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Città partecipata

Nel documento Firenze, la trasformazione del centro antico (pagine 166-169)

Se il centro storico di Firenze vorrà continuare ad esse- re scrigno straordinario di opere d’arte meravigliose, ma anche autonomo ed equilibrato centro di vita di una co- munità altrettanto fiera e orgogliosa, penso che dovrà co- noscere una importante stagione di piena partecipazione popolare dedicata al suo destino, oggi assai problematico e sofferente, per il terzo millennio.

La partecipazione diretta alla gestione, conservazione, or- ganizzazione, innovazione della cosa pubblica è diventata elemento centrale e sostanziale per il futuro delle nostre città ed in particolare per i centri storici e le zone a più for- te pressione antropica. Certamente siamo di fronte ad un quadro generale di riferimento che è di scala globale. É da qui allora che occorre partire, proponendo una analisi con dei caratteri e dei parametri valutativi di ampio respiro. Nel quinto capitolo dell’enciclica “Laudato si’ ”Papa Fran- cesco osserva che sono maturi i tempi per “una certa de- crescita in alcune parti del mondo procurando risorse perché si possa crescere in modo sano in altre parti”. A partire da questa straordinaria sollecitazione, sia morale che civile, uno dei temi di analisi per lo sviluppo soste- nibile del pianeta riguarda la riqualificazione degli spazi pubblici urbani, maggiormente dedicati alla socialità e alle relazioni umane, alla cultura, alla natura e agli aspetti ambientali. Occorre analizzare e approfondire nuove or- ganizzazioni spaziali per una nuova società intercultura- le, fatta di una cittadinanza attiva e partecipante alla vita di relazione, solidale e democratica. È sempre più chia- ra e concreta l’idea che l’insieme degli spazi urbani e le

loro relazioni, cioè il loro “sistema”, costruisca, consolidi e caratterizzi la città incidendo in modo significativo sul- la qualità della vita della comunità urbana. Una comuni- tà molto articolata che ha bisogno degli spazi urbani per aggregarsi, riconoscersi, svilupparsi, e che sono essenziali per garantire libertà, democrazia e solidarietà. “Quello di cui abbiamo disperato bisogno -e che non siamo capaci oggi di realizzare- è il tessuto urbano fatto di luoghi acco- glienti e connessi, un paesaggio continuo in cui abitare e riconoscersi” (Sasso 2003).

Allora occorre analizzare e verificare se e come un uso e una nuova progettazione e strutturazione degli spazi ur- bani non edificati o mal organizzati e delle risorse abita- tive non utilizzate possano contribuire a contenere e ri- durre fenomeni degenerativi e generare riequilibrio con un giusto mix di funzioni e attività sociali. “Ritengo che la questione più urgente sia operare una rivoluzione, li- berarci dalle ottiche di settore, evitare il predominio dei semplificatori terribili come già li preconizzava Jacob Burckhardt nell’Ottocento. Sperimentare invece integra- zioni spinte, essenzialità delle relazioni, visione sistemica. Oggi abbiamo urgenza di riaggravare, di individuare nuo- ve ed idonee forme di mobilità, di costruire reti di luoghi di condensazione sociale, che consentano di progettare il futuro e di ri-civilizzare l’urbano” (Pica Ciamarra, 2017). A partire quindi dall’incontro e dallo scambio delle diver- se sensibilità, culture, religioni, ecc., si potrà poi costruire una solida base di riferimento per la progettazione degli spazi, sia nuovi che ristrutturati, che siano coerenti alle aspettative della nuova cittadinanza e favoriscano anche

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fisicamente gli aspetti di integrazione, di interculturalità, di partecipazione attiva e democratica al bene collettivo e comune. “Le contraddizioni interne ad una comunità sono sintomi della sua diversità e quindi della sua vitalità e dunque contribuiscono alla capacità di sopravvivenza del sistema. Tuttavia la diversità, che significa relazioni diverse, approcci diversi allo stesso problema, costituisce vantaggio strategico solo in presenza di una comunità in- tegrata e vitale, sostenuta da una trama di relazioni“ (Ca- pra 2003).

