiato in funzione degli obiettivi didattici, ha in effetti il merito di illustrare in modo abbastanza chiaro i flussi dell'argento e di introdurre, tra le righe, alcuni degli argomenti principali che si sarebbero affrontati durante il percorso. É stato dunque chiesto agli allievi di leggere il testo e di tracciare, su una carta del mondo del 1650 (Allegato 6), il flusso dell'argento spagnolo, annotando poi a fianco di ogni “tappa” i motivi che permettono l'arrivo dell'argento e le sue ripercussioni. Alla fine di quest'attività è stato possibile, attraverso una messa in comune e la proiezione di una cartina da parte del docente (Allegato 7), suddividere il percorso didattico in sei grandi parti, corrispondenti (salvo per la fase di “produzione” sul continente americano, sulla quale ci si è limitati a richiamare le preconoscenze degli allievi) ai cinque grandi argomenti toccati nel quadro del lavoro di gruppo.

Si è poi proceduto alla creazione effettiva dei cinque gruppi, che sono stati scelti dall'insegnante in base al criterio dell'eterogeneità (misurata sulla base della riuscita scolastica). Questa decisione è stata presa in ragione dell'importanza rivestita da ogni singolo gruppo nella comprensione globale del percorso: era in effetti indispensabile evitare la creazione di gruppi “troppo deboli”, che non fossero dunque in grado di offrire ai compagni un quadro sufficientemente chiaro del proprio approfondimento.

Infine, si sono distribuiti agli allievi il programma e le indicazioni di lavoro (Allegato 5) e si sono spiegate loro le esigenze richieste. Per concludere, si sono poi esplicitati, attraverso la distribuzione di una copia della “griglia di valutazione” (Allegato 8), i parametri e i criteri che avrebbero

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determinato la riuscita del lavoro. Da ultimo, si è esplicitato che alla fine del percorso si sarebbero operate sia una messa in comune conclusiva che un piccolo test della durata di un'ora al fine di valutare la comprensione globale dei singoli argomenti e, soprattutto, dell'insieme del percorso compiuto.

4.2. Il lavoro di gruppo (quattro ore lezione).

Le successive quattro ore lezione sono state dedicate al lavoro di gruppo, ossia alla lettura dei testi e ad un primo parziale confronto. É chiaro che l'insieme del lavoro non poteva essere svolto all'interno di queste quattro ore, e che gli allievi avrebbero dovuto lavorare a casa (sono stati per questo “sgravati” di un lavoro scritto): il tempo a disposizione in classe doveva dunque servire soprattutto per porre eventuali domande di comprensione all'insegnante e per iniziare una prima e parziale messa in comune delle letture effettuate.

4.2.1. Le letture selezionate e i materiali didattici.

Proprio a proposito delle “letture”, è indispensabile ora – prima di passare oltre – analizzare più da vicino la spinosa questione dei cosiddetti “sottotemi” e soffermarsi dunque sui materiali didattici che è stato chiesto agli allievi di leggere e di riassumere (l'insieme di questi materiali figura nell'Allegato 9).

4.2.1.1 L’arrivo dell’argento americano nell’Europa del Cinquecento.

Come si può vedere dal programma generale del percorso (Allegato 5), il primo gruppo è composto da quattro studenti, e si occupa dell'arrivo dell'argento nell'Europa del Cinquecento. Come in tutti gli approfondimenti, l'idea è quella di sfruttare l'argento per andare oltre quest'ultimo e dunque, in questo caso, per parlare della crescita economica cinquecentesca. A tal scopo, si è scelto di suddividere il tema in quattro “sottotemi”: la crescita demografica e la cosiddetta rivoluzione dei prezzi; l'espansione agricola e il mondo rurale nella prima Età moderna; le conseguenze sociali della crescita economica; l'espansione del capitalismo commerciale e gli inizi della protoindustria. Per affrontare questi temi, abbastanza complessi, si è scelto di ricorrere dapprima ad un testo manualistico (quello di Montanari, che avrebbe permesso a tutti i membri del gruppo di disporre di una visione generale), e poi ad una serie di approfondimenti estratti dall'opera di H. Kamen (1987). Il testo di Kamen è sicuramente molto denso, ma ha il pregio di ricorrere sovente a esempi “concreti” e specifici in grado di illustrare il fenomeno generale che sta descrivendo.

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4.2.1.2. “La spagna possiede la mucca, ma gli altri bevono il latte”: lo spostamento del baricentro economico europeo (1550-1650).

