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La circolarità del tempo: dal presente al passato al presente

ANALISI TEMATICHE DEI TESTI POETICI

6.3. La circolarità del tempo: dal presente al passato al presente

Sembra che Gozzano non abbia mancato l’appuntamento con il suo libro decisivo: I colloqui. Anzi, in questo libro il poeta è pienamente riuscito a mio modesto parere a onorare le proprie ambizioni costruttive. Che i Colloqui contengano poi la poesia gozzaniana maggiore è anche vero ma niente affatto sorprendente (l'autore della sola Via del rifugio sarebbe oggi noto e riletto quanto l'amico Vallini, Chiaves e Oxilia e non ne faremmo, presumo, un ulteriore profilo), e questo è comunque un altro discorso. Ciò che qui intendo dire è che i Colloqui non sono una raccolta di versi

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ma un libro, che come tali sono leggibili e come tali andrebbero letti. E sono un libro non soltanto perché parecchi dei testi centrali confermano pienamente la tendenza gozzaniana alle forme ampie e distese del poemetto e del racconto in versi, ma perché questa disponibilità narrativa del Gozzano lirico ha avvolto l'intero volume e tende a fare dei singoli componimenti i singoli episodi e i capitoli di una storia e di un discorso unici. Non è in gioco l'autonomia micro contestuale di qualcuna o ciascuna delle liriche dei Colloqui; questa autonomia può benissimo essere rispettata, come lo scrittore del resto per parte sua voleva, ma queste unità liriche o narrative non annullano l'unità del libro, che si pone a un altro livello. Il «sottile filo ciclico», che Gozzano voleva legasse il suo volume e lo rendesse «organico [...] benché formato di tante poesie indipendenti», percorre scopertamente da capo a fondo i Colloqui e ne istituisce l'unitarietà in termini che non sono solamente linguistici, stilistici, tonali o tematici, ma anche discorsivi. I Colloqui sono anche un compiuto discorso, un macrocontesto organicamente e sincronicamente leggibile le cui grandi frasi, le cui unità sono i singoli componimenti sebbene, ed è fin troppo ovvio, queste unità non intrattengano con il macrocontesto, del quale fanno parte esattamente gli stessi rapporti che a livello di discorso collegano frasi e contesto.

In questo senso la ciclicità dei Colloqui è anche la più rigorosa e ricca riprova della ciclicità di fondo della lirica gozzaniana, della sua insistente e quasi ossessiva tendenza a ricalcare le proprie orme. Dato il numero relativamente basso delle sue linee denotative, dei suoi paradigmi tematici, dei suoi motivi, è quasi fatale ritrovare le une e gli altri nei Colloqui, mentre proprio lungo il percorso dei Colloqui essi progressivamente e per successive iterazioni vengono accumulando connotazioni sempre più nitide e anzi, nel susseguirsi compatto di liriche e di «episodi», quelle denotazioni paradigmatiche hanno modo, ricomparendo volta per volta isolate oppure correlate da molteplici intersezioni reciproche, di stratificarsi e consolidarsi e di far disporre ordinatamente intorno a sé, come elettroni orbitanti intorno al nucleo, i propri predicati e i propri attributi connotativi.

Proprio in ragione di questa progressiva stratificazione connotativa si può dire che, mentre i

Colloqui costituiscono un unico macrocontesto, un organico discorso sintagmaticamente disposto e

sintagmaticamente percorribile, i singoli microcontesti (i singoli componimenti) sono via via le repliche parziali ma costanti di un costante percorso denotativo: sul piano della denotazione l'ipotetico diagramma dei Colloqui (e di tutta la lirica gozzaniana che precede le Farfalle) è una circonferenza e i suoi punti vengono continuamente ripercorsi nei due sensi dal discorso lirico; sul piano della connotazione i Colloqui in quanto libro e la lirica di Gozzano in quanto sistema sono rappresentabili come uno sviluppo di quella curva piana nello spazio, ossia come una spirale.

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Fin qui abbiamo proceduto per estrapolazione, indicando paradigmi tematici e motivi e intersezioni significative degli uni con gli altri e di questi e quelli fra loro; e sarebbe certamente più comodo continuare così. Ritengo però giusto e utile far spazio, almeno di scorcio, alla «storia» che i

Colloqui ci propongono e al modo specifico nel quale ce la propongono.