La città sta perdendo la propria identità e con essa se ne vanno le ragioni della sua configurazione e soprattutto le motivazioni per la sua sopravvivenza, ovvero la visione dei suoi obbiettivi futuri, oggi è un mix squilibrato di differen- ti insediamenti di persone diverse. Squilibrato perché gli abitanti prevaricano i cittadini, i turisti gli autoctoni, gli autoctoni gli stranieri, il popolo della notte i residenti, e via così. La città era un luogo di abitudini, di legami so- ciali, di memoria. Ora è sempre più un “nonluogo” (Augè 1995) dove la gente è sempre più sola e di passaggio. La colonizzazione turistica, l’adeguamento degli spazi urba- ni alle esigenze di un turismo di massa ha cambiato pro- fondamente il volto delle aree centrali della città; questi luoghi, svuotati delle attività funzionali alla normale vita quotidiana degli abitanti, stanno subendo un progressivo impoverimento sociale e di perdita di spazio pubblico. La necessità di un riequilibrio fra la città pubblica e privata è un tema sempre più centrale e prioritario ed è associato al fatto che debba essere guidato e sostenuto dai principi etici fondamentali. Da qui la sacrosanta difesa delle pro- prie radici, della storia, dell’identità di un quartiere, specie se popolare. Operazione di resistenza civica contro le tra- sformazioni in atto che mettono in pericolo il tessuto so- ciale originario, come l’aumento del valore degli immobili, la ristrutturazione edilizia, la variazione della componente residenziale originaria. E’ il fenomeno della “Gentrifica- tion” e riguarda i quartieri popolari a ridosso del centro, sempre più orfani dei residenti storici. Protesta consape- vole e intelligente, capace di leggere i fenomeni in corso, di creare spazi di cittadinanza attiva, con un presidio socia-

le continuo assicurato dai suoi abitanti, la cui nazionalità non ha importanza. Anzi, i nuovi residenti, sono ancora più consapevoli della necessità di preservare il diritto di vivere il quartiere a tutte le classi sociali.

Alla base di ogni convivenza vi sono regole chiare e so- prattutto condivise. Prima di tutto però serve una riquali- ficazione e spesso una nuova progettazione degli spazi di relazione e di convivenza, offrendo luoghi di socialità e di scambio, come espressione fisica di un diritto irrinuncia- bile di comunità. Mentre si conferma la “regia” pubblica delle trasformazioni, è di fondamentale importanza che sia condivisa tra amministratori e cittadini l’esigenza di concretizzare quei principi che migliorino, attraverso in- dicazioni concrete, la vita, l’ambiente, il lavoro, la residen- za e la mobilita’. Proprio per dare input e valenza socio/ economica alle scelte urbanistiche entro un progetto e una visione comune. “Riesce sempre più difficile, infatti, nella città contemporanea trovare spazi e risorse, ma soprat- tutto disponibilità culturale, perché cittadini considerati diversi possano convivere nella società civile senza essere sottoposti a misure di controllo o di ghettizzazione.” (Mi- chelucci, 1986).

Firenze oggi appare in grande sofferenza, colpita da un imbarbarimento sociale frutto di perdita dell’identità, fuga dei residenti, chiusura delle botteghe artigiane, sca- dimento del tessuto commerciale, mancanza di sicurezza, vandalismi estetici e fisici. Sempre alle prese con un dif- ficile equilibrio fra identità storica e vocazione turistica sempre più marcata.

In questi ultimi anni Firenze si è impegnata sui temi della rigenerazione urbana e dello sviluppo sostenibile, indivi- duando alcuni elementi la cui applicazione favorirebbe l’incremento di benessere e qualità della vita, senza richie- dere costi o spese aggiuntive e garantirebbe al tempo stes- so un allineamento qualitativo maggiore con gli altri paesi europei. Il positivo esempio del recupero delle Murate si potrebbe senz’altro riproporre a molte altre aree urbane. “Le Murate come il luogo dell’invisibile o meglio quello che comunque la società, la nostra società ha voluto non vedere e anche non sentire: quindi il silenzio che è anche la

non visibilità. Davvero era invisibile Le Murate per Firen- ze, prima come carcere, poi come non luogo, che per tanti, troppi, anni non si riusciva a recuperare e gestire urbani- sticamente con un progetto di riscatto e valorizzazione. Le Murate è il luogo della memoria e oggi anche del futuro, e non solo per il centro storico di Firenze. Allora abbiamo trasformato la memoria in futuro. Abbiamo lavorato sul- la memoria, non abbiamo certo finito, dobbiamo lavorare ancora molto, però tutto questo impegno serve per tra- sformarla in momento positivo, in contributi per le nuove generazioni.” (Di Cintio 2014).