Come si può dedurre dal simpatico titolo estratto da un romanzo di E. Galeano (1971, p.40), il secondo gruppo – composto da cinque studenti – si occupa di quello che abbiamo definito in classe come il “flusso intraeuropeo” dell'argento (dalla Spagna ai paesi del Nord Europa), che rappresenta un buon prisma di osservazione per analizzare gli equilibri economici del Vecchio continente. A questo proposito – oltre a mettere a disposizione degli allievi un capitolo del manuale di Montanari, di modo da offrire loro un quadro storico generale sulle principali vicende, anche politiche, della storia europea tra il 1550 e il 1650 – si è fatto ricorso all'ormai classico saggio di C. Cipolla (1974), che ha il pregio di coniugare un estremo rigore analitico con uno stile accessibile anche a degli studenti di seconda liceo. Data la sua importanza all'interno delle dinamiche economiche dell'Europa del XVII secolo, si è inoltre deciso di offrire agli allievi una breve sintesi sul concetto di “mercantilismo”, ottimamente redatta da P. Malanima (1995), e che poteva (e doveva) essere spesa nel quadro dei diversi approfondimenti

4.2.1.3. L’argento in Asia.

Il terzo gruppo, anch'esso composto da cinque studenti, si interessa invece del flusso euroasiatico di argento e, attraverso quest'ultimo, delle relazioni tra Europa e Asia durante l'Età moderna. Scopo di questo terzo gruppo è analizzare l'intensificazione dei rapporti tra i due continenti nei secoli XVI-XVIII e di mostrare come l'arrivo di nuovi attori europei nei circuiti commerciali asiatici (e soprattutto di olandesi e inglesi) comporta l'imposizione, da parte di questi ultimi, di forme più sostanziali di presenza in alcune regioni dell'Asia sud-orientale. Tuttavia, il gruppo dovrà essere anche in grado di capire perché, nonostante questi fenomeni, sia comunque poco corretto “parlare di un primato europeo rispetto al contesto asiatico in termini economici o strategici o tantomeno politici per il periodo 1500-1800” (Abbattista, 2002, p.13).

Per quel che riguarda il materiale didattico fornito agli allievi, si è fatto ricorso al piccolo libro di G. Abbattista (2002), una sintesi molto chiara sulla storia delle relazioni euroasiatiche tra XV e XVIII secolo e che, nonostante il titolo ingannevole, si sforza di prendere in considerazione molti degli ultimi sviluppi storiografici al fine di ribaltare l'idea di una lunga, ininterrotta e prolungata “ascesa dell'Occidente” (pp.9-12). Lo snello lavoro di Abbattista ha inoltre il merito di presentare una suddivisione in capitoli decisamente ottimale anche a livello didattico, e che è stata dunque ripresa per strutturare la divisione in “sottotemi”: un primo allievo si occuperà così di offrire un affresco

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delle società asiatiche nel Cinquecento, al fine di mostrare la loro grande complessità e il loro elevato grado di sviluppo politico, economico, sociale e culturale. Egli fornirà inoltre un piccolo riassunto della parabola portoghese (già vista, come detto, durante il primo semestre), di modo che il secondo e il terzo alunni possano analizzare invece l'avvento dei nuovi attori olandesi e inglesi nei circuiti commerciali dell'Asia sud-orientale. Infine, gli ultimi due studenti si occuperanno rispettivamente degli “strumenti e dell'organizzazione del commercio euroasiatico” (con un'occhio di riguardo nei confronti del funzionamento e della struttura molto peculiare delle grandi compagnie commerciali europee) e delle forme assunte dalla presenza europea in Asia.

Per orientare la stesura dell'introduzione e permettere a tutti gli allievi di cogliere il senso globale dell'approfondimento, è stato inoltre fornito loro un piccolissimo estratto dell'introduzione del libro di Abbattista, nel quale l'autore si propone di considerare la vicenda storica degli Europei in Asia rinunciando ai classici concetti di “espansione”, “supremazia” o “primato”.

4.2.1.4. Esclusa dall’argento o esclusa dai flussi? L’Africa e il suo ruolo nell’economia atlantica. Terminato il percorso sull'argento, giunto finalmente in Asia, l'obiettivo del quarto gruppo è invece quello di approfondire il ruolo dell'Africa all'interno dell'economia atlantica e del cosiddetto “commercio triangolare”.