Letti così, come un romanzo, i Colloqui narrano contemporaneamente la storia di una educazione sentimentale mancata, di uno scollamento psicologico e ideologico tra io e realtà che è anche quello, storico, tra un certo tipo di intellettuale e di poeta e la società del suo tempo e del suo ceto, e infine la storia di una poesia. A raccontarcela, retrospettivamente e quasi sempre in prima persona, è un narratore-protagonista, venticinquenne precocemente invecchiato e precocemente stanco, che ci presenta fin dalla prima pagina come già scritto il suo romanzo, il suo «libro di passato», unico frutto della prima giovinezza e unica eredità di una vita già tutta vissuta, di un'esperienza conclusa. A introdurci nella sua storia e a invitarci a ripercorrerla come lettori è insomma un personaggio che da quella storia è già uscito, a far gli onori di casa alle soglie del libro non è un narratore che ci chieda di fargli silenziosamente compagnia durante le vicende delle quali si appresta a essere protagonista, come spesso avviene nel mondo del racconto, ma un personaggio che giunge, correndo a ritroso, direttamente dall'ultima pagina del libro e che fa in tempo ad aprircene la prima comunicandoci subito che tutto è finito e anche, un po' brutalmente, come la vicenda è finita.

È lui stesso, il narratore, nell'atto stesso di presentarsi ancora vestito dei panni del protagonista, ma col costume e il trucco dell'ultimo atto, ad anticiparci tutto quanto; da questo punto di vista, dunque, nessuna suspence: abbiamo davanti a noi il protagonista, freschissimo reduce dalla sua avventura e disposto a raccontarcela e a riviverla post factum. Quando, al suo fianco saremo arrivati un'altra volta quasi in fondo alla storia, capiremo appieno come gli ultimi gesti del personaggio che,

[…]… Rifatto agile e sano aduna i versi, rimaneggia, lima, bilancia il manoscritto nella mano35,

inaugurino proprio quel moto circolare perpetuo che gli consente di ripresentarsi, col suo libro finito sotto il braccio, ad accogliere i nuovi lettori che mettono piede nei Colloqui. Capiremo anche come nell'anticamera del libro possa essere stata trascritta l'epigrafe («...reduce dall'Amore e dalla Morte / gli hanno mentito le due cose belle... ») della quale molto più in là ritroveremo l'originale:

197 Reduce dall’Amore e dalla Morte

gli hanno mentito le due cose belle!

Gli hanno mentito le due cose belle: Amore non lo volle in sua coorte,

Morte l’illuse fino alle sue porte, ma ne respinse l’anima ribelle36.

Capiremo, infine, che le due liriche omonime che sono la prima e l'ultima del libro, e L'ultima

infedeltà che è la seconda, rappresentano in realtà, nel tempo del racconto, rispettivamente il

penultimo, il terzultimo e l'ultimo momento della storia; capiremo cioè che la lunga avventura che si chiude in fondo al libro ha una coda al principio del libro, una coda per cui il padrone e costruttore del castello (ovvero il personaggio che è contemporaneamente protagonista e narratore della storia e autore del libro) esercita, fuori d'ogni incognito, anche l'attività di cicerone per i visitatori del castello (ossia per i lettori del libro che contiene la storia e ne è anche l'unico frutto).

Con queste osservazioni tocchiamo due aspetti importanti del racconto: il punto di vista e il tempo. La soluzione scelta per il primo non sorprende quando si abbia a che fare con una raccolta di versi; a campeggiare è pur sempre una figura molto rassomigliante all'io lirico, che è il naturale «protagonista» dell'enunciato lirico. Non desta cioè meraviglia che il personaggio centrale, colui che dice (quasi sempre) io, assommi in sé le prerogative di narratore e di protagonista e che tra i suoi fondamentali attributi in quanto protagonista ci sia anche quello di essere autore di un libro intitolato «I colloqui» che è la sua autobiografia sentimentale e ideologica e sintetizza la sua esperienza giovanile.