Parallelamente si va vieppiù rafforzando l’importanza del- la presenza e partecipazione attiva sia dei singoli che delle forme comunitarie associate, quando questa sia generatri- ce di iniziative propositive e non distruttive, tese quindi a sviluppare processi per la salvaguardia e lo sviluppo del bene comune, anche come espressione di valori e di diritti che non possono essere proibiti o negati né con la forza né con la legge. Ognuno ha il diritto di essere un soggetto. Vale a dire essere un protagonista della propria vita che in- tende soprattutto creare un rapporto libero con sè stesso, piuttosto che essere integrato in una collettività. Questa esigenza non ci deve apparire o essere considerata come forma di un individualismo sterile e/o negativo, quanto come affermazione positiva dell’unicità della persona, proprio come punto di partenza della costruzione della comunità, perché la soggettività viene sollecitata ad espri- mersi a partire si dalle proprie caratteristiche personali, ma anche come contributo di idee, di attivismo, di condi- visione valoriale. E quindi l’unità dei comportamenti non viene più imposta dalla particolarità di una cultura o di una società, ma dalla costruzione di ognuno come sogget- to, portatore di diritti universali in quanto essere partico- lare. “Dappertutto e sotto molteplici forme, ciò che si de- sidera maggiormente è il riconoscimento degli individui e dei gruppi come portatori di diritto di essere riconosciuti e rispettati al di là di tutte le leggi e di tutte le norme ema- nate dalle istituzioni. Questa esigenza prende spesso una forma comunitarista, ma ancora di più rivendica il diritto dell’individuo di esistere nel rispetto dell’immagine che

egli ha di sé, della propria libertà e della propria respon- sabilità.” (Touraine, 2009). Occorre quindi promuovere e favorire l’auto-organizzazione da parte dei cittadini nella riqualificazione del proprio ambiente di vita e di relazione. “un nuovo approccio alla progettazione il cui principale scopo consiste nel migliorare l’abitabilità dei luoghi attra- verso il coinvolgimento il più possibile diretto degli utenti nel processo progettuale…. La progettazione partecipata diretta, in altre parole, è un metodo che esorta alla rifles- sione non solo il progettista, ma anche l’abitante stesso, il quale è chiamato a diventare più consapevole delle proprie percezioni e valutazioni ambientali, e quindi a ragionare per suggerire o prendere decisioni relative ai propri am- bienti di vita reali, potenziali o ideali.” (Amendola 2009). Quindi attivare strumenti innovativi, atti a promuovere dinamiche di solidarietà, in grado di rendere i cittadini veri protagonisti delle trasformazioni della propria cit- tà, in una nuova forma di democrazia del futuro, come la massima trasparenza e pubblicità degli atti della pub- blica amministrazione, o come la facilitazione e l’appro- fondimento del dialogo fra cittadini e istituzioni. “Negli ultimi anni si è assistito, anche in Italia, ad una crescita di sperimentazioni locali volte ad integrare nei processi decisionali la partecipazione diretta dei cittadini. Ispirati alle teorie della democrazia partecipativo deliberativa, i diversi metodi, applicati spesso in forma sperimentale, su disegno e sotto il controllo di gruppi di ricercatori di con- certo con i partner istituzionali, si propongono di ridare voce al cittadino, indipendentemente dalle sue apparte- nenze politiche e associative pregresse.” (Cellini; Freschi; Mete, 2010). Confronti di idee per poi trovare una sintesi condivisa. In questo scenario l’incontro avviene fra grup- pi, mantenendo ciascuno almeno in una certa misura la loro identità. L’incontro ha cioè carattere transculturale, e non va in cerca di integrazione e di multiculturalità. Magari ci può essere una qualche forma di promozione, che proponga gli argomenti da affrontare e che offra una qualche occasione o una qualche sede per gli incontri, ma questi si sviluppano se sono i diretti interessati, nel loro affrontare i problemi o gli argomenti, a costruire una pos-

Alberto Di Cintio |

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sibile collaborazione, una comune partecipazione allo svi- luppo delle idee e della cooperazione. Così che, alla fine, le scelte sono comuni e condivise, e gli interventi eventuali coinvolgono tutti, privilegiati e non, senza più distinzione. Questo percorso sarà inizialmente basato sulla tecnica del “Confronto” e della “Partecipazione” che, mettendo insie- me esperti di diverse competenze e cittadini interessati, mira ad affrontare i problemi che vengono percepiti come centrali per la qualità della vita urbana. L’intento di questa metodologia è quello di superare la contrapposizione del muro contro muro, che spesso si conclude con l’accanto- namento di aspetti essenziali del problema, in favore di un confronto creativo di interessi nella ricerca di possibi- li soluzioni durature perché condivise e quindi capaci di prevenire conflitti futuri.

Inoltre occorre fare appello al “volontariato civico”, quello che forma la buona cultura che fa pensare che il bene pub- blico è anche mio, e che trasforma degrado e abbandono dei luoghi in nuovi punti di riferimento e di aggregazione, solidarietà, bellezza, legalità, condivisione.

Il percorso partecipato ed il progetto per Piazza del

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