Proprio in ragione di quanto sostenuto precedentemente sul ruolo attivo svolto dai popoli africani all'interno di questo commercio, è stata innanzitutto distribuita al gruppo l'introduzione al libro di Thornton (2010), di modo che l'insieme dei membri potesse cogliere il cambio di paradigma che la storiografia ha cercato di introdurre nell'ambito della storia atlantica. In seguito, si è scelto di dividere l'approfondimento in tre sottotemi, per i quali si è fatto ricorso alla sintesi – molto semplice, chiara e aggiornata – di Lisa Lindsay (2011): in primis, un'analisi della crescita della domanda europea, dovuta all'inaugurazione su larga scala del sistema delle piantagioni in territorio americano. In secondo luogo, una digressione fondamentale in grado di far capire agli alunni per quale motivo la schiavitù in Africa fosse pratica corrente e, di riflesso, per quale motivo le élites africane vendessero i loro schiavi ai mercanti europei. Infine, un piccolo excursus sulle conseguenze della tratta atlantica sui vari paesi coinvolti, di modo da introdurre in un colpo solo la spinosa questione del suo eventuale contributo all'industrializzazione britannica e gli effetti della tratta in Africa e nei paesi del Nuovo Mondo.

4.2.1.5. “L’argento come emblema”: la protoglobalizzazione e il ruolo dell’Europa.

Se l'insieme dei gruppi precedenti si concentrava su una determinata area geografica (l'Europa riceveva in questo senso un'attenzione particolare, essendo analizzata da due gruppi proprio in

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funzione del terzo obiettivo disciplinare del progetto), l'argomento dell'ultimo gruppo è invece peculiare, e per certi aspetti decisamente più complesso (per questo motivo, è stato costruito apposta un gruppo leggermente più “forte” rispetto agli altri quattro): il quadro di analisi, in effetti, era costituito dalla nozione stessa di “protoglobalizzazione”, della quale il flusso d'argento costituisce in un certo senso un'“emblema”.

L'obiettivo del gruppo è dunque duplice: da un lato, attraverso gli approfondimenti individuali, esso dovrebbe mostrare come il flusso dell'argento e, più in generale, i flussi commerciali, furono solamente una parte dei molteplici flussi che percorsero gli oceani durante l'Età moderna. Oltre agli scambi commerciali, la protoglobalizzazione si caratterizza infatti anche (e soprattutto) per degli scambi ecologici (testo di C. H. Parker (2012)) – che hanno permesso la diffusione su scala mondiale di batteri, piante e animali prima confinati ad uno solo dei due ecumeni (eurafrasiatico e/o americano) – e culturali, di cui costituiscono un ottimo esempio sia la creazione di culture afroamericane (testo di Thornton (2010)) che l'adozione, da parte degli europei, di modelli di consumo originari dell'Asia o delle Americhe (testo di Capuzzo (2007)).

Il secondo obiettivo del gruppo era invece di ragionare collettivamente sulla natura, sulla struttura e sui meccanismi di funzionamento di questa “protoglobalizzazione”, all'interno della quale si collocano i vari flussi. Con l'aiuto di brevi estratti – che si sapevano essere molto complessi – i ragazzi dovevano dunque riuscire a capire in che misura e perché – nonostante i numerosi “buchi nella rete” (testo di Osterhammel e Petersson (2005)) – si possa parlare di “protoglobalizzazione” per il periodo considerato (testo di M.Fusaro (2008)) e, soprattutto, riuscire ad identificare le strutture gerarchiche di quest'ultima con l'aiuto del testo di Di Fiore e Meriggi (2011).

4.2.2. Il ruolo dell’insegnante.

Durante questa fase di lavoro di gruppo, l'insegnante avrebbe dovuto limitarsi ad offrire il suo aiuto su esplicita richiesta degli allievi, evitando così di fare il “falco” e di “scendere in picchiata ad ogni minimo momento di difficoltà” (Negri, 2005, p.113). Come vedremo nel prossimo capitolo, non sempre è stato però possibile mantenere questo delicato equilibrio tra intervento e osservazione. É bene però sottolineare come egli sia rimasto sempre a disposizione, via posta elettronica e attraverso degli eventuali colloqui, per ulteriori chiarimenti da parte degli alunni.

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Una volta consegnate le bozze gli allievi dovevano occuparsi della preparazione delle presentazioni orali. Queste ultime (che hanno tenuto impegnata la classe per cinque ore lezione) dovevano durare circa venti-venticinque minuti e, soprattutto – per evitare che l'esercizio si trasformasse in una semplice lettura ad alta voce del proprio testo – esse dovevano essere strutturate in funzione di un commento ad alcune fonti, che potevano essere, a seconda dei gruppi, delle tabelle, degli istogrammi, delle cartine o delle vere e proprie citazioni (Allegato 10).