Così facendo Gozzano, che a rigore è l'autore di un altro libro intitolato I colloqui, ha potuto facilmente riversare tutta una serie di funzioni del racconto nel suo personaggio senza sovvertire quasi mai le regole della lirica per quanto concerne il punto di vista anche se, avvalendosi delle libertà tipiche del narratore, in alcuni casi (Totò Merùmeni, In casa del sopravissuto, i primi tre versi dell'ultima lirica) ha fatto senz'altro uso della terza persona per poter utilizzare al meglio lo spazio lasciato libero dalla divaricazione ironica e dallo sdoppiamento tra narratore e personaggio, una divaricazione e uno sdoppiamento la cui eventualità e possibilità è del resto fissata fin dalla seconda parte della prima lirica.

A richiudere poi questo spazio e a ridimensionare questo sdoppiamento, a impedire cioè che Totò e il «sopravissuto» possano parere intrusi misteriosi, provvedono alcune ben distribuite funzioni indiziali che legano (e il corsivo sottolinea questi legamenti) Totò Merùmeni 15-16 (A) a

Un'altra risorta 23-24 (B):

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(A) (B)

vive Totò Merùmeni con una madre inferma, Vivo in campagna, con una prozia,

una prozia canuta ed uno zio demente la madre inferma ed una zio demente37.

In tal modo, mentre nella specificità dei singoli componimenti quello sdoppiamento può ottenere il massimo effetto di distacco e straniamento, nell'arco del discorso complessivo, del libro, quelle oggettivazioni e quelle terze persone non lasciano dubbi sul loro significato: sono giochi del punto di vista, artifici del racconto, sono il «fratello muto» nel quale l'io si specchia e non reali e inattese alterità, e dunque contribuiscono con particolare efficacia ad arricchire di connotati la storia del narratore-protagonista.

Anche per quanto riguarda il tempo del racconto o, in altri termini, a disposizione dell'intreccio, Gozzano ha operato in modo abbastanza semplice; avendo scelto una narrazione retrospettiva, si è limitato in sostanza a fissare i due traguardi temporali indispensabili, il passato e il presente. Sennonché, data la particolare circolarità del racconto, non si muove dal passato per scendere verso il presente divaricando inizialmente al massimo tempo dell'enunciazione e tempo del racconto e facendoli coincidere soltanto alla fine (che sarebbe poi stato un modo di ricostituire, sia pure sotto il segno del passato, la consueta successione cronologica), ma si muove dal presente al passato al presente.

Dopo I colloqui e L’ultima infedeltà scatta il meccanismo del flash-back e ci trasporta con un salto nel passato delle Due strade, che sono il primo capitolo del Giovenile errore; e di qui comincia la progressiva discesa verso il presente del finale e, chiudendo il circuito, dei due testi proemiali. Il passato si snoda così tra due presenti, l'intreccio ordina i suoi momenti fondamentali secondo lo schema C, A, B. Ora, il presente potrebbe essere inteso in due modi, come continuità connotata e come puntualità denotata, come durata e come attimo. Nel primo caso esso è il tempo che caratterizza, oltre ai due componimenti iniziali, i tre testi finali e Totò Merùmeni, e i cui segni può sembrare che affiorino qua e là anche altrove specie nella terza sezione del libro, che addirittura potrebbe essere allogata tutta intera al presente. È infatti chiaro che la situazione del «reduce» non è più suscettibile di svolgimenti e che gli eventi che la caratterizzano sono altrettante connotazioni

37 Sullo “sdoppiamento” possiamo continuare esaminando e confrontando le stesse due liriche e altre: Totò

Merùmeni 23 («Totò scelse l'esilio. E in libertà riflette») e 55 («Chiuso in sé stesso, medita, s'accresce,

esplora, intende») a Un'altra risorta 27-30 («vivere in una villa solitaria, (...) appartenersi, meditare... Canto / l'esilio e la rinuncia volontaria»), Totò Merùmeni 53-54 («Così Totò Merùmeni, dopo tristi vicende, / quasi

è felice») a Un'altra risorta 25 («Sono felice»), Totò Merùmeni 17 («Totò ha venticinque anni») e In casa del sopravissuto 45-46 («Penso, mammina, che avrò tosto venti- / cinqu'anni! invecchio!» ) agli ossessivi

«venticinqu'anni» della lirica proemiale, Torino 69-70 («Tu mi consoli, tu che mi foggiasti / quest'anima

borghese e chiara e buia») a In casa del sopravissuto 52-54 («tra saggie cure e Temperate spese, / sia la mia

vita piccola e borghese: / c'è in me la stoffa del borghese onesto... ») e quest'ultima per numerosi segni al discorso della Signorina Felicita.