Una volta terminata l'esposizione, i compagni avevano a disposizione circa venti minuti per porre domande e, sempre all'interno di questi venti minuti, l'insegnante ha potuto sia stimolare la discussione con ulteriori domande alla classe e/o ai relatori su alcuni temi non chiari sia procedere ad una “sistematizzazione” delle conoscenze costruite (Negri, 2005, p.114). Leggermente differente è stata invece la messa in comune finale, della durata di un'ora lezione, che ha seguito l'ultima presentazione: in quel caso, si sono progressivamente recuperate le conoscenze costruite dagli altri gruppi al fine di aiutare gli allievi ad acquisire una visione generale della cosiddetta “protoglobalizzazione”.

4.4. Il test finale (un’ora lezione)

L'ultima tappa del cammino era costituita da una piccola verifica delle conoscenze e delle competenze acquisite dagli allievi durante il percorso didattico. Questa verifica (Allegato 11), della durata di circa un'ora lezione, era divisa in tre grandi parti, le quali risultavano funzionali alla verifica di determinati obiettivi che mi ero posto nel quadro del presente lavoro: nella prima parte gli allievi avrebbero dovuto valutare la veridicità di quattro affermazioni e correggerle nel caso esse fossero risultate sbagliate. Questa prima parte, chiaramente molto rapida e relativamente semplice, mi serviva soprattutto per avere un riscontro generale sulla comprensione di alcuni punti chiave dei singoli approfondimenti.

Al fine di verificare il raggiungimento del terzo obiettivo disciplinare (“fare la storia del mondo senza perdere di vista la storia europea”), ho poi chiesto ai ragazzi nel secondo esercizio di riassumermi con parole loro due dei concetti più importanti analizzati nel quadro dei lavori sulla storia europea: la protoindustria e il mercantilismo. Infine, la domanda aperta finale chiedeva loro di mobilitare e federare tra loro le diverse conoscenze acquisite, di modo da valutare la loro comprensione “generale” della cosiddetta protoglobalizzazione. Si sono per questo posti gli allievi di fronte ad un istogramma che illustrava le grandi differenze che si registrano oggi (2010) tra le varie regioni del pianeta in termini di reddito pro capite. Il grafico prendeva in considerazione l'Europa occidentale, l'Africa subsahariana (protagonista della tratta), la Giamaica (terra di

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economia coloniale per eccellenza), l'India e la Cina (che gli studenti avevano analizzato, soprattutto la Cina, in quanto grandi potenze economiche e politiche dei secoli XVI-XVIII). Veniva dunque chiesto loro se questa “grande divergenza” in termini di reddito pro capite potesse essere fatta risalire al periodo studiato. Non vi era, ovviamente, una risposta preconfezionata, ma sarebbe teoricamente dovuto emergere il fatto che – mentre l'economia africana ha sicuramente risentito della tratta e ha dunque cominciato ad “accumulare un certo ritardo” rispetto all'Europa già durante questi secoli – l'origine del divario che separa le economie asiatiche da quelle europee è probabilmente posteriore al periodo studiato.

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5. Sperimentazione didattica e risultati.

5.1. “Tra il dire e il fare c’è di mezzo l’aula” la sperimentazione didattica, riflessioni e problemi.

Qualsiasi riflessione sulla sperimentazione pratica di quanto detto sinora non può che articolarsi su molteplici livelli. Innanzitutto, mi sembra importante premettere che il clima all'interno del gruppo-classe è stato generalmente positivo e funzionale all'apprendimento cooperativo: i ragazzi hanno colto con interesse la possibilità di lavorare in modo collettivo, e non vi sono state particolari tensioni emotive o relazionali all'interno dei vari gruppi. Rovesciando i soliti schemi e ponendo gli allievi dall'altra parte della cattedra la modalità di lavoro adottata ha inoltre permesso di portare un “soffio di aria fresca” all'interno dell'aula scolastica.

Parzialmente più problematico è stato l'aspetto motivazionale: siccome il progetto si situava alla fine dell'anno scolastico, in un momento in cui gran parte degli allievi era comprensibilmente concentrato su altre preoccupazioni (“tirar su matematica”), non sempre il coinvolgimento degli allievi è stato all'altezza delle mie aspettative. Alcuni studenti hanno affrontato in effetti l'attività di lettura, di sintesi e soprattutto di correzione senza il necessario coinvolgimento, e ciò ha avuto ripercussioni negative sulla qualità del prodotto finale consegnato dagli alunni. L'allegato 12 ne fornisce un buon esempio: l'allieva doveva occuparsi delle conseguenze sociali della crescita cinquecentesca. La prima versione da lei consegnata era decisamente un po' debole, ma questo poteva essere comprensibile data la complessità di alcuni temi. Riconsegnandole le correzioni, le ho dunque ribadito di essere a sua disposizione per eventuali chiarimenti supplementari. Purtroppo, preoccupata da altre scadenze, l'alunna non solo non ha chiesto nulla, ma si è limitata a correggere alcuni aspetti formali senza procedere ad una vera e propria revisione del testo, e questo ha avuto evidentemente ripercussioni negative sul prodotto finale. L'allegato 13, invece, ci dimostra come un allievo che doveva occuparsi di un tema altrettanto se non più complesso quale la fioritura del capitalismo commerciale e l'emergere della protoindustria, è riuscito – grazie all'impegno profuso nella correzione – a correggere e/o approfondire alcuni aspetti della sua bozza giungendo così ad un risultato complessivamente soddisfacente.

Questi problemi sono stati poi acuiti da un'oggettiva complessità di alcuni testi forniti (e in particolare degli approfondimenti a sfondo storiografico, che non a caso sono stati “bypassati” da molti gruppi nella stesura delle introduzioni (per le cinque introduzioni, si veda allegato 14)): su questo punto devo fare un parziale mea culpa. Se rimango convinto che questi testi non siano

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completamente fuori dalla portata degli allievi di seconda liceo, mi sono però reso conto che molti di essi necessitavano una spiegazione da parte del docente, e questo contraddiceva chiaramente l'idea di un lavoro autonomo da parte degli studenti, i quali si sono forse trovati un po' scoraggiati di fronte alla poca immediatezza dei testi forniti. Anche la complessità di alcune operazioni (come quella di integrare in un unico testo informazioni provenienti da fonti diverse) è stata sottovalutata dall'insegnante: l'iter di correzione dell'introduzione del gruppo 1b (Allegato 16) dimostra bene come gli allievi siano riusciti a riassumere in maniera discreta i capitoli del manuale, senza però riuscire ad integrarvi in modo autonomo la sintesi di P. Malanima sul mercantilismo.

Tutto ciò si è dunque tradotto in un intervento molto pronunciato da parte del docente, sia durante la fase del lavoro di gruppo sia durante la fase di correzione, e questo ha leggermente “falsato” la sperimentazione didattica.

Un ulteriore aspetto problematico è stato quello relativo alle presentazioni orali: forse non sufficientemente abituati a questo genere di esercizio, gli allievi si sono spesso limitati ad una lettura ad alta voce dei loro testi, lettura che per evidenti ragioni di tempo è stata sistematicamente troppo rapida. Le fonti fornite dall'insegnante sono state invece o totalmente ignorate o liquidate troppo velocemente (“come potete vedere sulla tabella alle mie spalle”). Gli allievi che assistevano alla presentazione, infine, si sono spesso limitati al canonico “applauso finale” evitando di porre domande per non rischiare di mettere in difficoltà i loro compagni: se questo ha testimoniato di una forte coesione del gruppo-classe, è chiaro che dal punto di vista della comprensione dei contenuti ciò ha comportato evidenti lacune.

Anche in questo caso, il docente è dovuto intervenire in modo deciso per sistematizzare gli elementi principali delle presentazioni e per sincerarsi dell'effettiva comprensione di questi ultimi da parte dei compagni.

In sostanza, la sperimentazione didattica ha mostrato alcune delle difficoltà che si incontrano abitualmente nei lavori di gruppo e nell'apprendimento cooperativo, ma alcuni fattori determinanti (la poca motivazione di alcuni alunni e, soprattutto, un calibratura non efficace dei materiali didattici da parte del docente) hanno fatto sì che queste difficoltà si acuissero forse oltremisura.

5.2. Chi troppo stroppia: riflessioni critiche sui risultati raggiunti.

Le considerazioni esposte in precedenza introducono già, per molti aspetti, lo spinoso tema dei risultati raggiunti. Quest'ultimo dev'essere però approfondito con l'aiuto dei dati raccolti durante il

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